Il principio enunciato da questa norma è che “
salvo quanto disposto dall'art. 825 del c.p.c., il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria”.
Viene così superata ogni diatriba sulla natura del lodo, desumendosi da tale espressione che l'arbitrato abbia natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario.
Resta irrisolto il problema della idoneità del lodo a produrre effetti riflessi nei confronti dei soggetti estranei al
compromesso e al processo arbitrale, idoneità che viene negata da coloro che argomentano dall'origine privatistica dell'arbitrato, e che viene al contrario ritenuta necessaria, pena perfino l'incostituzionalità della disposizione, da coloro che sostengono l'equiparazione del lodo, quanto ad
efficacia, alla
sentenza del giudice togato.
La norma in esame definisce l'efficacia del lodo con espresso riferimento agli effetti di accertamento e costitutivi, equiparandolo ad una sentenza.
Occorre però precisare che, affinchè al lodo possa essere conferita anche
efficacia esecutiva e l'idoneità alla
trascrizione o all'iscrizione di
ipoteca giudiziale, è necessaria la cosiddetta “omologa”, ossia quel procedimento atto ad attribuire al lodo arbitrale il predicato dell'esecutività di cui all'[825cpc]].
E’ il
decreto di omologa che conferisce al lodo l'esecutorietà, ossia la qualità di
titolo esecutivo ex n. 1 dell’
art. 474 del c.p.c..
In assenza dell’intervento di una pubblica potestà, propria dell'autore del decreto di
exequatur, non sarà possibile ricondurre al lodo manifestazioni imperative, in forza delle quali assoggettare i terzi (tra cui i conservatori di pubblici registri) a determinati comportamenti (l'efficacia del lodo priva di tale attribuzione è riconducibile ad una manifestazione della volontà privata).