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Articolo 600 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Convocazione dei comproprietari

Dispositivo dell'art. 600 Codice di procedura civile

Il giudice dell'esecuzione, su istanza del creditore pignorante o dei comproprietari e sentiti (1) tutti gli interessati (2), provvede (3), quando è possibile (4), alla separazione della quota in natura spettante al debitore [disp. att. 180].

Se la separazione in natura non è chiesta o non è possibile (5), il giudice dispone che si proceda alla divisione a norma del codice civile, salvo che ritenga probabile la vendita della quota indivisa(6) ad un prezzo pari o superiore al valore della stessa, determinato a norma dell'articolo 568.

Note

(1) Il giudice dell'esecuzione fissa con decreto in calce al ricorso la data dell'udienza di comparizione dei soggetti interessati, ordinando al creditore o al comproprietario istanti di notificare il ricorso ed il pedissequo decreto ai contitolari e agli altri interessati, assegnando un apposito termine.
(2) Accanto ai contitolari non obbligati, che sono stati avvisati ai sensi degli artt. 599 e 180 disp. att., è necessario che vengano ascoltati anche gli aventi causa da questi e dal debitore, i creditori iscritti che abbiano notificato opposizione in data anteriore al pignoramento nonché i creditori intervenuti. Inoltre, è bene precisare che i creditori ipotecari se muniti di titolo esecutivo potranno provocare i singoli atti di esecuzione.
(3) Il giudice dell'esecuzione, se ritiene opportuno disporre la separazione, pronuncia un'apposita ordinanza, impugnabile ai sensi dell'art. 617.
(4) Il giudice dell'esecuzione può decidere tra tre diversi modi di liquidazione della quota, valutando prima di ogni cosa, se è possibile la separazione in natura della quota spettante al comproprietario debitore. Solamente nell'ipotesi in cui la separazione risulti materialmente impossibile o sconveniente sotto il profilo economico, arrecando pregiudizio agli altri comproprietari, potrà optare per la vendita della quota indivisa e per la divisione dell'intero bene.
Inoltre, è bene precisare che gli stessi comproprietari possano giungere ad un accordo, evitando la materiale separazione e la vendita della quota spettante al debitore o la divisione giudiziale dell'intero bene tramite un versamento di un conguaglio in danaro, quando questo risulti più conveniente.
(5) Secondo l'opinione dottrinale maggioritaria un'ulteriore ipotesi in cui non sia possibile giungere alla separazione, si verifica quando, nonostante il bene comune risulti materialmente divisibile, la divisione determinerebbe l'inidoneità all'uso a cui il bene sia destinato.
(6) Il giudice dell'esecuzione dispone, solo previa istanza di parte, la vendita della quota, sempre che questa possa avvenire ad un prezzo pari o superiore a quello base determinato ex art. 568 del c.p.c., ovvero al prezzo che normalmente sarà individuato dallo stimatore. Tale vendita produce come effetto la cessione della qualità di condomino e, di conseguenza, il subingresso dell'acquirente nei diritti ed obblighi inerenti a tale qualità, evitando lo scioglimento della comunione.

Spiegazione dell'art. 600 Codice di procedura civile

La norma in esame dispone innanzitutto che per procedere alla liquidazione della quota il giudice deve sentire tutti gli interessati, vincolandolo a preferire la separazione in natura della porzione del debitore ed affidandogli la scelta tra la vendita della quota indivisa e la divisione per il caso in cui la separazione non sia possibile o non sia richiesta dal creditore pignorante o dai comproprietari.

Il secondo comma limita il ricorso alla vendita della quota indivisa a quei soli casi in cui essa appaia ex ante in grado d'assicurare un corrispettivo almeno pari al valore della quota stessa, determinato ai sensi dell'art. 568cpc.

