Cass. pen. n. 56995/2017
Sono inutilizzabili le dichiarazioni non verbalizzate nè sottoscritte, rese dall'indagato alla polizia giudiziaria e da questa riportate in un'annotazione redatta ai sensi dell'art. 357, comma 1, cod. proc. pen. (Fattispecie relativa ad utilizzazione delle dichiarazioni in sede cautelare in cui, in motivazione, la Corte ha precisato che anche nel caso in cui il dichiarante, non ancora raggiunto da indizi di reità, sia una persona informata sui fatti, l'omessa verbalizzazione delle sue dichiarazioni ne determina l'inutilizzabilità, ai sensi dell'art. 191 cod. proc. pen., per violazione del divieto implicito stabilito dalla legge di acquisirle in assenza di formale verbalizzazione).
Cass. pen. n. 33821/2014
La mancata verbalizzazione da parte delle polizia giudiziaria di dichiarazioni da essa ricevute, in contrasto con quanto prescritto dall'art. 357 cod. proc. pen., non le rende nulle o inutilizzabili in quanto nessuna sanzione in tal senso è prevista da detta norma, sicché, salvi i limiti di cui all'art. 350, commi 6 e 7, cod. proc. pen., l'agente o l'ufficiale di polizia giudiziaria può fare relazione del loro contenuto all'autorità giudiziaria e rendere testimonianza "de relato".
Cass. pen. n. 150/2013
La mancata verbalizzazione da parte delle polizia giudiziaria di dichiarazioni da essa ricevute, in contrasto con quanto prescritto dall'art. 357 cod. proc. pen., non le rende nulle o inutilizzabili in quanto nessuna sanzione in tal senso è prevista da detta norma, sicché salvi i limiti di cui all'art. 350, commi 6 e 7, cod. proc. pen., l'agente o l'ufficiale di polizia giudiziaria può fare relazione del loro contenuto all'autorità giudiziaria e rendere testimonianza "de relato"
–
La mancata verbalizzazione da parte delle polizia giudiziaria di dichiarazioni da essa ricevute, in contrasto con quanto prescritto dall'art. 357 cod. proc. pen., non le rende nulle o inutilizzabili in quanto nessuna sanzione in tal senso è prevista da detta norma, sicché salvi i limiti di cui all'art. 350, commi 6 e 7, cod. proc. pen., l'agente o l'ufficiale di polizia giudiziaria può fare relazione del loro contenuto all'autorità giudiziaria e rendere testimonianza "de relato".
Cass. pen. n. 33042/2007
Le annotazioni di servizio, attraverso le quali il pubblico ufficiale dà conto di quanto è avvenuto in sua presenza, possono essere usate ai fini della autorizzazione alle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni e ai fini dell'adozione di misure cautelari.
Cass. pen. n. 34022/2006
L'obbligo di redazione degli atti indicati dall'art. 357 comma secondo, c.p.p., tra i quali rientrano le operazioni e gli accertamenti urgenti, nelle forme previste dall'art. 373 c.p.p., non è previsto a pena di nullità od inutilizzabilità. Per le attività di polizia giudiziaria è infatti sufficiente la loro documentazione, anche in un momento successivo al compimento dell'atto e, qualora esse rivestano le caratteristiche della irripetibilità, è necessaria la certezza dell'individuazione dei dati essenziali, quali le fonti di provenienza, le persone intervenute all'atto e le circostanze di tempo e di luogo della constatazione dei fatti. (In applicazione di questo principio, nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto che fosse legittimamente contenuta nel fascicolo del pubblico ministero, e quindi utilizzabile nel rito abbreviato, la documentazione relativa agli accertamenti dattiloscopici effettuati dalla polizia giudiziaria su impronte papillari rinvenute nel luogo e nell'immediatezza dei fatti sul corpo di reato, anche in mancanza della redazione del verbale dei rilievi).
Cass. pen. n. 6504/2000
L'irripetibilità va valutata in relazione al contenuto dell'atto, e non al documento che dà atto di quella attività, e deve rappresentare un connotato originario dello stesso, che cioè, in quanto irripetibile, non può essere ripetuto al dibattimento; costituiscono pertanto atto irripetibile le annotazioni di polizia giudiziaria e cioè i documenti sui quali vengono annotate giornalmente le condotte criminose osservate nel corso delle indagini. (Fattispecie in cui sono state ritenute acquisibili agi atti del dibattimento le annotazioni relative ad osservazioni compiute dalla P.G. al tavolo dello chemin de fer).
