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Articolo 73 Testo unico stupefacenti

(D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309)

[Aggiornato al 05/11/2024]

Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope

Dispositivo dell'art. 73 Testo unico stupefacenti

1. Chiunque, senza l'autorizzazione di cui all'articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall'articolo 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000(1).

1-bis. Con le medesime pene di cui al comma 1 è punito chiunque, senza l'autorizzazione di cui all'articolo 17, importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene:

  1. a) sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantità, in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute emanato di concerto con il Ministro della giustizia sentita la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento nazionale per le politiche antidroga, ovvero per modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero per altre circostanze dell'azione, appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale;
  2. b) medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella II, sezione A, che eccedono il quantitativo prescritto. In questa ultima ipotesi, le pene suddette sono diminuite da un terzo alla metà.

2. Chiunque, essendo munito dell'autorizzazione di cui all'articolo 17, illecitamente cede, mette o procura che altri metta in commercio le sostanze o le preparazioni indicate nelle tabelle I e II di cui all'articolo 14, è punito con la reclusione da sei a ventidue anni e con la multa da euro 26.000 a euro 300.000.

2-bis. [Le pene di cui al comma 2 si applicano anche nel caso di illecita produzione o commercializzazione delle sostanze chimiche di base e dei precursori di cui alle categorie 1, 2 e 3 dell'allegato I al presente testo unico, utilizzabili nella produzione clandestina delle sostanze stupefacenti o psicotrope previste nelle tabelle di cui all'articolo 14.](2)

3. Le stesse pene si applicano a chiunque coltiva, produce o fabbrica sostanze stupefacenti o psicotrope diverse da quelle stabilite nel decreto di autorizzazione.

4. Quando le condotte di cui al comma 1 riguardano i medicinali ricompresi nella tabella II, sezioni A, B, C e D, limitatamente a quelli indicati nel numero 3-bis) della lettera e) del comma 1 dell'articolo 14 e non ricorrono le condizioni di cui all'articolo 17, si applicano le pene ivi stabilite, diminuite da un terzo alla metà(3).

5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a cinque anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329. Chiunque commette uno dei fatti previsti dal primo periodo è punito con la pena della reclusione da diciotto mesi a cinque anni e della multa da euro 2.500 a euro 10.329, quando la condotta assume caratteri di non occasionalità(5).

5-bis. Nell'ipotesi di cui al comma 5, limitatamente ai reati di cui al presente articolo commessi da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, su richiesta dell'imputato e sentito il pubblico ministero, qualora non debba concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena, può applicare, anziché le pene detentive e pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilità di cui all'articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste. Con la sentenza il giudice incarica l'ufficio locale di esecuzione penale esterna di verificare l'effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. L'ufficio riferisce periodicamente al giudice. In deroga a quanto disposto dal citato articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata. Esso può essere disposto anche nelle strutture private autorizzate ai sensi dell'articolo 116, previo consenso delle stesse. In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, in deroga a quanto previsto dal citato articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, su richiesta del pubblico ministero o d'ufficio, il giudice che procede, o quello dell'esecuzione, con le formalità di cui all'articolo 666 del codice di procedura penale, tenuto conto dell'entità dei motivi e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena con conseguente ripristino di quella sostituita. Avverso tale provvedimento di revoca è ammesso ricorso per cassazione, che non ha effetto sospensivo. Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di due volte.

5-ter. La disposizione di cui al comma 5-bis si applica anche nell'ipotesi di reato diverso da quelli di cui al comma 5, commesso, per una sola volta, da persona tossicodipendente o da assuntore abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope e in relazione alla propria condizione di dipendenza o di assuntore abituale, per il quale il giudice infligga una pena non superiore ad un anno di detenzione, salvo che si tratti di reato previsto dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale o di reato contro la persona.

6. Se il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro, la pena è aumentata.

7. Le pene previste dai commi da 1 a 6 sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.

7-bis. Nel caso di condanna o di applicazione di pena su richiesta delle parti, a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, è ordinata la confisca delle cose che ne sono il profitto o il prodotto, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero quando essa non è possibile, fatta eccezione per il delitto di cui al comma 5, la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto(4).

