Cons. Stato n. 1967/2017
Anche in epoca anteriore alla modifica legislativa di cui all'art. 19, comma 6 ter L. n. 241/ 1990 deve ritenersi inammissibile una domanda di annullamento di una DIA, atto che ha natura oggettivamente e soggettivamente privata.
Cons. Stato n. 611/2017
Il Legislatore ha accordato al terzo, che si ritenga leso da una d.i.a. o una s.c.i.a., un rimedio che consiste nel potere di stimolare l'esercizio dei poteri di autotutela dell'Amministrazione, dando luogo a uno schema che diverge da quello ordinario in cui l'avvio del procedimento e l'adozione del provvedimento sono totalmente rimessi alla discrezionalità dell'Amministrazione stessa.
Corte cost. n. 239/2016
È dichiarato costituzionalmente illegittimo - per violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. e) e m), Cost. - l'art. 17, commi 3 e 4, della legge della Regione Puglia 16 aprile 2015, n. 24 (Codice del Commercio), che prevede apposite autorizzazioni comunali per l'esercizio delle attività commerciali, rimettendo agli stessi Comuni l'individuazione di procedure e presupposti specifici. La disposizione impugnata dal Governo viola la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza e di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEA), giacché contraddice esplicitamente i principi di semplificazione e liberalizzazione stabiliti dall'art. 19 della legge n. 241 del 1990 - secondo cui la SCIA è sostitutiva di ogni atto di autorizzazione o licenza anche per l'esercizio di un'attività commerciale - e dagli artt. 31 e 34 del D.L. n. 201 del 2011, che hanno affermato la libertà di apertura, accesso, organizzazione e svolgimento delle attività economiche, abolendo le autorizzazioni espresse e i controlli ex ante (con la sola esclusione degli atti amministrativi di assenso o autorizzazione o di controllo posti a tutela di specifici interessi pubblici costituzionalmente rilevanti e compatibili con l'ordinamento dell'UE, secondo quanto stabilito dalla Direttiva n. 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, e comunque nel rispetto del principio di proporzionalità). Le disposizioni in materia di semplificazione di cui agli artt. 19 della legge n. 241 del 1990, 31 e 34 del d.l. n. 201 del 2011, in quanto riferite ad attività economiche, costituiscono principi di liberalizzazione e rientrano anzitutto nella competenza in tema di tutela della concorrenza; d'altra parte, in generale, i principi di semplificazione amministrativa sono espressione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; pertanto, la violazione delle citate disposizioni da parte del legislatore regionale determina un vulnus all'art. 117, secondo comma, lett. e) e m), Cost.
Cons. Stato n. 4610/2016
L'amministrazione, di fronte a una denuncia da parte di un terzo, ha l'obbligo di procedere all'accertamento dei requisiti che potrebbero giustificare un suo intervento repressivo, verificando, oltre alla legittimità dell'attività posta in essere dal privato, anche la sussistenza degli ulteriori presupposti necessari per l'esercizio del potere di autotutela.
Corte cost. n. 49/2016
È incostituzionale l'art. 84 bis comma 2 lett. b) L. reg. Toscana 3 gennaio 2005 n. 1 che consente all'Amministrazione di esercitare poteri sanzionatori per la repressione degli abusi edilizi, anche oltre il termine di trenta giorni dalla presentazione della segnalazione certificata inizio attività, in un numero di ipotesi più ampio rispetto a quello previsto dall'art. 19 commi 3 e 4 L. 7 agosto 1990 n. 241.
Cons. Stato n. 2980/2014
In materia di DIA o SCIA ex art. 19 L. 241/1990 l'Amministrazione esercita propri poteri di autotutela non soltanto ai sensi dell'art. 21 nonies L. 241/1990, ossia in caso di sopravvenienza di ragioni di interesse pubblico, ma anche ai sensi dell'art. 19 essendo riconosciuti poteri di autotutela esecutivo che permettono l'adozione di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività ritenuta illegittima e rimozione di eventuali effetti dannosi di essa.
