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Articolo 1241 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Estinzione per compensazione

Dispositivo dell'art. 1241 Codice Civile

Quando due persone(1) sono obbligate l'una verso l'altra, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti, secondo le norme degli articoli che seguono.

Note

(1) Più correttamente, la norma avrebbe dovuto parlare di patrimoni appartenenti a diversi soggetti. La compensazione, infatti, opera anche in caso di accettazione dell'eredità beneficiata (484 c.c.) tra i due patrimoni che ne derivano in capo al medesimo erede.

Ratio Legis

In un'ottica particolare, la compensazione garantisce il creditore dall'eventuale inadempimento del debitore, poiché gli consente di compensare il suo credito con un debito che abbia verso la controparte. Secondo una visione più ampia, si favorisce la circolazione dei traffici giuridici rendendo più snelli i rapporti tra le parti.

Brocardi

Compensatio est debiti et crediti inter se contributio
Dedisse intelligendus est etiam is, qui permutavit vel compensavit
Id quod invicem debetur, ipso iure compensatur

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1241 Codice Civile

Cass. civ. n. 33872/2022

In tema di estinzione delle obbligazioni, la compensazione impropria (o atecnica) si distingue da quella propria, disciplinata dagli articoli 1241 e ss. c.c., poiché riguarda crediti e debiti che hanno origine da uno stesso rapporto, e si risolve in una verifica contabile delle reciproche poste attive e passive delle parti. E' per questo che il giudice può procedere d'ufficio al relativo accertamento anche in grado di appello, senza che sia necessaria un'eccezione di parte o una domanda riconvenzionale, sempre che l'accertamento si fondi su circostanze fattuali tempestivamente acquisite al processo.

Cass. civ. n. 28469/2020

L'applicabilità delle disposizioni degli articoli 1241 e segg. c.c. (riguardanti l'ipotesi della compensazione in senso tecnico - giuridico) postula l'autonomia dei rapporti dai quali nascono contrapposti crediti delle parti, mentre quando i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto si tratta di accertare semplicemente le reciproche partite di dare e avere, e a ciò il giudice può procedere senza che sia necessaria l'eccezione di parte o la proposizione della domanda riconvenzionale, purchè tale accertamento si fondi su circostanze tempestivamente dedotte in giudizio, in quanto diversamente si verificherebbe un - non consentito - ampliamento del "thema decidendum", né rileva il carattere ufficioso dell'eccezione anche in grado d'appello in difetto delle necessarie allegazioni.

Cass. civ. n. 26426/2020

In tema di responsabilità medica, il paziente che ometta di fornire alcune notizie nel corso dell'anamnesi, senza ricevere specifiche richieste dal medico, non può ritenersi corresponsabile delle carenze informative, verificatesi in quella sede, che hanno poi determinato l'errore diagnostico, perché non rientra tra i suoi obblighi né avere specifiche cognizioni di scienza medica, né sopperire a mancanze investigative del professionista. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che, accertata la responsabilità dei sanitari per omessa diagnosi della condizione di portatrice sana di talassemia in capo ad una donna in stato di gravidanza, divenuta madre di due gemelle affette da talassemia "maior", aveva affermato la concorrente responsabilità di quest'ultima e del di lei marito perché, consapevoli della condizione di portatore sano in capo a quest'ultimo, si erano rivolti ai medici per assicurarsi che non fosse tale anche lei ma, pur essendo a conoscenza di una patologia ematica, definita microcitemia, tra i collaterali della donna, non ne avevano parlato durante l'anamnesi). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 20/11/2017).

Cass. civ. n. 32438/2019

Nella compensazione di debiti reciproci aventi natura diversa, per essere uno di valore, in quanto a titolo di risarcimento danni, e l'altro di valuta, ai fini della determinazione del primo si deve tenere conto dell'incidenza della svalutazione monetaria, mentre la parte che fa valere il secondo può richiedere, ai sensi dell'art. 1224, comma 2, c.c., l'ulteriore risarcimento del "danno maggiore" da essa eventualmente subìto, rispetto a quello forfettariamente determinato dal primo comma dello stesso articolo nella misura degli interessi legali. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CAGLIARI, 12/05/2015).

Cass. civ. n. 31511/2019

Il dato temporale cui fare riferimento per stabilire se ricorra o meno un'ipotesi di estinzione dell'obbligazione per compensazione, anche in caso di compensazione giudiziale, è quello dell'insorgenza e non quello dell'accertamento del credito, che, se anteriore alla cessione, è opponibile al cessionario. (Rigetta, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 24/04/2014).

Cass. civ. n. 10798/2018

La compensazione impropria, che si verifica quando i contrapposti crediti e debiti delle parti hanno origine da un unico rapporto, rende inapplicabili le sole norme processuali che pongono preclusioni o decadenze alla proponibilità delle relative eccezioni, poiché in tal caso la valutazione delle reciproche pretese importa soltanto un semplice accertamento contabile di dare ed avere, al quale il giudice può procedere anche in assenza di eccezione di parte o della proposizione di domanda riconvenzionale. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CATANIA, 29/02/2012).