Cass. pen. n. 4197/1999
Sono utilizzabili, quali gravi indizi di colpevolezza per l'applicazione di misure cautelari, le trascrizioni di registrazioni di dichiarazioni raccolte dalla polizia giudiziaria, pur in mancanza di una formale verbalizzazione.
Cass. pen. n. 2399/1999
In tema di utilizzabilità delle relazioni di servizio degli agenti c.d. infiltrati, a norma dell'articolo 357, primo comma, c.p.p. la polizia giudiziaria deve annotare «secondo le modalità ritenute idonee ai fini delle indagini, anche se sommariamente, tutte le attività svolte», non potendosi prendere nota di attività consistite in simulate trattative se non mediante riferimento riportato, il più esatto possibile, dei colloqui sostanzianti le trattative. Ne consegue che la mancata verbalizzazione non infirma la valenza probatoria e l'utilizzabilità delle annotazioni sia perché nel sistema di legge esse sono prioritariamente destinate ad illustrare le attività svolte, sia perché le circostanze e le frasi eventualmente riportate non sono dichiarazioni vere e proprie, non essendo state profferite, se non in via mediata indiretta ed inconsapevole, alla polizia giudiziaria, sia perché la verbalizzazione nelle forme di legge è all'evidenza incompatibile con l'attività di un agente infiltrato, che deve mantenere il segreto sulla propria qualifica reale.
Cass. pen. n. 8219/1999
Il verbale previsto dall'art. 357, comma 2, c.p.p. (documentazione dell'attività di polizia giudiziaria) si distingue dalla semplice annotazione di cui al precedente comma 1 essenzialmente per la contiguità spazio temporale fra quanto è oggetto di documentazione e l'attività di formazione della documentazione stessa, la cui certa provenienza dal pubblico ufficiale abilitato che ne figura autore deve risultare da lui attestata mediante apposita sottoscrizione. Non ha invece decisivo rilievo il rispetto delle forme e modalità prescritte dalla legge per la redazione del verbale, la cui eventuale inosservanza non altera la natura del documento né dà luogo a nullità, salvo che nelle ipotesi previste dall'art. 142 c.p.p. (incertezza assoluta sulle persone intervenute o mancata sottoscrizione del pubblico ufficiale). (Nella specie, in applicazione di tali principi, la S.C. ha escluso che dovesse qualificarsi come mera annotazione e non invece come verbale, utilizzabile quindi ai fini delle contestazioni previste dall'art. 500 c.p.p., l'atto con il quale la polizia giudiziaria aveva raccolto le dichiarazioni rese dopo il ricovero in ospedale dalla persona offesa, la cui mancata sottoscrizione, peraltro, era stata giustificata con le precarie condizioni in cui detta persona, al momento, si trovava).
Cass. pen. n. 1397/1998
L'omesso o inesatto adempimento delle formalità relative al sequestro di polizia giudiziaria non incide sulla legittimità dell'atto. (Nella fattispecie la Suprema Corte ha ritenuto del tutto irrilevante la inesistenza del verbale di sequestro di armi, il cui contenuto era rifluito nel verbale di arresto degli imputati, ed ha enunciato il principio di cui in massima).
Cass. pen. n. 3764/1997
Le dichiarazioni «confidenziali» dell'indagato raccolte dalla polizia giudiziaria e non documentate ai sensi dell'art. 357, secondo comma, lett. b), c.p.p., possono essere utilizzate quali indizi nella fase delle indagini preliminari, non ricorrendo alcuna ipotesi di inutilizzabilità generale di cui all'art. 191 dello stesso codice — in assenza di espresso o implicito divieto — ovvero di inutilizzabilità specifica. Ne consegue che qualora del loro contenuto venga fatta relazione all'autorità giudiziaria, od eventualmente di esse l'ufficiale di polizia giudiziaria che le ha raccolte renda testimonianza de relato, dette dichiarazioni ben possono essere valutate ai fini cautelari quale riscontro estrinseco confermativo della chiamata in reità o in correità operata nei confronti di altro indagato da una terza persona, coimputata o imputata in procedimento connesso, dovendosi ritenere che tali riscontri possano essere costituiti da elementi rappresentativi — quali sono le dichiarazioni autonome e convergenti di altri soggetti — ovvero logici di qualsiasi natura che, legittimamente acquisiti, suffraghino l'attendibilità della chiamata.