Cons. Stato n. 4741/2012
In tema di denunzia di inizio attività, a tutela dell'affidamento dei denunciante dopo la scadenza del termine di trenta giorni dalla sua presentazione, ai sensi dell'art. 19 L. 7 agosto 1990 n. 241, l'Amministrazione che intenda attivare i poteri di inibizione e controllo non esercitati tempestivamente entro trenta giorni può farlo a condizione del rispetto del modello paradigmatico del procedimento e dell'atto di autotutela, e cioè previo avviso dell'avvio del procedimento e previa valutazione comparativa dell'interesse pubblico e di quello privato.
Cons. Stato n. 4669/2012
La denuncia di inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato finalizzato a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge.
Corte cost. n. 203/2012
La dichiarazione di inizio di attività (d.i.a.), inserita nell'art. 19 L. 7 agosto 1990 n. 241 dal D.L. 14 marzo 2005 n. 35, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 maggio 2005 n. 80, aveva lo scopo
di rendere più semplici le procedure amministrative indicate nelle norme, alleggerendo il carico degli adempimenti gravanti sul cittadino; nel medesimo quadro si iscrive anche la segnalazione certificata di inizio di attività (s.c.i.a.), del pari finalizzata alla semplificazione dei procedimenti di abilitazione all'esercizio di attività per le quali sia necessario un controllo della Pubblica amministrazione, istituto che si pone alla sequela del principio, appunto, di semplificazione, di diretta derivazione comunitaria (Dir. 2006/123/C.E., relativa ai servizi del mercato interno, attuata con D.L.vo 26 marzo 2010 n. 59) e dunque catalogabile tra i principi fondamentali dell'azione amministrativa.
Cons. Stato n. 15/2011
La principale caratteristica della d.i.a. risiede nella sostituzione dei tradizionali modelli provvedimentali autorizzatori con un nuovo schema ispirato alla liberalizzazione delle attività economiche private consentite dalla legge in presenza dei presupposti fattuali e giuridici normativamente stabiliti.
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La denuncia di inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge.
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La liberalizzazione attuata con la d.i.a. ha carattere solo parziale in quanto il principio di autoresponsabilità è temperato dalla persistenza del potere amministrativo di verifica dei presupposti richiesti dalla legge per lo svolgimento dell'attività denunciata. Trattasi, in sostanza, di attività ancora sottoposte ad un regime amministrativo, pur se con la significativa differenza che detto regime non prevede più un assenso preventivo di stampo autorizzatorio ma un controllo - a seconda dei casi successivo alla presentazione della d.i.a. o allo stesso inizio dell'attività dichiarata - da esercitarsi entro un termine perentorio con l'attivazione ufficiosa di un doveroso procedimento teso alla verifica della sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto per l'esercizio dell'attività dichiarata.
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Il denunciante è titolare di una posizione soggettiva di vantaggio immediatamente riconosciuta dall'ordinamento, che lo abilita a realizzare direttamente il proprio interesse, previa instaurazione di una relazione con la pubblica amministrazione, ossia un contatto amministrativo, mediante l'inoltro dell'informativa. Il privato è, poi, titolare di un interesse oppositivo a contrastare le determinazioni per effetto delle quali l'amministrazione, esercitando il potere inibitorio o di autotutela, incida negativamente sull'avere licere oggetto della denuncia. Per converso, il terzo pregiudicato dallo svolgimento dell'attività denunziata è titolare di una posizione qualificabile come interesse pretensivo all'esercizio del potere di verifica previsto dalla legge.
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Il terzo titolare di un interesse contrapposto al denunciante è legittimato all'esercizio, a completamento ed integrazione dell'azione di annullamento del silenzio significativo negativo, dell'azione di condanna pubblicistica (cd. azione di adempimento) tesa ad ottenere una pronuncia che imponga all'amministrazione l'adozione del negato provvedimento inibitorio ove non vi siano spazi per la regolarizzazione della denuncia ai sensi del comma 3 dell'art. 19 della legge n. 241/1990.
