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Articolo 1246 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Casi in cui la compensazione non si verifica

Dispositivo dell'art. 1246 Codice Civile

La compensazione si verifica qualunque sia il titolo dell'uno o dell'altro debito, eccettuati i casi(1):

  1. 1) di credito per la restituzione di cose di cui il proprietario sia stato ingiustamente spogliato [1168];
  2. 2) di credito per la restituzione di cose depositate o date in comodato;
  3. 3) di credito dichiarato impignorabile;
  4. 4) di rinunzia alla compensazione fatta preventivamente dal debitore;
  5. 5) di divieto stabilito dalla legge [447, 1272, 1824, 2271, 2805; 56](2).

Note

(1) La regola è quella della compensabilità dei crediti e, pertanto, i divieti costituiscono eccezioni non suscettibili di applicazione analogica (art. 14 delle preleggi).
(2) Tale previsione è aperta ma fa salve solo le ipotesi in cui a vietare la compensazione è la legge.

Ratio Legis

Il legislatore accomuna sotto un'unica previsione ipotesi parzialmente diverse: nel caso di spoglio il divieto è posto a tutela di interessi generali dell'ordinamento; nel caso di accordo delle parti si privilegia la loro libertà di scelta; nelle altre ipotesi, si tutela la debolezza di una delle parti del rapporto.

Spiegazione dell'art. 1246 Codice Civile

Gli ostacoli contro la compensazione. La precisazione innovativa del primo caso

Questo articolo riproduce con notevoli varianti il corrispondente art. #1289# del codice abrogato e contempla i casi in cui la compensazione non ha luogo per un impedimento che deriva o da un divieto della legge o dalla volontà delle parti. La prima ipotesi generica è specificata nei numeri 1, 2, 3 e 5 (1, 2 e 3 dell'art. #1289#) e contempla alcuni crediti che, per la loro natura o per la loro origine, godono sostanzialmente di un privilegio exigendi per cui al debitore si impone l'obbligo del solve et repete. La seconda è formulata nel n. 4.

Si conferma anzitutto nel primo comma la vecchia e tradizionale norma (ex art. #1289#, I° comma per cui la compensazione prescinde dal titolo giuridico da cui dipendono i due crediti. Tale indifferenza dipende dalla natura stessa della compensazione, che è un indiretto pagamento, e risale al diritto romano più evoluto.

Il primo caso in cui la compensazione è impedita per legge è quello della domanda di reintegrazione nel possesso a seguito di spoglio. La vecchia formula dell'art. #1289#, n. 1 («domanda per la restituzione della cosa») aveva dato luogo ad una accreditata opinione la quale secondo la lettera, restringeva il divieto alla sola azione per la restituzione in ispecie. Se, ad esempio, per la sopravvenuta impossibilità, più o meno imputabile al convenuto, questo avesse dovuto prestare il sostituito risarcimento, la compensazione non sarebbe stata più impedita. Tale interpretazione non trova più appiglio dopo l'intenzionale ed opportuno mutamento della locuzione legislativa («credito per la restituzione, etc.»). Opportuna, poichè la già disputabile interpretazione era quanto mai illogica sia che l'impedimento alla restituzione specifica fosse imputabile all'autore dello spoglio (nel qual caso costui era interessato all'ulteriore illecito), sia nel caso inverso. Sempre, infatti, il credito della vittima conserva la indelebile impronta la quale giustifica il permanente favore della legge.


La identica precisazione in tema di deposito e comodato. Il deposito irregolare

La seconda ipotesi di impedimento, con la identica variante or ora illustrata, si ha nel n. 2 («credito per la restituzione della cosa depositata o data in comodato»). Per quanto riguarda il deposito non sembra ammissibile la distinzione fra deposito regolare e irregolare per sottrarre quest'ultimo alla norma impeditiva. Salve le norme e le stipulazioni dei rapporti bancari, alle quali si accennerà di qui a poco, il deposito non muta la propria essenza per il fatto che il depositario venga autorizzato a servirsi della cosa ed a restituire il tantundem. La sottile questione potrebbe forse trovare un appiglio nella locuzione del nuovo art. 1782 del presente libro ove si dice che, in tal caso, il depositario diventa proprietario e si osservano in quanto applicabili, le norme del mutuo. Senonchè questo condizionato richiamo non potrebbe includere la disposizione in esame, sia perchè essa non riguarda il mutuo, sia perchè il richiamo stesso non vale a sopprimere la differenza essenziale tra mutuo e deposito. Il quale ultimo resta sempre caratterizzato dallo scopo della custodia e dalla normale restituzione ad nutum (interesse precipuo, anzi esclusivo del deponente); mentre il mutuo specialmente se gratuito, è nell'interesse del mutuatario.