Note

(1) La Corte Costituzionale, con sentenza 23 gennaio - 8 marzo 2019, n. 40, ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 73, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), nella parte in cui in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni anziché di sei anni".
(2) Comma abrogato dall'art. 1, co. 1, lett. b), D.Lgs. 24 marzo 2011, n. 50.
(3) Successivamente la Corte Costituzionale, con sentenza 12 - 25 febbraio 2014, n. 32, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4-bis del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (che ha disposto la modifica della rubrica e dei commi 1, 2, 3, 4 e 5 del presente articolo e l'introduzione dei commi 1-bis, 2-bis e 5-bis al presente articolo).
Questo il testo previgente del comma 4: "Se taluno dei fatti previsti dai commi 1, 2 e 3 riguarda sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e IV previste dall'articolo 14, si applicano la reclusione da due a sei anni e la multa da lire dieci milioni a lire centocinquanta milioni.".
(4) Con sentenza 12 - 25 febbraio 2014, n. 32, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4-bis del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (che ha disposto la modifica della rubrica e dei commi 1, 2, 3, 4 e 5 del presente articolo e l'introduzione dei commi 1-bis, 2-bis e 5-bis al presente articolo).
(5) Il comma 5 è stato modificato dall'art. 4, comma 3 del D.L. 15 settembre 2023, n. 123, convertito con modificazioni dalla L. 13 novembre 2023, n. 159.

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Consulenze legali
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A. M. chiede
venerdì 19/04/2024
“Buongiorno
La sola attività di acquisto di sostanza di cui all'allegato III bis del testo unico della 309/90 (buprenorfina), in quantità tale da rientrare nella tolleranza della detenzione (2 mg) limitata ad un solo episodio di acquisto non accertato in flagranza può essere contestata mediante la sola videoregistrazione ambientale del fatto
a sostegno della contestazione oppure è necessaria la presenza di accertamento in flagranza di reato, di flagranza di detenzione della sostanza, o comunque di una pluralità di azioni medesime di acquisto di sostanza / continua o assidua presenza del reo nei luoghi per poter contestare la fattispecie criminosa di acquisto
Grazie”
Consulenza legale i 29/04/2024
In primo luogo va detto che la buprenorfina è una sostanza destinata alla cura dalla dipendenza da oppiacei e viene utilizzato in un ampio quadro terapeutico come trattamento controllato per l'astinenza da eroina.
Si tratta comunque di un farmaco assoggettato a prescrizioni e modalità di utilizzo molto severe e dettagliate e il cui spaccio può integrare reato.

Per rispondere bene al parere occorre fare diverse valutazioni, che si cercherà di esporre nel modo più semplice possibile.

Uno dei problemi più rilevanti che da sempre caratterizza il mondo degli stupefacenti è proprio la prova. In un contesto in cui, infatti, la distinzione tra condotta penalmente rilevante e fatto lecito (assoggettabile tuttalpiù a sanzione amministrativa) attiene al confine tra detenzione per uso personale (lecita) e detenzione per spaccio (condotta illecita), il problema sta proprio nel capire quando la stessa condotta (ovvero la detenzione) può assurgere a reato penale oppure no.

Per cercare di tracciare una linea di demarcazione la giurisprudenza ha ideato diverse teorie.
In via generale, comunque, è possibile affermare che la Cassazione ha sempre sostenuto che è la quantità a determinare il confine tra uso personale e spaccio.

Le modalità, poi, con cui “accertare” tali quantità possono essere le più disparate.

Che si tratti di arresto in flagranza oppure di sequestro effettuato sul soggetto a seguito di perquisizione o in abitazione non cambia, l’importante è che si dia piena prova del fatto che quel soggetto abbia acquistato e che l’abbia fatto per spaccio, diversamente il reato di cui all’art. 73 dpr 309/90 non potrà essere integrato.

Il tema della videoregistrazione è più delicato, o comunque pone maggiori problemi. La videoregistrazione, infatti, a meno che non sia enormemente dettagliata (ed è un caso rarissimo), dà generalmente conto solo del fatto che un soggetto cede a un altro un qualcosa. E’ difficile, quindi, che con una semplice videoregistrazione si riesca a provare il tipo di sostanza ceduta/acquistata e il quantitativo.
Non è un caso, infatti, che spesso le videoregistrazioni, nelle indagini antidroga, vengano utilizzate come indizio che deve essere successivamente corroborato da altri elementi come l’arresto in flagranza o il sequestro a seguito di perquisizione personale e locale.