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Il terzo destinatario di effetti immediatamente lesivi, può valersi dell'azione di accertamento atipica, qualora la d.i.a. produca un effetto legittimante istantaneo, o comunque anticipato rispetto al decorso del termine per l'esercizio del potere inibitorio. Una simile eventualità non contrasta con il disposti dell'art. 34, comma 2, c.p.a., dovendosi fare applicazione del consolidato insegnamento giurisprudenziale che distingue tra i presupposti processuali - ossia i requisiti che devono sussistere ai fini dell'instaurazione del rapporto processuale - che devono esistere sin dai momento della domanda, e le condizioni dell'azione - ossia i requisiti della domanda che condizionano la decidibilità della controversia nel merito - che devono esistere al momento della decisione. Nella specie, la scadenza del termine di conclusione del procedimento è un fatto costitutivo integrante una condizione dell'azione che, ai sensi del disposto dell'art. 34, comma 2, cit., deve esistere al momento della decisione. Ne deriva che l'assenza del definitivo esercizio di un potere ancora in fieri, afferendo ad una condizione richiesta ai fini della definizione del giudizio, non preclude l'esperimento dell'azione giudiziaria anche se impedisce l'adozione di una sentenza di merito ai sensi del citato capoverso dell'art. 34.
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Il silenzio osservato dall'amministrazione nel termine perentorio previsto dalla legge per l'esercizio del potere inibitorio si distingue dal silenzio-rifiuto (o inadempimento) in quanto mentre quest'ultimo non conclude il procedimento amministrativo ed integra una mera inerzia improduttiva di effetti costitutivi, il decorso del termine in esame pone fine al procedimento amministrativo finalizzato all'adozione dell'atto di divieto e produce l'effetto giuridico di precludere l'esercizio del potere inibitorio a seguito dell'infruttuoso decorso del termine perentorio all'uopo sancito dalla legge. In definitiva, a differenza del silenzio rifiuto che costituisce un mero comportamento omissivo, ossia un silenzio non significativo, il silenzio di che trattasi, producendo l'esito negativo della procedura finalizzata all'adozione del provvedimento restrittivo, integra esercizio del potere amministrativo attraverso l'adozione di un provvedimento tacito negativo equiparato dalla legge ad un non necessario atto espresso di diniego dell'adozione del provvedimento inibitorio.
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La configurazione del silenzio in esame alla stregua del silenzio significativo produce precise conseguenze in merito alle tecniche di tutela praticabili del terzo controinteressato all'esercizio dell'attività denunciata. Venendo in rilievo un provvedimento per silentium, la tutela del terzo sarà affidata primariamente all'esperimento di un'azione impugnatoria, ex art. 29 del codice del processo amministrativo. Quanto al dies a quo del ricorso per annullamento, ai sensi di legge il termine decadenziale di sessanta giorni per proporre l'azione prenda a decorrere solo dal momento della piena conoscenza dell'adozione dell'atto lesivo (cfr. art. 41, comma 2, del codice).
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Il decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, sia pure in maniera non esplicita, ha ritenuto esperibile, anche in presenza di un provvedimento espresso di rigetto e sempre che non vi osti la sussistenza di profili di discrezionalità amministrativa o tecnica, l'azione di condanna volta ad ottenere l'adozione dell'atto amministrativo richiesto. E tanto alla stregua del combinato disposto dell'art. 30, comma 1, che fa riferimento all'azione di condanna senza una tipizzazione dei relativi contenuti (sull'atipicità di detta azione si sofferma la relazione governativa di accompagnamento al codice) e dell'art. 34, comma 1, lett. c), ove si stabilisce che la sentenza di condanna deve prescrivere l'adozione di misure idonee a tutelare la situazione soggettiva dedotta in giudizio (cfr., già con riguardo al quadro normativo anteriore, Cons. Stato, sez. VI, 15 aprile 2010, n. 2139; 9 febbraio 2009, n. 717).
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L'architettura del codice, in coerenza con il criterio di delega fissato dall'art. 44, comma 2, lettera b, n. 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha superato la tradizionale limitazione della tutela dell'interesse legittimo al solo modello impugnatorio, ammettendo l'esperibilità di azioni tese al conseguimento di pronunce dichiarative, costitutive e di condanna idonee a soddisfare la pretesa della parte vittoriosa.