La formula estensiva del terzo caso

La terza ipotesi di incompensabilità comprende genericamente tutti i crediti dichiarati impignorabili. Se i terzi creditori non possono farvi assegnamento, eguali ragioni ostative militano contro la compensazione. Il vecchio codice restringeva il divieto al credito «per alimenti dichiarati non soggetti a sequestro». Il progetto del 1936 (art. 218) aveva giustamente esteso le norme ad ogni «credito dichiarato insequestrabile». Il nuovo testo sostituisce alla «insequestrabilità» il termine più proprio e più ampio di «impignorabilità».


Il nuovo caso espresso dal n. 5 e le sue esemplificazioni

Ai tre divieti specifici suddetti il nuovo codice aggiunge nel n. 5, quello generico derivante dalla legge. Esso era già implicito nella corrispondente disposizione del vecchio codice; il quale non aveva inteso la necessità di menzionarlo espressamente. Il. caso più emergente è quello dei crediti per imposte ed in genere per i tributi dello Stato. Qui l'impedimento deriva quasi da una diversità del soggetto poichè lo Stato agisce esclusivamente come persona giuridica pubblica. Sono, invece, compensabili i crediti dello Stato come persona privata; ma anche per essi l'impedimento insorge, per necessità formali amministrative, quando credito e debito non dipendono da unico ufficio.


La rinuncia alla compensazione. Preventiva e posteriore. Espressa e tacita

Il n. 4 indica la rinunzia preventiva del debitore come un altro caso in cui la compensazione non ha luogo. La norma espressa ebbe origine da un dubbio dottrinale che la compensazione, come che fondata su interessi non esclusivamente privatistici, non fosse suscettibile di rinunzia preventiva. In tal senso, peraltro, disponeva il codice francese (art. 1293) del quale la norma corrispondente ed identica del vecchio codice (#1289#, n. 4) costituì, a suo tempo, una innovazione. Nel nuovo codice, poi, la stessa norma e un ovvio corollario del nuovo art. 1252 sulla compensazione volontaria, il cui secondo comma dispone che le parti possono stabilire preventivamente le condizioni della compensazione. La rinunzia alla compensazione già verificatasi, invece, non aveva bisogno di una espressa disposizione; specialmente dopo che nell'art. 1242, I comma, si era detto che la compensazione deve essere opposta dall'interessato e non può esser rilevata d'ufficio.

Tanto la rinunzia preventiva che quella posteriore, come e a ritenersi in generale per questa specie di negozio, può essere anche tacita, per un comportamento incompatibile con la volontà di farla valere. Come esempio della prima specie, si suole addurre quello di colui che contrae il debito con il proprio debitore quando già esisteva il credito da compensare; o di chi entra in società con l'obbligo di un determinato conferimento e diventi poi creditore per altro titolo verso la stessa società. La rinunzia alla compensazione già avvenuta si ha con il pagamento consapevolmente operato, o con la pattuita proroga del debito scaduto. In ogni caso, però, la rinunzia, tacita ed espressa che sia, non può pregiudicare i diritti dei terzi; così come è espressamente stabilito dal successivo art. 1250.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1246 Codice Civile

Cass. civ. n. 16530/2022

In tema di rapporti tra il credito dell'agricoltore a titolo di contributi dell'Unione europea conseguenti alla Politica agricola comune (Pac), ed i debiti dello stesso per prelievo supplementare relativo alle quote latte, è ammissibile la cd. compensazione impropria o atecnica, a condizione che il controcredito sia certo e liquido secondo la valutazione dei giudici di merito, incensurabile in sede di legittimità. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia di merito che aveva escluso la compensazione eccepita dalla società ingiunta per il pagamento dei contributi di cui in massima, avendo ritenuto privo del carattere della certezza il debito per prelievo supplementare delle quote latte poiché in contestazione avanti al giudice amministrativo, ritenendo tale valutazione incensurabile in sede di legittimità).

Cass. civ. n. 30220/2019

La compensazione impropria - che si verifica quando i contrapposti crediti e debiti delle parti hanno origine da un unico rapporto - non è applicabile sul trattamento di invalidità civile (nella specie, indennità di accompagnamento) per il recupero di somme indebitamente versate a titolo di assegno sociale ex art. 3, comma 6, della l. n. 335 del 1995 - quale provvidenza avulsa dallo stato di invalidità che non investe la tutela di condizioni minime di salute o gravi situazioni di urgenza - in difetto del requisito di identità del titolo per l'assoluta diversità dei presupposti che giustificano l'erogazione delle due prestazioni; ne consegue la piena applicazione della disciplina della compensazione e dei limiti all'operatività della stessa, con particolare riguardo al divieto di cui all'art. 1246, n. 3, c.c.

Cass. civ. n. 3648/2019

In caso di compensazione attuata dall'Inps, per propri crediti, ai sensi dell'art. 69 della l. n. 153 del 1969, sugli importi pignorabili dei trattamenti pensionistici da erogare, il calcolo della quota pignorabile e dunque compensabile, pari ad un quinto, va effettuato al netto delle ritenute applicate a titolo fiscale.

