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Articolo 2910 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Oggetto dell'espropriazione

Dispositivo dell'art. 2910 Codice Civile

Il creditore, per conseguire quanto gli è dovuto, può far espropriare i beni del debitore, secondo le regole stabilite dal codice di procedura civile [474 c.p.c. ss.](1).

Possono essere espropriati anche i beni di un terzo quando sono vincolati a garanzia del credito [2858, 2868] o quando sono oggetto di un atto che è stato revocato perché compiuto in pregiudizio del creditore [2901, 2905; 602 c.p.c.](2).

Note

(1) Viene qui richiamata la cosiddetta garanzia generica ai sensi dell'art. 2740, in forza della quale il creditore, in caso di inadempimento, può ottenere soddisfazione agendo sulla totalità dei beni del debitore. L'espropriazione forzata è rivolta quindi a tutto il patrimonio del debitore, ricomprendente beni mobili, immobili, crediti e diritti di ogni genere. Inoltre, per metterla in atto, a monte deve esservi obbligatoriamente un titolo esecutivo (v. art. 474 c.p.c.) dal quale discenda un credito certo e non soggetto a condizioni o termini (classici esempi di titoli esecutivi sono: cambiali, sentenze e decreti ingiuntivi).
(2) I beni dei terzi, nel caso in cui costituiscano la garanzia del credito (v. art. 1179) o nel caso di atti revocati (v. art. 2901), sono esplicitamente inseriti nell'ambito oggettivo della responsabilità patrimoniale definito dalla disposizione e vengono pertanto sottoposti all'esecuzione forzata.

Ratio Legis

La norma in esame inaugura una serie di disposizioni inerenti all'espropriazione forzata, rivolte ad ottenere una realizzazione in forma coattiva del diritto di credito, per garantire la tutela del creditore insoddisfatto.

Spiegazione dell'art. 2910 Codice Civile

Oggetto dell'espropriazione forzata

L'articolo in esame deve essere posto in relazione con l'arti­colo 2740, il quale sancisce il principio che il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, salve le limitazioni di tale responsabilità patrimoniale, stabilite dalla legge. Come svolgimento di tale principio, l'art. 2910 precisa che il creditore, per conseguire quanto gli è dovuto non può farsi ragione da sè, ma deve fare espropriare i beni del debitore, secondo le regole stabilite dal co­dice di procedura civile. Sotto questo aspetto, quindi, l'art. 2910 deve essere altresì considerato come un'applicazione dell'art. 2907 (v. sopra).

Per interpretare compiutamente l’articolo, occorre brevemente sottolineare che la formula del nuovo codice ha posto in rilievo come oggetto immediato del diritto di credito non tanto sia il comportamento personale dell'obbligato, quanto il bene dovuto, onde è possibile realizzare il diritto stesso non solo attraverso l'adempimento dell'obbligo ma altresì attraverso il conseguimento del bene per mezzo dell'espropriazione forzata.

Il creditore, dunque, per conseguire il soddisfacimento del proprio diritto può richiedere la conversione dei beni del debitore in denaro o l'assegnazione dei beni stessi, fino a concorrenza del proprio credito.

L'espropriazione forzata non è esecuzione in forma specifica di un'obbligazione pecuniaria, surrogantesi all'obbligazione generica ori­ginaria ; essa dà in ogni caso un aliud pro alio, in quanto l'oggetto del debito va distinto concettualmente dall'oggetto della responsabilità, anche se in concreto essi possono coincidere (espropriazione per obbli­gazioni in denaro). Non è possibile in questa sede svolgere appieno tutta la teoria del processo esecutivo, tuttavia articolo in esame impone che si profili almeno il problema dell'azione esecutiva.


