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Articolo 21 nonies Legge sul procedimento amministrativo

(L. 7 agosto 1990, n. 241)

[Aggiornato al 31/07/2021]

Annullamento d'ufficio

Dispositivo dell'art. 21 nonies Legge sul procedimento amministrativo

1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21 octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a dodici mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo(1)(2).

2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.

2-bis. I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445(2).

Note

(1) Il D.L 19 maggio 2020, n. 34 (convertito con modificazioni dalla L. 17 luglio 2020, n. 77) ha disposto (con l'art. 264, comma 1 lettera b) che "Al fine di garantire la massima semplificazione, l'accelerazione dei procedimenti amministrativi e la rimozione di ogni ostacolo burocratico nella vita dei cittadini e delle imprese in relazione all'emergenza COVID-19, dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2020:
[...]
  1. b) i provvedimenti amministrativi illegittimi ai sensi dell'art. 21-octies della legge 7 agosto 1990, n. 241, adottati in relazione all'emergenza Covid-19, possono essere annullati d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro il termine di tre mesi, in deroga all'art. 21-nonies comma 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Il termine decorre dalla adozione del provvedimento espresso ovvero dalla formazione del silenzio assenso. Resta salva l'annullabilità d'ufficio anche dopo il termine di tre mesi qualora i provvedimenti amministrativi siano stati adottati sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali, ivi comprese quelle previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445;".
(2) Tale comma è stato modificato dall'art. 63, comma 1, del D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108.

Spiegazione dell'art. 21 nonies Legge sul procedimento amministrativo

L'annullamento d'ufficio, unitamente alla revoca del provvedimento amministrativo, (art. 21 quinquies) costituiscono ipotesi in cui l'amministrazione agisce in autotutela.

Tale potere si esercita tramite l'adozione di provvedimenti di secondo grado, con cui l'amministrazione incide su precedenti provvedimenti emessi dalla p.a..

L'impostazione dottrinale preponderante descrive l'autotutela come la potestà dell'amministrazione di “farsi ragione da sè”, fatto salvo comunque ogni sindacato giurisdizionale ex art. 113 Cost.. In via di principio, l'autotutela consiste nella possibilità attribuita alla p.a. di risolvere autonomamente vari conflitti, attuali o potenziali intercorrenti con i terzi, senza la necessitò di alcun intervento giurisdizionale.
Si distingue solitamente tra:

  • autotutela spontanea, quando la p.a. interviene d'ufficio sui propri provvedimenti, dopo essersi avveduta della sussistenza di profili di invalidità o inopportunità;

  • autotutela necessaria, di cui fanno parte i controlli;

  • autotutela contenziosa, la quale coincide con il potere di decidere sui ricorsi amministrativi;


Va precisato che l'autotutela è espressione del medesimo potere di amministrazione attiva di cui al precedente provvedimento, dato che consiste in una semplice rivalutazione dell'originaria valutazione che ha condotta la p.a.a ad adottare il provvedimento iniziale.

Ai sensi dell'articolo in esame, il provvedimento illegittimo per violazione di legge, eccesso di potere ed incompetenza può essere annullato d'ufficio per:

  • sussistenza di ragioni di interesse pubblico;

  • esercizio del potere entro un termine ragionevole;

  • considerazione dell'interesse dei destinatari del provvedimento e degli eventuali controinteressati.

L'annullamento in autotutela non è dunque ammissibile per meri motivi di legittimità, come invece accadrebbe su ricorso del privato ritenutosi leso dall'agere amministrativo.

Il fondamento dell'annullamento d'ufficio deve invece rinvenirsi innanzitutto nell'interesse pubblico , dato che anche l'atto illegittimo può meritatamente perseguire l'interesse pubblico, ritenuto di primaria importanza in questi casi.

Inoltre, come espressamente disposto dal comma 1, non è ammissibile l'annullamento in autotutela degli atti che, ai sensi dell'art. 21 octies, comma 2, non sono suscettibili di essere annullati in sede giudiziale.

La p.a . competente deve dunque prima di tutto valutare se il provvedimento sia suscettibile di annullamento per violazione di legge, incompetenza, eccesso di potere, esclusi i casi di vizi non invalidanti di cui al comma 2 dell'art. 21 octies; in seguito, una volta accertata l'astratta illegittimità, valutare se non sussistano ragioni ostative all'annullamento sotto il profilo del lasso di tempo trascorso e degli interessi coinvolti.

Per quanto concerne il termine ragionevole, esso è chiaramente posto a tutela del legittimo affidamento nutrito dal privato destinatario del precedente provvedimento, consolidatosi con il decorso del tempo. Pur non essendo precisato un termine rigido, è chiaro che il potere di annullamento decresce con il passare del tempo. La norma prevede invece un termine fisso in relazione all'annullamento di provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, stabilito in diciotto mesi, dato dalla tutela dell'affidamento e degli interessi economici del destinatario delle attribuzioni.

In ogni caso, qualora tali attribuzioni di vantaggi economici siano conseguenza di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni false o mendaci costituenti reato, il termine di diciotto mesi non opera.

Per quanto concerne la convalida, essa costituisce un'ipotesi di riesame con esito conservativo, in cui la rimozione dell'atto soccombe rispetto alla necessità di tutelare l'interesse pubblico, sempre entro un termine ragionevole.

La convalida rappresenta un provvedimento di secondo grado tramite il quale la p.a. riconosce che un vizio inficia un proprio provvedimento e lo rimuove.