Eseguito il pignoramento e notificato ai contitolari del diritto espropriando l'avviso di cui all' art. 599, 2° co., il creditore procedente ha l'onere di proporre istanza di vendita.
A seguito del deposito di tale istanza, il giudice fissa l'udienza con decreto comunicato a tutti gli interessati a norma dell'art. 485 del c.p.c., ossia tramite biglietto di cancelleria; per la fissazione di tale udienza devono essere stati previamente inseriti nel fascicolo dell'esecuzione l'avviso ai creditori iscritti (si veda il secondo comma dell’art. 498 del c.p.c.), il certificato di iscrizione dei privilegi (si veda il terzo comma dell’art. 529 del c.p.c.), la documentazione di cui al secondo comma dell’art. 567 del c.p.c., l'avviso di avvenuto pignoramento notificato ai comproprietari (si veda il secondo comma dell’art. 599 del c.p.c.) e l'eventuale atto separato di cui al secondo comma dell’art. 180 delle disp. att. c.p.c..
Nella nozione di interessati, a cui fa riferimento la norma da ultimo citata, si ritiene debbano essere ricompresi i contitolari estranei al titolo esecutivo, gli aventi causa dal debitore e dai contitolari, i creditori iscritti e quelli che abbiano fatto opposizione ex art. 1113 del c.c. in data anteriore al pignoramento, nonché i creditori intervenuti nel processo esecutivo.
All'udienza stabilita, il giudice dell'esecuzione provvede in ordine alle modalità di liquidazione della quota indivisa; il provvedimento che adotterà avrà natura di atto esecutivo, impugnabile mediante opposizione formale e non mediante ricorso straordinario per Cassazione.

Come è stato prima accennato, tra i modi di liquidazione della quota il giudice deve preferire, se possibile, la separazione in natura della porzione, ossia di quella parte, materialmente determinata, che spetta al debitore sul bene comune, procedendo alla successiva vendita della medesima.
Tutti i contitolari sono legittimati a proporre istanza di separazione, manifestando in tal modo la loro volontà di mantenere la comunione, estromettendo il debitore; si ritiene preferibile la tesi secondo cui per la separazione in natura occorre il consenso di tutti i contitolari.
Se la quota da espropriare concerne un diritto appartenente in comunione a due persone, la separazione in natura della stessa coincide con la divisione totale.
Dopo il provvedimento di separazione, il processo esecutivo prosegue per la vendita o l'assegnazione del lotto attribuito al debitore secondo le regole ordinarie di ciascun mezzo di espropriazione, mentre cessano gli effetti nei confronti dei contitolari estranei al titolo esecutivo.

Nel solo caso in cui la separazione in natura non sia possibile, il giudice dell'esecuzione deve scegliere tra la vendita o l'assegnazione della quota indivisa e la divisione totale.
In forza di quanto adesso disposto dal secondo comma di questa norma, la scelta non viene più effettuata secondo meri criteri di opportunità e convenienza, ma sulla base di un giudizio prognostico, avente ad oggetto le possibilità di riuscita della vendita della quota indivisa.
La vendita della quota indivisa comporta la cessione della qualità di contitolare, ovvero l’acquirente subentra a titolo derivativo nella posizione del debitore nella comunione che rimane integra.
Il provvedimento con il quale viene disposta la vendita ha forma di ordinanza, è revocabile ex art. 487, 1° co., e opponibile ex art. 617 del c.p.c..
Il procedimento di liquidazione avviene nelle forme ordinarie, non essendo per ciò necessaria una nuova istanza.

Se non è possibile la separazione in natura e non è conveniente la vendita della quota indivisa, il giudice dispone la divisione del bene comune, la quale comunque presuppone una istanza dei creditori o dei contitolari non esecutati, non essendo possibile una procedura di divisione instaurata d'ufficio.
Il giudice dell'esecuzione che ritenga conveniente la divisione totale provvede personalmente all'istruzione della causa a norma degli artt. 175 e ss. se gli interessati sono tutti presenti; in caso contrario, il giudice dell'esecuzione, con l'ordinanza di cui al secondo comma della norma in esame fissa l'udienza avanti a sé per la comparizione delle parti, concedendo termine alla parte più diligente fino a sessanta giorni prima per l'integrazione del contraddittorio mediante la notifica dell'ordinanza medesima (in tal senso art. 181 delle disp. att. c.p.c.).
In tal modo si viene ad instaurare un giudizio ordinario di cognizione ex artt. 784- 791, autonomo rispetto al processo esecutivo ancorché ad esso funzionalmente collegato; se tale giudizio è ritualmente instaurato, il processo esecutivo è sospeso ai sensi dell'art. 601 del c.p.c..
Le spese del giudizio di divisione sono regolate dal principio della soccombenza, potendo peraltro essere considerate come spese del processo esecutivo, e quindi gravare sul debitore, salvo il regresso del debitore esecutato pro quota verso i condividenti.