Il diritto del creditore al­l'esecuzione

La dottrina più recente ha escluso che sia il creditore che espro­pria il debitore, che venda, cioè, invece del debitore. Anche l'art. 2910 non dà alcun appiglio alla teoria secondo la quale il creditore, attraverso l'espropriazione forzata, realizzerebbe un diritto di pegno generale sui beni del debitore. Il creditore non ha, dunque, alcun « diritto di vendere » ma, se mai, un diritto di far vendere. Ora, come s'è già osservato sopra all'art. 2907, la possibilità di ottenere quella specifica forma di tutela, che è l'espropriazione forzata, rappresenta una qualità del diritto soggettivo ; il creditore, piuttosto, è munito del potere processuale di mettere in moto il processo e di farlo proseguire fino al suo compimento, in quanto possegga determinati requisiti (v. art. 474 cod. proc. civ.), sui quali non è qui possibile intrattenersi.


Debito e responsabilità

Un ultimo rilievo deve essere fatto per quanto concerne la posizione dei beni del debitore in confronto all'espropriazione promossa dal creditore : questi beni non soggiacciono ad un vincolo sostanziale diverso da quello che li grava in virtù dell'art. 2740. Piuttosto, l’esercizio dell'azione esecutiva da parte del creditore crea nel debitore una responsabilità di carattere processuale, che non ha come suo necessario presupposto un nuovo vincolo giuridico sui beni del debitore a favore del creditore.


L'espropriazione forzata contro il terzo proprietario

Il capoverso integra il disposto del primo comma, enunciando in termini generali il principio, che era già accolto nel vecchio codice (art. 2076 c.c.), in una più ristretta formulazione, riferita al terzo acquirente dell’immobile ipotecato, e che si trova ora espresso nell’ art. 602 del c.p.c..

La nuova disposizione parla di beni di un terzo vincolati a garanzia del credito, precisamente di beni gravati da pegno o ipoteca per un debito altrui (art. 602 del c.p.c.) e dei beni, la cui alienazione da parte del debitore è stata revocata perché compiuta in pregiudizio del creditore. Il carattere eccezionale di tali disposizioni porta a escludere l’ammissibilità di un’espropriazione contro altri terzi, considerati da parte della dottrina come responsabili per debito altrui, quali il fideiussore (art. 2902 del c.c.).

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

1188 L'art. 2910 del c.c. sancisce, nel primo comma, in correlazione al principio affermato dall'art. 2740 del c.c., il diritto del "creditore di fare espropriare i beni del debitore". La disposizione del secondo comma rappresenta la compiuta formulazione di un principio ovvio, tenuto presente anche dal codice del 1865, ma espressamente enunciato solo in rapporto ai beni ipotecati (art. 2076), e riafferma, in rapporto ai beni che furono oggetto di atti revocati perché compiuti in pregiudizio dei creditori, le disposizioni dell'art. 2902.

Massime relative all'art. 2910 Codice Civile

Cass. civ. n. 10284/2009

La regola generale dell'assoggettabilità ad esecuzione di tutti i beni del debitore (ai sensi degli artt. 2740 e 2910 c.c.) subisce, per quanto attiene gli enti pubblici, una limitazione in dipendenza della natura dei beni appartenenti agli enti stessi, essendo espropriabili solo i beni disponibili e non quelli di origine pubblicistica e destinati per legge ad uno specifico scopo pubblico. Conseguentemente, per la realizzazione di crediti di terzi verso la P.A., non possono essere pignorati, presso le banche delegate alla riscossione dei tributi, i corrispondenti crediti dell'ente pubblico, anche se, per effetto del versamento, sia esaurito il rapporto fra l'ente e il contribuente.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2910 Codice Civile

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M. M. chiede
martedì 11/03/2025
“Buongiorno ,
avrei bisogno di una informazione riguardante il pagamento degli oneri di causa , causa persa da mia moglie,brevemente riassumo la storia solo a livello di conoscenza, mia moglie dopo il parto ha subito una trasfusione di sangue infetto recandogli la Epatite C ( per fortuna ora è guarita ), nel 2008 abbiamo trovato degli avvocati che ci hanno seguito ( secondo loro esperti della materia ) , primo grado vinta la causa , poi ci hanno portato in appello perchè la somma elargita dal Ministero non era congrua , perso l'appello, poi in cassazione , persa anche questa , mia moglie aveva avuto un indennizzo , quindi una somma con annessi arretrati , il Ministero ha visto la causa perchè ha dimostrato che l'indennizzo avuto era sufficiente e non aveva diritto delle somme aggiuntive , riporto qui quanto inviato dagli avvocati :
Gentile Signora X,

in riferimento al giudizio in oggetto, siamo spiacenti di comunicarLe che la Corte di Appello, con la sentenza n. xxx/xxxx, che alleghiamo alla presente, ha ritenuto che quanto da Lei percepito a titolo di indennizzo ai sensi della L.210/1992, vada a compensare l’entità del danno subito, per cui non Le spetta ulteriore risarcimento.

