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Articolo 386 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Approvazione del conto

Dispositivo dell'art. 386 Codice Civile

Il giudice tutelare invita il protutore [360], il minore divenuto maggiore [2] o emancipato [390] ovvero, secondo le circostanze, il nuovo rappresentante legale a esaminare il conto e a presentare le loro osservazioni [388].

Se non vi sono osservazioni, il giudice che non trova nel conto irregolarità o lacune lo approva [295]; in caso contrario nega l'approvazione [43, 45].

Qualora il conto non sia stato presentato o sia impugnata la decisione del giudice tutelare, provvede l'autorità giudiziaria nel contraddittorio degli interessati [389](1).

Note

(1) I vari soggetti interessati saranno coloro che possono esaminare il conto finale (di cui all'art. 385 del c.c.), naturalmente il pubblico ministero ed infine i parenti entro il quarto grado (stante il potere loro riconosciuto dalla legge, strumentale alla tutela degli interessi patrimoniali della famiglia).

Spiegazione dell'art. 386 Codice Civile

Per qualsiasi causa, obbiettiva o subbiettiva, venga a cessare l'esercizio delle funzioni del tutore, quest'ultimo deve adempiere due obblighi: a) fare subito la consegna dei beni del minore; b) presentare entro due mesi al giudice tutelare il conto finale. Sono questi obblighi inerenti ad ogni amministrazione, e che acquistano un particolare significato per l'amministrazione tutelare, dato l'interesse pubblico che insieme con quello privato del minore rappresenta le finalità dell'ufficio: perciò, anche in quest'ultimo stadio dell'esercizio delle funzioni tutelari, l'autorità giudiziaria preposta alle tutele esercita la sua azione direttiva e di controllo, sia esaminando direttamente il conto finale, e dando o negando l'approvazione, sia col promuovere il controllo del protutore, del minore, divenuto maggiore o emancipato, o del nuovo rappresentante legale.
Quest'ultima cautela è molto opportuna, perché al momento della resa del conto si profila un sia pure eventuale conflitto di interessi tra il tutore obbligato a rendere il conto ed il minore o i suoi eredi, e non sarebbe sufficiente l'intervento del giudice tutelare a curare l'interesse del minore, data la conoscenza necessariamente incompiuta che egli ha dell'amministrazione; il controllo sul conto finale è invece esercitato con competenza dal protutore, che con la sua continua collaborazione e vigilanza, esplicantesi quest'ultima sopratutto con l'esame dei conti annuali, ha una conoscenza particolareggiata dello stato dell'amministrazione, mentre l'intervento del tutelato divenuto maggiore o emancipato, o del nuovo rappresentante legale, serve dall'una parte a tutelare gli interessi del minore, e dall'altra a definire la responsabilità del tutore uscente e del tutore subentrante.
Il conto è in ogni caso reso al giudice tutelare e non, come nel codice del 1865, ai diretti interessati i quali intervengono solo su invito dell'autorità giudiziaria.
Il termine per la resa del conto è fissato in due mesi, salvo proroga: non viene stabilita una sanzione particolare per il caso di mancata presentazione entro i termini predetti, ma l'art. 386 comma 3 stabilisce che in quest'ultimo caso provvede l'autorità giudiziaria nel contraddittorio degli interessati. Lo stesso avviene quando sia stata impugnata la decisione del giudice tutelare; a tal proposito è da osservare come gli interessati possano adire l'autorità giudiziaria solo quando, positivamente o negativamente, si sia chiuso il procedimento dinanzi al giudice tutelare, e possano ricorrere non soltanto il minore divenuto maggiore o emancipato, od i suoi eredi o il nuovo rappresentante legale, per il caso che il conto sia stato presentato, ma anche il tutore qualora il giudice tutelare abbia negato l'approvazione del conto finale. Da notare ancora come possa essere impugnata anche l'approvazione del giudice tutelare quando il conto, che in un primo tempo è apparso regolare, in un secondo tempo si riveli invece irregolare.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

