La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9415 del 12 aprile 2017, ha fornito alcune interessanti precisazioni in materia di mantenimento dei figli e diritto agli alimenti.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, il figlio di una coppia, di oltre 50 anni d'età, aveva agito in giudizio nei confronti dei propri genitori, al fine di ottenere la condanna dei medesimi al pagamento di un assegno di mantenimento o di un assegno alimentare.
Il figlio, inoltre, aveva chiesto il risarcimento dei danni, “per esser stato allontanato dalla casa familiare e per il comportamento ostile manifestato dai genitori nei suoi confronti”.
I genitori avevano contestato la domanda proposta nei loro confronti ma il Tribunale, pronunciatosi nel primo grado di giudizio, aveva riconosciuto il diritto del figlio all’assegno alimentare, ai sensi dell’art. 438 cod. civ.
A seguito dell’impugnazione della sentenza, poi, la Corte d’appello di Roma aveva condannato uno dei genitori (in quanto l’altro era nel frattempo deceduto), al pagamento di un assegno alimentare mensile di Euro 300,00.
La Corte d’appello, infatti, “riteneva provato, alla luce della complessiva vicenda di vita del C., il presupposto del diritto alla prestazione alimentare, attesa la situazione di bisogno del predetto, non obiettivamente contestata, e stante l'impossibilità di provvedere altrimenti al proprio mantenimento”.
Osservava la Corte, in particolare, che nel corso del giudizio era emerso che il figlio era una persona “caratterizzata da seri problemi psicologici e di approccio con l'esterno, tanto da giustificare due richieste di t.s.o. con diagnosi di malattia psichiatrica”.
Il genitore, ritenendo la decisione ingiusta, proponeva ricorso per Cassazione, osservando come la Corte d’appello avesse erroneamente riconosciuto il diritto all’assegno alimentare, “nonostante l'attribuzione al figlio della responsabilità e volontarietà del mancato conseguimento di un'autonomia economica”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Secondo la Cassazione, infatti, la Corte d’appello aveva, del tutto correttamente, applicato il principio di diritto secondo cui “il diritto agli alimenti è legato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche dell'impossibilità di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento mediante l'esplicazione di un'attività lavorativa, tanto che ove l'alimentando non provi la propria invalidità al lavoro per incapacità fisica o l'impossibilità, per circostanze a lui non imputabili, di trovarsi un'occupazione confacente alle proprie attitudini e alle proprie condizioni sociali, la relativa domanda deve essere rigettata”.
Nel caso di specie, dunque, il diritto agli alimenti era stato giustamente riconosciuto, in considerazione degli accertamenti effettuati in corso di causa e delle provate condizioni personali del figlio, che dimostravano come lo stesso non fosse in grado di provvedere autonomamente al proprio mantenimento.
In conclusione, dunque, la Corte di Cassazione decideva di rigettare il ricorso proposto dal genitore, confermando integralmente la sentenza di secondo grado emessa dalla Corte d’appello.