Tuttavia, la strada della fiscalizzazione dell’abuso edilizio è percorribile solo in determinate situazioni oggettive in cui risulta impossibile procedere alla demolizione dell’immobile (o di una parte dello stesso).
Ma andiamo con ordine.
Innanzitutto, bisogna operare una distinzione a seconda che gli interventi effettuati sull’immobile siano stati realizzati in totale difformità dal permesso di costruire (ovvero con “variazioni essenziali”) da quelli realizzati, invece, in parziale difformità dallo stesso.
Nella prima ipotesi sopra richiamata (costruzione in difformità totale rispetto al permesso di costruire), la sanzione della demolizione dell’immobile abusivo (con conseguente restituzione in pristino) rimane la principale strada percorribile.
L’assunto è stato ribadito dalla recentissima sentenza del T.A.R. del Lazio del 16.04.2024, n. 7506: “secondo l'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, con riferimento alle ipotesi di interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire o "con variazioni essenziali", come nel caso di specie, la sanzione della demolizione e della riduzione in pristino rimane l'unica applicabile, quale strumento per garantire l'equilibrio urbanistico violato, con conseguente esclusione dell'applicabilità dell'art. 34 del D.P.R. n. 380 del 2001”.
In questa ipotesi, l’unica possibilità di evitare la sanzione della demolizione è descritta dall’art. 33, co. 2 del T.U. edilizia (D.P.R. n. 380 del 6.06.2001), laddove prevede che “qualora, sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell'ufficio irroga una sanzione pecunaria pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla legge 27 luglio 1978, n. 392 …”.
Sul punto, il T.A.R., con la citata sentenza, ha ribadito che “l'impossibilità a demolire i manufatti abusivi, che consente di accedere alla c.d. fiscalizzazione, deve avere natura oggettiva, e non deve manifestarsi come semplice difficoltà che possa essere superata con l'adozione di particolari accorgimenti, per quanto costosi”.
Quanto, invece, agli interventi realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, la norma di riferimento è l’art. 34 del T.U. edilizia. In particolare, il comma 2 dell’articolo in commento prevede che “quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale”.
Cosa accade, invece, in caso di successivo annullamento del titolo edilizio?
Talvolta accade che vangano effettuati dei lavori sulla base di un titolo edilizio successivamente annullato dall’amministrazione (ovvero in sede giurisdizionale).
Anche in questo caso l’annullamento del titolo edilizio comporta, in primis, la restituzione in pristino con conseguente demolizione dell’immobile, salvo che essa “non sia possibile, in base a motivata valutazione” (art. 38 T.U. edilizia).
In tali ipotesi, la fiscalizzazione dell’abuso può trovare applicazione solo qualora:
(i) non sia possibile la rimozione dei vizi delle procedure amministrative, quando il titolo edilizio venga annullato per vizi formali o procedurali non emendabili ai sensi dell'art. 21 nonies, co. 2 L. n. 241 del 1990, o
(ii) non risulti possibile la restituzione in pristino (a seguito di valutazioni di carattere tecnico-costruttivo).
La tutela dell'affidamento del privato circa la legittimità del titolo edilizio, pertanto, costituisce un limite rispetto al potere di riduzione in pristino dell'amministrazione solo nel caso in cui l'opera non presenti profili di abusività dal punto di vista sostanziale.
Difatti, "la tutela dell'affidamento attraverso l'eccezionale potere di sanatoria contemplato dall'art. 38 non può infatti giungere sino a consentire una sorta di condono amministrativo affidato alla valutazione dell'amministrazione, in deroga a qualsivoglia previsione urbanistica, ambientale o paesaggistica, pena l'inammissibile elusione del principio di programmazione e l'irreversibile compromissione del territorio, ma è piuttosto ragionevolmente limitata a vizi che attengono esclusivamente al procedimento autorizzativo, i quali non possono ridondare in danno del privato che legittimamente ha confidato sulla presunzione di legittimità di quanto assentito" (Consiglio di Stato ad. plen., 07/09/2020, n.17).
Quanto, poi, alla misura dell’ammenda, l’art. 38 del T.U. edilizia prevede che “il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest'ultima e l'amministrazione comunale. La valutazione dell'agenzia è notificata all'interessato dal dirigente o dal responsabile dell'ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa”.
In quale momento bisogna chiedere la fiscalizzazione dell’abuso edilizio?
Il T.A.R., con la citata sentenza n. 7506/2024, ha ribadito che “la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall'amministrazione nella fase esecutiva del procedimento, che è successiva ed autonoma rispetto a quella che sfocia nell'ordine di demolizione: è in sede esecutiva, dunque, che la parte interessata può far valere la situazione di pericolo eventualmente derivante dall'esecuzione della demolizione delle parti abusive di un immobile. Ne consegue che l'omessa disamina della questione relativa alla possibilità di accedere alla "fiscalizzazione" dell'abuso comunque non inficia la legittimità dell'ordinanza di demolizione, trattandosi di aspetto che può, se del caso, essere esaminato in un momento successivo”.