Con il D.lgs. n. 40/2006 è stata rivista l’intera disciplina dell’arbitrato.
In particolare, l’art. 20 di tale decreto ha sostituito gli articoli da
806 a
809, individuando le controversie arbitrabili, la
forma del
compromesso, il contenuto della
clausola compromissoria, l'ambito di applicabilità della
convenzione di arbitrato, i criteri di
interpretazione ed
efficacia, nonché introducendo la disciplina dell'arbitrato irrituale, con specificazione dei casi di annullabilità.
Come fondamentale criterio è stato utilizzato quello della indisponibilità del diritto o disponibilità dell’oggetto, sul presupposto che quest’ultimo concetto sia qualcosa di diverso dalla transigibilità della lite, a cui si riferiva il vecchio art. 806 c.p.c.
Qualora dovesse rendersi necessario decidere questioni pregiudiziali con efficacia di giudicato per legge, gli arbitri dovranno astenersi; il legislatore, infatti, ha previsto la sospensione del procedimento, allorchè la “
questione pregiudiziale” debba essere decisa con autorità di giudicato.
La norma in esame enuncia il principio secondo cui le parti possono devolvere ad arbitri le controversie tra di loro insorte, ad eccezione di quelle che abbiano per oggetto diritti indisponibili e salvo espresso divieto di legge.
Per quanto concerne, invece, le cause in materia di lavoro di cui all’
art. 409 del c.p.c., queste possono essere decise da
arbitri soltanto se previsto dalla legge o dai contratti o dagli accordi collettivi di lavoro; in questo caso, dunque, la devoluzione ad arbitri rappresenta un'eccezione rispetto al principio generale.
La legge non prevede alcun limite con riferimento al tipo di azione proponibile o di pronuncia richiesta, la quale, dunque, potrà essere di accertamento, di condanna, o costitutiva; pertanto, rientrano tra le controversie arbitrabili quelle aventi ad oggetto diritti soggettivi, devoluti alla giurisdizione del giudice amministrativo, purché si tratti di arbitrato rituale.
L'arbitrato può essere definito come quello strumento attraverso cui, a seguito di una serie di attività poste in essere dagli arbitri, si giunge alla risoluzione di una controversia senza ricorrere al potere giurisdizionale.
Gli arbitri non sono altro che dei privati cittadini, scelti liberamente dalle parti e ai quali le stesse sottopongono una controversia, chiedendo di analizzarla e di deciderla (in dottrina l’arbitrato è stato definito come uno strumento attraverso cui le parti, senza ricorrere alla
giurisdizione ordinaria, possono risolvere le controversie tra loro insorte ovvero le controversie che tra loro insorgeranno).
Per poter essere avviato, l’arbitrato necessita del previo consenso delle parti coinvolte a seguire tale via in alternativa a quella ordinaria, al contrario di ciò che accade per i giudici statuali, ai quali ci si può rivolgere o dinanzi ai quali si può essere convenuti senza alcun bisogno di previo consenso od accettazione della loro autorità (per tale ragione, l'arbitrato è consentito solo nei confronti di coloro che lo hanno voluto).
Tra i vantaggi che presenta l'istituto dell'arbitrato possono annoverarsi la preparazione tecnica e specifica degli arbitri e la celerità rispetto al processo ordinario, mentre tra gli svantaggi la non imparzialità del giudizio e gli altissimi costi.
Si qualifica come arbitrato rituale quello previsto e disciplinato dal codice di rito avente ad oggetto l'esame, da parte degli arbitri, di un conflitto sorto o che sorgerà in futuro tra le parti, e dal quale scaturirà una decisione; nel momento in cui le parti scelgono di adire l'arbitrato in luogo dell'azione ordinaria, operano una rinuncia alla devoluzione della cognizione di determinate materie alla giurisdizione ordinaria.
Si è a lungo discusso circa la natura giurisdizionale o contrattuale dell'arbitrato.
Secondo la tesi che si ritiene preferibile si tratta sostanzialmente di un giudizio avente natura negoziale, espressione di autonomia negoziale e non di giurisdizione. L’arbitrato, infatti, nasce come negozio di diritto privato, in virtù di un accordo (compromesso-clausola compromissoria) tra le parti e, come tale, rimane per tutto il procedimento (gli arbitri sono privi di determinati poteri riservati esclusivamente ai giudici dello stato e la decisione degli arbitri rispecchia la volontà delle parti).
Altra parte della dottrina, invece, propende per la natura giurisdizionale dell’arbitrato.
La giurisprudenza di legittimità in un primo momento ha aderito all'impostazione negoziale dell'arbitrato, sottolineando come la pronuncia arbitrale sia atto di autonomia privata, in quanto il soggetto da cui proviene (l'arbitro) non è organo giurisdizionale.
Di recente, invece, anche in considerazione della riforma dell'arbitrato del 2006 e del nuovo
art. 824 bis del c.p.c. si è ritenuto che l'arbitrato abbia natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario.
Accanto all'arbitrato rituale si è diffuso nella pratica il c.d. arbitrato irrituale (detto anche arbitrato libero), in particolare in ragione degli eccessivi oneri fiscali a cui è soggetto l'arbitrato disciplinato dal codice di procedura civile.
L'arbitrato libero è uno strumento di risoluzione della controversia che contempera due esigenze diverse:
a) affidare la decisione della lite a persone di fiducia dotate di competenze tecniche specifiche;
b) poter giungere alla decisione in tempi molto più rapidi rispetto alla via giudiziaria ordinaria.