Cass. civ. n. 11689/2018

Il carattere sostanzialmente alimentare dell'assegno di mantenimento a beneficio dei figli, in regime di separazione, comporta la non operatività della compensazione del suo importo con altri crediti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la compensazione tra credito per spese di lite e credito derivante dal mancato pagamento di ratei dell'assegno di mantenimento cumulativamente dovuto per l'ex moglie e le figlie).

Cass. civ. n. 23569/2016

Il carattere sostanzialmente alimentare dell'assegno di mantenimento a beneficio dei figli, in regime di separazione, comporta la non operatività della compensazione del suo importo con altri crediti. (Nella specie, la S.C., confermando l'ordinanza di merito, ha ritenuto l'inadempimento del coniuge onerato, che aveva operato una illegittima compensazione tra quanto dovuto a titolo di assegno in favore dei figli e il proprio credito per rate di mutuo).

Cass. civ. n. 21646/2016

La compensazione del tfr con crediti del datore di lavoro, tra i quali si annovera la penale pattuita per il recesso anticipato dal patto di stabilità, è legittima, posto che il divieto previsto dall'art. 1246, n. 3, c.c., in relazione ai crediti impignorabili, opera solamente con riguardo alla compensazione "propria", che ricorre quando le reciproche ragioni di debito-credito nascono da distinti rapporti giuridici, e non anche per quella "impropria", ove le suddette ragioni provengono da un unico rapporto, quale è indubbiamente il rapporto di lavoro

Cass. civ. n. 16994/2015

In materia di compensazione, il principio che ne subordina l'operatività alla condizione che le contrapposte ragioni di credito delle parti derivino da autonomi rapporti giuridici, non esclude che il giudice debba procedere, anche quando i crediti abbiano origine da un'unica, ancorché complessa, relazione negoziale, ad una valutazione delle reciproche ragioni di credito ed al consequenziale accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite di dare-avere derivanti dal rapporto, salvi, solamente, i limiti di carattere sostanziale e processuale stabiliti dall'ordinamento per l'operatività della compensazione quale regolata, in senso tecnico-giuridico, negli artt. 1241 e segg. c.c.

Cass. civ. n. 10025/2010

La disposizione dell'art. 1246, n. 2, c.c., laddove prevede l'esclusione della compensazione con riferimento ai crediti per la restituzione di cose depositate o date in comodato, postulando l'esistenza di un contratto di deposito o di comodato, non può trovare applicazione al caso in cui si ponga un problema di compensazione fra il committente e l'agente, relativamente alle somme corrisposte dai clienti all'agente e che questi deve versare al committente, poiché tali somme, fintanto che non sono rimesse dall'agente al committente, non possono considerarsi oggetto di un contratto di deposito corrente fra le parti, essendo la loro temporanea detenzione riconducibile all'obbligo dell'agente di riscuoterle e versarle, che trae titolo direttamente dal contratto di agenzia.

Cass. civ. n. 9912/2007

Il titolare di un credito ammesso in via definitiva al passivo fallimentare convenuto in giudizio dal curatore per il pagamento di un credito dovuto all'imprenditore insolvente, può opporre in compensazione, fino a concorrenza, il proprio credito, senza che gli si possa eccepire la rinuncia tacita alla compensazione, quale automatica conseguenza della domanda di ammissione al passivo, o l'efficacia preclusiva del provvedimento di ammissione al passivo in via definitiva.

Cass. civ. n. 15123/2006

In tema di riscossione delle imposte sui redditi, l'art. 54, quinto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, introdotto dall'art. 14, primo comma, lettera b), della legge 29 dicembre 1990, n. 408, collegando il beneficio dell'applicazione della soprattassa ridotta da esso indicata in luogo delle sanzioni previste dagli artt. 46 e 49 unicamente al versamento della maggiore imposta risultante dalla dichiarazione integrativa, ovverosia al pagamento di una somma di denaro ulteriore, non consente di procedere a compensazione con un credito tributario vantato dal contribuente. In materia tributaria, infatti, la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, di riscossione e di rimborso ed ogni deduzione è regolata da specifiche, inderogabili norme di legge. Né tale principio può ritenersi superato per effetto dell'art. 8, comma primo, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. «statuto dei diritti del contribuente»), il quale, nel prevedere in via generale l'estinzione dell'obbligazione tributaria per compensazione, ha lasciato ferme, in via transitoria, le disposizioni vigenti (demandando ad appositi regolamenti l'estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato, a decorrere dall'anno d'imposta 2002), ovvero per effetto dell'art. 17 del D.L.vo 9 luglio 1997, n. 241, il quale, nell'ammettere la compensazione in sede di versamenti unitari delle imposte, ne ha limitato l'applicazione all'ipotesi di crediti dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti e risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data della sua entrata in vigore.