Cass. pen. n. 1444/1997
Le relazioni di servizio redatte da un agente infiltrato in una organizzazione criminale sono utilizzabili anche nella parte in cui riferiscono in forma di citazione testuale le dichiarazioni rese dai presenti poiché dell'attività svolta la polizia giudiziaria deve rendere conto, a norma dell'art. 357, comma 1, c.p.p., «secondo le modalità ritenute idonee ai fini delle indagini» e non è possibile prendere nota di attività consistite in simulate trattative se non riferendone l'andamento. D'altro canto le dichiarazioni riportate sono solo in via indiretta e inconsapevole rivolte ad un agente di polizia giudiziaria il quale, anche per la salvaguardia della propria incolumità personale, deve tenere celata tale qualità e non potrebbe in nessun modo procedere alla verbalizzazione nelle forme di rito.
Cass. pen. n. 5954/1996
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 350, 357 e 373 comma 2 c.p.p. in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, basata sull'assunto che l'attuale disciplina processuale attribuisce pieno valore probatorio ad atti compiuti durante la fase delle indagini preliminari per i quali è prevista una forma di verbalizzazione ben diversa da quella che è tenuta ad osservare il giudice del dibattimento. Ed invero, diversità di verbalizzazione tra la fase procedimentale e quella dibattimentale dipende dalla diversità degli scopi che le norme richiamate perseguono. Infatti nella fase procedimentale le verbalizzazioni sono preparatorie all'acquisizione della prova, mentre nella fase dibattimentale le verbalizzazioni sono dirette all'acquisizione della prova, di guisa che possono essere previste forme di verbalizzazione diverse senza che ciò possa comportare una violazione del diritto di difesa, essendo prevista la presenza del difensore agli interrogatori delle persone imputate in procedimenti connessi.
Cass. pen. n. 649/1996
Le dichiarazioni spontaneamente rese dall'indagato alla polizia giudiziaria, all'atto dell'arresto in flagranza di reato (nella specie furto), sono documentate in verbale, a norma dell'art. 357 comma 2 lett. b) c.p.p., e che tale verbale, allorquando contiene dichiarazioni (ritenute) calunniose, costituisce cosa pertinente al reato di calunnia, di cui sono ammessi il sequestro (art. 253 c.p.p.), l'inserimento nel fascicolo per il dibattimento (art. 431) e la conseguente utilizzabilità dibattimentale nel procedimento per calunnia. Il verbale delle predette dichiarazioni è, in ogni caso, un documento a norma dell'art. 234 c.p.p. e, come tale, può essere acquisito a norma dell'art. 190 c.p.p. e utilizzato come prova nel processo per calunnia. (Nella specie è stato rigettato il motivo di ricorso che deduceva violazione dell'art. 350 comma 7 c.p.p. per essere stata fatta utilizzazione, nel procedimento per calunnia, delle dichiarazioni rese dall'imputato alla polizia giudiziaria, quando era stato arrestato in flagranza del reato di furto).
Cass. pen. n. 4480/1995
La mancata verbalizzazione, da parte della polizia giudiziaria, di atti che, ai sensi dell'art. 357, comma 2, c.p.p., dovrebbero essere verbalizzati comporta che tali atti, in quanto privi di documentazione, siano da considerare inesistenti e, come tali, indipendentemente da ogni riferimento alle categorie della nullità e della inutilizzabilità, inidonei ad essere assunti a base anche della semplice adozione di misure cautelari. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto legittima la decisione di un tribunale del riesame che aveva annullato un'ordinanza applicativa di misura cautelare basata, fra l'altro, su dichiarazioni rese da un soggetto alla polizia giudiziaria, la quale, senza verbalizzarle, le aveva registrate all'insaputa del dichiarante).
Cass. pen. n. 3263/1994
La mancata verbalizzazione, da parte della polizia giudiziaria, in violazione delle disposizioni contenute nell'art. 357 c.p.p., di dichiarazioni da essa ricevute, non costituisce, di per sé, causa di nullità o di assoluta inutilizzabilità, sotto qualsiasi forma, di dette dichiarazioni. Nulla impedisce, quindi (salvi i divieti stabiliti nell'art. 350, commi 6 e 7, c.p.p.), che del loro contenuto venga comunque fatta relazione all'autorità giudiziaria e che, all'occorrenza, l'ufficiale o agente di polizia giudiziaria renda, su di esso, testimonianza de relato, sempre che tale testimonianza non venga utilizzata come prova nei confronti dello stesso soggetto che ha rilasciato le dichiarazioni stesse. Ciò vale anche nel caso che si tratti di dichiarazioni rese da soggetti contemplati nell'art. 210 c.p.p., posto che l'eventuale nullità, non assoluta, derivante dalla violazione dell'art. 351, comma 1 bis, c.p.p. (il quale, nel presupposto che le dichiarazioni vengano verbalizzate, prescrive che ad esse abbia diritto di assistere il difensore del dichiarante), può essere fatta valere, ai sensi dell'art. 182, comma 1, c.p.p., soltanto dall'interessato, cioè dal soggetto che avrebbe avuto diritto a fruire dell'assistenza difensiva.