Cass. civ. n. 7474/2017

In tema di estinzione delle obbligazioni, si è in presenza di compensazione cd. impropria se la reciproca relazione di debito-credito nasce da un unico rapporto, in cui l'accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite può essere compiuto dal giudice d'ufficio, diversamente da quanto accade nel caso di compensazione cd. propria, che, per operare, postula l'autonomia dei rapporti e l'eccezione di parte; resta salvo il fatto che, così come la compensazione propria, anche quella impropria può operare esclusivamente se il credito opposto in compensazione possiede il requisito della certezza.

Cass. civ. n. 10750/2016

La disciplina della compensazione ex art. 1241 c.c. è applicabile nelle ipotesi in cui le reciproche ragioni di credito, pur avendo il loro comune presupposto nel medesimo rapporto, siano fondate su titoli aventi diversa natura, l'una contrattuale e l'altra extracontrattuale.

Cass. civ. n. 1695/2015

La compensazione presuppone che, in ogni caso, ricorrano, i requisiti di cui all'art. 1243 cod. civ., cioè che si tratti di crediti certi, liquidi ed esigibili (o di facile e pronta liquidazione). Ne consegue che un credito contestato in un separato giudizio non è suscettibile di compensazione legale, attesa la sua illiquidità, né di compensazione giudiziale, poiché potrà essere liquidato soltanto in quel giudizio, salvo che, nel corso del giudizio di cui si tratta, la parte interessata alleghi ritualmente che il credito contestato è stato definitivamente accertato nell'altro giudizio con l'efficacia di giudicato, né, comunque, alla cosiddetta "compensazione atecnica", perché essa non può essere utilizzata per dare ingresso ad una sorta di "compensazione di fatto", sganciata da ogni limite previsto dalla disciplina codicistica. (Omissis).

Cass. civ. n. 11729/2014

Le norme che regolano la compensazione, ivi compresa quella concernente il divieto di rilevarla di ufficio, riguardano l'ipotesi della compensazione in senso tecnico, che postula l'autonomia dei contrapposti rapporti di credito, ma non si applicano allorché i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto ovvero da rapporti accessori, in assenza quindi di autonomia, potendo il relativo calcolo, in tale evenienza, essere compiuto d'ufficio dal giudice in sede d'accertamento della fondatezza della domanda.

Cass. civ. n. 20874/2013

Perché operi la compensazione, ai sensi dell'art. 1241 c.c., è necessario che vi sia reciprocità di posizione creditoria e debitoria fra le medesime parti; ne consegue che è illegittima la compensazione operata da una banca tra un proprio credito ed il debito di un Comune del quale la stessa banca gestisca il servizio di tesoreria.

Cass. civ. n. 8971/2011

La compensazione impropria, che si verifica quando i contrapposti crediti e debiti delle parti hanno origine da un unico rapporto, rende inapplicabili le sole norme processuali che pongono preclusioni o decadenze alla proponibilità delle relative eccezioni, poiché in tal caso la valutazione delle reciproche pretese importa soltanto un semplice accertamento contabile di dare ed avere, al quale il giudice può procedere anche in assenza di eccezione di parte o della proposizione di domanda riconvenzionale; ne consegue che la compensazione impropria non osta all'applicazione dell'art. 1248 c.c., secondo cui il debitore che ha accettato puramente e semplicemente la cessione che il creditore ha fatto delle sue ragioni ad un terzo non può opporre al cessionario la compensazione che avrebbe potuto oppone al cedente.

Cass. civ. n. 7624/2010

L'istituto della compensazione presuppone l'autonomia dei rapporti cui si riferiscono i contrapposti crediti delle parti, mentre è configurabile la cosiddetta compensazione impropria allorché i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto, nel qual caso la valutazione delle reciproche pretese importa soltanto un semplice accertamento contabile di dare ed avere, potendo il giudice procedere, a tal fine, anche in assenza di eccezione di parte o della proposizione di domanda riconvenzionale, senza, però, essere investito di poteri officiosi d'indagine quanto all'esistenza dei rispettivi crediti e permanendo l'onere di allegazione e prova delle rispettive voci di credito a carico della parte interessata, nel rispetto del principio del contraddittorio.

Cass. civ. n. 17390/2007

In tema di estinzione delle obbligazioni, la compensazione in senso tecnico (o propria ) postula l'autonomia dei contrapposti rapporti di debito/credito e non è configurabile allorché essi traggano origine da un unico rapporto. In questi casi (compensazione c.d. impropria ) il calcolo delle somme a credito e a debito può essere compiuto dal giudice anche d'ufficio, in sede di accertamento della fondatezza della domanda, mentre restano inapplicabili le norme processuali che pongono preclusioni o decadenze alla proponibilità delle relative eccezioni. (Nella specie, la S.C., richiamato l'orientamento più rigoroso che limita l'applicabilità del principio ai casi in cui le contrapposte ragioni di debito e credito non solo derivino dal medesimo rapporto negoziale, ma siano anche legate da un vincolo di corrispettività, ha affermato che nel caso esaminato ricorreva anche un tal vincolo, in quanto il diritto al compenso spettante all'appaltatore trovava riscontro nel diritto della committente al rimborso delle spese sostenute per effetto dell'asserito inadempimento di lui, con la conseguente cassazione della sentenza di appello che aveva ritenuto tardiva, perché proposta solo in appello, l'eccezione di compensazione ).