Cass. civ. n. 9904/2003

In base al combinato disposto degli articoli 1246, n. 3, c.c. e 545, n. 3 c.p.c., le somme dovute ai privati a titolo di crediti di lavoro sono pignorabili e compensabili nella limitata misura di un quinto; tale limite non opera quando i contrapposti crediti abbiano origine da un unico rapporto, sì che la valutazione delle singole pretese comporti solo un accertamento contabile di dare e avere e non una compensazione in senso tecnico. In particolare, il limite non vale quando il datore voglia compensare il credito risarcitorio per danni da prestazione lavorativa non diligente col credito retributivo vantato dal prestatore, tuttavia, essa torna ad operare, anche in caso di compensazione atecnica, qualora esista una clausola del contratto collettivo che lo preveda, salvo diversi accordi contenuti nel contratto individuale (in applicazione di tale principio di diritto, la S.C. ha cassato per difetto di motivazione la sentenza di merito, che non aveva dato adeguato conto dell'applicabilità o meno alla fattispecie concreta dell'art. 64 del contratto collettivo per le aziende di credito che escludeva la compensazione atecnica illimitata).

Cass. civ. n. 775/1999

Poiché l'art. 1246 c.c. si limita a prevedere che la compensazione si verifica quali che siano i titoli da cui nascano i contrapposti crediti e debiti senza espressamente restringerne l'applicabilità all'ipotesi di pluralità di rapporti, non può in assoluto escludersi che detto istituto operi anche fra obbligazioni scaturenti da un'unica fonte negoziale. Una tale esclusione è giustificata allorquando le obbligazioni derivanti da un unico negozio siano tra loro legate da un vincolo di corrispettività che ne escluda l'autonomia, perché se in siffatta ipotesi si ammettesse la reciproca elisione delle obbligazioni in conseguenza della compensazione, si verrebbe ad incidere sull'efficacia stessa del negozio, paralizzandone gli effetti. Qualora, invece, le obbligazioni, ancorché aventi causa in un unico rapporto negoziale, non siano in posizione sinallagmatica ma presentino caratteri di autonomia, non v'è ragione per sottrarre la fattispecie alla disciplina dell'art. 1246 c.c. che, riguardando l'istituto della compensazione in sé, è norma di carattere generale e come tale applicabile anche alla compensazione contemplata dall'art. 56 della legge fallimentare.

Cass. civ. n. 12454/1999

La disposizione dell'art. 1246, n. 2, c.c., laddove prevede l'esclusione della compensazione con riferimento ai crediti per la restituzione di cose depositate o date in comodato, postulando l'esistenza di un contratto di deposito o di comodato, non può trovare applicazione al caso in cui si ponga un problema di compensazione fra il committente e l'agente, relativamente alle somme corrisposte dai clienti all'agente e che questi deve versare al committente, poiché tali somme, fintanto che non sono rimesse dall'agente al committente non possono considerarsi oggetto di un contratto di deposito corrente fra le parti, essendo la loro temporanea detenzione riconducibile all'obbligo dell'agente di riscuoterle e versarle, che trae titolo direttamente dal contratto di agenzia.

Cass. civ. n. 5816/1998

Il principio secondo il quale non è consentito al creditore trattenere in compensazione beni del debitore acquisiti sine titulo (art. 1246 c.c.) non conosce eccezioni fondate sulla asserita intenzionalità o particolare gravità dell'inadempimento di quest'ultimo, e non autorizza appropriazioni indebite in via di reazione o rappresaglia.

Cass. civ. n. 6519/1996

Il credito dell'assegno di mantenimento attribuito dal giudice al coniuge separato senza addebito di responsabilità, ai sensi dell'art. 156 c.c., avendo la sua fonte legale nel diritto all'assistenza materiale inerente al vincolo coniugale e non nella incapacità della persona che versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento, non rientra tra i crediti alimentari per i quali, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1246 comma primo, n. 5 e 447 c.c., non opera la compensazione legale.

Cass. civ. n. 936/1996

Il credito del socio di una società di capitali nei confronti della società è compensabile con il debito relativo alla sottoscrizione di azioni emesse in sede di aumento del capitale sociale, non essendo ravvisabile un divieto implicito, desumibile da principi inderogabili del diritto societario, che impedisca in tal caso l'operatività della compensazione ex art. 1246 n. 5 c.c. Mentre la compensazione tra debito di conferimento e credito verso la società non può avvenire in relazione al capitale originario - né per il versamento dei decimi prescritti dall'art. 2329 c.c., perché la società ancora non esiste, né per i versamenti successivi, perché i conferimenti iniziali possono essere costituiti solo da beni idonei a formare oggetto di garanzia patrimoniale - l'aumento di capitale sottoscritto attraverso l'estinzione per compensazione di un debito del socio non è contrario all'interesse della società o dei terzi, comportando, in concreto, un aumento della garanzia patrimoniale generica offerta dalla società ai creditori, in quanto dalla trasformazione del credito (certo, liquido ed esigibile) del socio in capitale di rischio deriva che detta garanzia non copre più il credito del socio.

