Relazione al Codice Civile
(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)
1128 Uno degli argomenti che hanno maggiormente preoccupato il legislatore in sede di riforma del codice è stato quello dei privilegi, data la complessa natura di tale istituto, la varietà dei suoi effetti e la molteplicità del privilegi introdotti da leggi speciali: elementi tutti che concorrevano a renderne oltremodo incerta la nozione e difficile la disciplina sulla base di principi sicuri e uniformi. Il codice del 1865, che pure si era sforzato di eliminare la confusione di concetti creata dalla giurisprudenza formatasi sotto l'impero del codice francese e di ridurre il privilegio alla genuina espressione di «un diritto di prelazione che la legge accorda in riguardo alla causa del credito, secondo la definizione datane nell'art. 1952, aveva poi finito con l'ammettere, per la più importante categoria di privilegi, ossia per i privilegi speciali, alcuni effetti che mal si sarebbero potuti riportare alla semplice nozione di un diritto di prelazione. Questi effetti costituivano invero la manifestazione di un potere di contenuto più ampio, che poteva essere assimilato sotto molteplici aspetti a un vero e proprio diritto reale. Una conferma di ciò si può riscontrare nella prevalenza accordata al creditore sui diritti che altri avesse acquistati sulla cosa e, segnatamente, nella facoltà accordatagli di far valere il privilegio anche se la cosa fosse passata a persone diverse dal debitore. Ma la maggiore complicazione nel sistema derivava dalle leggi speciali, che spesso, nel dichiarare privilegiato un determinato credito, non si limitavano a richiamare puramente e semplicemente uno del privilegi previsti nel codice, col grado relativo, ma ne creavano addirittura nuovi, i quali, o per le condizioni richieste per il loro esercizio o per l'indole e l'ampiezza dei poteri accordati al creditore, spesso in contrasto con i principi del codice, si discostavano profondamente dalla figura di un semplice diritto di prelazione, per accostarsi piuttosto alle figure del pegno o dell'ipoteca. Ciò rendeva, tra l'altro, enormemente difficile la sistemazione di tali privilegi accanto a quelli previsti dal codice civile. Pertanto, allo scopo di apportare una chiarificazione nel sistema, ho voluto anzitutto mettere in evidenza la intrinseca diversità di contenuto e di effetti tra le due grandi categorie di privilegi, i generali e gli speciali, prevedendo e regolando il conflitto tra questi ultimi e gli eventuali diritti che i terzi abbiano acquistati sulle cose soggette al privilegio, come dirò, tra poco, a proposito degli
art. 2747 del c.c. e
art. 2748 del c.c.. Ho poi richiamato nel codice quei privilegi introdotti da altre leggi, che, per il loro carattere di stabilità o per la frequenza con la quale ricorrono nei rapporti della vita civile, meritavano una particolare considerazione. Si è accolto così, nei limiti del possibile, il voto di quanti chiedevano che si raccogliesse nel codice la lunga serie dei privilegi previsti dalle leggi speciali. Non ho creduto però di secondare questa tendenza sino al punto di fare espressa menzione anche di quei privilegi che, per la loro scarsa importanza o per il carattere contingente delle ragioni che ne avevano spiegato l'introduzione nel nostro ordinamento, non potevano trovar posto in una legge fondamentale e duratura, qual'è il codice civile. E' da tener presente inoltre che, anche riguardo alle categorie di privilegi previsti dalle leggi speciali ed accolti nel codice, il richiamo non poteva avere altro effetto che quello di stabilire il grado di prelazione ad essi spettante nei confronti dei privilegi stabiliti dallo stesso codice e di eliminare il dubbio sulla piena applicabilità delle disposizioni di questo quando non provvedessero le leggi speciali: le quali perciò conservano la loro efficacia, anche se difformi dalle disposizioni del codice (
art. 2750 del c.c., secondo comma).