Cass. civ. n. 21802/2006

Nel caso di coesistenza di debiti reciproci aventi natura diversa, per essere uno di valore, in quanto a titolo di risarcimento danni, e l'altro di valuta, nella determinazione, ai fini della compensazione, dell'ammontare del primo, non può non tenersi conto — dovendo i danni da risarcire essere determinati con riferimento ai valori monetari del tempo della decisione finale della causa — della incidenza della svalutazione monetaria, il cui calcolo, con la conseguente sua aggiunta all'entità dei danni determinata con riferimento ai valori della moneta al tempo, dell'evento dannoso, costituisce una semplice modalità della liquidazione.

Cass. civ. n. 18498/2006

Quando tra due soggetti i rispettivi debiti e crediti hanno origine da un unico — ancorché complesso — rapporto, come nel caso in cui i reciproci crediti al risarcimento dei danni derivino da un unico evento prodotto dalle concomitanti azioni colpose, presunte tali ex art. 2054 c.c., di entrambi i conducenti dei veicoli venuti a collisione, non vi è luogo ad un'ipotesi di compensazione «propria» ex art. 1241 ss. c.c. (secondo cui i debiti tra due soggetti derivanti da distinti rapporti si estinguono per quantità corrispondenti fin dal momento in cui vengono a coesistere), che presuppone l'autonomia dei rapporti da cui nascono i contrapposti crediti delle parti, bensì ad un mero accertamento di dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, cui il giudice può procedere senza che sia necessaria l'eccezione di parte o la domanda riconvenzionale. Tale accertamento (c.d. compensazione «impropria»), pur potendo dare luogo ad un risultato analogo a quello della compensazione propria, non per questo è soggetto alla relativa disciplina tipica, sia processuale (sostanziantesi nel divieto di applicazione d'ufficio da parte del giudice ex art. 1242, secondo comma, c.c.) che sostanziale (concernente essenzialmente l'arresto della prescrizione ex art. 1242, secondo comma, c.c. e la incompensabilità del credito dichiarato impignorabile ex art. 1246, primo comma n. 3, c.c. e 545 c.p.c.).

Cass. civ. n. 10629/2006

Ai fini della configurabilità della compensazione in senso tecnico di cui all'art. 1241 c.c., non rileva la pluralità o unicità dei rapporti posti a base delle reciproche obbligazioni, essendo invece necessario solo che le suddette obbligazioni, quale che sia il rapporto (o i rapporti) da cui esse prendono origine, siano «autonome», ovvero «non legate da nesso di sinallagmaticità», posto che, in ogni altro caso, non vi sarebbe motivo per escludere l'applicabilità della disciplina prevista dall'art. 1246 c.c., che tiene conto anche delle caratteristiche dei crediti (specialmente in relazione alla — totale o parziale — impignorabilità dei medesimi) proprio per evitare, tra l'altro, che l'operatività della compensazione si risolva in una perdita di tutela per i creditori. In ogni caso, escludere che, in alcune ipotesi, possa operare l'istituto della compensazione disciplinato dal codice, non può essere un modo indiretto per poi ammettere una sorta di «compensazione di fatto», oltre i limiti previsti dalla disciplina codicistica e in fattispecie in cui tale disciplina non ammetterebbe la compensazione. Le cosiddette «compensazioni atecniche», pertanto, in mancanza di espressa previsione testuale, non possono essere estese oltre le ipotesi in cui una compensazione non sia logicamente configurabile, dovendo, in ogni altro caso, ritenersi applicabile l'istituto della compensazione previsto dal codice, con i limiti e le garanzie della relativa disciplina. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell'enunciato principio, poiché il credito del ricorrente dipendente a titolo di pensione aziendale, pur avendo natura retributiva, era da considerarsi del tutto autonomo rispetto al credito vantato dal datore di lavoro, in difetto del nesso di corrispettività, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, che era incorsa in errore di diritto avendo escluso che fosse configurabile un'ipotesi di compensazione in senso tecnico).

Cass. civ. n. 260/2006

La compensazione presuppone che i debiti contrapposti derivino da rapporti autonomi, con la conseguenza che, in presenza di un rapporto unico, il giudice deve procedere d'ufficio all'accertamento delle rispettive posizioni attive e passive e, cioè, alla determinazione del saldo a favore o a carico dell'una o dell'altra parte. L'operatività della compensazione anche tra debiti scaturenti da un rapporto unico è, tuttavia, esclusa quando si tratti di obbligazioni legate da un vincolo di corrispettività che ne escluda l'autonomia, perché se in siffatta ipotesi si ammettesse la reciproca elisione delle obbligazioni in conseguenza della compensazione, si verrebbe ad incidere sull'efficacia stessa del negozio, paralizzandone gli effetti.