Cass. pen. n. 1935/1994
A norma dell'art. 357, secondo comma, lett. b), c.p.p., la polizia giudiziaria è tenuta a redigere verbale, tra l'altro, degli atti non ripetibili compiuti e delle dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona nei cui confronti vengono svolte indagini. Tale adempimento non comporta l'obbligo di redigere un autonomo verbale per ciascuna delle attività svolte specie ove vi sia una contestualità di tempo e di luogo, non essendo ciò prescritto da alcuna disposizione di legge. Ne consegue che nell'ipotesi in cui vengano rese alla polizia giudiziaria, mentre procede a perquisizione od a sequestro, dichiarazioni spontanee, processualmente rilevanti, da parte della persona sottoposta alle indagini, le dichiarazioni stesse ben possono essere inserite nel verbale di perquisizione o di sequestro, senza che occorra redigere distinto ed autonomo verbale.
Cass. pen. n. 1835/1994
Nel giudizio abbreviato tutti gli atti sono utilizzabili; e qualora un atto di polizia giudiziaria sia stato illegittimamente acquisito al fascicolo del pubblico ministero, la parte interessata ha l'onere di eccepire preliminarmente tale illegittima acquisizione affrontandone la relativa conseguenza, e cioè che il giudice non ritenga più il procedimento definibile allo stato degli atti e rigetti la richiesta di rito abbreviato. Se l'imputato, viceversa, preferisce l'adozione del rito speciale, non può dolersi successivamente dell'utilizzazione di atti che fanno parte del fascicolo del pubblico ministero e che sono stati valutati dai giudici di merito, prima ancora di giudicare in ordine alla responsabilità, per stabilire la definibilità del procedimento allo stato degli atti e l'ammissione al giudizio abbreviato. (Fattispecie in tema di utilizzabilità di sommarie informazioni, verbalizzate e non annotate dalla polizia giudiziaria in contrasto con l'art. 357, secondo comma, c.p.p. nella sua originaria versione, rilasciate dalla convivente dell'imputato alla quale non era stato rivolto l'avviso della facoltà di astenersi).
Cass. pen. n. 1340/1994
La consegna di copia del verbale di sequestro e notifica del decreto di convalida alla persona alla quale le cose sono state sequestrate sono prescritte per consentire alla medesima di chiedere il riesame del provvedimento di convalida, ma una volta che il sequestrato sia stato posto in condizione di farlo, l'omesso od inesatto adempimento di tali formalità non incide sulla legittimità del sequestro.