Per quanto riguarda la competenza in tema di convalida, essa spetta sia alla p.a. che ha emanato l'atto, sia eventualmente all'autorità gerarchicamente superiore, mentre non spetta all'amministrazione che con l'adozione del provvedimento ha consumato il proprio potere.

Massime relative all'art. 21 nonies Legge sul procedimento amministrativo

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Consulenze legali
relative all'articolo 21 nonies Legge sul procedimento amministrativo

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

L. A. chiede
venerdì 27/05/2022 - Lombardia
“Buongiorno
in una palazzina prevalentemente utilizzata come uffici, una mansarda destinata a magazzino ma utilizzata come ufficio a servizio della attività nel 2003 è stata condonata con relativo rilascio di certificato di agibilità a trasformazione in ufficio pur non avendo rapporti aero illuminanti conformi alle norme e un bagno con altezza metri due.
Ora è stato effettuato un intervento di manutenzione straordinaria con la formazione di un nuovo bagno a norma e è stata presentata una richiesta di cambio di destinazione d'uso ad abitazione tipo loft (open space) senza dover effettuare ulteriori opere.
Il comune deve dare il cambio di destinazione richiesto ?
cordiali saluti”
Consulenza legale i 06/06/2022
Dalla lettura del quesito, si evince che la questione di interesse, più che la compatibilità della nuova destinazione con le previsioni pianificatorie di zona (che non sono a disposizione dello scrivente), riguarda soprattutto il timore che -nel valutare la nuova domanda di cambio di destinazione d’uso- il Comune possa riesaminare in senso negativo i titoli edilizi in sanatoria e l’agibilità già a suo tempo rilasciati.
Al riguardo, va per prima cosa chiarito che tali atti sono ormai divenuti definitivi e che, dunque, è possibile fare ad essi riferimento nella nuova istanza relativa al cambio di destinazione d’uso.

Tuttavia, è bene tenere presente anche che la Pubblica Amministrazione, ai sensi dell’art. 21 nonies, L. n. 241/1990, ha il potere di rivedere, annullandoli, i propri atti amministrativi, in presenza dei presupposti della illegittimità del provvedimento, della presenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento e del mancato decorso di un termine ragionevole, che le ultime riforme apportate alla L. 241/1990 hanno infine stabilito in dodici mesi.
In merito all’interesse pubblico, è stato chiarito che in ambito edilizio la motivazione esigibile deve essere integrata dall'allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio, dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono, che possono indubbiamente essere prevalenti, se spiegati, rispetto a quelli contrapposti dei privati, nonché dall'eventuale negligenza o malafede del privato che ha indotto in errore l'Amministrazione (Consiglio di Stato, sez. VI, 28 dicembre 2021, n. 8641).
Inoltre, il superamento del termine massimo per l’esercizio dell’autotutela è consentito: a) sia nel caso in cui la falsa attestazione, inerenti i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all'uopo rese dichiarazioni sostitutive): nel qual caso sarà necessario l'accertamento definitivo in sede penale; b) sia nel caso in cui l'(acclarata) erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all'Amministrazione, ed imputabile, per contro, esclusivamente al dolo (equiparabile, per solito, alla colpa grave e corrispondente, nella specie, alla mala fede oggettiva) della parte: nel qual caso — non essendo parimenti ragionevole pretendere dalla incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione della iniziativa volta al riesame — si dovrà esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco (Consiglio di Stato, sez. VI, 09 marzo 2022, n. 1704).

Nel caso di specie, quindi, il rischio che il Comune apra un procedimento di autotutela relativo alla sanatoria soltanto nel caso in cui la rappresentazione dei fatti nella domanda di condono sia stata fatta in modo da trarre in inganno la P.A., mentre è bassa nell’ipotesi in cui l’errore non dipenda dal privato.
Circa l’agibilità, invece, i poteri della P.A. sono più ampi, in quanto, indipendentemente dal trascorrere del tempo, è sempre aperta la possibilità di “dichiarare inabitabile una casa o parte di essa per ragioni igieniche e ordinarne lo sgombero” (artt. 222, R.D. n. 1265/1934 e 26 T.U. Edilizia).
In ogni caso, la realizzazione delle opere necessarie a ripristinare le necessarie condizioni igienico-sanitarie dovrebbe essere sufficiente ad evitare di un intervento del Comune in tal senso.


Giancarlo A. chiede
lunedì 07/02/2022 - Lombardia
“Se un dirigente pubblico ha il sospetto che l'atto pervenuto al suo ufficio, ed emanato da un'altra amministrazione, sia viziato da annullabilità, supponiamo per violazione di legge.
Se il dirigente non è organo di controllo dell'ufficio emanante, può autonomamente ritenere inefficace l'atto e non attivare il procedimento amministrativo che sarebbe stato di sua competenza?
Più in generale, quale sindacato può operare il dirigente pubblico sugli atti, di altre amministrazioni, che interessano il suo ufficio?”
Consulenza legale i 14/02/2022
Il sindacato sulla legittimità degli atti amministrativi a livello amministrativo avviene sostanzialmente mediante l’annullamento d’ufficio (autotutela) o i ricorsi previsti dal D.P.R. n. 1179/1971, recante Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi.
Il primo rimedio è disciplinato dall’art. 21 novies, L. n. 241/1990, che –per quanto qui ci occupa- attribuisce il potere di annullamento all'organo che ha emanato il provvedimento, ovvero ad altro organo previsto dalla legge.