Cass. civ. n. 11943/2002

Il principio secondo il quale l'istituto della compensazione — postulando l'autonomia dei rapporti cui si riferiscono le contrapposte ragioni di credito delle parti — non trova applicazione nel caso in cui non sussista la predetta autonomia di rapporti per avere origine i rispettivi crediti nell'ambito di un'unica relazione negoziale (ancorché complessa) non esclude la possibilità della valutazione, nell'ambito del medesimo giudizio, delle reciproche ragioni di credito e del consequenziale accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite di dare-avere derivanti da un unico rapporto, valutazione che, per contro, può sempre aver luogo ed alla quale, anzi il giudice deve procedere d'ufficio, trovando il detto principio di applicazione, per converso, al solo fine di escludere che, a tale operazione, possano essere opposti i limiti di carattere tanto sostanziale quanto processuale stabiliti dall'ordinamento per l'operatività della compensazione stessa quale regolata, in senso tecnico-giuridico, negli arti. 1241 ss. c.c. (principio affermato in tema di contratto di appalto con riferimento alle pretese creditorie reciprocamente vantate da appaltante ed appaltatore).

Cass. civ. n. 14456/1998

Il principio secondo cui non sono applicabili le norme di legge sulla compensazione se non sussiste l'autonomia dei rapporti cui si riferiscono i contrapposti crediti delle parti, e che in tal caso la valutazione delle reciproche pretese delle parti si risolve in un semplice accertamento contabile di dare ed avere, può essere pattiziamente derogato, non opponendosi a ciò alcuna norma di legge né i principi generali dell'ordinamento giuridico, ma tale deroga, quando è inserita in un contratto di agenzia con una Compagnia di assicurazioni, non può più ritenersi efficace successivamente alla risoluzione di diritto del contratto che si verifica a seguito della pubblicazione del decreto di sottoposizione dell'impresa a liquidazione coatta amministrativa (art. 6, L. n. 738 del 1978), tenendo conto in particolare che si tratta di clausola limitativa di diritti. (Fattispecie relativa a clausola che non consente all'agente di trattenere somme, e in particolare i premi incassati, neanche a compensazione di suoi crediti).

Cass. civ. n. 10447/1991

L'applicabilità delle disposizioni degli artt. 1241 e ss. c.c. (riguardanti l'ipotesi della compensazione in senso tecnico-giuridico) postula l'autonomia dei rapporti da cui nascono i contrapposti crediti delle parti e pertanto va esclusa allorché rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto, occorrendo in tal caso procedere ad un semplice accertamento delle reciproche partite di dare e avere, che il giudice deve compiere, alla stregua degli atti, anche se non sia stata proposta specifica domanda riconvenzionale o eccezione di compensazione. Ne deriva che, ove l'unico rapporto sia rappresentato da un rapporto di agenzia caratterizzato da parasubordinazione, occorre prima determinare il saldo contabile, comprendendo nell'operazione tutte le partite di debito e credito derivanti dal rapporto stesso, e, solo ove risulti un credito residuale dell'agente (parasubordinato), il relativo importo deve essere rivalutato e maggiorato degli interessi legali secondo gli artt. 429, terzo comma, c.p.c. e 150 disp. att. stesso codice.

Cass. civ. n. 1905/1983

Le norme concernenti la compensazione - fra cui, in particolare, quella della non rilevabilità d'ufficio - riguardano l'ipotesi di compensazione in senso tecnico-giuridico, la quale postula l'autonomia dei rapporti cui si riferiscono i contrapposti crediti delle parti, e non sono perciò applicabili quando i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto intercorso fra le stesse parti, risolvendosi in tal caso la valutazione delle reciproche pretese in un semplice accertamento contabile di dare ed avere. A tal fine, l'identità del rapporto non è esclusa dal fatto che uno dei due crediti sia di natura risarcitoria, derivando da inadempimento, e sia stato quantificato a seguito di apposito giudizio.

