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Articolo 2364 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Assemblea ordinaria nelle società prive di consiglio di sorveglianza

Dispositivo dell'art. 2364 Codice Civile

Nelle società prive di consiglio di sorveglianza(1), l'assemblea ordinaria [2368]:

  1. 1) approva il bilancio [20, 2423, 2433];
  2. 2) nomina e revoca gli amministratori [2350, 2383]; nomina i sindaci e il presidente del collegio sindacale [2398, 2400] e, quando previsto, il soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti;
  3. 3) determina il compenso degli amministratori [2389] e dei sindaci [2402], se non è stabilito dallo statuto;
  4. 4) delibera sulla responsabilità degli amministratori e dei sindaci;
  5. 5) delibera sugli altri oggetti attribuiti dalla legge alla competenza dell'assemblea, nonché sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento di atti degli amministratori, ferma in ogni caso la responsabilità di questi per gli atti compiuti [2393, 2393 bis, 2407, 2408, 2434];
  6. 6) approva l'eventuale regolamento dei lavori assembleari.

L'assemblea ordinaria deve essere convocata [2367, 2386, 2401, 2446, 2447, 2485, 2486] almeno una volta l'anno [20, 2217, 2426, 2472], entro il termine stabilito dallo statuto e comunque non superiore a centoventi giorni dalla chiusura dell'esercizio sociale. Lo statuto può prevedere un maggior termine, comunque non superiore a centottanta giorni, nel caso di società tenute alla redazione del bilancio consolidato ovvero(2) quando lo richiedono particolari esigenze relative alla struttura ed all'oggetto della società; in questi casi gli amministratori segnalano nella relazione prevista dall'articolo 2428 le ragioni della dilazione(3)(4).

Note

(1) La norma detta le competenze dell'assemblea ordinaria per le società che abbiano optato per il sistema monistico e, dunque, prive del consiglio di sorveglianza.
(2) La parola "ovvero" sostituisce la precedente "e" ex art. 9, D. lgs. 28/12/1998 n. 58 (Nuovo correttivo riforma delle società).
(3) Il D.L. 17 marzo 2020, n. 18, ha disposto (con l'art. 106, comma 1) che "In deroga a quanto previsto dagli articoli 2364, secondo comma, e 2478-bis, del codice civile o alle diverse disposizioni statutarie, l'assemblea ordinaria è convocata entro centottanta giorni dalla chiusura dell'esercizio".
(4) Il D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dal D.L. 31 dicembre 2020, n. 183, convertito con modificazioni dalla L. 26 febbraio 2021, n. 21, ha disposto (con l'art. 106, comma 1) che "In deroga a quanto previsto dagli articoli 2364, secondo comma, e 2478-bis, del codice civile o alle diverse disposizioni statutarie, l'assemblea ordinaria è convocata per l'approvazione del bilancio al 31 dicembre 2020 entro centottanta giorni dalla chiusura dell'esercizio".

Ratio Legis

La riforma introduce una profonda innovazione della materia. Il vecchio art. 2364, con la previsione di cui al n. 4, statuiva che l'elenco delle competenze dell'assemblea ordinaria doveva ritenersi non tassativo, stante la competenza residuale di tale assemblea a decidere su tutte le questioni non riservate all'assemblea straordinaria o comunque sottoposte al suo esame dagli amministratori.
La riforma del diritto societario, di contro, stabilisce che gli amministratori non possono, di propria iniziativa, sottoporre all'assemblea operazioni attinenti alla gestione sociale e ammette soltanto che lo statuto possa richiedere che l'assemblea autorizzi gli amministratori al compimento di determinate operazioni, ferma restando in ogni caso la loro responsabilità per gli atti compiuti, quantunque autorizzati dall'assemblea.

Spiegazione dell'art. 2364 Codice Civile

L'elencazione della norma ha carattere esemplificativo, in quanto sono riservate all'assemblea ordinaria tutte quelle competenze che la legge attribuisce genericamente all'assemblea. Il legislatore ha attribuito all'assemblea ordinaria una competenza generica e residuale rispetto a quella dell'assemblea straordinaria.
Lo statuto può prevedere la convocazione dell'assemblea ordinaria per l'approvazione del bilancio nel maggior termine, non superiore a 180 giorni dalla chiusura dell'esercizio sociale. La clausola statutaria non deve necessariamente contenere l'indicazione analitica e specifica delle fattispecie che consentono il prolungamento del termine, potendo limitarsi a produrre genericamente il tenore della previsione in esame.