Proprio riguardo a tale profilo, è stato chiarito che la competenza e l'attribuzione ad esercitare il potere pubblico, compreso quello c.d. di secondo grado, sono retti dal principio di legalità (art. 97 Cost.), per cui soltanto una norma di legge può stabilire quale sia il soggetto competente ad esercitare il potere e quale sia l'organo a cui l'esercizio del potere sia in concreto attribuito (T.A.R. Roma, sez. II, 09 aprile 2021, n. 4190).
Pertanto, l’eventuale annullamento in autotutela disposto da un organo diverso da quelli previsti dalla suddetta norma sarebbe a sua volta viziato da incompetenza e, dunque, illegittimo.
I ricorsi disciplinati dal D.P.R. n. 1199/1971, invece, vengono attivati su istanza di parte dai soggetti interessati e, anche in questo caso, vanno rivolti o all’organo gerarchicamente superiore o, in casi particolari, alla stessa autorità che ha emanato il provvedimento.
Anche questa possibilità, tuttavia, non viene in rilievo nel caso di specie, posto che l’intervento del Dirigente avverrebbe d’ufficio e che, stando a quanto illustrato nel quesito, manca comunque una norma di legge che attribuisca a tale soggetto il controllo sull’atto de quo.

Il potere generale di disapplicare i provvedimenti amministrativi illegittimi, inoltre, spetta al Giudice ordinario ex art. 5, L. n. 2248/1865 All. E., mentre quello di annullarli in via giurisdizionale appartiene al Giudice Amministrativo.
Non vi è, invece, una norma che preveda un potere analogo in capo ai Dirigenti, che si occupano del coordinamento e del controllo degli uffici a cui sono preposti (compreso l’esercizio dei poteri sostitutivi), della gestione del personale e delle risorse finanziarie, nonché –quando si tratta di Enti locali- di altri compiti quali la presidenza delle commissioni di gara, la vigilanza edilizia ecc. (art. 17, D.Lgs. n. 165/2001 e art. 107, D.Lgs. n. 267/2000).

In conclusione, si ritiene che un’azione quale quella indicata nel quesito vada oltre le prerogative che la Legge attribuisce ai Dirigenti, in quanto non vi è una norma sottostante che attribuisca loro tale facoltà.
Rimane, comunque, la possibilità di segnalare i propri rilievi all’Amministrazione competente, che potrà eventualmente intervenire e porvi rimedio.

O. L. chiede
mercoledì 12/01/2022 - Campania
“Buongiorno, il mio problema riguarda il titolo abilitativo in sanatoria concessomi per la legge 47/85 della mia casa che ho ereditato da mia madre per successione. La casa è situata in palazzina bifamiliare ed è l'abitazione nella quale vivo attualmente. Essa fu costruita nel 1982 in sopraelevazione all'appartamento al piano terra che a sua volta fu costruito nel 1967 con regolare permesso. All'epoca del rilascio del condono il dirigente del settore urbanistica del mio Comune, dopo aver incassato tutti gli oneri di legge, rilasciava titoli abilitativi che in realtà avevano un anomalia, e cioè la mancanza del parere dell'Ente della Soprintendenza ai beni culturali e paesaggistica. Allo stato attuale l'immobile intero non presenta abusivismo di nessun genere e sarebbe stato opportuno approfittare del Superbonus 110 per l'efficientamento energetico e la ristrutturazione totale di tutta la palazzina, d'accordo con mio fratello che è proprietario del piano inferiore. Mi sono informato all'ufficio urbanistica e un dirigente dopo aver visionato il titolo mi ha detto che mi avrebbero rilasciato senza problemi tutti i permessi in riferimento ai lavori del Superbonus 110. Ma ovviamente il dubbio che ho è che il problema di legittimità dell'immobile potrebbe presentarsi in futuro qualora l'Agenzia delle Entrate facesse un controllo e scoprisse l'anomalia sopra descritta, potrebbe portarmi a serie conseguenze. C'è poi qualche tecnico che mi ha raccontato che ci sono stati vari casi in cui proprietari che avevano il mio stesso problema sul titolo abilitativo alla fine hanno intentato causa al comune ed hanno vinto, ma non so quanto ci sia di vero in tutto questo. Vorrei sapere da voi pertanto: in che posizione si troverebbe il Comune di fronte alla legge qualora l'AdE scoprisse che il titolo abilitativo in sanatoria della mia abitazione è anomalo? Cosa rischio io nei confronti dell'AdE? In quel caso potrei rivalermi nei confronti del Comune? Che possibilità avrei di vincere una eventuale causa? Nell'attesa della vostra risposta cordiali saluti.”
Consulenza legale i 26/01/2022
Per prima cosa è necessario affrontare la questione della annullabilità del titolo edilizio in sanatoria (condono) a distanza di anni dal suo rilascio.
Il potere dell’Amministrazione di ritornare sulle proprie decisioni e annullare i propri atti sussiste, ai sensi dell’art. 21 novies, L. n. 241/1990, in presenza dei presupposti della illegittimità del provvedimento e della sussistenza di ragioni di interesse pubblico.
L’annullamento può essere disposto entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi (quest’ultima soglia temporale è stata prevista da una riforma intervenuta nel 2015).
Tale regola generale trova applicazione pure per i titoli edilizi, anche se su alcuni profili, per lo più riguardanti il termine per poter legittimamente esercitare l’autotutela, la giurisprudenza non ha ancora trovato una linea univoca.