Cass. civ. n. 5303/1995

Nel caso in cui un istituto di credito delegato alla riscossione dell'Irpef versi alla tesoreria provinciale dello Stato una somma di importo inferiore a quella incassata, per compensare così un versamento in eccesso rispetto all'importo complessivo delle deleghe effettuato in precedenza, l'istituto medesimo è soggetto alla penale di cui all'art. 4 del D.L. 4 marzo 1976, n. 30, convertito, in L. 2 maggio 1976, n. 160, che colpisce l'azienda che «non versa le imposte al cui pagamento è stata delegata» dal contribuente. Infatti, l'obbligazione di versare le somme incassate per l'Irpef, che nasce a carico della banca nei confronti dell'Amministrazione, pur non essendo di natura tributaria, tuttavia è una obbligazione pubblica in quanto regolata da norme che deviano dal regime comune delle obbligazioni civili, in ragione della tutela dell'interesse della P.A. creditrice alla pronta e sicura esazione delle entrate. Pertanto, nel caso in cui la banca versi alla tesoreria una somma di importo superiore a quello dovuto, si è di fronte ad un credito di natura privatistica alla restituzione di quanto pagato in eccesso, ripetibile secondo la disposizione di cui all'art. 2033 c.c., ma non compensabile con il credito dell'Amministrazione al versamento dell'esatto importo delle imposte successivamente riscosse dall'istituto di credito, per effetto del divieto posto dall'art. 1246 n. 3 c.c., essendo quest'ultimo un credito per sua natura impignorabile, perché proveniente da un rapporto di diritto pubblico. Né tale incompensabilità può giustificare sospetti di incostituzionalità per disparità di trattamento o irragionevolezza delle norme considerate, data la impossibilità di paragonare i due contrapporti crediti, per la loro differente natura.

Cass. civ. n. 4071/1995

Ha natura di deposito regolare e non è suscettibile di compensazione, ex art. 1246, n. 2, c.c., il deposito di una somma di denaro presso un notaio, effettuato dal venditore di un immobile a garanzia dell'adempimento dell'obbligo, dallo stesso assunto, di provvedere alla cancellazione di ipoteca gravante sul predetto immobile, trattandosi di deposito di natura fiduciaria e cauzionale, escludente ogni disponibilità, da parte del notaio, della somma depositata. (Nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito che, a seguito del fallimento del venditore — depositante, ha escluso che il debito del notaio per la restituzione della somma depositata possa formare oggetto di compensazione con un credito vantato dal notaio medesimo nei confronti della massa e per il quale si era insinuato nel passivo del fallimento).

Cass. civ. n. 11040/1994

In tema di appalto di opere pubbliche, la specialità della disciplina in materia di anticipazioni sul prezzo contrattuale alle imprese appaltatrici, dettata dall'art. 3 del D.P.R. 30 giugno 1972, n. 627 e dal decreto del Ministro del Tesoro 25 novembre 1972, in considerazione di preminenti esigenze di interesse pubblico, comporta che, in presenza di un provvedimento di revoca dell'anticipazione, né l'appaltatore né il suo fideiussore possono opporre in compensazione i debiti contratti dall'amministrazione committente nell'ambito del medesimo rapporto contrattuale, qualora questi non abbiano già dato luogo alla procedura di trattenuta sugli acconti e alla riduzione dell'importo della garanzia previo atto di assenso della medesima amministrazione, tale divieto di compensazione rientrando tra quelli stabiliti dalla legge a norma dell'art. 1246 n. 5 c.c.

Cass. civ. n. 13095/1992

Il credito particolare del socio di una società di capitali nei confronti di questa non è compensabile con il debito del socio stesso, verso la società, per sottoscrizioni di azioni nuove, emesse in sede di aumento del capitale, non potendo trovare applicazione la disciplina della conversione di obbligazioni in azioni bensì, anche in relazione alle modalità prescritte per i conferimenti dei soci, sussistendo un divieto a tale compensazione imposto dalla legge (art. 1246, n. 5 c.c.) a salvaguardia della corrispondenza tra il valore nominale del capitale sociale e la sua effettiva entità, dato che i versamenti del sottoscrittore costituiscono atto dovuto per la conservazione della qualità di socio e vanno eseguiti appena gli amministratori sollecitano il socio all'adempimento. Ne deriva che tale compensazione non può attuarsi neppure in sede fallimentare.

Cass. civ. n. 7002/1991

Qualora uno dei crediti contrapposti abbia origine da un rapporto di lavoro, resta preclusa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1246, n. 3 c.c. e 545, terzo e quarto comma c.p.c., la compensabilità di tale credito oltre i limiti del suo quinto.