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Lo iussum giurisdizionale che accolga la domanda di adempimento in tema di d.i.a. non produce un'indebita ingerenza nell'esercizio di poteri discrezionali riservati alla pubblica amministrazione ma, sulla scorta dell'accertamento dell'esistenza dei presupposti per il doveroso potere inibitorio, impone una determinazione amministrativa non connotata da alcun profilo di discrezionalità.
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Anticipando alla fase della cognizione un effetto conformativo da far valere altrimenti nel giudizio di ottemperanza, si consente un'accelerazione della tutela coerente, oltre che con il generale principio di effettività della tutela giurisdizionale, con la stessa propensione mostrata dal codice (cfr. art. 34, comma 1, lett. e) a trasfondere nel contenuto della sentenza di cognizione l'adozione di misure attuative tradizionalmente proprie del momento dell'esecuzione.
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La mancata previsione, nel testo finale del codice, di una norma esplicita sull'azione generale di accertamento, non è sintomatica della volontà legislativa di sancire una preclusione di assai dubbia costituzionalità, ma è spiegabile, anche alla luce degli elementi ricavabili dai lavori preparatori, con la considerazione che le azioni tipizzate, idonee a conseguire statuizioni dichiarative, di condanna e costitutive, consentono di norma una tutela idonea ed adeguata che non ha di norma bisogno di pronunce meramente dichiarative in cui la funzione di accertamento non si appalesa strumentale all'adozione di altra pronuncia di cognizione ma si presenta, per così dire, allo stato puro, ossia senza sovrapposizione di altre funzioni. Ne deriva, di contro, che, ove dette azioni tipizzate non soddisfino in modo efficiente il bisogno di tutela, l'azione di accertamento atipica, ove sorretta da un interesse ad agire concreto ed attuale ex art. 100 c.p.c., risulta praticabile in forza delle coordinate costituzionali e comunitarie richiamate dallo stesso art. 1 del codice oltre che dai criteri di delega di cui all'art. 44 della legge n. 69/2009.
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Il giudice amministrativo, nelle more del termine entro il quale la p.a. può esercitare il suo potere inibitorio, può adottare, nella pendenza del giudizio di merito, le misure cautelari necessarie, ai sensi dell'art. 55 del codice del processo amministrativo, al fine di impedire che, nelle more della definizione del procedimento amministrativo di controllo e della conseguente maturazione della condizione dell'azione, l'esercizio dell'attività denunciata possa infliggere al terzo pregiudizio grave ed irreparabile. Sono adottabili, a fortiori, misure cautelari ante causam, al fine di assicurare gli effetti della sentenza di merito, in presenza dei presupposti all'uopo sanciti dall'art. 61 del codice del processo amministrativo.
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L'azione di accertamento atipico avanzata dal terzo non può avere ad oggetto solo la mera sussistenza o insussistenza dei presupposti per svolgere l'attività sulla base di una semplice denuncia ma, in coerenza con i caratteri della giurisdizione amministrativa come giurisdizione sull'esercizio del potere amministrativo ai sensi dell'articolo 7, comma 1, del codice, la sussistenza o insussistenza dei presupposti per l'adozione dei provvedimenti interdittivi doverosi, e, quindi, la fondatezza dell'interesse pretensivo all'uopo azionato del terzo.
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L'azione di accertamento, una volta maturato il termine per la definizione del procedimento amministrativo, si estende automaticamente al provvedimento sopravvenuto in quanto la portata sostanziale del ricorso iniziale finisce per investire in pieno, sul piano del petitum sostanziale e della causa petendi, la decisione della pubblica amministrazione di non adottare il provvedimento inibitorio.
Cons. Stato n. 1528/2011
È legittimo l'ordine di cessazione dell'attività di commercio al dettaglio di oggetti preziosi, intimato dal Questore a causa della falsità dell'attestazione contenuta nella DIA di non aver riportato condanne né di avere precedenti penali in corso, atteso che detta omissione concretizza un illecito di condotta e vale ad elidere il rapporto di fiducia che costituisce il presupposto e il fondamento della semplificazione consentita dall'art. 19, L. n. 241 del 1990.