In ogni caso, è stato affermato che, soprattutto quando l’annullamento avviene a distanza temporale considerevole dal rilascio della licenza edilizia, l’atto di ritiro deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale, tenuto conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati rispetto al provvedimento di primo grado, non potendosi predicare in via generale la sussistenza di un interesse pubblico in re ipsa alla rimozione in autotutela di un titolo edilizio illegittimo (T.A.R. Napoli, sez. III, 03 novembre 2020, n. 4992).
In sostanza, è necessario che la P.A. specifichi le ragioni che giustificano l’annullamento ulteriori rispetto alla semplice esigenza di ristabilire l'ordine giuridico violato, nonché i motivi per cui tali ragioni siano da considerare prevalenti sulle aspettative del privato, rafforzatesi progressivamente con il trascorrere del tempo, al mantenimento dell'assetto di interessi in atto (T.A.R. Brescia, sez. I, 01 marzo 2021, n. 194; T.A.R. Milano, sez. II, 03 agosto 2020, n. 1488).

Circa il termine entro il quale è possibile procedere all’annullamento d’ufficio, l’orientamento maggioritario ritiene che, rispetto ai provvedimenti illegittimi adottati anteriormente all'attuale versione dell'art. 21 nonies, L. n. 241/1990, il limite dei diciotto mesi cominci a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione (che come visto risale al 2015) (T.A.R. Napoli, (Campania) sez. VIII, 03 agosto 2020, n. 3200).
Un diverso orientamento sostiene, invece, che il nuovo termine si applichi solo ai provvedimenti adottati successivamente al 2015, mentre per quelli precedenti sia necessario considerare unicamente il parametro del “termine ragionevole”, che alcune decisioni individuano in dieci anni (T.A.R Napoli, Sez. II, 12 settembre 2016, n. 4229; T.A.R. Napoli, sez. II, 08 luglio 2020, n. 2922).
In altre sentenze, infine, si è affermato che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell'annullamento d'ufficio e che, in ogni caso, il termine ragionevole decorra dal momento della scoperta, da parte dell'amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell'atto di ritiro (Consiglio di Stato, sez. VI, 07 ottobre 2019, n. 6760).

Dovendo tenere conto di tali oscillazioni giurisprudenziali, non si può dunque escludere che la P.A. che ha emesso il titolo in sanatoria possa in effetti ancora oggi metterlo in discussione.
Vero è che le rassicurazioni del tecnico comunale fanno ben sperare in un atteggiamento favorevole dell’ente, ma -pure se si verificasse l'ipotesi peggiore- rimarrebbero comunque ferme sia la necessità che la P.A. fornisca una motivazione particolarmente approfondita che abbia riguardo agli aspetti sopra illustrati, sia la possibilità di ricorrere al competente TAR per far valere le proprie ragioni.
Pur non potendo fare previsioni sull’esito di una futura causa (che sarebbero comunque premature, considerato anche che lo scrivente non ha esaminato il provvedimento di condono), va chiarito che esistono vari precedenti in materia –alcuni dei quali citati nel presente parere- che hanno valorizzato il legittimo affidamento del privato e hanno, di conseguenza, escluso la legittimità dell’annullamento d’ufficio del titolo edilizio in casi simili a quello di specie.

Nel merito degli effetti che tutto ciò potrebbe avere sotto il profilo fiscale e, specificamente, con riferimento alla detrazione c.d. “Superbonus 110%”, si evidenzia quanto segue.
Il comma 13-ter dell’art. 119 del D.L. n. 34/2020, nella versione antecedente alle modifiche introdotte dall’art. 33 del D.L. n. 77/2021, stabiliva che “Al fine di semplificare la presentazione dei titoli abilitativi relativi agli interventi sulle parti comuni che beneficiano degli incentivi disciplinati dal presente articolo, le asseverazioni dei tecnici abilitati in merito allo stato legittimo degli immobili plurifamiliari, di cui all'articolo 9-bis del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e i relativi accertamenti dello sportello unico per l'edilizia sono riferiti esclusivamente alle parti comuni degli edifici interessati dai medesimi interventi”.
Il riferimento all’art. 9-bis del DPR n. 380/2001 imponeva la necessità che, sotto il profilo tecnico, venisse asseverato anche lo stato di conformità urbanistica-edilizia dell’immobile interessato dagli interventi agevolabili in riferimento al titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa ed a quello che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali.
La predetta disposizione ha non poco limitato l’effettiva utilizzabilità del Superbonus e, proprio in considerazione di ciò, con l’art. 33 del D.L. n. 77/2021, il legislatore è intervenuto sul predetto art. 119 del D.L. n. 34/2020, stabilendo adesso che gli interventi agevolabili, con esclusione di quelli comportanti la demolizione e la ricostruzione degli edifici, costituiscono manutenzione straordinaria e sono realizzabili mediante comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA). Nella CILA devono tuttavia sempre attestarsi gli estremi del titolo abilitativo che ha previsto la costruzione dell'immobile oggetto d'intervento o del provvedimento che ne ha consentito la legittimazione ovvero deve attestarsi che la costruzione è stata completata in data antecedente al 1° settembre 1967. Viene, infine, precisato che la presentazione della CILA non richiede l'attestazione dello stato legittimo di cui all' articolo 9-bis, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.
Le considerazioni sopra espresse lasciano intendere che la legittimità del titolo abitativo è sempre richiesta pur a seguito delle modifiche normative suddette che riguardano, in effetti, eventuali abusi in relazione proprio al titolo abitativo.
L’effetto, quindi, di una contestazione, con riferimento al titolo abitativo, potrebbe essere, nell’ipotesi in cui si riuscisse ad eseguire i lavori sulla base della predetta disposizione agevolativa, quello di vedersi negato il diritto alla detrazione degli oneri di cui si discute in sede di controllo ex art. 36-ter del DPR n. 600/73 dei modelli di dichiarazione relativi ai periodi di imposta in cui il predetto diritto viene esercitato, oltre al recupero delle relative sanzioni e dei relativi interessi.
È evidente che l’Agenzia delle entrate non entrerebbe nel merito di una eventuale azione di regresso avviata nei confronti del Comune il cui esito riguarderebbe, pertanto, solo ed esclusivamente le parti del giudizio e non anche la stessa amministrazione per la quale, unica controparte rimarrebbe il contribuente che ha eventualmente fruito indebitamente dell’agevolazione.