188 In tema di rendimento di conto da parte del tutore è stata fatta presente, rispetto alla disciplina proposta col progetto, la opportunità di prefiggere un termine di due mesi per la presentazione del conto e di affermare l'obbligo dell'immediata consegna del patrimonio. Nell'accogliere la proposta si è ritenuto di dover modificare la formula suggerita escludendo dall'art. 385 del c.c. del testo la ipotesi della morte del tutore, perché è ovvio che in tal caso l'obbligo del rendiconto spetta agli eredi. Non è sembrato poi necessario comminare una penalità a carico del tutore che ritarda la presentazione del conto, perché è sufficiente garanzia degli interessi del minore la responsabilità civile per danni, che al tutore incombe in base ai principi generali. Nell'art. 386 del c.c. si è accolto il suggerimento di prevedere l'azione degli interessati dinanzi all'autorità giudiziaria, oltre che nei casi in cui il conto non sia stato presentato o non sia stato approvato, anche nel caso in cui sia stato approvato dal giudice tutelare, ipotesi quest'ultima che non era prevista dal progetto. Può darsi, infatti, che i conti appaiano in un primo tempo esatti e risultino poi affetti da falsità o comunque erronei. Non si è creduto, tuttavia, opportuno procedere alla enumerazione delle azioni concesse agli interessati, essendo preferibile evitare tale specificazione, poiché, oltre le azioni di rendiconto e di responsabilità, sono possibili azioni di diversa natura, come quella del tutore diretta alla approvazione giudiziale del conto non approvato dal giudice tutelare. E' inutile, infine, riconoscere l'azione anche al pubblico ministero, perché o il minore ha raggiunto la maggiore età, e in questo caso egli stesso, divenuto pienamente capace, sarà in grado di provvedere ai propri interessi, o altrimenti vi sarà un nuovo tutore: in ambedue i casi c'è sempre un interessato per provocare il regolare rendimento del conto. E' sembrato inutile mantenere la norma, che stabiliva la decorrenza degli interessi nella misura legale sul residuo dovuto dal tutore dal giorno dell'approvazione del conto, poiché per principio generale (art. 1282 del c.c.) i crediti liquidi ed esigibili di somme di danaro producono interessi di pieno diritto.

Massime relative all'art. 386 Codice Civile

Cass. civ. n. 4029/2022

La disciplina sul rendimento del conto finale, prevista per la tutela degli incapaci, si applica anche all'amministrazione di sostegno, in virtù del richiamo contenuto nell'art. 411 c.c., e pertanto l'impugnazione del decreto di approvazione del menzionato conto, emesso dal giudice monocratico in funzione di giudice tutelare, deve essere decisa dal tribunale in sede contenziosa, ai sensi dell'art. 45 disp. att. c.c., con sentenza appellabile (ma non ricorribile per cassazione) e non dalla Corte d'appello, ai sensi dell'art. 720 bis c.p.c.

Cass. civ. n. 9470/2000

In tema di rendimento del conto finale della tutela, gli «interessati», nel contraddittorio dei quali il giudice provvede qualora il conto non sia stato presentato o sia impugnata la decisione del giudice tutelare (art. 386, terzo comma c.c.), non vanno individuati soltanto nei soggetti indicati nei primi due commi della stessa disposizione normativa (pro tutore, minore divenuto maggiore o emancipato, nuovo rappresentante legale), ma anche nell'erede, il quale è legittimato ad agire anche a tutela dell'eredità.

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C. D. B. chiede
venerdì 11/10/2019 - Veneto
“buon giorno
vorrei sapere alla morte della madre, per la quale ho fatto nominare un amministratore di sostengo dal tribunale, ruolo affidato a mia sorella, se ritengo che la somma richiesta al giudice tutelare da mia sorella quale rimborsi spese non sia corretta, posso io fare opposizione oppure poteva farla solo mia madre?
Se non ho fatto opposizione entro i termini di legge, posso fare opposizione sui rimborsi nel procedimento da me intrapreso contro mia sorella per lesione della legittima in cui chiedo che venga calcolata anche la percentuale pro quota per il pagamento dei debiti della massa ereditaria?
grazie