Nella stessa sentenza, la Corte ha liquidato a favore del Ministero della salute le seguenti somme: per le spese di primo grado € 13.430,00; per le spese di secondo grado € 9.515,00; per il giudizio di Cassazione € 7.290,00; per le spese della riassunzione € 9.991,00 oltre le spese generali al 15%, CAP e IVA come per legge, compensando al 50% le spese sopra riportate e disponendo che Lei corrisponda al Ministero la residua metà.

La Corte, inoltre, con la sentenza su menzionata, ha altresì sancito, a Suo carico, il pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello già versato per l’iscrizione a ruolo del giudizio, ossia in euro 759,00, ai sensi del D.P.R 30 maggio 2002, n. 115/02, art. 13, che dovrà essere versato entro 30 giorni dalla comunicazione, che alleghiamo, e che dovrà essere pagato tramite PAGOPA e con contestuale deposito nel fascicolo telematico della ricevuta telematica di versamento.

Pertanto, La invitiamo, se crede, a effettuare il versamento, di euro 759,00 relativo al contributo unificato, sulle coordinate dello Studio di seguito indicate.

Dopo questa gli avvocato ci hanno rassicurato che il Ministero non richiedeva mai le somme , invece pochi giorni fà sono arrivati due bollettini PagoPA da parte dell'Avvocatura dello Stato per il pagamento di un totale : 23.129.95 €.

Sempre lo studio poi al arrivo , mi hanno detto che mia moglie essendo solo come reddito la pensione non deve pagare.

Mia moglie ha come reddito una pensione artigiani di 702 € , ha dei risparmi con me , che mi è stato detto posso estinguerli e metterli solo a mio nome , quando ci siamo sposati è stata fatta la comunione di beni , io ho una casa e dei terreni agricoli che ho avuto in eredità , Lei quindi non avrebbe beni intestati tranne la pensione che riceve.

Dopo questo riassunto , la mia domanda al vostro studio è questa :

1 ) se mia moglie non paga ( i bollettino sono in scadenza il 24 di aprile prossimo ) dovrebbero arrivare delle cartelle da parte dell'Agenzia delle Entrate , penso , con nuovi importi maggiorati , se non si procede al pagamento poi ci potrà essere il pignoramento dei beni, se mia moglie oltre la pensione non ha nulla , possono essere individuati i miei beni e dirottato il pignoramento sui miei ?? oppure può essere pignorata una parte della sua pensione ??
Ho paura che possa esistere una legge che permette un dirottamento di pignoramento su di me .
Se vuole posso inviare una mia visura , esiste solo un rudere di mia proprietà e del mio ex socio ( ora siamo divisi dal'94) acquistato dopo il matrimonio , quindi nel caso un quarto di questo rudere ??

2) ho letto che potrebbe essere possibile una dilazione , chiesta dopo lo scadere del pagamento e prima delle cartelle esattoriali , ma a mia moglie vista l'età verrà concessa ??? ed eventualmente per l'importo sopra indicato quale potrebbero essere le rate e i tempi ed eventualmente circa la somma complessiva da pagare
Resto in attesa di vostra risposta
Grazie


Consulenza legale i 16/03/2025
Non sussiste alcun pericolo che possa essere aggredito il patrimonio personale del coniuge di colei su cui grava l’esposizione debitoria.
Infatti, pur nel caso di coniugi versanti in regime di comunione legale dei beni, in materia di obbligazioni vige il principio di carattere generale, sancito dal comma 1 dell’art. 2740 del c.c., secondo cui il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Tale norma, a sua volta, va collegata al comma 1 dell’art. 2910 c.c., secondo cui “il creditore, per conseguire quanto gli è dovuto, può far espropriare i beni del debitore, secondo le regole stabilite dal codice di procedura civile”.