Massime relative all'art. 600 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 22043/2014

In tema di esecuzione forzata immobiliare su bene indiviso, la separazione della quota in natura spettante al debitore esecutato è consentita, ai sensi degli artt. 599, 600 e 601 cod. proc. civ., solo se i comproprietari dei beni indivisi, non siano tutti condebitori solidali del creditore procedente, sicché la separazione va esclusa quando, intrapresa l'espropriazione dell'immobile appartenente "pro indiviso" a due coobbligati, uno di essi sia dichiarato fallito e nel procedimento esecutivo contro costui sia subentrato, ex art. 107 legge fall., il curatore del fallimento.

Cass. civ. n. 2624/2003

In tema di esecuzione forzata ed in ipotesi di espropriazione di beni indivisi l'ordinanza adottata ai sensi dell'art. 600 c.p.c., con la quale il giudice dell'esecuzione dispone la vendita della quota indivisa spettante al debitore esecutato — avendo natura di provvedimento esecutivo volto ad assicurare un ordinato svolgimento della procedura in vista del soddisfacimento coattivo dei diritti del creditore procedente — è revocabile dallo stesso giudice che l'ha adottata ed è impugnabile con opposizione agli atti esecutivi, ma non è ricorribile per cassazione ex art. 111 Costituzione.

Cass. civ. n. 718/1999

Nel caso di esecuzione forzata intrapresa dal creditore particolare di uno solo dei coniugi, su beni oggetto di comunione legale fra gli stessi, non può procedersi alla vendita della quota del singolo bene di spettanza del coniuge debitore se non dopo la previa audizione dell'altro coniuge affinché quest'ultimo possa eventualmente far valere le limitazioni di cui agli artt. 187 e 189 c.c.; in difetto di una tale audizione il procedimento esecutivo deve arrestarsi. Il coniuge non debitore — d'altronde — è parte necessaria del giudizio nato dall'opposizione proposta avverso l'ordinanza di vendita.

Cass. civ. n. 6549/1985

In tema di espropriazione forzata immobiliare su bene indiviso, in forza di pignoramento limitato alla quota di spettanza del debitore, il potere-dovere del giudice dell'esecuzione di adottare i provvedimenti contemplati dall'art. 600 c.p.c. e configuranti atti esecutivi in senso proprio, resta soggetto, oltre che alla sussistenza dell'indicato presupposto del pignoramento di sola quota, alle modalità ed ai criteri fissati dalla norma medesima, che prevede, in via principale, la separazione di detta quota in natura, e, solo quando ciò sia impossibile, consente la scelta fra la vendita della quota stessa e la divisione della comunione, da disporsi con un ordine del medesimo giudice della esecuzione di trattazione ed istruzione della causa davanti a sé (quale giudice istruttore), ove la competenza spetti all'ufficio giudiziario al quale appartiene e siano presenti nel processo esecutivo tutti gli interessati, ovvero, in difetto di tali condizioni, con ordine di instaurazione di autonomo procedimento e fissazione all'uopo di termine perentorio. L'inosservanza di detti principi (ivi inclusa, pertanto, la inapplicabilità dell'art. 600 cit., perché l'esecuzione, sia pure a seguito di riunione di pignoramenti, venga a svolgersi in danno di tutti i comproprietari) si traduce in un vizio di legittimità del relativo atto esecutivo, e come tale è deducibile dagli interessati con l'opposizione contemplata dall'art. 617 c.p.c.