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Consulenze legali
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D. M. chiede
giovedì 04/05/2023
“Buongiorno, io datore di lavoro posso agire nei confronti di uno o più lavoratori che hanno perso nei confronti della società? In pratica hanno agito in giudizio per il riconoscimento di mansioni ecc. Il giudice ha riconosciuto nel dispositivo delle somme a titolo di risarcimento danno con spese legali, cpa, iva. Il datore di lavoro può accantonare delle somme che dovrebbe erogare al dipendente fino a quando il lavoratore non paga quanto dovuto in sentenza? O si deve procedere con la sentenza, il precetto e il pignoramento? Il datore di lavoro commette un abuso ?
Mi potete dare informazioni riferendovi a sentenze, dottrina o normativa?
Sperando di essere stato chiaro aspetto vs. notizie.
Cordialmente”
Consulenza legale i 11/05/2023
Per rispondere al quesito è necessario prendere in esame i principali aspetti dell’istituto della compensazione regolato dagli artt. 1241 ss. c.c.
La compensazione è uno dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento che ha luogo, secondo quanto prevede la norma sopra menzionata, «quando due persone sono obbligate l’una verso l’altra»: già dalla lettura di questa disposizione emerge che primo e fondamentale presupposto di applicazione dell’istituto è la reciprocità dei crediti.
La compensazione legale è regolata dall’art. 1243, 1° comma, c.c., il quale ne subordina l’operatività alla sussistenza dei requisiti dell’omogeneità, della liquidità e dell’esigibilità dei crediti.
La compensazione giudiziale è contemplata dal secondo comma dell’art. 1243 c.c., il quale consente la reciproca elisione dei debiti contrapposti quando il controcredito opposto in compensazione, pur non essendo liquido, è di «di pronta e facile liquidazione». La liquidità viene meno ogni qual volta il credito venga contestato nell’an e/o nel quantum dal debitore.
In questa prospettiva, la valutazione circa la possibilità di una pronta e facile liquidazione del credito viene pertanto riferita ad entrambi gli aspetti testé menzionati e si ritiene di poterla ravvisare quando i medesimi possono essere accertati in maniera agevole e senza ritardare in misura significativa la decisione sul credito principale.
Qualora ritenga sussistente il requisito in discorso il giudice può procedere, in dipendenza delle circostanze, secondo tre diverse modalità. La prima consiste nell’accertare e liquidare nella sua totalità il credito opposto in compensazione, accogliendo quindi l’eccezione per intero. In secondo luogo, egli può accertare e liquidare una parte soltanto del credito de quo, limitandosi a pronunciare la compensazione per quella parte.
L’art. 1246 c.c. elenca una serie di ipotesi nelle quali la compensazione è esclusa in considerazione della particolare natura di uno dei crediti reciproci. Ai fini del presente parere è importante il riferimento ai crediti impignorabili contenuto nel n. 3) della norma, che secondo taluni dovrebbe essere invero considerato, più che un divieto di compensazione, la previsione di un requisito di operatività dell’istituto, la pignorabilità del credito, da aggiungere a quelli contemplati dall’art. 1243 c.c.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, l’operatività della compensazione presuppone l’autonomia dei rapporti cui si riferiscono le contrapposte ragioni di credito delle parti, sicché tale istituto non trova applicazione in presenza di obbligazioni scaturenti dal medesimo rapporto giuridico, ancorché complesso, o da rapporti accessori: in questi casi ha invece luogo, secondo questa impostazione, il diverso fenomeno della c.d. compensazione impropria (o atecnica), il quale si risolve in un mero accertamento contabile del saldo finale di contrapposte partite di dare e avere, come tale sottratto all’applicazione della disciplina predisposta per la compensazione “vera e propria” (Cass. 19.2.2019, n. 4825, in Nuova giur. civ. comm., 2019, I, 776, con nota di FACCIOLI, Cessione del credito e compensazione (impropria); Cass. 4.5.2018, n. 10798; Cass. 18.5.2018, n. 12323; Cass. 26.10.2016, n. 21646; Cass. 20.8.2015, n. 16994; Cass. 26.5.2014, n. 11729.)
Dall’analisi della casistica giurisprudenziale in tema di lavoro subordinato emerge come vengono principalmente in rilievo, dal lato del lavoratore, crediti aventi per oggetto il pagamento della retribuzione, del t.f.r. o di emolumenti affini, mentre dal lato del datore di lavoro pretese riconducibili a due tipologie di ipotesi.
La prima riguarda i casi in cui il datore di lavoro pretende la restituzione di somme indebitamente versate al lavoratore a titolo, oltre che retributivo, di indennità di trasferta (fra le tante, Cass. 16.5.1981, n. 3230, in Notiz. giur. lav., 1981, 376), di indennità di anzianità (Cass. 4.7.1987, n. 5874, in Rep. Foro it., 1987, voce «Obbligazioni in genere», n. 27.), di assegno familiare (App. Palermo 9.2.2017, in Dir. civ. cont., 13.2.2017).
Un secondo gruppo di ipotesi vede il datore di lavoro opporre in compensazione al lavoratore crediti risarcitori o indennitari aventi titolo nella riparazione di pregiudizi cagionati dalla controparte.
I crediti del datore di lavoro ai quali si fa riferimento possono nascere dalle più svariate fattispecie, quali una prestazione lavorativa negligente (fra le altre, Cass. 20.6.2003 n. 9904; Cass. 17.4.2004, n. 7337), le dimissioni comunicate senza rispettare il termine di preavviso previsto a pena del pagamento di una determinata indennità (Cass. 19.2.2019, n. 4825, cit), la commissione di un fatto illecito nei confronti del datore di lavoro (ex multis, Cass. 5.12.2008, n. 28855, in Lav. nella giur., 2009, 597; Cass. 6.2.1987, n. 1245, in Mass. Giur. lav., 1987, 187.) o anche verso soggetti terzi: in questo ambito per esempio si riconosce che, nel caso in cui il lavoratore alla guida dell’automezzo aziendale commetta un’infrazione stradale che obbliga il datore di lavoro, quale proprietario del veicolo, a pagare la relativa sanzione pecuniaria, l’ammontare di quest’ultima può essere detratta dalla retribuzione a titolo di compensazione impropria (3 V., per esempio, Trib. Milano 28.7.2014, n. 2507; Trib. Trento 18.1.2011).
Le conseguenze che la giurisprudenza trae, seppure non senza qualche oscillazione, dalla teoria della compensazione impropria sono estremamente rilevanti e consistono nella tendenziale disapplicazione della disciplina prevista per l’istituto.
Fra le norme che non si applicano alle ipotesi di nostro interesse figura l’art. 1246, n. 3), c.c., la cui più rilevante applicazione consiste senz’altro nell’impignorabilità parziale degli stipendi, dei salari, delle pensioni e di ulteriori attribuzioni pecuniarie dovute al lavoratore prevista dai commi 3°-5° e 7°-8° dell’art. 545 c.p.c.
Le limitazioni alla pignorabilità dei crediti di lavoro, che trovano evidente fondamento nella necessità di non pregiudicare la soddisfazione delle esigenze di vita del debitore e delle altre persone poste a suo carico, si differenziano a seconda che il pignoramento debba aver luogo ai fini della coattiva soddisfazione di crediti alimentari oppure per altra causa: nel primo caso il limite viene fissato volta per volta dal giudice, con provvedimento autorizzativo ad hoc; nel secondo caso il pignoramento è invece consentito, senza bisogno di apposita autorizzazione, nella misura legalmente predeterminata di un quinto della somma dovuta.
È soltanto nella suddetta misura del quinto che dovrebbe poter operare, quindi, la compensazione tra un credito del lavoratore e un controcredito del datore di lavoro.
Tale conclusione viene tuttavia smentita dalla giurisprudenza, che disapplicando l’art. 1246, n. 3), c.c. sulla scorta della teoria della compensazione impropria consente al datore di lavoro di detrarre dalle attribuzioni dovute al lavoratore l’intero ammontare del credito vantato nei suoi confronti.
Proprio in occasione dell’esame di una controversia di questo tipo, nella quale veniva in rilievo un’appropriazione indebita del lavoratore, la compensazione impropria è stata pure sottoposta al vaglio della Corte costituzionale (Da Trib. Palermo 27.4.2004, in Riv. it. dir. lav., 2005, II, 132, con nota di PANAIOTTI, Denunciata alla Consulta come incostituzionale la distinzione tra compensazione propria e impropria, ai fini dell’applicabilità del limite del quinto) in quanto sospettata di violare, tramite la disapplicazione del limite del quinto dello stipendio previsto dagli artt. 1246, n. 3), c.c. e 545 c.p.c., due norme della Carta fondamentale: l’art. 36 Cost., sacrificando la funzione alimentare dello stipendio con riguardo ai bisogni primari del lavoratore e della sua famiglia; l’art. 3 Cost., comportando una irragionevole disparità di trattamento fra il datore di lavoro e gli altri creditori del lavoratore. Tali censure sono state però respinte dalla Consulta, la quale ha escluso che la compensazione impropria contrasti: tanto con l’art. 36 Cost., in quanto l’art. 545 c.p.c. non costituirebbe «inderogabile attuazione» di quella norma e potrebbe essere pertanto disapplicato senza violarla; quanto con l’art. 3 Cost., posto che non sarebbe privo di razionale giustificazione riservare al credito del datore di lavoro fondato sul delitto commesso dal dipendente, ovverosia su un comportamento che realizza una grave violazione dei doveri incombenti sul secondo nei confronti del primo, un trattamento diverso rispetto ai crediti verso il lavoratore facenti capo ad altri soggetti e fondati su differenti ragioni (Corte cost. 4.7.2006, n. 259, in Riv. it. dir. lav., 2006, II, 802).
Secondo la giurisprudenza il limite di impignorabilità del quinto dello stipendio non opera solo e soltanto nel caso in cui i due crediti abbiano origine da un unico rapporto, così che la valutazione delle singole pretese pretese comporti solo un accertamento contabile di dare ed avere e non una compensazione in senso tecnico.
In particolare, il limite non vale quando il datore voglia compensare il credito risarcitorio per danni da prestazione lavorativa non diligente con credito retributivo vantato dal prestatore, tuttavia, essa torna ad operare, anche in caso di compensazione atecnica, qualora esista una clausola del contratto collettivo che lo preveda, salvo diversi accordi contenuti nel contratto individuale (Cass. 9904/2003).
Nel caso di specie, pertanto, in linea di massima si potrà procedere alla compensazione del credito vantato nei confronti del lavoratore mediante trattenuta dello stipendio senza limiti nel caso in cui si rientri nelle casistica della compensazione impropria (in altre parole se il risarcimento del danno riconosciuto in sentenza derivi dal medesimo rapporto di lavoro) e sempre che il CCNL applicato o il contratto individuale non escludano la compensazione.