Dal coordinamento di tali norme, dunque, si ricava che oggetto di eventuali azioni esecutive possono essere soltanto i beni o i crediti di cui la moglie debitrice risulta titolare, in via esclusiva o in regime di comunione legale dei beni con il marito.
Analizzando, poi, la situazione sotto il profilo del regime patrimoniale della famiglia, deve osservarsi che, pur in costanza del regime della comunione legale, vi sono dei beni che non entrano a far parte della comunione.
In particolare, la lettera b) dell’art. 179 del c.c. dispone espressamente che non costituiscono oggetto di comunione e sono, pertanto, personali, tutti quei beni che sono stati acquistati successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione.
Ciò comporta, nel rispetto dei principi di cui ai sopra citati artt. 2740 e 2910 c.c., che non potranno mai essere sottoposti ad espropriazione forzata la casa e i terreni agricoli di cui il coniuge della debitrice risulta titolare in via esclusiva, per esserne divenuto proprietario in forza di successione mortis causa.

Per quanto concerne i risparmi, che sembrerebbero essere custoditi su un conto cointestato, in caso di pignoramento l’istituto di credito che riceve la notifica dell’atto è autorizzato a vincolare il saldo attivo presente sul conto sino alla concorrenza dell’intero importo pignorato, senza tener conto delle quote presuntive di spettanza.
La ragione di ciò si individua nella previsione di cui al comma 1 dell’art. 599 del c.p.c., secondo cui possono essere pignorati i beni indivisi anche quando tutti i comproprietari non sono obbligati verso il creditore; in tal caso il creditore ha l’onere di notificare il pignoramento anche agli altri comproprietari, ai quali è fatto divieto di lasciar separare dal debitore la sua parte delle cose comuni senza l’ordine del giudice.

L’art. 180 delle disp. att. c.p.c., poi, dispone espressamente che l’avviso ai comproprietari dei beni indivisi deve contenere l’indicazione del creditore pignorante, del bene pignorato, della data dell’atto di pignoramento (oltre che della data della sua trascrizione in caso di pegno immobiliare).
Con lo stesso avviso - o con altro atto separato - gli interessati sono invitati a comparire davanti al giudice dell’esecuzione per sentir dare i provvedimenti di cui all’art. 600 del c.p.c.; all’udienza indicata, il Giudice, su istanza del creditore pignorante o dei comproprietari e sentiti tutti gli interessati, provvede, se possibile, alla separazione della quota spettante al debitore.

Ebbene, in caso di pignoramento di conto cointestato, la banca, nel rendere la dichiarazione, dovrà dare atto dell’esistenza del rapporto cointestato, di modo che il creditore possa attivarsi ai sensi dell’art. 599 c.p.c.
Per quanto concerne la presunzione di appartenenza pro quota (in questo caso in ragione del 50%), trattasi di mera presunzione relativa, suscettibile di prova contraria.
Al riguardo, così si è espressa la Suprema Corte (Cass. civ., sez. II, 29 aprile 2019, sent. n. 11375 nonché Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 2021, sent. n. 48386): “la cointestazione di un conto corrente, attribuendo agli intestatari la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto (art. 1854 del c.c.) sia nei confronti dei terzi, che nei rapporti interni, fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto (art. 1298 del c.c. comma 2), ma tale presunzione dà luogo soltanto all’inversione dell’onere probatorio e può essere superata attraverso presunzioni semplici purchè gravi, precise e concordanti – dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa”.

In altri termini, in caso di pignoramento del conto cointestato (ove si trovano depositati i risparmi di entrambi i coniugi), sarebbe del tutto legittima la condotta della banca che, onde evitare il rischio di pregiudicare le ragioni creditorie, provveda al blocco del rapporto sino alla concorrenza dell’intero importo pignorato, poiché non può essere a conoscenza delle effettive quote di spettanza dell’uno e dell’altro cointestatario.
In assenza di prova contraria, le quote si presumeranno uguali e il giudice dell’esecuzione, in caso di conto corrente intestato a due soggetti, provvederà all’assegnazione del 50%.