Cons. Stato n. 986/2011
Sono impugnabili, da parte di terzi, i c.d. provvedimenti negativi con cui un soggetto pubblico titolare di poteri di controllo e sanzionatoti dispone l'archiviazione di un determinato procedimento sanzionatorio avviato su impulso di parte o comunque rifiuta di intervenire, a condizione che il soggetto denunciante (poi ricorrente) sia portatore di un interesse particolare e differenziato, che assume essere stato leso dalla mancata adozione del provvedimento repressivo e, dunque, si connoti sostanzialmente, rispetto al provvedimento, quale soggetto controinteressato. È poi impugnabile il silenzio inadempimento serbato dall'amministrazione comunale sull'istanza intesa a provocare un intervento repressivo per lavori asseritamente abusivi eseguiti da proprietari confinanti a seguito di presentazione di dichiarazione di inizio attività, ancorché l'inerzia dell'amministrazione sia da qualificarsi alla stregua di un fatto, anziché di un atto implicito o tacito. A maggior ragione, quindi, è ammissibile il ricorso proposto dal titolare di un interesse qualificato e differenziato (quale proprietario di un immobile vicino, certamente per ciò solo inciso dall'attività edilizia in relazione alla quale il Comune abbia omesso di attivare iniziative repressive), nelle ipotesi in cui l'ente abbia adottato atti negativi espressi sull'istanza di attivazione dei poteri officiosi di controllo e repressione.
Cons. Stato n. 2558/2010
Aderendo alla tesi secondo cui la DIA costituisce un atto di natura privata, l'azione di accertamento da parte del terzo circa l'insussistenza dei presupposti per la presentazione della stessa DIA è da considerarsi comunque soggetta al termine decadenziale di 60 giorni, decorrente dalla conoscenza della dichiarazione.
Cons. Stato n. 2139/2010
La dichiarazione di inizio di attività non ha natura provvedimentale, trattandosi al contrario di un atto del privato non impugnabile davanti al giudice amministrativo; ne consegue che l'azione intrapresa dal soggetto che si ritiene leso dall'attività svolta sulla base di tale dichiarazione non è di annullamento, ma di accertamento dell'inesistenza dei presupposti legittimanti la DIA; la sentenza che attesta la mancanza di tali presupposti avrà poi effetti conformativi nei confronti dell'amministrazione, la quale dovrà dare esecuzione al giudicato ordinando l'interruzione dell'attività e la riduzione in pristino di quanto nel frattempo realizzato.
Cass. pen. n. 24236/2010
In tema di edilizia, rientrano nella nozione di «varianti leggere o minori», soggette al rilascio di mera denuncia di inizio dell'attività da presentarsi prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori, le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio e non violano le prescrizioni eventualmente contenute nel permesso a costruire.
Cons. Stato n. 72/2010
I terzi, che ritengano di essere pregiudicati dall'effettuazione di una attività edilizia assentita in modo implicito, possono agire innanzi al giudice amministrativo per chiedere l'annullamento del titolo abilitativo formatosi per il decorso del termine fissato dalla legge entro cui l'amministrazione può impedire gli effetti della dia.
Cons. Stato n. 1474/2009
In caso di presentazione di dichiarazione di inizio di attività, l'inutile decorso del termine assegnato, prima dall'art. 2, 60° comma, L. 662/96 e oggi dall'art. 23 t.u. 380/01, all'autorità comunale per l'adozione del provvedimento di inibizione ad effettuare il previsto intervento edificatorio, non comporta che l'attività del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, possa considerarsi lecitamente effettuata e quindi andare esente dalle sanzioni previste dall'ordinamento per il caso di sua mancata corrispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi; in particolare, ancorché alla scadenza del termine di legge venga meno il potere della p.a. inibitorio dell'attività, non avendo la Dia di per sé efficacia sanante dell'attività edilizia iniziata dopo il decorso del predetto termine, ma solo effetti abilitanti di una serie di interventi minori liberalizzati, essa non può essere invocata quale motivo ostativo all'esercizio del potere di controllo degli interventi edilizi, compreso il diniego di concessione edilizia.
