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Cannabis light: sulla vendita al dettaglio decidono le Sezioni Unite

Cannabis light: sulla vendita al dettaglio decidono le Sezioni Unite
Secondo la IV Sezione Penale della Cassazione è necessario risolvere un contrasto interpretativo sulla legge n. 242/2016.
L’ordinanza n. 8654/2019, depositata il 27 febbraio 2019, ha rimesso alle Sezioni Unite della Cassazione la questione della liceità della commercializzazione della c.d. “cannabis light”.
Il ricorso per cassazione era stato proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ancona, il quale aveva così impugnato l'ordinanza, emessa dal Tribunale della Libertà della stessa città, che aveva revocato il sequestro disposto dal G.I.P. di reperti che, all'esito delle analisi espletate, erano risultati contenere una percentuale di principio attivo non superiore allo 0,6%.
Il reato ipotizzato a carico degli indagati era quello previsto dagli artt. art. 73 del T.U. stupefacenti, commi 1, 2 e 4 e art. 80 del T.U. stupefacenti, comma 2, D.P. R. n. 309/1990 per avere, in concorso tra loro, senza autorizzazione, detenuto per la vendita, all'interno di un negozio, circa 13 kg di marijuana (veniva altresì contestata l'aggravante dell'ingente quantitativo della sostanza detenuta).
In particolare, il P.M. ricorrente deduceva violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto l'esclusione della punibilità è da ritenersi prevista dalla legge n. 242/2016 solo nei confronti dell'agricoltore e non può essere estesa in favore del commerciante che detenga e ponga in vendita foglie e infiorescenze ottenute dalla pianta di cannabis sativa L.
Nell’ordinanza in commento, la Cassazione dà atto dell’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in merito alla corretta applicazione della legge n. 242/2016 (“Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”).
Secondo un primo indirizzo interpretativo tale normativa disciplinerebbe esclusivamente la coltivazione della canapa, consentendola, alle condizioni ivi indicate, soltanto per i fini commerciali elencati dall'art. 1 , comma 3, tra i quali non rientra la commercializzazione dei prodotti costituiti dalle infiorescenze e dalla resina. I valori di tolleranza di THC consentiti dall'art. 4, comma 5, I. n. 242/2016 ( 0,2-0,6%) si riferirebbero, infatti, solo al principio attivo rinvenuto sulle piante in coltivazione e non al prodotto oggetto di commercio.
Pertanto, secondo tale orientamento più restrittivo, la detenzione e la commercializzazione dei derivati della coltivazione disciplinata dalla predetta legge, costituiti dalle infiorescenze (marijuana) e dalla resina (hashish), rimarrebbero, sottoposte alla disciplina di cui al D. P. R. n. 309/1990 (in questo senso Cass. VI, 56737/2018; Cass. IV, 34332/2018; Cass. VI, 52003/2018).
Secondo l’indirizzo opposto, invece, sarebbe nella natura dell'attività economica che i prodotti della "filiera agroindustriale della canapa", che la legge espressamente mira a promuovere, siano commercializzati. Tanto è vero che la legge n. 242/2016 si rivolge ai produttori e alle aziende di trasformazione e non cita le attività successive per il semplice motivo che non vi sarebbe nulla da disciplinare
In base a tale corrente giurisprudenziale, dalla liceità della coltivazione della cannabis, alla stregua della legge n. 242/2016, deriverebbe, infatti, naturalmente la liceità dei suoi prodotti, contenenti un principio attivo inferiore allo 0,6%, poiché essi non possono più essere considerati, ai fini giuridici, sostanze stupefacenti soggette alla disciplina Testo Unico sugli Stupefacenti. In quest’ottica, la fissazione del limite dello 0,6% di THC rappresenterebbe un ragionevole punto di equilibrio fra le esigenze precauzionali relative alla tutela della salute e dell'ordine pubblico, da un lato, e quelle inerenti alla commercializzazione dei prodotti delle coltivazioni, dall’altro. Questo perché detta percentuale costituisce il limite minimo al di sotto del quale i possibili effetti della cannabis non possono essere considerati, sotto il profilo giuridico, psicotropi o stupefacenti.
Da ciò consegue che, ove sia incontroverso che le infiorescenze sequestrate provengano da coltivazioni lecite ex lege n. 242/2016, è esclusa la responsabilità penale sia dell'agricoltore che del commerciante, anche in caso di superamento del limite dello 0,6% (così Cass. VI, 4920/2018).
Secondo l’ordinanza di rimessione, “entrambe le tesi sono supportate da argomentazioni di indubbio spessore”.
Essendo incontrovertibile l’esistenza, nella materia de qua, di un contrasto giurisprudenziale tra le tesi sopra riportate, su di esso dovranno necessariamente pronunciarsi le Sezioni Unite, alle quali è affidata la risoluzione del seguente quesito di diritto: "se le condotte diverse dalla coltivazione di canapa delle varietà di cui al catalogo indicato nell'art. 1, comma 2, legge 2 dicembre 2016 n. 242 - e, in particolare, la commercializzazione di cannabis sativa L - rientrino o meno nell'ambito di applicabilità della predetta legge e siano pertanto penalmente irrilevanti, ai sensi di tale normativa".


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