Capacità e legittimazione in ordine alla transazione. In particolare: a) la capacità e i suoi tipici aspetti; b) la legittimazione e i diritti disponibili
Questo articolo presenta, rispetto al corrispondente art. 1765 codice del 1865, qualche innovazione degna di nota. Nel primo alinea questa disposizione riproduce il principio della capacità di disporre, già sancito nel codice abrogato; nel secondo invece statuisce la sanzione della nullità per il caso in cui i diritti che formano oggetto della transazione siano sottratti alla disponibilità delle parti : o per loro intrinseca natura, ovvero per statuizione di legge. Raccordando queste due disposizioni alla rubrica dell'art. 1966, intitolato distintamente alla capacità di transigere ed alla disponibilità dei diritti
, appare manifesta la necessità di riportare il primo alinea alla posizione soggettiva delle parti in
se stessa — vale a dire alla capacità di agire in senso tecnico (astratta o generale) — ed il secondo alinea invece alla posizione soggettiva delle parti rispetto all'oggetto del rapporto — vale a dire alla c. d. capacità dispositiva o legittimazione ad agire.
La distinzione quindi tra capacità di agire — nella sua specificazione rispetto ai negozi di alienazione — e legittimazione ad agire, acquista nelle ipotesi previste dall'art. 1966 una importanza notevole, giacche diverse sono le conseguenze che, nei confronti della transazione scaturiscono, rispettivamente dal difetto di capacità e dal difetto di legittimazione. Per la prima, infatti, trova applicazione l'art.
1425 che sancisce la semplice annullabilità, mentre per la seconda lo stesso art. 1966 sancisce la nullità della transazione.
La norma contenuta nel primo alinea potrebbe dar luogo a questioni per la determinazione della capacita di disporre : esse però possono ritenersi testualmente risolte in virtù della disciplina concreta che ii legislatore ha dettata, con riferimento specifico al negozio di transazione, in riguardo alle vane situazioni d'incapacità : cosi non può transigere il minore (non emancipato), e il genitore esercente la patria potestà deve ottenere l'autorizzazione del giudice tutelare (articolo
320 1
0 cpv.), mentre per il tutore si richiede l'autorizzazione del tribunale (art.
375, n. 4). Tali disposizioni si applicano anche all'interdetto e al suo tutore (art.
424). Neppure il minore emancipato può transigere, poiché la transazione e atto eccedente la semplice amministrazione, e il suo curatore ha bisogno di essere autorizzato: dal giudice tutelare, se è il genitore, dal tribunale, se è un terzo (art.
394 2° cpv.). Tali disposizioni si applicano pure all'inabilitato e al suo curatore (art.
424).
Qualche questione, tuttavia, va risolta con l'ausilio dei principi, in mancanza di espressi riferimenti testuali. Cosi non è valida la transazione che implichi alienazione di beni costituiti in patrimonio familiare, se non intervenga l'autorizzazione del tribunale (
art. 170 del c.c.) ; non è valida la transazione che implichi alienazione di beni ovvero riduzioni o restrizioni di ragioni dotali, se non e stato espressamente consentito nell'atto di costituzione o non intervenga autorizzazione del tribunale in uno col consenso di entrambi i coniugi (art.
187).
Quanto alla comunione degli utili, è da ritenere che il marito amministratore possa transigere in ordine ai beni che cadono in comunione, essendo egli autorizzato ad alienarli a titolo oneroso (
art. 220 del c.c.): non cosi la moglie, a lui sostituita nell'amministrazione, per causa di lontananza od altro impedimento, perché essa pub alienare i beni ricadenti nella comunione solo con l'autorizzazione del tribunale (
art. 222 del c.c.).
Anche l'erede beneficiato dev'essere autorizzato dal tribunale per compiere transazioni che possono implicare alienazione dei beni ereditari, sotto pena di decadenza dal beneficio dell'inventario (art.
493): naturalmente, anche con la detta autorizzazione, egli potrà concludere la transazione, quando abbia fatto nei termini l'inventario (art.
486)
.
Il curatore fallimentare può transigere ove sia autorizzato dal giudice delegato (art. 35, R. D. 16 marzo 1942, n. 267).
La norma contenuta nel secondo alinea richiama la distinzione tra diritti disponibili e diritti indisponibili. Il testo legislativo non si può considerare, nella sua formulazione, impeccabile. Infatti, la distinzione tra diritti indisponibili per
natura e diritti indisponibili per legge, non è teoricamente fondata. I diritti, come entità giuridiche, sono qualificabili e classificabili unicamente sulla base delle norme del diritto : ne ha importanza l'identificazione della fonte di produzione delle norme giuridiche in base alle quali vanno fatte le classificazioni medesime. Piuttosto, la norma in esame può significare che quando un diritto sia dichiarato indisponibile per espressa disposizione di legge, sarà sufficiente attenersi al criterio meramente formate, senza indagare ulteriormente sulla natura di quel diritto, per vedere se essa sia presa in considerazione da altre norme giuridiche, magari non legali, ai fini della determinazione della sua disponibilità o indisponibilità.
Quanto al criterio generale per distinguere i diritti disponibili da quelli indisponibili, non c'è che da rinviare alle trattazioni generali sull 'argomento .