Cass. civ. n. 1061/1971

L'ostacolo al verificarsi della compensazione nell'ipotesi prevista dall'art. 1246, n. 3, c.c., di credito dichiarato impignorabile, si configura come divieto posto a carico di colui soltanto contro il quale opera la norma, la cui finalità (di assicurare particolare tutela ad alcuni crediti, in considerazione dei bisogni alla cui soddisfazione sono destinati, o della situazione giuridica che li ha determinati) viene raggiunta quando al titolare di un credito impignorabile che agisca per ottenerne il pagamento non possa opporsi la compensazione con un suo debito per diverso titolo. Pertanto, ai fini dell'applicazione della norma, deve tenersi conto solo della natura del credito al quale la compensazione venga opposta, e non anche di quella del credito opposto in compensazione, che rimane irrilevante. Di conseguenza al titolare di un credito assoggettabile a pignoramento (nella specie, credito del contribuente per rimborso di imposte indirette) può essere opposto in compensazione un credito impignorabile (nella specie un credito dell'Amministrazione finanziaria, per altro titolo di imposta).

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Consulenze legali
relative all'articolo 1246 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

L. F. chiede
venerdì 31/05/2024
“Vorrei anticipare/prestare circa € 10.000,00 ad una mia lavoratrice domestica, in servizio da 14 anni, per l'acquisto di un'auto.
Quale modalità è consigliabile:
Posso versare la cifra sul suo c/c come anticipo di liquidazione futura? Precisandolo sulla causale?
Oppure trattengo una quota percentuale dallo stipendio mensile (€ 500,00 + regolari contributi Inps)
Oppure altra soluzione, GRAZIE”
Consulenza legale i 08/06/2024
Ai sensi del comma 2 dell’art. 41 del CCNL del Lavoro Domestico “I datori di lavoro anticiperanno, a richiesta del lavoratore e per non più di una volta all’anno, il T.F.R. nella misura massima del 70% di quanto maturato”.
Pertanto, è possibile anticipare il TFR nella misura prevista dal CCNL. Sarebbe opportuno che la lavoratrice formalizzi la richiesta per iscritto, come previsto dalla normativa.
Per prassi, è possibile anticipare anche il 100% del TFR maturato come trattamento di miglior favore per il dipendente. Anche in questo caso, sarebbe opportuno formalizzare la richiesta per iscritto per evitare contestazioni future.

La seconda soluzione risulta più complicata dal punto di vista normativo.

Infatti, bisognerebbe stipulare un contratto di mutuo tra privati. La legge non prevede la forma scritta, ma questa è opportuna per avere la prova del prestito di denaro.

Per quanto riguarda la restituzione dei soldi tramite trattenuta dello stipendio, si tenga conto che, ai sensi dell’art. 1246 c.c., non è possibile la compensazione di crediti impignorabili. Nel caso di specie, rileva sicuramente l’impignorabilità parziale degli stipendi, dei salari, delle pensioni e di ulteriori attribuzioni pecuniarie dovute al lavoratore prevista dai commi 3°-5° e 7°-8° dell’art. 545 c.p.c.

Il pignoramento dello stipendio è consentito, senza bisogno di apposita autorizzazione, nella misura legalmente predeterminata di un quinto della somma dovuta.

È soltanto nella suddetta misura del quinto che dovrebbe poter operare, quindi, la compensazione tra un credito del lavoratore e un controcredito del datore di lavoro.

Sarebbe opportuno formalizzare per iscritto anche la cessione del quinto.