Per quanto concerne, poi, la soluzione di spostare i risparmi su un conto corrente intestato al coniuge non debitore, si tratta senza dubbio di una soluzione possibile, ma occorre tenere conto del fatto che, risultando l’operazione posta in essere dopo che il debito è venuto ad esistenza, il nostro ordinamento giuridico offre al creditore una serie di rimedi, dei quali egli può giovarsi al fine di non essere privato, in caso di inadempimento del debitore, della garanzia generica costituita dal patrimonio del debitore.
Nel caso di specie il creditore non esiterebbe ad avvalersi del più importante di questi rimedi, ovvero l’azione revocatoria, prevista e disciplinata dall’art. 2901 del c.c., ove è stabilito che, qualora ricorrano determinate condizioni, diverse a seconda che l’atto sia a titolo oneroso o gratuito, siano dichiarati inefficaci nei confronti del creditore gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore abbia arrecato pregiudizio alle sue ragioni.

Ultima domanda a cui può darsi risposta è quella relativa alla pignorabilità o meno della pensione, considerato che la moglie percepisce una pensione artigiani di euro 702.
Al riguardo va precisato che non tutte le pensioni possono essere pignorate, in quanto, nell’ottica di tutelare la posizione giuridica di soggetti appartenenti a fasce deboli della popolazione, il nostro ordinamento prevede la possibilità di pignorare esclusivamente i trattamenti previdenziali, ma non quelli assistenziali (sono tali la pensione di invalidità civile, l’indennità di accompagnamento, l’assegno sociale).
Per i trattamenti previdenziali, invece, vale il disposto di cui al comma 7 dell’art. 545 del c.p.c., il quale dispone che le pensioni non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell’assegno sociale, con un minimo di euro 1000 (solo la parte eccedente tale ammontare è pignorabile).
Nel caso in esame, dunque, risultando la pensione pari ad euro 702, si è ben al di sotto del limite minimo di pignorabilità.

Per tutte le altre questioni relative a rateizzazione, dilazioni di pagamento, ecc., si consiglia di rivolgersi ad un consulente fiscale o ad un patronato.

Giorgio F. chiede
venerdì 06/11/2020 - Piemonte
“Buongiorno vorrei avere una vostra consulenza su questo quesito:
un immobile è gravato da ipoteca per un mutuo contratto dalla società Alfa. La società Alfa vende alla società Beta l'immobile ma la società Beta non fa l'accollo del mutuo pertanto rimane in capo alla società Alfa.
La società Alfa interrompe il pagamento delle rate del mutuo e di conseguenza la banca emette decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo e relativo precetto. Sia il decreto ingiuntivo sia il precetto non vengono notificati alla società Beta (nuova proprietaria). La banca può procedere all'esproprio dell'immobile alla società Beta pur non essendo stata avvisata o il tutto è da ritenersi nullo proprio per questo motivo?
Attendo cortese risposta. Cordiali saluti”
Consulenza legale i 12/11/2020
Una situazione di tale tipo, definita in modo sintetico “Responsabilità senza debito”, viene espressamente disciplinata dal secondo comma dell’art. 2910 c.c., il quale consente appunto di espropriare beni di un terzo quando gli stessi risultano vincolati a garanzia del credito.
Detta norma deve poi raccordarsi con la disciplina dettata nel codice di procedura civile agli artt. 602-604 c.p.c., le quali disciplinano appunto l’esecuzione contro il terzo proprietario; in particolare, l’art. 602 del c.p.c. stabilisce che si applicano le disposizioni generali in tema di pignoramentoin quanto non siano modificate dagli articoli che seguono”.
Le disposizioni generali prevedono che colui il quale intende agire esecutivamente sui beni del proprio debitore deve preliminarmente notificare allo stesso titolo esecutivo e precetto.
Ecco che già in questa fase ritroviamo la prima modifica alle regole ordinarie.
L’art. 603 del c.p.c., infatti, dispone che titolo esecutivo e precetto debbono essere notificati anche al terzo, aggiungendo che nel precetto si deve fare espressa menzione del bene del terzo che si intende pignorare.

