Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Palermo aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale di Agrigento aveva dichiarato due imputati (figlio e madre) colpevoli per tale reato, “per l'illecita detenzione di sostanza stupefacente del tipo cocaina, per grammi 4,00 circa, e da cui erano ricavabili, 5,1 dosi medie singole”.
Gli imputati proponevano ricorso per Cassazione, al fine di ottenere l’annullamento della sentenza di condanna.
Nello specifico, il figlio evidenziava che la sentenza impugnata aveva erroneamente “escluso la tesi dell'uso personale e della destinazione all'uso di gruppo della droga con altri amici”.
La madre, invece, evidenziava come fosse rimasta indimostrata la sua partecipazione alla detenzione della droga, essendo irrilevante che la cocaina fosse stata rinvenuta in un fazzolettino di cui la medesima cercava di disfarsi.
La Corte di Cassazione riteneva infondato il ricorso presentato dal figlio imputato, mentre riteneva di dover annullare la sentenza con riferimento alla posizione della madre.
Per quanto concerne il primo imputato, la Cassazione evidenziava che, secondo quanto precisato nella sentenza impugnata, l’imputato aveva dichiarato “di aver acquistato la droga con denaro proprio, vinto al Bingo, e di essere diretto presso amici unitamente ai quali far uso di gruppo dello stupefacente durante una ‘mangiata’”.
Tuttavia, secondo la Corte, “anche a ritenere attendibile questa versione dei fatti, è correttamente configurabile il reato di detenzione illecita dello stupefacente a fini di cessione”.
Osservava la Cassazione, infatti, come la Corte d’appello avesse ragionevolmente ritenuto plausibile la “assenza di un preventivo mandato all'acquisto della cocaina da parte di amici in considerazione sia della mancata indicazione di costoro, rimasti imprecisati, sia dell'impiego, per il reperimento della droga, di denaro proprio del ricorrente, per di più conseguito in modo del tutto fortuito ed imprevedibile”.
Per quanto riguardava, invece, la madre imputata, la Cassazione evidenziava che “la disponibilità della cocaina da parte della donna, con modalità tali non da distruggere la droga, ma da occultare la stessa alle forze dell'ordine, può essere correttamente ritenuta integrare gli estremi di una condotta di detenzione illecita di sostanza stupefacente in concorso con il figlio”.
Tuttavia, secondo la Corte, si trattava di una condotta “non punibile per la particolare tenuità del fatto” (art. 131 bis cos. pen.).
In proposito, la Cassazione osservava come la condotta della donna fosse stata “marginale”, “del tutto momentanea ed essenzialmente finalizzata a "proteggere" il figlio dagli accertamenti delle forze dell'ordine”.
Di conseguenza, secondo la Corte poteva ritenersi che il fatto fosse “qualificabile giuridicamente come di particolare tenuità a norma dell'art. 131-bis cod. pen.”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal figlio-imputato, condannando il medesimo al pagamento delle spese processuali e annullava, invece, la sentenza di secondo grado nei confronti della madre, “perché il reato non è punibile per la particolare tenuità del fatto”.