Cass. pen. n. 10603/1993
In tema di instaurazione del giudizio direttissimo, l'art. 450, comma quarto c.p.p., dispone che il fascicolo da trasmettere al giudice competente è quello previsto dall'art. 431, il quale, nell'elencazione degli atti che debbono essere raccolti, non indica la comunicazione della notizia di reato di cui all'art. 347 c.p.p. e l'utilizzazione di tal documento, non acquisito al fascicolo del dibattimento, è consentita dall'art. 357, lett. f) c.p.p., dal momento che esso non costituisce atto descrittivo di fatti e situazioni ovvero di attività svolte prima dell'intervento del pubblico ministero. (Fattispecie nella quale la S.C. ha annullato la pronuncia assolutoria di merito, assunta sulla scorta d'una deposizione testimoniale, valutata alla luce della comunicazione della notizia di reato, esistente nel fascicolo del pubblico ministero e mai acquisita a quello del dibattimento)
Cass. pen. n. 7263/1993
Ai fini della qualificazione di un atto come «irripetibile» occorre aver riguardo alla natura e alle caratteristiche peculiari dell'atto stesso, e non alla sua documentazione, che ne costituisce un momento logicamente o cronologicamente distinto. Ne deriva che rientrano nel novero degli atti irripetibili quelli mediante i quali la P.G. prende diretta cognizione (poco importa se seguita o meno da provvedimenti coercitivi, personali o reali), di fatti, situazioni o comportamenti umani dotati di una qualsivoglia rilevanza penale e suscettibili, per loro natura, di subire modificazioni o, addirittura, di scomparire in tempi più o meno brevi, sì da risultare suscettibili di essere, in seguito, soltanto riferiti e descritti. Il fatto che poi la documentazione a tal fine redatta non abbia i requisiti formali del «verbale» non è, di per sé, causa di nullità o di inutilizzabilità dell'atto, sempre che non facciano difetto i requisiti sostanziali, da individuarsi essenzialmente (anche alla luce di quanto dispone l'art. 142 c.p.p. in tema di causa di nullità dei verbali), nella stretta contiguità spazio-temporale (compatibile con l'esigenza della pratica), fra la constatazione dei fatti e la formazione di detta documentazione, nonché nella certa provenienza di quest'ultima, attestata da apposita sottoscrizione, dal pubblico ufficiale abilitato che ne figura autore. (Nella specie, in applicazione di detti principi, la Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito, i quali avevano ritenuto utilizzabile, ai fini del decidere, una informativa di reato in cui si riferiva che, nella tarda serata del giorno precedente, un soggetto sottoposto a sorveglianza speciale di P.S. era stato notato fuori della propria abitazione in orario non consentito).
Cass. pen. n. 4797/1993
Nel giudizio abbreviato sono utilizzabili le sommarie informazioni fornite alla polizia giudiziaria, non raccolte e verbalizzate sul luogo e nella immediatezza del fatto, ma in un momento successivo. L'art. 351 c.p.p., nel disporre che la polizia può assumere tali informazioni dalle persone in grado di fornire notizie utili ai fini delle indagini, non subordina l'esercizio di tale potere a specifici limiti di tempo e di luogo. Né alcun limite spaziale o cronologico è introdotto dal successivo art. 357, comma primo lett. c), il quale — nell'imporre alla polizia giudiziaria di redigere il verbale per le informazioni assunte a norma dell'art. 351 «nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nell'immediatezza del fatto» — regola soltanto un onere di forma in vista della utilizzabilità in dibattimento delle informazioni anzidette, a norma dell'art. 500 c.p.p.
Cass. pen. n. 440/1993
L'obbligo di verbalizzazione degli atti indicati nell'art. 357 comma secondo c.p.p. non è prescritto a pena di nullità, sicché è da ritenere che qualora la loro documentazione sia avvenuta in altro modo che ne consenta comunque l'individuazione delle fonti relative, essa può far parte del fascicolo del P.M., da depositare a norma dell'art. 416 comma secondo stesso codice, e se ne può tenere conto ai fini dell'adozione delle misure cautelari e del rinvio a giudizio dell'imputato, mentre non può entrare a far parte del fascicolo per il dibattimento nel quale anche gli atti irripetibili possono essere inseriti solo se risultanti da verbali. (Fattispecie in tema di sommarie informazioni non verbalizzate, ma solo sintetizzate nell'informativa di reato).
Cass. pen. n. 7605/1991
La redazione del verbale, nelle forme di cui all'art. 373 c.p.p., imposta per numerosi atti, fra cui le «informazioni assunte, a norma dell'art. 351, nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nell'immediatezza del fatto», dall'art. 357, comma secondo, lett. c), non è prescritta a pena di nullità. Il principio di tassatività delle nullità esclude, pertanto, che la violazione di tale norma impedisca l'utilizzazione dell'atto, qualora ne sia ugualmente consentita l'individuazione.
Cass. pen. n. 6594/1991
In materia di stupefacenti, la polizia giudiziaria è autonomamente legittimata ad effettuare - sia direttamente tramite i propri organi tecnici che facendone richiesta a una pubblica struttura (USL) - analisi ricognitiva (e non valutativa) in ordine alla natura della sostanza che si ritenga stupefacente, non quale accertamento urgente (non sussistendo il requisito dell'irripetibilità) ma quale indagine a corredo della informativa di reato e a sostegno delle ragioni giustificanti l'arresto in flagranza di reato, con la conseguenza che il relativo documento non può essere utilizzato ai fini della prova dibattimentale. Tuttavia, qualora l'indagato sia giudicato con il rito abbreviato, tale documento, legittimamente confluito nel fascicolo del pubblico ministero, può essere utilizzato ai fini della prova del reato.