Relazione al D.Lgs. 6/2003

(Relazione illustrativa del decreto legislativo recante: "Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366.")

5 Le norme regolatrici della competenza assembleare sono state modificate, in attuazione della legge delega, sotto un duplice profilo. In primo luogo si è ristretta la competenza dell'assemblea ordinaria nelle società che optino per il sistema dualistico, interponendo fra assemblea e organo amministrativo un consiglio di sorveglianza (art. 4, comma 8°, lettera d) della legge delega). In tal caso l'assemblea ordinaria si limita a nominare e revocare i consiglieri di sorveglianza, a determinare il compenso ad essi spettante ed a deliberare sulla loro responsabilità, mentre spettano al consiglio di sorveglianza materie quali la nomina e la revoca degli amministratori e l'approvazione del bilancio di esercizio. In secondo luogo si è sviluppato il punto di cui all'art. 4, comma 8°, lettera c) della legge delega, che predica l'esclusiva responsabilità dell'organo amministrativo per la gestione dell'impresa sociale. A questi effetti si è profondamente innovato riguardo nella materia già regolata dall'art. 2364 del c.c., n. 4, che attribuiva alla assemblea ordinaria il potere di deliberare sugli altri oggetti attinenti alla gestione della società riservati dalla sua competenza dall'atto costitutivo o sottoposti al suo esame dagli amministratori. Gli amministratori non possono, di propria iniziativa, sottoporre all'assemblea operazioni attinenti alla gestione sociale; si è solo ammesso che lo statuto possa richiedere che l'assemblea autorizzi gli amministratori al compimento di determinati operazioni, ma si è precisato che resta ferma in ogni caso la responsabilità degli amministratori per gli atti compiuti, quantunque autorizzati dall'assemblea. Si è così evitato che, come in passato poteva accadere, nessuno risponda di una data operazione: né l'assemblea che è per definizione irresponsabile, né gli amministratori che a discarico di responsabilità abbiano sottoposto l'operazione all'assemblea. La convocazione dell'assemblea su richiesta dei soci è stata oggetto di una riforma destinata a valere anche per le società quotate e, perciò, sostitutiva dell'art. 125 del Testo unico dell'intermediazione finanziaria. Si è tenuto conto della giurisprudenza di merito che esamina i non rari casi di abuso del diritto dei soci di chiedere la convocazione; e si è precisato che il presidente del tribunale provvede sentiti i componenti degli organi amministrativi e di controllo, e ordina la convocazione dell'assemblea solo se il rifiuto dell'organo amministrativo risulti ingiustificato. In attuazione poi del già ricordato art. 4, comma 8°, lettera c) della legge delega si è precisato che per determinate materie l'iniziativa della convocazione può essere assunta solo dagli amministratori, trattandosi di argomenti sui quali essa deve deliberare, a norma di legge, su proposta degli amministratori o sulla base di un progetto o di una relazione da essi predisposta (approvazione del bilancio, fusione, scissione, aumento di capitale da liberare in natura o con esclusione del diritto di opzione ecc.). Si è espressamente prevista, nel quarto comma dell'art. 2366 del c.c., la validità dell'assemblea totalitaria anche in assenza delle formalità di convocazione, con la salvezza della facoltà per il socio di opporsi alla trattazione di argomenti sui quali non si ritenga sufficientemente informato. Corollario della nuova previsione della sufficienza della sola maggioranza dei rappresentanti degli organi amministrativi e di controllo ai fini della validità dell'assemblea è la previsione dell'ultimo comma dell'articolo 2366, che impone l'obbligo di comunicazione delle deliberazioni assunte ai membri di tali organi non repenti all'assemblea, così da garantire eguali livelli di informazione a tutti i componenti degli organi sociali. Le norme