Rafaele M. chiede
giovedì 16/02/2017 - Sardegna
“Buonasera, se il canone di locazione commerciale viene pagato PRIMA dell'intimazione lo sfratto si convalido lo stesso? Inoltre è legittima la compensazioni di canoni tra due aziende? il contratto prevede il pagamento semestrale anticipato e il primo semestre è stato compensato senza alcuna obiezione. Nell'intimazione si contesta il pagamento parziale del primo semestre.Grazie”
Consulenza legale i 22/02/2017
La soluzione del caso va fondata essenzialmente sulla trattazione dell’istituto giuridico della compensazionee sulle sue modalità operative.
La compensazione viene disciplinata dagli articoli 1241-1252 del codice civile ed è un modo di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento per effetto del quale, quando due soggetti sono al contempo creditore e debitore l’uno dell’altro, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti.

Trattasi di un meccanismo che risponde non solo ad un criterio di economia degli atti giuridici (appare inutile dar luogo a due adempimenti reciproci quando entrambi possono essere evitati), ma anche ad un criterio di garanzia della realizzazione del credito.
Se infatti la compensazione non potesse essere opposta, il debitore non potrebbe rifiutare il pagamento pur in presenza di un inadempimento da parte del proprio creditore di altra prestazionedovuta nei suoi confronti.