D. M. chiede
giovedì 04/05/2023
“Buongiorno, io datore di lavoro posso agire nei confronti di uno o più lavoratori che hanno perso nei confronti della società? In pratica hanno agito in giudizio per il riconoscimento di mansioni ecc. Il giudice ha riconosciuto nel dispositivo delle somme a titolo di risarcimento danno con spese legali, cpa, iva. Il datore di lavoro può accantonare delle somme che dovrebbe erogare al dipendente fino a quando il lavoratore non paga quanto dovuto in sentenza? O si deve procedere con la sentenza, il precetto e il pignoramento? Il datore di lavoro commette un abuso ?
Mi potete dare informazioni riferendovi a sentenze, dottrina o normativa?
Sperando di essere stato chiaro aspetto vs. notizie.
Cordialmente”
Consulenza legale i 11/05/2023
Per rispondere al quesito è necessario prendere in esame i principali aspetti dell’istituto della compensazione regolato dagli artt. 1241 ss. c.c.
La compensazione è uno dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento che ha luogo, secondo quanto prevede la norma sopra menzionata, «quando due persone sono obbligate l’una verso l’altra»: già dalla lettura di questa disposizione emerge che primo e fondamentale presupposto di applicazione dell’istituto è la reciprocità dei crediti.
La compensazione legale è regolata dall’art. 1243, 1° comma, c.c., il quale ne subordina l’operatività alla sussistenza dei requisiti dell’omogeneità, della liquidità e dell’esigibilità dei crediti.
La compensazione giudiziale è contemplata dal secondo comma dell’art. 1243 c.c., il quale consente la reciproca elisione dei debiti contrapposti quando il controcredito opposto in compensazione, pur non essendo liquido, è di «di pronta e facile liquidazione». La liquidità viene meno ogni qual volta il credito venga contestato nell’an e/o nel quantum dal debitore.
In questa prospettiva, la valutazione circa la possibilità di una pronta e facile liquidazione del credito viene pertanto riferita ad entrambi gli aspetti testé menzionati e si ritiene di poterla ravvisare quando i medesimi possono essere accertati in maniera agevole e senza ritardare in misura significativa la decisione sul credito principale.
Qualora ritenga sussistente il requisito in discorso il giudice può procedere, in dipendenza delle circostanze, secondo tre diverse modalità. La prima consiste nell’accertare e liquidare nella sua totalità il credito opposto in compensazione, accogliendo quindi l’eccezione per intero. In secondo luogo, egli può accertare e liquidare una parte soltanto del credito de quo, limitandosi a pronunciare la compensazione per quella parte.
L’art. 1246 c.c. elenca una serie di ipotesi nelle quali la compensazione è esclusa in considerazione della particolare natura di uno dei crediti reciproci. Ai fini del presente parere è importante il riferimento ai crediti impignorabili contenuto nel n. 3) della norma, che secondo taluni dovrebbe essere invero considerato, più che un divieto di compensazione, la previsione di un requisito di operatività dell’istituto, la pignorabilità del credito, da aggiungere a quelli contemplati dall’art. 1243 c.c.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, l’operatività della compensazione presuppone l’autonomia dei rapporti cui si riferiscono le contrapposte ragioni di credito delle parti, sicché tale istituto non trova applicazione in presenza di obbligazioni scaturenti dal medesimo rapporto giuridico, ancorché complesso, o da rapporti accessori: in questi casi ha invece luogo, secondo questa impostazione, il diverso fenomeno della c.d. compensazione impropria (o atecnica), il quale si risolve in un mero accertamento contabile del saldo finale di contrapposte partite di dare e avere, come tale sottratto all’applicazione della disciplina predisposta per la compensazione “vera e propria” (Cass. 19.2.2019, n. 4825, in Nuova giur. civ. comm., 2019, I, 776, con nota di FACCIOLI, Cessione del credito e compensazione (impropria); Cass. 4.5.2018, n. 10798; Cass. 18.5.2018, n. 12323; Cass. 26.10.2016, n. 21646; Cass. 20.8.2015, n. 16994; Cass. 26.5.2014, n. 11729.)
Dall’analisi della casistica giurisprudenziale in tema di lavoro subordinato emerge come vengono principalmente in rilievo, dal lato del lavoratore, crediti aventi per oggetto il pagamento della retribuzione, del t.f.r. o di emolumenti affini, mentre dal lato del datore di lavoro pretese riconducibili a due tipologie di ipotesi.
La prima riguarda i casi in cui il datore di lavoro pretende la restituzione di somme indebitamente versate al lavoratore a titolo, oltre che retributivo, di indennità di trasferta (fra le tante, Cass. 16.5.1981, n. 3230, in Notiz. giur. lav., 1981, 376), di indennità di anzianità (Cass. 4.7.1987, n. 5874, in Rep. Foro it., 1987, voce «Obbligazioni in genere», n. 27.), di assegno familiare (App. Palermo 9.2.2017, in Dir. civ. cont., 13.2.2017).
Un secondo gruppo di ipotesi vede il datore di lavoro opporre in compensazione al lavoratore crediti risarcitori o indennitari aventi titolo nella riparazione di pregiudizi cagionati dalla controparte.