relative ai quorum costitutivi e deliberativi dell'assemblea sono state rimaneggiate (e quelle dell'assemblea straordinaria anche con riguardo alle società con azioni quotate) alla luce di una duplice direttiva della legge delega: quella, per un verso, di favorire la formazione delle deliberazioni e quella, per altro verso, di apprestare adeguata tutela alle minoranze (art. 4, comma 7°, lettera d). I quorum ora previsti sono frutto della ricerca del giusto punto di equilibrio fra queste opposte esigenze. In questa prospettiva si è anche disposto che le azioni per le quali non può essere esercitato il diritto di voto (come, ad esempio, le azioni di coloro che non abbiano reso pubblico, nei modi di legge, il patto parasociale fra essi intercorrente) sono computate nel quorum costitutivo dell'assemblea, mentre le stesse azioni e quelle dei soci che si sono astenuti dal voto per conflitto di interessi con la società non sono computate nel quorum deliberativo. Potrà così accadere che le deliberazioni siano validamente assunte, quando è richiesta la maggioranza assoluta dei votanti, da soci che rappresentano una frazione minoritaria del capitale presente in assemblea o, per le deliberazioni di assemblea straordinaria, da soci che rappresentano una quota di capitale inferiore, a seconda dei casi, alla maggioranza del capitale sociale o alla maggioranza del capitale rappresentato in assemblea o al terzo o al quinto del capitale sociale e così via. Sempre in attuazione dei principi espressi dalla legge delega, si è ammesso che lo statuto possa prevedere il voto per corrispondenza o l'intervento in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione, e che possa determinare un numero di convocazione dell'assemblea ulteriore rispetto a quello legislativamente previsto. Il diritto di intervento in assemblea è stato reso funzionale all'espressione del voto; si è perciò circoscritto il diritto di intervento ai soli azionisti cui spetta il diritto di voto, così escludendo l'intervento dei nudi proprietari delle azioni. La necessità del preventivo deposito delle azioni o della relativa certificazione è stata rimessa alla valutazione dello statuto; sicché in mancanza di disposizioni statutarie al riguardo il preventivo deposito dovrà ritenersi superfluo, ciò che vale anche a eliminare le antiche dispute sulla validità delle deliberazioni assunte dall'assemblea non preceduta da un preventivo deposito dei titoli azionari. I poteri del presidente dell'assemblea sono stati analiticamente determinati, così superando incertezze interpretative al riguardo, per soddisfare le esigenze di funzionalità e di certezza dell'attività sociale raccomandate dalla legge delega. Esigenze di funzionalità hanno indotto anche a rivedere la disciplina della rappresentanza dei soci in assemblea ed a chiarire i dubbi interpretativi che la preesistente disciplina aveva sollevato. La norma sul conflitto di interessi non presenta particolari innovazioni: la sua più sintetica formulazione, che prescinde dal disposto di cui al primo comma del preesistente art. 2373, si conforma all'indirizzo interpretativo formatosi in giurisprudenza. Ciò non toglie che il socio, il quale si ritenga in conflitto di interessi con la società, possa dichiarare di astenersi dal voto, come del resto risulta dal terzo comma del nuovo art. 2368 del c.c.. La nuova più accurata disciplina delle modalità di redazione del verbale delle deliberazioni assembleari risolve un antico dilemma nel senso della necessaria analiticità del verbale, mentre soddisfa varie esigenze di praticità che l'esperienza pregressa aveva prospettato. In tema di invalidità delle deliberazioni assembleari si è data attuazione al citato art. 4, comma 7°, lettera b), della legge delega sotto diversi profili. L'individuazione legislativa delle ipotesi di invalidità, richiesta dalla legge delega, corrisponde ad una sorta di riserva di legge