Cass. civ. n. 1114/1976

Poiché, a norma degli artt. 599, 600 e 601 c.p.c., la separazione della quota in natura spettante al debitore esecutato è consentita nel solo caso in cui non tutti i comproprietari dei beni indivisi, oggetto dell'esecuzione, siano obbligati nei confronti del creditore procedente, non può disporsi tale separazione nella ipotesi in cui, dopo che il creditore abbia iniziato il procedimento di espropriazione di un immobile appartenente a due suoi debitori solidali, uno di questi sia fallito e nel procedimento esecutivo contro costui sia subentrato, a norma dell'art. 107 legge fallimentare, il curatore del fallimento.

Cass. civ. n. 1431/1963

A norma dell'art. 202 del T.U. 29 gennaio 1959, n. 645, sulla riscossione delle imposte dirette, la vendita dei beni pignorati dall'esattore si effettua: 1) con il sistema del pubblico incanto, il che esclude la possibilità della vendita senza incanto e dell'assegnazione dei beni; 2) a cura dell'esattore, il quale deve pertanto provvedere a tutte le formalità necessarie preliminari all'incanto; 3) senza autorizzazione dell'autorità giudiziaria, il che importa deroga agli artt. 530, 552 e 569 c.p.c. Ne consegue che nel caso che i beni pignorati dell'esattore siano indivisi tra il debitore e gli altri comproprietari non obbligati, e la separazione della quota in natura spettante al debitore non sia possibile, il pretore non ha il potere, attribuito dall'art. 600 del c.p.c. al giudice dell'esecuzione nel procedimento ordinario, di ordinare la vendita della quota indivisa spettante al debitore.

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Consulenze legali
relative all'articolo 600 Codice di procedura civile

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Anonimo chiede
sabato 20/05/2023
“Buongiorno,
qui di seguito espongo il seguente quesito:
io e mia madre nel 2005 abbiamo ereditato degli immobili dopo la morte di mio padre, ½ ciascuno.
Il creditore della mamma – avendo titolo solo verso di lei - effettuò un pignoramento immobiliare sulla quota di ½ di sua proprietà intervenendo nella procedura esecutiva già pendente verso mio padre; venne aperto un giudizio di divisione endoesecutiva che poi è stata dichiarato estinto insieme all’esecuzione per inattività del creditore (mancata rinnovazione della trascrizione del pignoramento al ventennio).
Nel 2016 è venuta a mancare anche la mamma ed io ho accettato l’eredità con beneficio d’inventario regolarmente trascritta.
Nel 2022 il creditore ha effettuato un nuovo pignoramento sulla quota di ½ di proprietà della mamma e dovrà essere riaperta una nuova divisione; il pignoramento è stato notificato a me e trascritto nei miei confronti.
Mentre prima della morte della mamma mi qualificavo come comproprietario e, mi sembra pacifico, potessi chiedere l’assegnazione della quota pignorata pagando il relativo conguaglio ex art. 720 c.c., a questo punto mi sorge il dubbio che possa ancora farlo poiché sono sia proprietario di una quota non pignorata ma anche proprietario della quota ereditata dalla mamma, quindi anche debitore.
Data la peculiare situazione, ritenete che incorra inevitabilmente nel divieto di cui all’art. 571 c.p.c. oppure l’istanza di assegnazione ex art. 720 c.c. potrei farla lo stesso qualificandomi come proprietario della quota non pignorata? Oppure ancora potrei partecipare all’eventuale asta?
Ringrazio per una cortese risposta.
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 28/05/2023
Occorre innanzitutto chiarire la situazione proprietaria dei beni a seguito della morte di entrambi i genitori.
Alla morte del padre, avvenuta nell’anno 2005, Caia (madre) e Primo (figlio) sono diventati proprietari del patrimonio immobiliare facente capo al de cuius in ragione di un mezzo indiviso ciascuno (probabilmente per successione legittima, secondo quanto disposto dall’art. 581 del c.c.).
Tralasciando le sorti del successivo pignoramento immobiliare, eseguito sulla sola quota di pertinenza di Caia ad istanza di un creditore personale della medesima e poi dichiarato estinto per inattività del creditore procedente, il successivo passaggio da prendere in considerazione è la morte di Caia, avvenuta nel 2016.
A tale data Primo diviene proprietario dell’intero patrimonio immobiliare (non si conosce se costituito da uno o più immobili), e precisamente in ragione di un mezzo indiviso per successione al padre deceduto nell’anno 2005 e per l’altro mezzo indiviso per successione alla madre.
Primo, consapevole dell’esistenza di uno o più debiti della madre, accetta l’eredità avvalendosi del beneficio di inventario, scelta sicuramente più che corretta, considerato che nell’anno 2022 il creditore della defunta Caia decide di porre in essere una nuova azione esecutiva immobiliare, ovviamente aggredendo la sola quota di pertinenza di Caia ed adesso ereditata da Primo.