Dunque, rispondendo al quesito, è possibile affermare che:

- la videoregistrazione è sicuramente un mezzo di ricerca della prova utilizzabile in ambito penale e nelle indagini antidroga;
- tuttavia, la stessa, a meno che non sia esageratamente dettagliata, è difficile che offra elementi di dettaglio onde comprendere la quantità e la specie della sostanza ceduta (ammesso che, in radice, si dia prova del fatto che quello che viene ceduto sia una sostanza stupefacente o assimilabile);
- quindi la videoregistrazione è scarsamente utile se non corroborata da altri elementi di indagine che si ottengono mediante l’arresto in flagranza oppure sequestri successivi.

Anonimo chiede
domenica 24/02/2019 - Lombardia
“Notifica del 415bis a settembre 2011 per fatti accaduti nel 2002 per i reati contestati 416 e 73 procura di Ca, emesso rinvio a giudizio da parte del pm nel 2012. Avendo richiesto il giudizio abbreviato considerato gli atti in possesso del pm viene accolta la richiesta di incompatibilità territoriale effettivamente accaduti a Co. Mi. e la derubricazione del reato principale 74. Il tutto viene accolto sia dal pm che dal gup di CA con il nuovo capo d'accusa 73 questo seccesso in sede dibattimentale del 1 gennaio 2016 accolta su richiesta dell'interessato la competenza territoriale considerato che i fatti sono accaduti in Co. Mi., richiesta accolta sia dal pm che dal gip con udienza del 1 gennaio 2016, ancora ad oggi febbraio 2019 non si sa nulla della faccenda. quali sono i termini per la prescrizione? Grazie”
Consulenza legale i 25/02/2019
Dal testo del quesito sembra evincersi che l’originario procedimento penale, inizialmente avente ad oggetto il reato di associazione per delinquere e il traffico di sostanze stupefacenti, è stato oggetto di diverse questioni di incompetenza territoriale, di fatto accolte. Ad oggi, e in seguito all’ulteriore questione di incompetenza territoriale presentata nel corso del dibattimento, il procedimento risulta ancora pendente e in stallo.

Si chiedono dunque i termini di prescrizione, che sarà l’unico tema oggetto di approfondimento nonostante il quesito appaia dubbio su alcuni aspetti.

L’articolo 157 stabilisce che il tempo necessario ai fini della prescrizione è uguale al massimo della pena edittale per lo stesso prevista.

Ciò a meno che non vi siano degli atti, tecnicamente detti “sospensivi” o “interruttivi”, che, di fatto, dilatano leggermente il termine di prescrizione: in sostanza in caso di sospensione della prescrizione, per calcolare il termine andranno via via aumentati i periodi di sospensione a quelli già decorsi. Se invece è intervenuta l’interruzione della prescrizione, il termine comincerà a decorrere ex novo dal momento di verificazione dell’atto interruttivo.

In ogni caso, come afferma l’art. 161 del codice penale, in nessun caso gli atti interruttivi e sospensivi possono protrarre il termine di prescrizione per più di un quarto del tempo necessario affinché il reato si prescriva.
I termini di prescrizione di cui all’art. 157 c.p. sono definiti intermedi mentre quelli di cui all’art. 161 c.p. sono detti massimi.

Partendo dal presupposto che, in questo caso, è impossibile fare un calcolo preciso dei termini allorché non si conoscono gli atti interruttivi e sospensivi (o, meglio, si ha evidenza solo del rinvio a giudizio del PM che costituisce un atto interruttivo), occorre capire se è scattato il termine di prescrizione dei reati contestati e se si fa riferimento al termine intermedio o massimo sulla base della disciplina generale tratteggiata dal codice penale.

Per quanto attiene all’associazione per delinquere, l’art. 416 c.p. al tempo in cui fu commesso (2002) prevedeva una pena massima di 7 anni. Il termine intermedio di prescrizione è dunque di 7 anni, quello massimo è invece di 9 anni ca. Il reato di associazione ad oggi dunque dovrebbe essere già prescritto.

Quanto invece ai reati di cui agli artt. 73 e 74 del DPR. 309/90, assumendo che si tratti del primo comma, entrambi sono puniti con la reclusione nel massimo fino a 20 anni. Il termine intermedio di prescrizione è dunque di 20 anni mentre quello massimo è di 25 anni. I reati ad oggi dunque non sono ancora prescritti.

Va comunque precisato che i termini di prescrizioni predetti possono variare, come previsto proprio dal comma 2 dell’art. 161, qualora al soggetto sia stata comminata la recidiva o sia delinquente abituale, professionale o delinquente per tendenza.

Al fine di calcolare con assoluta esattezza i termini di prescrizione si consiglia di fare affidamento ad un legale che abbia piena cognizione di ciò che è accaduto nel corso del processo e della storia giudiziaria del soggetto coinvolto.