Antonio D.P. chiede
giovedì 15/07/2021 - Lazio
“Possono essere neutralizzati gli effetti edificativi (costruzione regolarmente terminata) di un permesso comunale a costruire da parte del giudice civile, se l'autorizzazione non è stata mai impugnata da alcuno amministrativamente e quindi si è consolidata? Nello specifico, la ctu di causa (contestata) pone un (falso) problema di stabilità strutturale mentre l'organo tecnico comunale nulla osta a riguardo e ritiene idonea la progettualità depositata.”
Consulenza legale i 22/07/2021
I titoli edilizi, come accade generalmente con gli atti amministrativi, possono essere annullati o dal Giudice amministrativo, dietro ricorso dei soggetti legittimati, oppure dalla stessa pubblica amministrazione nell’esercizio dell'autotutela ex art. 21 novies, L. n. 241/1990.
Se nessuno di tali istituti viene azionato (come sembra anche nel caso di specie), l’atto diventa definitivo, stabilizzando i propri effetti.

Qualora, invece, la legittimità di un provvedimento emesso dalla P.A. sia messa in discussione nel corso di un processo civile, vengono in rilievo non i poteri di annullamento, bensì i poteri di disapplicazione fondati sugli artt. 4 e 5, all. E, L. n. 2248/1865.
Tali poteri possono essere esercitati dal Giudice solo nelle controversie tra privati vertenti su un diritto soggettivo che, ai fini della decisione, presuppongano quale antecedente logico la valutazione circa la legittimità o meno di un provvedimento amministrativo (Cassazione civile, SS.UU., 12 aprile 2021, n. 9543; Cassazione civile, SS.UU., 06 febbraio 2015, n. 2244).
In sostanza, qualora eserciti tale prerogativa, il Giudice decide la controversia di cui è investito senza considerare il contenuto dell’atto disapplicato.
La disapplicazione, comunque, ha effetti solo tra le parti in relazione allo specifico processo, e non erga omnes, in quanto l’atto continua ad esistere “indisturbato” nell’ordinamento.

Visto quanto sopra, la risposta al quesito è dunque negativa, in quanto il Giudice civile non può annullare il titolo abilitativo rilasciato dalla P.A., ma –al più- disapplicarlo ai soli fini del giudizio in corso.
Peraltro, si nota che la valutazione del CTU citata nel quesito a rigore non attiene ad alcuna delle categorie di vizi di legittimità degli atti amministrativi (incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere), quanto piuttosto a profili di tipo tecnico solitamente riguardanti la discrezionalità dell’Amministrazione, la quale è sindacabile entro limiti estremamente ristretti.
Fermo restando che un esame più completo può essere effettuato solo previa consultazione degli atti di causa (non in possesso dello scrivente), allo stato sembra comunque poco probabile che ricorrano anche i presupposti per la disapplicazione come sopra illustrati.


Renata M. chiede
lunedì 07/06/2021 - Lombardia
“La moglie nel 2013 deposita in comune SCIA ATTIVITÀ PRODUTTIVE PER APERTURA B&B.
Nella scia dichiara il falso, cioè di essere proprietaria dell'immobile dove si svolge l'attività.
Il proprietario invece è il marito, che nel 2021 chiede al comune di annullare la scia perché contenente una falsa rappresentazione della realtà.
Il comune risponde che non lo può fare perché ci deve essere stata una sentenza passata in giudicato riguardo alla dichiarazione mendace.
Poi l'interesse che chiede di essere salvaguardato è quello di un privato, cioè il marito e non un interesse pubblico.
La moglie continua a gestire così il b&b da sola, tenendosi i guadagni e caricando le spese al marito, essendo intestatario delle utenze.
Come può fare il marito a diventare il gestore del b&b insieme alle figlie?
Siamo in regione Lombardia.
Dico anche che fra marito moglie c'è un forte conflitto.”
Consulenza legale i 16/06/2021
Va premesso che il presente caso è abbastanza peculiare e di non facile soluzione, che solo in parte coinvolge i rapporti con il Comune, riguardando soprattutto i rapporti conflittuali tra i coniugi.
In ogni caso, per dare una risposta utile è opportuno iniziare con l’analisi di quanto scritto dal Comune nella nota allegata al quesito, con la quale è stata archiviata la richiesta di annullamento della SCIA relativa all’esercizio dell’attività di bed and breakfast.