Quest’ultimo, tuttavia, non solo risulta proprietario dell’intero in forza di diversi titoli di provenienza (un mezzo per successione al padre e l’altro mezzo per successione alla madre debitrice), ma gode, avendo accettato con beneficio di inventario, degli effetti che da tale forma di accettazione ne derivano, ovvero la separazione del suo patrimonio (nel quale è compreso il mezzo indiviso di provenienza dalla successione paterna) da quello della madre.
Ciò consente non tanto di potersi avvalere del disposto di cui all’art. 720 del c.c. (non potendosi in effetti configurare più una divisione tra coeredi), quanto piuttosto di poter invocare l’applicazione delle norme che il codice di procedura civile detta, agli artt. 599601 c.p.c., in materia di espropriazione di beni indivisi (sugli immobili pignorati, infatti, vi è una concorrenza di c.d. masse plurime, ovvero di quote provenienti da titoli diversi).

Si tenga presente che a seguito della riforma delle esecuzioni attuata con la Legge n. 80 del 14.05.2005, il legislatore ha introdotto una modifica particolarmente incisiva nell’espropriazione di beni indivisi, recependo una prassi virtuosa seguita da molti Tribunale d’Italia che, nell’ipotesi di pignoramento di quota indivisa di un bene in comunione, anziché porre in vendita la stessa, optavano per le altre soluzioni previste dall’art. 600 c.p.c., ovvero la separazione in natura o l’instaurazione di un giudizio di divisione.
In tal modo risultava possibile pervenire ad una potenziale migliore realizzazione della quota oggetto di azione esecutiva, posto che sia nell’uno che nell’altro caso, in luogo di una quota astratta, sicuramente di difficile appetibilità, si immetteva sul mercato una porzione immobiliare concreta (in caso di separazione in natura) se non l’intero immobile (a seguito della vendita, nel giudizio di divisione, dell’intero immobile che, come di frequente accade, non sia comodamente divisibile).

Prima della suddetta riforma, l’esperienza aveva dimostrato che gli incanti aventi ad oggetto quote indivise andavano sistematicamente deserti, con conseguenti progressivi ribassi della base d’asta ed aggiudicazioni ad un prezzo pressoché irrisorio, con evidente pregiudizio sia delle ragioni dei creditori che della stessa parte esecutata, la quale vedeva ricavare dai propri beni un prezzo del tutto insufficiente per estinguere la propria posizione debitoria.
Con la riforma, invece, la gerarchia delle modalità di scioglimento della comunione è stata sovvertita, in quanto la scelta tra la separazione della quota in natura e l’instaurazione del giudizio di divisione è divenuta la regola, mentre la vendita della quota indivisa costituisce adesso l’eccezione, ovvero una soluzione residuale da adottarsi soltanto quando il giudice dell’esecuzione ravvisi una concreta possibilità di ottenere per tale via un ricavato pari se non superiore al valore della quota, secondo la stima che ne è stata fatta ex art. 568 del c.p.c..

E’ proprio di queste norme, ed in particolare dell’art. 600 c.p.c., che si suggerisce di invocare l’applicazione.
La separazione della quota in natura richiede che vi sia un’espressa istanza proveniente dai comproprietari o da un creditore, non potendo essere disposta d’ufficio dal giudice dell’esecuzione, neppure quando sia materialmente possibile.
In questo modo si viene sostanzialmente a realizzare una divisione parziale, per effetto della quale la quota pro indiviso spettante al debitore viene convertita in una porzione concreta, sulla quale il creditore procedente potrà soddisfarsi.
Ovviamente tale opzione presuppone la possibilità di stralciare una porzione concreta della massa indivisa, possibilità che va valutata sia sotto il profilo materiale che sotto quello della fruibilità commerciale della porzione separabile.