Consulenza legale i 19/10/2019
La disciplina dell’amministratore di sostegno, dettata dal codice civile agli artt. 404 e ss. c.c., ha una finalità ben precisa, ovvero quella di assistere nella gestione dei rapporti personali e patrimoniali i soggetti affetti da disturbi non così gravi da dover dar luogo all’interdizione.
Per effetto del richiamo contenuto al primo comma dell’art. 411 del c.c., anche all’amministratore di sostegno si applica, in quanto compatibile, l’art. 379 del c.c. dettato in materia di tutela, norma che, in considerazione del carattere pubblicistico dell’incarico, afferma la tendenziale gratuità dello stesso.
Tale sua natura trova spiegazione nel fatto che l’incarico, almeno nella maggior parte dei casi, viene svolto da familiari o stretti congiunti del beneficiario, il che fa ritenere contrario ad un comune senso di equità e ragionevolezza prevedere un compenso per assistere un proprio caro, attività che già dovrebbe ritenersi insita nel rapporto con cui si è legati allo stesso.

Nel caso di specie sembra, in effetti, che in favore dell’amministratore di sostegno non sia stata prevista la liquidazione di alcuna indennità, mentre ciò di cui si dubita e ci si lamenta è che il soggetto nominato amministratore abbia in qualche modo potuto lucrare e trarre un indebito vantaggio da quelle che sono state dichiarate e fatte apparire come spese necessarie per l’amministrazione del patrimonio e la cura del beneficiario.
La disciplina della gestione di tale spese trova intanto una sua espressa regolamentazione all’art. 405 del c.c., ed in particolare al n. 5 del quarto comma di tale norma, ove viene disciplinato il contenuto obbligatorio del decreto con cui il giudice tutelare nomina l’amministratore di sostegno.
Prevede tale norma che il decreto di nomina “deve” contenere, tra l’altro, l’indicazione “…dei limiti, anche periodici, delle spese che l’amministratore di sostegno può sostenere con utilizzo delle somme di cui il beneficiario ha o può avere la disponibilità…”.
Già questa prima indicazione, dunque, potrebbe costituire un sicuro criterio di riferimento per verificare se le spese che l’amministratrice ha sostenuto durante la gestione siano corrette o superino i limiti fissati dal Giudice tutelare nel suo decreto.

Al di là di questo primo parametro, altra norma che non va trascurata e che può essere utile per il caso in esame è l’art. 411 del c.c., la quale individua le altre norme dello stesso codice civile compatibili con l’istituto dell’amministrazione di sostegno e ad esso applicabili.
Tra queste, per quel che qui ci interessa, un ruolo di particolare importanza si ritiene che assuma l’art. 380 del c.c., norma che, dettata in materia di tutela, impone al tutore (e di conseguenza all’amministratore di sostegno) l’obbligo di tenere regolare contabilità della sua amministrazione e di renderne ogni anno conto al giudice tutelare.
Il semplice deposito del conto annuale nella cancelleria del Giudice tutelare si ritiene che sia elemento sufficiente per considerare adempiuto l’obbligo dell’amministratore previsto dalla suddetta norma, considerato che la stessa non prevede l’emissione da parte dell’autorità giudiziaria di alcun decreto motivato di approvazione.
Proprio per tale ragione è stato giustamente rilevato che non vi sarebbe alcun provvedimento e/o atto da impugnare, e dunque nessun rimedio giuridico contro un uso distorto del suo ufficio da parte dell’amministratore.

Diversa, invece, è la situazione per il caso di approvazione del rendiconto finale, per la cui disciplina occorre fare riferimento all’art. 386 c.c., norma ricompresa tra quelle richiamate dall’art. 411 c.c.
Tale norma, infatti, impone al Giudice tutelare l’obbligo di emettere un decreto di approvazione o rigetto di tale rendiconto, il quale, a sua volta, potrà essere impugnato dal beneficiario o dai suoi eredi (i quali non coincidono con coloro che possono presentare il ricorso per l’apertura dell’amministrazione di sostegno o domandarne la sostituzione), ovvero dallo stesso amministratore di sostegno per il caso di rigetto.
Si afferma poi, correttamente, che il rendiconto finale non è altro che un resoconto complessivo dell’intera gestione, nel quale devono necessariamente confluire i rendiconti annuali, i quali hanno soltanto una funzione prodromica ed informativa nei confronti del giudice tutelare.
Da ciò se ne deve dedurre che, qualora in effetti nel corso della procedura di amministrazione di sostegno il giudice tutelare non abbia provveduto ad emettere alcun decreto di approvazione, con l’impugnazione del rendiconto finale si avrà anche possibilità di impugnare i precedenti rendiconti annuali.