L’autotutela disciplinata dall’art. 21 novies, L. n. 241/1990, può essere esercitata sia d’ufficio e sia su istanza di parte entro 18 mesi dall’adozione del provvedimento, qualora siano presenti ragioni che ne determinano l’illegittimità, nonché un apprezzabile interesse pubblico.
Tali stringenti limiti temporali e oggettivi sono previsti a tutela dell’affidamento ingenerato nel privato al mantenimento di un atto favorevole emesso nei suoi confronti dalla P.A..
Ciò spiega anche il motivo per cui, in caso di dichiarazioni mendaci o false rappresentazioni della realtà, l’annullamento possa essere disposto anche dopo la scadenza del suddetto termine di 18 mesi (art. 21 novies, c. 2 bis, L. n. 241/1990).
Infatti, il soggetto che abbia dichiarato il falso al fine di ottenere un vantaggio non può vantare alcun affidamento tutelato, a differenza dei soggetti in buona fede.

In proposito, la giurisprudenza ha chiarito che la necessità di attendere il giudicato penale sussiste soltanto quando siano state rese dichiarazioni sostitutive false o mendaci, ma non nell’ipotesi di “false rappresentazioni dei fatti” (Consiglio di Stato, sez. V, 27 giugno 2018, n. 3940; Consiglio di Stato sez. VI, 14 ottobre 2019, n. 6975).
Pertanto, l’annullamento è ammesso anche dopo la scadenza del termine di 18 mesi:
a) sia nel caso in cui la falsa attestazione, inerente i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all'uopo rese dichiarazioni sostitutive): nel qual caso sarà necessario l'accertamento definitivo in sede penale;
b) sia nel caso in cui l'(acclarata) erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all'Amministrazione, ed imputabile, per contro, esclusivamente al dolo (equiparabile, per solito, alla colpa grave e corrispondente, nella specie, alla mala fede oggettiva) della parte: nel qual caso - non essendo parimenti ragionevole pretendere dalla incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione della iniziativa rimotiva - si dovrà esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco (Consiglio di Stato, sez. V, 27 giugno 2018, n. 3940; Consiglio di Stato sez. VI, 14 ottobre 2019, n. 6975).
Ne consegue che, in presenza di una SCIA contenente una falsa rappresentazione dei fatti da parte del privato, la P.A. può intervenire in autotutela senza richiedere alcun preventivo accertamento processuale penale (T.A.R. Napoli, sez. IV, 23 gennaio 2020, n. 316).

Per completezza, va considerato che, quando si tratta di SCIA, l’art. 19, L. n. 241/1990 attribuisce alla P.A. anche poteri di tipo sospensivo ed inibitorio nei confronti del privato che abbia iniziato l’attività in assenza dei necessari requisiti di legge.
Questi poteri, però, sono esercitabili entro i precisi termini sanciti dalla norma da ultimo citata, trascorsi i quali si ricade nella fattispecie dell’autotutela sopra illustrata e disciplinata dall’art. 21 novies, L. n. 241/1990 (T.A.R. Salerno, sez. II, 08 maggio 2018, n. 712).

Applicando i detti principi al caso concreto, si nota che la risposta data dal Comune -secondo cui vi sarebbe la necessità di una sentenza penale passata in giudicato- non pare corretta, in quanto nell’istanza non si era fatto riferimento a una dichiarazione sostitutiva falsa o mendace, bensì alla diversa ipotesi di una falsa rappresentazione della realtà.

Tuttavia, l’eventuale impugnativa innanzi al TAR dell’atto di archiviazione basata su tali profili potrebbe non essere utile al fine di ottenere il risultato pratico che ci si prefigge, ossia la chiusura o il subentro nell’attività di bed and breakfast.
Infatti, la normativa regionale di riferimento in materia (art. 29, L.R. n. 27/2015) presuppone che il titolare della struttura ricettiva abbia la disponibilità dei locali che utilizza, richiedendo tale soggetto sia ivi residente ma non anche necessariamente che ne sia il proprietario.
Tanto vero che sono numerosi i casi in cui l’attività in parola viene esercitata in immobili presi in locazione.
La falsa rappresentazione sul punto, quindi, potrebbe essere considerata dal Giudice irrilevante ai fini dell’avvio del bed and breakfast e insufficiente di per sé a fondare l’interesse pubblico all’annullamento della SCIA in autotutela.

Va però rilevato anche che il fatto che l’Amministrazione abbia qualificato il proprio atto come “archiviazione” lascia spazio alla possibilità per il Comune di rivalutare la situazione sulla base di nuovi elementi, arrivando anche a una decisione di segno opposto (Tar Lazio, sez. II, 28 aprile 2020, n. 4335).

Tenendo presente quanto sopra, nel nostro caso si osserva che l’ostacolo maggiore alla prosecuzione dell'attività ricettiva non è la circostanza che la titolare non sia la proprietaria dell'immobile, bensì il fatto che gli altri residenti in quell'immobile, nonché l’unico proprietario, si oppongano al suo utilizzo in tal senso.
Si potrebbe, quindi, presentare una nuova istanza alla P.A., facendo presente sia la giurisprudenza sopra citata e sia soprattutto che manca il consenso all’esercizio del bed and breakfast e che, dunque, la titolare non ha in realtà la piena disponibilità dei locali necessari allo svolgimento dell’attività ricettiva.
Invece, per subentrare nel bed and breakfast si potrebbe astrattamente chiedere una voltura della SCIA, ma ciò comporta che venga interpellata l’attuale titolare, la quale quasi sicuramente si opporrà.