Ulteriore alternativa, prevista sempre dalla norma in esame (si veda il secondo comma) è quella dell’instaurazione del giudizio di divisione, anch’esso finalizzato a far cessare lo stato di comunione.
Tale giudizio si conclude generalmente con la pronuncia di un’ordinanza, con la quale viene formulato un progetto, il cui contenuto varia in rapporto alle tre differenti modalità di realizzazione dello scioglimento della comunione, ovvero:
a) assegnazione dell’intero bene al comproprietario che lo richiede, dietro versamento del prezzo di stima;
b) vendita dell’intero bene;
c) attribuzione di porzioni concrete del bene a ciascun comproprietario dietro eventuali versamenti di conguagli.

Ebbene, nel caso di specie, se si ha interesse, come sembra, a recuperare l’immobile pignorato nella sua interezza, si ritiene certamente possibile avanzare al giudice dell’esecuzione istanza per disporre la scioglimento della comunione mediante assegnazione dell’intero bene allo stesso istante, il quale in questo caso agirebbe non già nella qualità di debitore, bensì di proprietario indiviso della quota non pignorata di quel medesimo immobile (la dualità di posizione si può far scaturire anche dalla circostanza che l’eredità di Tizia è stata accettata con beneficio di inventario, ciò che consente di mantenere distinto il patrimonio del de cuius da quello dell’erede).
Ovviamente, l’assegnazione del bene non potrebbe che avvenire dietro versamento del prezzo di stima.

Infine, in considerazione di quella dualità di posizioni di cui può giovarsi l’erede esecutato, si ritiene sia consentito a quest’ultimo di prendere parte all’eventuale asta a cui potrebbe giungersi, non incorrendo nel divieto di cui all’art. 571 del c.p.c., nella parte in cui è detto che “Ognuno, tranne il debitore, è ammesso a offrire per l’acquisto dell’immobile pignorato…”.
In questo caso, infatti, a parte la separazione dei patrimoni derivante dal beneficio di inventario, l’offerta deve intendersi come proveniente da colui che è proprietario della quota non pignorata e, come tale, si ritiene non possa essere rifiutata.

P. P. chiede
lunedì 12/11/2018 - Abruzzo
“buona sera, vorrei sapere se il giudice delegato all'esecuzione delle vendite all'asta può decidere di applicare l'art. 600 del c.p.c. con l'asta già in corso, oppure deve aspettare che tutte le aste vadano deserte.
Grazie”
Consulenza legale i 19/11/2018
In realtà, l’art. 600 c.p.c. citato nel quesito fa riferimento ad un'ipotesi procedurale antecedente all’asta.

Di seguito sono descritti i vari passaggi.
Una volta eseguito il pignoramento e dopo aver inviato avviso di quest’ultimo a tutti i comproprietari del bene indiviso soggetto ad esecuzione, il creditore procedente ha onere di proporre istanza di vendita.
Depositata l’istanza, il Giudice fissa udienza (comunicandolo con decreto a tutti gli interessati).
E’ all’udienza in questione che il Giudice, se non ritiene di svolgere prima dell'attività di natura “preparatoria” (come ad esempio la nomina di uno stimatore), provvede sulle modalità di liquidazione della quota, secondo quanto stabilito dall’art. 600 c.p.c..

Se viene disposta (perché possibile) la separazione della quota spettante al debitore in natura (ovvero la parte materialmente determinata che spetta al debitore sul bene comune), allora il processo esecutivo prosegue con la vendita o l’assegnazione, ovviamente del solo lotto attribuito al debitore. Gli effetti del pignoramento cessano invece per tutti gli altri contitolari estranei al titolo.
Se, al contrario, non è possibile la separazione in natura, il Giudice deve eseguire una valutazione prognostica sull’opportunità di disporre un giudizio di divisione del bene, ovvero dovrà cercare di capire se sia probabile che la vendita della quota indivisa produca ricavi pari o maggiori al valore della medesima.