I crediti del datore di lavoro ai quali si fa riferimento possono nascere dalle più svariate fattispecie, quali una prestazione lavorativa negligente (fra le altre, Cass. 20.6.2003 n. 9904; Cass. 17.4.2004, n. 7337), le dimissioni comunicate senza rispettare il termine di preavviso previsto a pena del pagamento di una determinata indennità (Cass. 19.2.2019, n. 4825, cit), la commissione di un fatto illecito nei confronti del datore di lavoro (ex multis, Cass. 5.12.2008, n. 28855, in Lav. nella giur., 2009, 597; Cass. 6.2.1987, n. 1245, in Mass. Giur. lav., 1987, 187.) o anche verso soggetti terzi: in questo ambito per esempio si riconosce che, nel caso in cui il lavoratore alla guida dell’automezzo aziendale commetta un’infrazione stradale che obbliga il datore di lavoro, quale proprietario del veicolo, a pagare la relativa sanzione pecuniaria, l’ammontare di quest’ultima può essere detratta dalla retribuzione a titolo di compensazione impropria (3 V., per esempio, Trib. Milano 28.7.2014, n. 2507; Trib. Trento 18.1.2011).
Le conseguenze che la giurisprudenza trae, seppure non senza qualche oscillazione, dalla teoria della compensazione impropria sono estremamente rilevanti e consistono nella tendenziale disapplicazione della disciplina prevista per l’istituto.
Fra le norme che non si applicano alle ipotesi di nostro interesse figura l’art. 1246, n. 3), c.c., la cui più rilevante applicazione consiste senz’altro nell’impignorabilità parziale degli stipendi, dei salari, delle pensioni e di ulteriori attribuzioni pecuniarie dovute al lavoratore prevista dai commi 3°-5° e 7°-8° dell’art. 545 c.p.c.
Le limitazioni alla pignorabilità dei crediti di lavoro, che trovano evidente fondamento nella necessità di non pregiudicare la soddisfazione delle esigenze di vita del debitore e delle altre persone poste a suo carico, si differenziano a seconda che il pignoramento debba aver luogo ai fini della coattiva soddisfazione di crediti alimentari oppure per altra causa: nel primo caso il limite viene fissato volta per volta dal giudice, con provvedimento autorizzativo ad hoc; nel secondo caso il pignoramento è invece consentito, senza bisogno di apposita autorizzazione, nella misura legalmente predeterminata di un quinto della somma dovuta.
È soltanto nella suddetta misura del quinto che dovrebbe poter operare, quindi, la compensazione tra un credito del lavoratore e un controcredito del datore di lavoro.
Tale conclusione viene tuttavia smentita dalla giurisprudenza, che disapplicando l’art. 1246, n. 3), c.c. sulla scorta della teoria della compensazione impropria consente al datore di lavoro di detrarre dalle attribuzioni dovute al lavoratore l’intero ammontare del credito vantato nei suoi confronti.
Proprio in occasione dell’esame di una controversia di questo tipo, nella quale veniva in rilievo un’appropriazione indebita del lavoratore, la compensazione impropria è stata pure sottoposta al vaglio della Corte costituzionale (Da Trib. Palermo 27.4.2004, in Riv. it. dir. lav., 2005, II, 132, con nota di PANAIOTTI, Denunciata alla Consulta come incostituzionale la distinzione tra compensazione propria e impropria, ai fini dell’applicabilità del limite del quinto) in quanto sospettata di violare, tramite la disapplicazione del limite del quinto dello stipendio previsto dagli artt. 1246, n. 3), c.c. e 545 c.p.c., due norme della Carta fondamentale: l’art. 36 Cost., sacrificando la funzione alimentare dello stipendio con riguardo ai bisogni primari del lavoratore e della sua famiglia; l’art. 3 Cost., comportando una irragionevole disparità di trattamento fra il datore di lavoro e gli altri creditori del lavoratore. Tali censure sono state però respinte dalla Consulta, la quale ha escluso che la compensazione impropria contrasti: tanto con l’art. 36 Cost., in quanto l’art. 545 c.p.c. non costituirebbe «inderogabile attuazione» di quella norma e potrebbe essere pertanto disapplicato senza violarla; quanto con l’art. 3 Cost., posto che non sarebbe privo di razionale giustificazione riservare al credito del datore di lavoro fondato sul delitto commesso dal dipendente, ovverosia su un comportamento che realizza una grave violazione dei doveri incombenti sul secondo nei confronti del primo, un trattamento diverso rispetto ai crediti verso il lavoratore facenti capo ad altri soggetti e fondati su differenti ragioni (Corte cost. 4.7.2006, n. 259, in Riv. it. dir. lav., 2006, II, 802).
Secondo la giurisprudenza il limite di impignorabilità del quinto dello stipendio non opera solo e soltanto nel caso in cui i due crediti abbiano origine da un unico rapporto, così che la valutazione delle singole pretese pretese comporti solo un accertamento contabile di dare ed avere e non una compensazione in senso tecnico.
In particolare, il limite non vale quando il datore voglia compensare il credito risarcitorio per danni da prestazione lavorativa non diligente con credito retributivo vantato dal prestatore, tuttavia, essa torna ad operare, anche in caso di compensazione atecnica, qualora esista una clausola del contratto collettivo che lo preveda, salvo diversi accordi contenuti nel contratto individuale (Cass. 9904/2003).
Nel caso di specie, pertanto, in linea di massima si potrà procedere alla compensazione del credito vantato nei confronti del lavoratore mediante trattenuta dello stipendio senza limiti nel caso in cui si rientri nelle casistica della compensazione impropria (in altre parole se il risarcimento del danno riconosciuto in sentenza derivi dal medesimo rapporto di lavoro) e sempre che il CCNL applicato o il contratto individuale non escludano la compensazione.