In ogni caso, va sottolineato che –come sopra accennato- la questione assume rilievo soprattutto dal punto di vista civilistico e non nei confronti della P.A., che di regola non si interessa e che comunque non può intromettersi nei rapporti patrimoniali e personali tra i coniugi.
Pertanto, l’unico modo per risolvere in modo definitivo la questione è quello di arrivare a una nuova regolamentazione di tali rapporti, preferibilmente in via bonaria, che tenga conto degli interessi di tutte le parti coinvolte.

MAURIZIO S. chiede
mercoledì 09/12/2020 - Lazio
“Spett.le Brocardi.it


Un cittadino, a seguito del procedimento di irreperibilità avviato dal Comune su istanza di parte poi archiviato, ha ricevuto nel medio tempore ovvero prima dell’archiviazione del procedimento di irreperibilità una notifica ex art. 143 c.p.c. (irreperibilità assoluta) giustificata per quanto attestato dal messo nella relazione di notificazione, dall’avvio del procedimento di irreperibilità come da certificato anagrafico del Comune allegato a titolo di prova alla relazione di notifica.

Il cittadino ha impugnato la notifica, ma il Giudice ha sottolineato in sentenza che la procedura ex art. 143 c.p.c. era da ritenere rituale, in quanto l’ “indizio” dettato dalla procedura di irreperibilità del Comune quindi pregiudizievole per il destinatario, ha determinato un convincimento del Giudice sull’effettiva irreperibilità del destinatario della notifica.

In seguito il cittadino rileva che la procedura di irreperibilità è stata avviata in "violazione di legge", la domanda è: è nella fattispecie è ammissibile e legittima la richiesta del cittadino al Comune per ottenere l’ annullamento in autotutela del “procedimento” di avvio al “controllo” dei presupposti al “provvedimento” finale di irreperibilità che nel caso di specie non è stato emesso per l’archiviazione della pratica?

Tale domanda nasce dal fatto che l’art 21 novies legge 241/1990, prevede l’annullamento non del procedimento ma del provvedimento della P.A., anche se è ragionevole ritenere che la legittimazione alla richiesta di annullamento in autotutela nel caso di specie possa sussistere visto che il procedimento in oggetto potrebbe essere ritenuto (per espressa previsione di legge) un atto presupposto al provvedimento, che pur rilevando ai fini della produzione dell’effetto giuridico finale, acquista un rilievo “autonomo” in senso al procedimento amministrativo, anche alla luce del fatto ulteriore che l’attività di controllo sugli atti ha condotto ad un esito negativo con l’archivio della pratica di irreperibilità, quest’ultima non ritenuta un provvedimento. In sostanza il provvedimento non vi è stato, mentre quello che è "certo" è che il controllo dell’irreperibilità esercitato dal Comune con esito negativo per mezzo del “procedimento” di irreperibilità, è stato “lesivo della sfera giuridica del cittadino” come dichiarato dalla sentenza avversa in sede di contestazione della notifica ex art. 143 c.p.c. il quale giudice tra gli indizi di prova sfavorevoli al cittadino ricorrente, ha sottolineato e dichiarato in sentenza l'esitenza della (illegittima) proceduera di irrepribilità certifciata nell'atto angrafico del Comune.

Cordiali Saluti.”
Consulenza legale i 16/12/2020
La risposta al quesito è purtroppo negativa, per almeno due ordini di motivi.

In primo luogo, l’Ufficiale d’anagrafe ha il dovere di provvedere alla regolare tenuta dell’anagrafe, disponendo a tal fine anche del potere di verificare e registrare d’ufficio tutte le circostanze di fatto che comportino l’istituzione o la mutazione di posizioni anagrafiche (artt. 4 e 5, L. n. 1228/1954 e art. 15, D.P.R. n. 223/1989).
Pertanto, il fatto che la P.A. abbia avviato i controlli necessari ad accertare se il cittadino fosse effettivamente irreperibile non pare configurare alcuna violazione di legge, quanto piuttosto un atto dovuto da parte dell’Ufficiale d’anagrafe nell’ambito dei doveri del proprio ufficio.
Del resto, neppure il Giudice ha rilevato profili di illegittimità nel procedimento di notificazione, che è stato ritenuto conforme alle modalità previste dalla normativa di riferimento in materia, rilevando non solo l’esistenza di una “procedura di irreperibilità” presso il Comune, ma soprattutto che il Messo notificatore non abbia trovato all’indirizzo del destinatario alcun elemento riconducibile a quest’ultimo “sul citofono, né sulla cassetta della posta”.

In secondo luogo, si nota che l’annullamento in autotutela non può che riferirsi ad un provvedimento amministrativo, che è l’atto mediante il quale la volontà dell’Amministrazione viene espressa all’esterno, e non invece al procedimento, espressione con la quale si indica la successione di atti e operazioni finalizzata all'emanazione del provvedimento.
In sostanza, l’eventuale richiesta di autotutela rimarrebbe senza oggetto, posto che la volontà dell'Amministrazione non si è cristallizzata in alcun atto e considerato anche che nel caso di specie gli accertamenti compiuti dall’Ufficiale d’anagrafe hanno avuto esito positivo per il cittadino, escludendone l’irreperibilità.

Stefano P. chiede
domenica 18/10/2020 - Veneto
“Si chiede parere sulla legittimità di presentare autotutela su istanza di parte ex art. 21-nonies legge n. 241/1990 per una ordinanza-ingiunzione da procedimento di sanzione amministrativa nel caso sia regolato da L 689/1981 o da Codice della Strada”
Consulenza legale i 27/10/2020
Con l’espressione “autotutela” si intende il potere attribuito alla pubblica amministrazione di rivedere i propri provvedimenti e annullarli d’ufficio.

