A seguito della condanna in primo grado, imputato decideva di proporre ricorso in Cassazione; sosteneva che il Tribunale avesse “ritenuto la destinazione dello stupefacente alla cessione a terzi unicamente in base al rinvenimento di un bilancino di precisione, facendogli indebito carico dell’onere probatorio sul punto spettante invece al Pubblico Ministero”.
Secondo il ricorrente, inoltre, il Tribunale non avrebbe adeguatamente tenuto in considerazione il fatto che il bilancino non fosse stato rinvenuto nell’abitazione dell’imputato, ma nell’abitazione di un altro suo familiare.
Il ricorrente, evidenziava, infine, come fosse stato erroneamente considerato sussistente il “pericolo di recidiva nel reato”: il Tribunale, infatti, era giunto a tale conclusione semplicemente in considerazione del rinvenimento di tale bilancino, da cui era stato desunto “il connotato della professionalità della condotta”
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, rigettando il relativo ricorso.
Secondo la Cassazione, infatti, anche se il Tribunale aveva “fondato gran parte delle sue argomentazioni sul rinvenimento del ricordato bilancino elettronico di precisione”, ciò non appariva “di per sé sufficiente a far ritenere contraddittoria o manifestamente illogica la motivazione concernente la destinazione della sostanza stupefacente alla cessione a terzi nonché la sussistenza di un attuale e concreto pericolo di recidiva”.
Osservava la Cassazione, infatti, come non fosse “certamente illogico (…) ritenere che la disponibilità da parte dello indagato del bilancino di precisione fosse funzionale alla pesatura dello stupefacente in vista del confezionamento in dosi da immettere sul mercato dello spaccio al minuto”.
Pertanto, si può giungere ad affermare che un quantitativo modesto di droga, per esclusivo uso personale, non è reato; tuttavia, il rinvenimento del bilancino di precisione può far ritenere verosimile che le condotte inerenti all'uso e al possesso anche di una modesta quantità di droga possano essere finalizzate allo spaccio.
In base a tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dall’imputato, condannando il medesimo al pagamento delle spese processuali.