al riguardo, volta ad escludere ipotesi di invalidità atipiche, come l'inesistenza delle deliberazioni assembleari, della quale si è in giurisprudenza alquanto abusato, frustrando la portata dell'originario art. 2377 c.c. , che aveva inteso convertire la nullità per violazione di norme imperative, di cui al principio generale di cui all'art. 1418, in semplice annullabilità (salve solo le due ipotesi di cui all'art. 2379), e reintroducendo in tal modo, sotto le mentite spoglie dell'inesistenza, la nullità virtuale delle deliberazioni assembleari per violazione di norme imperative. Si è perciò formulato il principio di tassatività delle ipotesi di invalidità delle deliberazioni assembleari previste dalla legge: la annullabilità per violazione di norme, anche imperative, di legge o di clausole dello statuto, e la nullità nelle ipotesi tassativamente indicate nel nuovo art. 2379 del c.c.. Per prevenire ogni possibile dubbio si è tenuto a precisare quali conseguenze produce sulla validità della deliberazione la mancanza di legittimazione di partecipanti all'assemblea o l'illegittimità del singolo voto o la incompletezza o inesattezza del verbale assembleare. Risulta al tempo stesso precisato che simili anomalie possono tutt'al più comportare semplice annullabilità della deliberazione. Per ovviare all'inconveniente, troppe volte manifestatosi nell'esperienza, di impugnative ispirate da intenti meramente ricattatori si è richiesto il possesso di una quota qualificata di capitale sociale per esercitare l'azione di annullamento, mentre è stato confermato il termine di tre mesi entro il quale l'annullabilità può essere fatta valere. Il riferimento alla adozione di strumenti di tutela diversi dalla invalidità, contenuto nella parte finale delle citata norma della legge delega, è parso alludere alla tecnica sanzionatoria introdotta dall'art. 2504 quater c.c. per l'atto di fusione. Con la generalizzazione di questa tecnica si sono potute contemperare fra loro l'esigenza di limitare la legittimazione a far valere l'azione di annullamento e quella di tutelare i singoli soci danneggiati da deliberazioni invalide. I casi tassativi di nullità delle deliberazioni assembleari sono stati accresciuti, anche al fine di confermare la superfluità della pronuncia di inesistenza: alle impossibilità o illiceità dell'oggetto si sono aggiunte la mancata convocazione dell'assemblea e la mancanza del verbale della deliberazione, pur con la analitica precisazione di quando una assemblea può dirsi non convocata e di quando un verbale può dirsi mancante. Rilevanti innovazioni consistono nella previsione di cause sananti la nullità: di carattere generale è la sanatoria per il decorso di tre anni dall'iscrizione della deliberazione o dal suo deposito nel registro delle imprese oppure, per le deliberazioni che non vi sono soggette, dalla trascrizione nel libro delle adunanze delle assemblee (fatta salva solo l'ipotesi della modificazione dell'oggetto sociale che introduca in esso attività illecite o contrarie all'ordine pubblico).Di carattere particolare sono le sanatorie riguardanti l'invalidità di deliberazioni vertenti su specifici oggetti: l'aumento o la riduzione del capitale o la emissione di obbligazioni (analoga sanatoria, per l'art. 2500 bis, vale per la trasformazione della società). Qui l'azione di nullità è soggetta ai brevi termini di decadenza di cui all'art. 2379 ter, anche qualora possa eventualmente configurarsi una illiceità dell'oggetto. Analogo discorso vale per l'invalidità della deliberazione che approvi un bilancio falso, non più impugnabile dopo l'approvazione del bilancio successivo (art. 2434 bis), quantunque si possa in essa ravvisare una deliberazione con oggetto illecito. In questa materia potrà spiegare la propria funzione di protezione degli interessi dei soci e dei terzi eventualmente danneggiati il rimedio alternativo della azione di risarcimento.