I presupposti fondamentali per l’esercizio di tale potere sono l’illegittimità originaria dell’atto amministrativo e la rilevanza dell'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione.
In generale, viene ammessa la possibilità per la P.A. di eliminare mediante autotutela i vizi che affliggono il provvedimento sanzionatorio, come ad esempio quando la notificazione sia stata eseguita nei confronti di un soggetto estraneo a causa di un errore nella trascrizione del numero di targa (art. 386 del Regolamento di attuazione del Codice della strada).

Nel caso di specie, tuttavia, si nota che l’istanza di autotutela non riguarderebbe l’atto che ha irrogato la sanzione, bensì l’ordinanza ingiunzione emessa da Prefetto a seguito di ricorso proposto ex art. 203 del Codice della strada.
Riguardo tale particolare ipotesi, vi è un precedente giurisprudenziale specifico che considera preclusa tale facoltà per la P.A., posto che il provvedimento emesso dal Prefetto ha natura di provvedimento decisorio sul ricorso amministrativo proposto dall'interessato e non di provvedimento sanzionatorio vero e proprio (Cassazione civile, sez. II, 22 aprile 2008, n. 10386).

Pertanto, la risposta al quesito pare purtroppo dover essere negativa, rilevando anche che, comunque, anche se in astratto potrebbe configurarsi un qualche profilo di illegittimità dell'atto, sembra molto difficoltoso rinvenire le ragioni di interesse pubblico al suo annullamento, in assenza delle quali viene meno uno dei requisiti per l'esercizio del potere in discorso.

Nicola C. chiede
martedì 01/09/2020 - Calabria
“vorrei sapere se la pubblicazione di una graduatoria finale di un concorso per titoli e cioè a scrutinio interno di Pubblica Amministrazione e quindi la determinazione presa dall'amministrazione di assumere un certo numero di candidati e non altri concretizza per il candidato escluso dalla graduatoria una'ipotesi di limitazione della sua sfera giuridica privata per la quale l'amministrazione ha obbligo di risposta ad una richiesta di riesame con modalità di ricorso in autotutela”
Consulenza legale i 08/09/2020
La fattispecie in esame si riferisce ad un cosiddetto scrutinio interno alla pubblica amministrazione, cioè a una particolare procedura selettiva finalizzata, in genere, alla progressione di carriera o all’attribuzione di qualifiche superiori ai dipendenti pubblici.
Si tratta di una procedura che presenta caratteristiche peculiari rispetto ai concorsi pubblici, in quanto è caratterizzata da una discrezionalità molto ampia attribuita alla P.A. nella valutazione dei titoli posseduti dai candidati, che può essere sindacata dal Giudice amministrativo solo in presenza di valutazioni macroscopicamente incoerenti o irragionevoli, così da comportare un vizio della funzione esercitata nel caso concreto (Consiglio di Stato, sez. VI, 18 aprile 2013, n. 2134; T.A.R. Roma, sez. I, 04 novembre 2015, n.12465; T.A.R. Roma, sez. I, 07 maggio 2014, n. 4740).

Tanto premesso e per quanto qui ci occupa, si nota che i presupposti per l’esercizio dell’autotutela, ai sensi delll’art. 21 nonies, L. n. 241/1990, sono l’illegittimità del provvedimento amministrativo, che deve essere stato adottato in violazione di legge e/o essere viziato da eccesso di potere o da incompetenza, e la sussistenza di concrete ragioni di interesse pubblico.
I provvedimenti di autotutela costituiscono una manifestazione di un potere tipicamente discrezionale, che la P.A. non ha l'obbligo di attivare e che, ove venga esercitato, presuppone la valutazione circa la sussistenza - o meno - di un pubblico interesse che giustifichi l'eliminazione dell'atto amministrativo illegittimo (ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 03 giugno 2020, n. 3462; Consiglio di Stato, sez. VI, 21 aprile 2020, n. 2540).
In particolare, si ritiene che l’istanza con la quale un privato invoca il riesame della legittimità di un atto abbia una funzione meramente sollecitatoria, a fronte della quale l’Amministrazione non ha alcun dovere giuridico di provvedere, né può esservi obbligata in modo coattivo (ad esempio ricorrendo al Giudice amministrativo con il ricorso avverso il silenzio) (T.A.R. Roma, sez. II, 29 aprile 2020, n. 4448; T.A.R. Roma, sez. I, 02 marzo 2020, n. 2701).

Visto quanto sopra, la risposta al quesito deve purtroppo essere negativa, per un duplice ordine di ragioni: la prima è che la preferenza accordata ad alcuni candidati rispetto ad altri non determina di per sé alcun vizio di illegittimità dell’atto, a meno che sia il frutto di valutazioni manifestamente irragionevoli o illogiche, ma solo una scelta rimessa alla discrezionalità della P.A.; la seconda è che la circostanza che il provvedimento vada ad incidere sulla sfera giuridica del privato non determina la nascita di alcun obbligo in capo all’Amministrazione di esercitare l’autotutela, che resta sempre un potere discrezionale e non coercibile.
Pertanto, qualora si voglia ottenere l’annullamento dei provvedimenti assunti dalla P.A., l’unica possibilità, ammesso che non sia ancora scaduto il termine di decadenza di sessanta giorni, è quella di rivolgersi al competente Giudice contestandone l’illegittimità.


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