La compensazione, tuttavia, non opera sempre ed automaticamente, ma secondo modalità fissate dalla legge in relazione a tre diverse ipotesi a cui corrispondono la compensazione legale, la compensazione giudiziale e la compensazione volontaria.
La compensazione legale si verifica solo tra due debiti che hanno per oggetto una somma di denaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere e che sono ugualmente liquidi ed esigibili (art. 1243c.c.); costituisce suo presupposto, dunque, la omogeneità, liquidità ed esigibilità dei crediti, in presenza dei quali l’estinzione dei due debiti opera fin dal giorno della loro coesistenza.

Circa il modo di operare della stessa, mentre la giurisprudenza ne ammette la sua automatica operatività, cioè a prescindere da qualsivoglia manifestazione di volontà della parte interessata, la dottrina ritiene al contrario che sia necessario esercitare il potere di opporre la compensazione da parte del debitore a cui sia stato richiesto di adempiere.
A tal fine è configurabile un esercizio stragiudiziale del potere, che si concretizza in unatto unilaterale recettizio, i cui effetti retroagiscono al momento della coesistenza dei due debiti.
Si ritiene più prudente seguire la tesi dottrinaria, anche in considerazione del fatto che la compensazione non può essere rilevata d’ufficio dal Giudice in giudizio, ma deve essere comunque eccepita dalla parte interessata, la quale avrà così anche facoltà di valutare l’interesse al proprio adempimento.
Pertanto, ammesso l’esercizio stragiudiziale del potere di opporre la compensazione, il giudice sarebbe legittimato a rilevare l’avvenuta compensazione a prescindere da una rituale eccezione sollevata in giudizio dalla parte, purché la prova dell’atto di esercizio suddetto risulti acquisita al processo.
La sentenza con cui il giudice rileva l’avvenuta compensazione legale è una sentenza dichiarativa, che si limita all’accertamento di un evento già verificatosi e dunque opera ex tunc.

Diverso, invece, è il caso della compensazione giudiziale, nella quale il giudice non si limita ad accertare un fatto, ma lo determina, cosicché la sentenza opererà ex nunc. Ad essa si fa ricorso quando quella legale non abbia potuto operare perché uno dei debiti (o entrambi) non è liquido, purché sia di facile e pronta liquidazione.

L’art. 1252 c.c. detta, infine, una sorta di norma di chiusura in base alla quale può darsi luogo a compensazione, sull’accordo delle parti e dunque mediante un contratto di natura estintiva, qualora non ricorrano i requisiti per darsi luogo a compensazione legale o giudiziale.
Essa, tuttavia, non può superare la mancata ricorrenza di qualsivoglia presupposto (primo fra tutti la reciprocità del rapporto debito-credito), ma solo l’eventuale difetto di omogeneità, liquidità, ed esigibilità del credito.

A questo punto, delineato il quadro generale dell’istituto giuridico della compensazione, vediamo come esso può trovare concreta applicazione nel caso che ci occupa.
Escluso che si versi in una delle ipotesi previste espressamente dall’art. 1246c.c. ed in cui la compensazione non è ammessa, si ritiene che ricorrano tutti i presupposti per l’operatività della compensazione legale, trattandosi di crediti:
  1. omogenei, entrambi hanno ad oggetto una somma di denaro;
  2. liquidi, entrambi sono certi e determinati con precisione nel loro ammontare;
  3. esigibili, poiché possono essere fatti valere in giudizio al fine di ottenere una sentenza di condanna per il caso di inadempimento.
Ciò che difetta, invece, almeno conformemente alla più prudente tesi dottrinaria sopra riportata, è l’esercizio stragiudiziale del potere, che si concretizza in un atto unilaterale recettizio.
Non si può, infatti, pretendere che la volontà di compensare una reciproca partita di crediti possa farsi discendere da una manifestazione tacita di volontà risultante da un comportamento concludente, ossia il pagamento parziale del proprio debito a cui è stato ab initio detratto per decisione unilaterale e non condivisa ne chiaramente comunicata, l’ammontare del proprio credito.
E’ indispensabile, pertanto, che nel momento in cui il debitore adempie il proprio debito manifesti espressamente la volontà di compensare una parte di quel debito con il credito da lui a sua volta vantato, dovendo tale volontà rivestire il carattere di atto unilaterale (da lui proveniente e senza necessità di accettazione dell’altra parte) e recettizio (deve giungere nella sfera di conoscenza dell’altra parte e di ciò si deve essere in grado di darne prova).
In difetto di ciò il pagamento in misura ridotta del canone di locazione configura un adempimento parziale e correttamente legittima l’esercizio del potere di cui all’art. 1456 c.c. (se espressamente previsto in contratto).

A questo punto, non essendo stato mai quel pagamento parziale del primo semestre configurato come esercizio del potere di compensazione per assenza di espressa manifestazione di volontà in tal senso, il locatore si è visto costretto ad intimare sfratto per morosità, e qui entra in gioco il meccanismo della operatività della eccezione di compensazione di cui all’art. 1242co. 1 seconda parte del codice civile.