Cons. Stato n. 917/2009
Essendo la DIA atto di un soggetto privato, il terzo che si ritiene leso deve esperire un'azione di accertamento dell'inesistenza dei presupposti per intraprendere l'attività in base alla DIA.
Cons. Stato n. 717/2009
La DIA, quale strumento di liberalizzazione delle attività economiche private, si configura come atto di natura privata che abilita il dichiarante all'esercizio di un diritto riconosciutogli direttamente dalla legge, salvo il potere dell'amministrazione di vietare lo svolgimento dell'attività (e ordinare l'eliminazione degli effetti già prodotti) entro un ragionevole lasso di tempo, dopo aver valutato gli interessi in conflitto e sussistendone le ragioni di pubblico interesse. Poiché a seguito della DIA l'amministrazione verifica la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti, e tale verifica, a differenza di quanto accade nel regime a previo atto amministrativo, non è finalizzata all'emanazione dell'atto amministrativo di consenso all'esercizio dell'attività, ma al controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dall'interessato rispetto ai canoni normativi stabiliti per l'attività in questione, deve ritenersi che la DIA è un atto di un soggetto privato e non di una pubblica amministrazione, che ne è invece destinataria, e non costituisce, pertanto, esplicazione di una potestà pubblicistica. È ammissibile, da parte del terzo leso dagli effetti di una DIA, esperire un'azione di accertamento - ancorché atipica - della carenza dei presupposti per l'esercizio dell'attività oggetto di dichiarazione, e tale azione sarà sottoposta allo stesso termine di decadenza (di sessanta giorni) previsto per l'azione di annullamento che il terzo avrebbe potuto esperire se l'amministrazione avesse adottato un permesso di costruire, non potendosi ritenere applicabile un diverso termine di natura prescrizionale in quanto l'azione, ancorché di accertamento, non è diretta alla tutela di un diritto soggettivo, ma di un interesse legittimo.
Cons. Stato n. 5811/2008
I terzi, che si assumano lesi dal silenzio serbato dall'amministrazione a fronte della presentazione della DIA, sono legittimati a gravarsi non avverso il silenzio stesso ma, nelle forme dell'ordinario giudizio di impugnazione, avverso il titolo che, formatosi e consolidatosi per effetto del decorso del termine, si configura in definitiva come fattispecie provvedimentale a formazione implicita.
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Nel caso di presentazione di dichiarazione di inizio di attività l'inutile decorso del termine di trenta giorni, assegnato dall'art. 23 t.u. 6 giugno 2001 n. 380 all'autorità comunale per l'adozione del provvedimento di inibizione ad effettuare il previsto intervento edificatorio, non comporta che l'attività del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, possa considerarsi lecitamente effettuata e quindi andare esente dalle sanzioni previste dall'ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi, ben potendo il titolo abilitativo formatosi per effetto dell'inerzia dell'amministrazione formare oggetto, alle condizioni previste in via generale dell'ordinamento, di interventi di annullamento d'ufficio o revoca da parte dell'amministrazione stessa; segue da ciò che, anche dopo il decorso del termine di trenta giorni previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, l'amministrazione non perde i propri poteri di autotutela, né nel senso di poteri di vigilanza e sanzionatoti, né nei senso di poteri espressione dell'esercizio di una attività di secondo grado estrinsecantesi nell'annullamento d'ufficio e nella revoca, ma con il limite, per l'ipotesi in cui la legittimità dell'opera edilizia dipenda da valutazioni discrezionali e di merito tecnico che possono mutare nel tempo, che detto potere, esercitatale con riferimento ad una DIA anche quando sia ormai decorso il termine di decadenza per l'esercizio dei poteri inibitori ex art. 23, 6° comma cit., t.u. n. 380 del 2001, deve essere opportunamente coordinato con il principio di certezza dei rapporti giuridici e di salvaguardia del legittimo affidamento del privato nei confronti dell'attività amministrativa.