E’ soltanto con riferimento a questi ultimi che sono stati avanzati dei dubbi in ordine alla legittimazione attiva alla loro impugnazione, derivante dal fatto che la norma nulla dice al riguardo; così, mentre parte della giurisprudenza (cfr. Cass Civ. Sez. I sentenza n. 9470/2000) sostiene che anche i soggetti legittimati ex art. 417 del c.c. possano procedere all’impugnazione, altra tesi sostiene che il silenzio del legislatore al riguardo debba intendersi nel senso che lo stesso abbia voluto escludere i parenti da qualsiasi ingerenza in una gestione che deve avere come unica finalità il benessere del beneficiario.
Nettamente diversa, invece, è la situazione per il rendiconto finale, ove l’art. 386 c.c., all’ultimo comma indica espressamente gli “interessati” come soggetti legittimati ad impugnare il decreto di approvazione del rendiconto, tra i quali non possono non ricomprendersi gli eredi del beneficiario, ai quali spetta il diritto di esercitare le azioni che lo stesso beneficiario avrebbe potuto esperire.
Nell’esercizio di tale azione, tuttavia, occorre prestare particolare attenzione a quanto statuito dal primo comma dell’art. 387 del c.c., il quale fissa in cinque anni, decorrenti dalla data in cui il giudice si è pronunciato sul conto, il termine di prescrizione per la sua impugnazione.
E’ chiaro che se l’amministratore di sostegno non presenta il conto, gli interessati, e dunque anche gli eredi del beneficiario (quali legittimati ad agire a tutela dell’eredità) potranno pur sempre rivolgersi all’autorità giudiziaria ex art. 386 ultimo comma c.c., che in questo caso non sarà il giudice tutelare, bensì il Tribunale ordinario per effetto del combinato disposto del terzo comma dell’art. 386 c.c. e del comma 3 dell’art. 45 delle disp. att. c.c., il quale è chiamato a decidere in sede contenzione (dunque occorre l’atto di citazione e non il semplice reclamo).
Sarà il Tribunale ad eseguire ogni accertamento di merito in ordine alla gestione del patrimonio del beneficiario ed alle spese che sono state sostenute dall’amministratore.

Qualora dall’approvazione del conto definitivo dovessero venirne fuori delle somme indebitamente spese o effettivamente non sostenute, occorrerà esercitare un’autonoma azione contro l’amministratore di sostegno per il recupero di tali somme, le quali dovranno essere versate alla massa ereditaria e delle quali occorrerà tener conto in sede di formazione delle quote ereditarie.
Per l’esercizio di quest’ultima azione vale il termine ordinario di prescrizione decennale fissato dall’art. 2946 del c.c..

In conclusione, tenuto conto dei principi, delle norme e degli orientamenti giurisprudenziali sopra espressi, si può così rispondere in estrema sintesi alle domande poste:
  1. è possibile impugnare il rendiconto finale presentato dalla sorella amministratrice se non sono decorsi cinque anni dal decreto di approvazione del conto; tale impugnazione andrà proposta ex art. 386 co. 3 c.c. quale erede della beneficiaria, e dunque soggetto interessato;
  2. il termine di prescrizione, come detto, è di cinque anni, decorso il quale, purtroppo, il conto si considera approvato. Si tenga conto che per effetto del combinato disposto di cui al terzo comma dell’art. 2941 del c.c. e primo comma dell’art. 387 c.c., l’operato dell’amministratore di sostegno è stato ritenuto contestabile in ogni tempo o, almeno, fin quando non avrà provveduto al deposito del rendiconto e lo stesso non sarà stato approvato.
  3. non è possibile contestare la regolarità del conto nel giudizio pendente per lesione di legittima, in quanto trattasi di materie completamente diverse, implicanti accertamenti anch’essi di diversa natura.