Qualora venga instaurato il giudizio di divisione, quello esecutivo rimane sospeso, in attesa della definizione del primo. Si tratta di sospensione automatica e necessaria.
Quando si è concluso il giudizio di divisione il creditore procedente ha poi l’onere di riassumere quello esecutivo entro sei mesi (dalla cessazione della causa di sospensione o comunque dal termine indicato dal Giudice). Una volta ripresa l’esecuzione, si procederà quindi alla liquidazione del lotto assegnato al debitore, secondo le regole generali.

Per concludere: non è possibile che il Giudice adotti provvedimenti in ordine alla liquidazione di quote di beni indivisi soggetti ad esecuzione nel corso di una vendita già disposta e pendente, perché si tratta di una valutazione che deve necessariamente precedere quest'ultima.

Daniela chiede
lunedì 13/02/2012 - Lazio
“grazie se riuscirete a togliermi la paura che mi ha preso dal ricevimento della notifica di oggi.sono 4 mesi che non posso pagare l affitto,non abbiamo lavoro e viviamo a stenti,comunque il padrone di casa ha tutte le ragioni.ma perchè essere chiamata al tribunale art. 140 c.p.c? Per favore datemi una risposta.grazie”
Consulenza legale i 22/02/2012

Il contratto di locazione costituisce la fonte primaria delle obbligazioni reciproche del locatore e del conduttore. La l. 431/1998 prevede che il mancato pagamento, anche di una sola mensilità del canone di locazione, dà la possibilità al proprietario di intimare lo sfratto per morosità, cioè di avere un ordine dal Tribunale per liberare la casa dall'inquilino che non paga. Gli obblighi principali del conduttore, infatti, sono non solo quelli di prendere in consegna la cosa ed osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l'uso determinato dal contratto, ma anche quelli di dare il corrispettivo nei termini convenuti. Il mancato pagamento del canone di locazione, dunque, legittima il locatore a richiedere al giudice la risoluzione del contratto e il rilascio dell'immobile da parte dell'inquilino.

Il legislatore, all'art. 5 della l. 431/1998, ha introdotto un criterio "certo" di gravità dell'inadempimento prevedendo che quest'ultimo sia grave quando il mancato pagamento del canone si protragga per oltre venti giorni dalla scadenza contrattuale. Laddove si verifichi questo presupposto, il locatore potrà introdurre nei confronti dell'inquilino inadempiente un procedimento di sfratto per morosità finalizzato ad ottenere dal giudice un'ordinanza di rilascio dell'immobile.

Il giudizio di convalida viene introdotto mediante un atto di citazione predisposto dal legale del locatore con il quale il conduttore viene chiamato a comparire davanti al giudice entro il termine di 20 giorni dalla notifica dell'atto stesso. All'udienza di convalida il conduttore può comparire anche personalmente (sarebbe opportuna l'assistenza di un avvocato per opporsi ad una accusa falsa) qualora non intenda opporsi allo sfratto.

Nel caso in cui il conduttore compaia in giudizio, non contesti la morosità ma manifesti comprovate difficoltà (come ad esempio i problemi economici che non hanno permesso di pagare le mensilità arretrate), è legittimato a chiedere al giudice una dilazione per il pagamento delle somme dovute al locatore (c.d. termine di grazia). L'inquilino deve allegare all'istanza ogni documento utile ai fini della valutazione del suo stato di bisogno e di necessità della proroga. Se il Giudice ritiene che ne sussistano i presupposti, concede con ordinanza un termine massimo di novanta giorni (in caso di disoccupati o cassaintegrati la proroga può arrivare a diciotto mesi) per pagare al locatore l'importo dovuto. In caso di pagamento delle somme indicate dal giudice entro il termine assegnato, il giudizio si estingue e il contratto di locazione resta in vita. In difetto dell'integrale pagamento delle somme richieste il giudice convaliderà lo sfratto fissando il termine per il rilascio dell'immobile non oltre sessanta giorni dalla scadenza di quello concesso per il pagamento.