Il precetto, dunque, avrà una duplice finalità:
  1. intimare al debitore di pagare;
  2. mettere il terzo in condizione di conoscere l’imminente espropriazione e di avvalersi, se vuole, dei rimedi che la legge gli consente.
Soltanto in questo modo, infatti, la società Beta sarà posta in condizione, se vuole, di intervenire per difendere la sua proprietà.
Potrà, intanto, porre in essere i rimedi preventivi che la legge le consente, che sono quelli previsti dagli artt. 2858 e ss. c.c., ossia, pagamento dei creditori iscritti, rilascio dei beni ai creditori e liberazione dalle ipoteche.

Qualora non vogli avvalersi di tali rimedi, secondo il disposto dell’art. 604 del c.p.c. il pignoramento ed in generale tutti gli atti di espropriazione si compiranno nei confronti del terzo (la società Beta), il quale acquisterà la qualità di diretto esecutato sullo stesso piano del debitore.
In quanto tale, la società Beta avrà tutto il diritto di opporsi all’esecuzione con il mezzo tipico di cui dispone il debitore (art. 615 del c.p.c.), per far valere le eccezioni opponibili al creditore secondo quanto disposto dagli artt. 2859 e 2870 c.c.
Per effetto dell’art. 2859 del c.c., infatti, il terzo proprietario potrà opporre al creditore procedente in via esecutiva tutte le eccezioni che spettano al debitore, sia quelle strettamente inerenti al credito azionato che quelle personali al debitore.

Nel caso di specie sembra che il creditore procedente, ossia la Banca, non abbia minimamente tenuto conto delle disposizioni sopra richiamate, e che abbia del tutto omesso gli adempimenti prescritti nei confronti del terzo proprietario non debitore.
Ebbene, poiché il vero soggetto passivo dell'espropriazione è il terzo proprietario, il suo mancato coinvolgimento nel processo esecutivo da parte del creditore dà luogo alla nullità dell'espropriazione.
Inoltre, malgrado in alcune occasioni sia stato sostenuto che il conflitto sostanziale tra il terzo proprietario pretermesso e l’eventuale aggiudicatario debba essere risolto in favore di quest'ultimo, a meno che non venga fornita la prova della collusione con il creditore procedente ex art. 2929 del c.c., di contro secondo altra tesi la disciplina di cui all'art. 2929 c.c. può trovare applicazione soltanto per quei vizi di forma che comportano la nullità dei singoli atti esecutivi.

Nel caso in cui, invece, l’esecuzione colpisca un immobile gravato da ipoteca per un debito altrui, ed i relativi atti esecutivi siano compiuti nei confronti del debitore, anziché nei confronti del terzo proprietario dell'immobile (come invece dispone l'art. 604 c.p.c.), non essendo l'azione esecutiva diretta contro l'unico soggetto passivamente legittimato, la stessa non può che qualificarsi del tutto illegittima ed inidonea ad attuare la funzione dell'espropriazione forzata.
L’azione per mezzo della quale far valere tale illegittimità non può essere qualificata come opposizione di forma, priva di effetti nei confronti dell'acquirente, bensì come opposizione di merito, poiché con essa si contesta che passivamente legittimata alla espropriazione sia la parte che in realtà è stata assoggettata ad esecuzione forzata, con la conseguenza che l'atto conclusivo dell'azione esecutiva risulterebbe inutiliter dato.

In considerazione di quanto sopra detto, dunque, ed al fine di evitare che la procedura continui ad andare avanti e si possa giungere alla vendita (con i possibili problemi cui si è prima accennato nei confronti del terzo acquirente), ciò che si consiglia è di avvalersi immediatamente dello strumento dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 del c.p.c., la quale ha per oggetto la contestazione del diritto di promuovere l’esecuzione forzata e che è esperibile tanto dal debitore che dal terzo assoggettato, in virtù della loro equiparazione processuale (cfr. Cass. n. 9219/1995).