Caratteristica principale dell'arbitrato libero è quella che le parti conferiscono a terzi la risoluzione di una controversia mediante un atto negoziale, così impegnandosi ad accettare la decisione degli arbitri come se fosse scaturita dagli stessi.
L'arbitrato libero è volto a risolvere una controversia già insorta tra le parti e la determinazione degli arbitri (lodo) viene considerata dalle stesse parti come espressione della loro diretta volontà (le parti, infatti, firmano un foglio, il c.d. biancosegno, che verrà poi riempito dagli arbitri con la loro decisione).
In linea generale al procedimento arbitrale irrituale non si applicano le norme dettate per l'arbitrato rituale, anche se la giurisprudenza sembra adesso orientata nel senso dell'applicabilità anche nei confronti dell'arbitrato irrituale dell'[810cpc]].
La decisione degli arbitri è soggetta solo ad impugnative di tipo negoziale, per gli stessi motivi che possono invalidare un negozio giuridico, i quali possono riguardare tanto il compromesso o la clausola compromissoria quanto l'attività ed il risultato dell'attività degli arbitri.
Rilevante ai fini dell'
impugnazione del lodo è l'
errore essenziale e riconoscibile di cui agli artt.
1428,
1429 e
1431 c.c.; è altresì consentita l’impugnazione per il c.d. eccesso dai limiti del
mandato, ipotesi che si verifica allorchè gli arbitri abbiano pronunciato al di fuori di quanto devoluto alla loro cognizione.
L'accordo tramite il quale le parti deferiscono ad arbitri la decisione di una controversia viene denominato convenzione arbitrale e può assumere la forma del compromesso ovvero della clausola compromissoria.
Si tratta di un accordo avente natura contrattuale, ma non anche patrimoniale; infatti, la sua funzione è quella di dirimere controversie insorte ovvero che insorgeranno, ma non quella di costituire, modificare o regolare un
rapporto giuridico patrimoniale tra le parti.
L'accordo compromissorio è presupposto indispensabile per avviare la procedura arbitrale, tant’è che in sua mancanza il procedimento arbitrale è nullo.
Occorre precisare che mentre il compromesso è un contratto di diritto privato stipulato tra le parti con il quale le stesse si obbligano affinché quanto oggetto del compromesso sia sottratto alla cognizione della giurisdizione ordinaria per rientrare nella cognizione del giudizio arbitrale, la clausola compromissoria è un accordo, inserito in un contratto, con cui le parti, preventivamente, si impegnano affinché una probabile e futura controversia che possa tra loro insorgere venga decisa da arbitri.
La convenzione arbitrale, sia nella forma del compromesso che nella forma della clausola compromissoria, può essere oggetto di rinuncia, esplicita oppure implicita (ricorre quest'ultima ipotesi nel caso in cui le parti, concordemente, si rivolgano al giudice ordinario).
L'art. 806 sancisce il divieto di compromettere in arbitri determinate materie; in particolare, è fatto divieto alle parti di ricorrere all'arbitrato qualora la controversia verta su rapporti individuali di lavoro (
art. 409 del c.p.c.) ovvero in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria.
Tuttavia, il secondo comma dell’
art. 808 del c.p.c. ammette la possibilità di inserire, nei limiti e nei modi previsti dalla norma stessa, una clausola compromissoria nei contratti o accordi collettivi, restando sempre in facoltà delle parti di adire l'
autorità giudiziaria per la tutela dei propri diritti.
Non è possibile deferire agli arbitri le controversie relative a questioni di stato (come ad esempio la
tutela o la
cittadinanza),
separazione personale dei coniugi e tutte le controversie che non possono formare oggetto di
transazione.
Si ritiene che tale elencazione sia tassativa, anche se vi sono materie che seppure non siano esplicitamente contemplate, sfuggono alla cognizione arbitrale, in quanto incompatibili per loro natura con la struttura del processo arbitrale.
L'arbitrato è incompatibile con il processo esecutivo, con il processo cautelare e con i
procedimenti possessori.
Altra forma di arbitrato è quello internazionale, disciplinato dagli artt.
832 –
836; ad esso si fa ricorso in presenza di almeno una delle seguenti condizioni:
A) condizione soggettiva: almeno una delle parti deve risiedere o avere la propria sede effettiva all'estero;
B) condizione oggettiva: deve essere eseguita all'estero una parte rilevante delle prestazioni che derivano dal rapporto al quale si riferisce la controversia.
Arbitrato ad hoc, arbitrato istituzionale (amministrato), arbitrato obbligatorio
Si definisce “arbitrato istituzionale” (o amministrato) quell'arbitrato che viene posto in essere da specifiche strutture a richiesta delle parti, come nel caso dell'arbitrato posto in essere dalle Camere di Commercio
L'arbitrato, invece, si qualifica come “obbligatorio” allorchè la scelta di derogare alla giurisdizione in favore dell'arbitrato non viene fatta dalle parti ma dalla legge (è questo il caso degli arbitrati previsti in materia di brevetti per invenzioni industriali).
Infine, si qualifica come “arbitraggio” quell’atto giuridico deferito ad un terzo, dalle parti, in sede di conclusione di un contratto, al fine di procedere alla determinazione di un punto del contenuto del contratto ovvero al fine di integrare un elemento del contratto (
art. 1349 del c.c.).