Viene chiesto se, nell’ipotesi in cui il canone di locazione commerciale venga pagato prima dell’intimazione, lo sfratto si convalidi lo stesso.
Ebbene, precisato che l’intimazione può solo seguire al mancato pagamento, va detto che all’udienza di convalida possono verificarsi le seguenti ipotesi:
  1. il conduttore si presenta e si oppone alla convalida: in questo caso il giudice potrà rinviare al giudizio ordinario l’esame delle ragioni di opposizione e decidere se pronunciare o meno subito in favore del proprietario ordinanza di rilascio dell’immobile;
  2. il conduttore si presenta e salda la morosità (non è possibile chiedere un termine c.d. “di grazia”, ossia per adempiere, perché previsto solo per le locazioni ad uso abitativo).
Nell’ipotesi sub lettera b), che è poi quella prevista nella domanda, il giudice non potrà convalidare lo sfratto.

Nulla esclude, comunque, sulla base di tutto quanto detto prima, che il conduttore intimato si opponga alla convalida, eccependo ex art. 1242 co. 1 c.c. la compensazione della residua somma dovuta con il credito a sua volta vantato nei confronti del suo creditore, di modo così da ottenere una pronuncia dichiarativa di compensazione e sanare la morosità (è questa l’ipotesi prevista alla precedente lettera a).

Gianpietro R. chiede
domenica 28/09/2014 - Lombardia
“nel condominio ove sono condomino sono ritenuto capace di effettuare lavori di giardinaggio; l'amministratore ritiene che per effettuare i lavori per il condominio devo presentare fattura; esiste un altro modo es. compensazione con le spese condominiali per essere compensato dei lavori effettuati ?”
Consulenza legale i 01/10/2014
E' situazione frequente quella in cui un condomino svolga alcune attività di manutenzione delle parti comuni, per non ricorrere a soggetti esterni, solitamente più onerosi.
Se il condomino svolge già una attività professionale autonoma compatibile, egli potrà emettere regolare fattura: ma se così non fosse?
Va premesso, innanzitutto, che la volontà dell'assemblea è sovrana in questo ambito, e potrà decidere come remunerare il condomino: se con compenso ad hoc o mediante altro tipo di agevolazione. I problemi, quindi, non stanno tanto in questo, quanto nelle implicazioni fiscali e previdenziali.

Se viene previsto un compenso, il condominio che non possa emettere fattura, potrà eventualmente eseguire una prestazione occasione, purché il rapporto sia di durata complessiva non superiore, nell'anno solare, a 30 giorni ed il compenso complessivo annuo che il prestatore percepisce non superare i 5.000€.
Questa soluzione, fiscalmente semplice, presenta però aspetti problematici sotto il profilo previdenziale (non esiste copertura) e della sicurezza sul lavoro: difatti, il condomino che svolga lavori di giardinaggio come prestazione occasionale non godrebbe di alcuna assistenza in caso di infortunio e il condominio potrebbe incorrere in gravi sanzioni nonché in obbligo di risarcimento del danno.

E' evidente che il medesimo problema si avrebbe qualora l'assemblea decidesse di compensare il condomino mediante uno "sconto" sulle spese condominiali: di fatto, la situazione sarebbe identica (peraltro, il condomino potrebbe comunque sempre compensare il suo credito con il debito verso il condominio, se si tratta di somme di denaro liquide ed esigibili, art. 1243 del c.c.).

Una soluzione potrebbe essere quindi quella dei "buoni" (voucher) INPS, che servono a remunerare attività lavorative svolte in modo saltuario, garantendo una copertura previdenziale presso l'INPS e assicurativa presso l'INAIL: i voucher possono essere acquistati in forma cartacea ma anche in modo telematico (maggiori informazioni sul sito dell'INPS).
Anche in questo caso vige il limite annuale di 5.000 euro netti (6.660 euro lordi) per singolo committente. L'attività di giardinaggio è ricompresa tra quelle previste dalla normativa dei voucher, che sono previsti anche per lavori di pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti; fiere e manifestazioni sportive, culturali o caritatevoli; lavori di emergenza o di solidarietà; consegna porta a porta e vendita ambulante di quotidiani e periodici, attività agricole o lezioni private.

Giuseppe chiede
martedì 03/04/2012 - Sicilia
“Devo ricevere dal condominio delle somme dovutemi per danni subiti al mio appartamento già deliberati ed approvati all'unanimità. Ho chiesto all'amministratore la compensazione in base all'art.1241 e1242 del c.c.delle spese condominiali.
E mi risposto che non è possibile.

Ringrazio per una eventuale risposta distinti saluti. Giuseppe”
Consulenza legale i 04/04/2012

L'obbligo di partecipazione alle spese condominiali è stato ritenuto, da giurisprudenza prevalente, una obbligazione "propter rem", ossia un impegno che segue la cosa privata. L'accento è stato posto, infatti, sulla stretta connessione tra detto obbligo e la contitolarità del diritto di proprietà che ciascun condomino vanta sui beni comuni. Quanto dovuto a titolo di oneri condominiali non può essere compensato con eventuali somme dovute al singolo condomino per il ristoro di eventuali danni subiti dalla cosa comune alla proprietà individuale. Non si può compensare un credito dovuto a titolo di oneri condominiali attinenti alla gestione economica della "collettività" con un credito privato a titolo di risarcimento danni. Al condomino non rimane che corrispondere quanto dovuto a titolo di spese condominiali, ferma restando la possibilità di avviare un autonomo procedimento giudiziario per ottenere il risarcimento dei danni subiti.


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