Massime relative all'art. 2364 Codice Civile

Cass. civ. n. 20265/2013

Qualora la determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali, ai sensi dell'art. 2389, primo comma cod. civ., (nel testo, applicabile "ratione temporis", anteriore alle modifiche di cui al d.lgs. n. 6 del 2003), non sia stabilita nell'atto costitutivo, è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, atteso: la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, discendente dall'essere la disciplina del funzionamento delle società dettata, anche, nell'interesse pubblico al regolare svolgimento dell'attività economica, oltre che dalla previsione come delitto della percezione di compensi non previamente deliberati dall'assemblea (art. 2630, secondo comma cod. civ., abrogato dall'art. 1 del d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61); la distinta previsione della delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi (art. 2364 n. 1 e 3 cod. civ); la mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione, nel caso di approvazione del bilancio (art. 2434 cod. civ.); il diretto contrasto delle delibere tacite ed implicite con le regole di formazione della volontà della società (art. 2393, secondo comma, cod. civ.). Conseguentemente, l'approvazione in sé del bilancio, pur se contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori, non è idonea ai predetti fini, salvo che un'assemblea convocata solo per l'approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori. (Cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Torino, 09/02/2006).

Cass. civ. n. 13279/2012

È inderogabile la disposizione di cui all'art. 2364 c.c., che attribuisce all'assemblea ordinaria la facoltà di deliberare l'azione di responsabilità contro amministratori e sindaci; ne consegue che la clausola statutaria, la quale preveda la convocazione dell'assemblea ordinaria entro un certo mese dell'anno, non può significare che tutte le assemblee successive abbiano natura straordinaria e siano, quindi, soggette al più rigoroso regime giuridico, dovendo invece essere attribuito all'eventuale termine statutario, secondo l'interpretazione conservativa imposta dall'art. 1367 c.c., lo stesso significato ed efficacia del termine di sei mesi, fissato dall'art. 2364, secondo comma, c.c., nel senso cioè di non precludere lo svolgimento dell'assemblea ordinaria in un momento successivo.

Cass. civ. n. 23983/2008

Ai fini dell'accertamento della violazione di cui all'art. 9 del D.P.R. n. 600 del 1973 che, per la presentazione della dichiarazione IRPEG, stabilisce il termine di «un mese dall'approvazione del bilancio o rendiconto» e, se il bilancio non è stato approvato nel termine stabilito dalla legge o dall'atto costitutivo, «entro un mese dalla scadenza del termine stesso» occorre fare riferimento all'art. 2364, secondo comma, c.c. (nel teso vigente ratione temporis), che prevede che l'assemblea ordinaria (unico organo competente all'approvazione del bilancio e del rendiconto) «deve essere convocata almeno una volta all'anno, entro quattro mesi dalla chiusura dell'esercizio sociale» e che «l'atto costitutivo può stabilire un termine maggiore, non superiore in ogni caso a sei mesi, quando particolari esigenze lo richiedono» senza che queste ultime debbano essere indicate nell'atto costitutivo o costituire oggetto di una apposita delibera, essendo sufficiente che nel verbale dell'assemblea il ritardo risulti giustificato con il richiamo della previsione del medesimo atto costitutivo ovvero che gli amministratori invochino tale previsione per giustificare la ritardata convocazione dell'assemblea.

Cass. civ. n. 23329/2006

In tema di società di capitali (nella specie cooperativa a responsabilità limitata), qualora l'assemblea, regolarmente tenutasi, decida con l'accordo di tutti i soci la prosecuzione della seduta ad altra data, in cui, sempre con l'intervento di tutti i soci, sia disposto a maggioranza e senza alcuna deliberazione l'ulteriore differimento ad altro giorno, è valida la deliberazione adottata in questa sede, giacché - essendo stati i presenti edotti del prosieguo della assemblea regolarmente tenutasi - non è necessario, in assenza di variazioni dell'ordine del giorno originario - un nuovo avviso di convocazione, mentre, d'altra parte, non ricorrono i presupposti stabiliti dall'art. 2374 c.c. per il rinvio dell'adunanza.

Cass. civ. n. 21831/2005

La delibera di approvazione del bilancio di una società di capitali, resa dall'assemblea ordinaria con le prescritte maggioranze, ha efficacia vincolante nei confronti di tutti i soci, anche con riguardo ai crediti della società verso i medesimi che risultino indicati con chiarezza in detto bilancio. Se è vero, infatti, che a norma dell'art. 2709 c.c. i libri e le scritture contabili e quindi anche il bilancio dell'impresa soggetta a registrazione fanno prova contro l'imprenditore e non a suo favore, tale regola non è invocabile nei rapporti fra società e socio, che sono retti dal principio della vincolatività delle deliberazioni assembleari. Tale principio, valevole anche con riguardo ai soci dissenzienti che non abbiano provveduto ad impugnare la deliberazione nei modi e nei termini prescritti, a maggior ragione è destinata a valere nei confronti del socio che abbia concorso con il proprio voto favorevole all'approvazione di quella deliberazione: sicché soltanto facendone pronunciare l'annullamento o facendone accertare la nullità detto socio può sottrarsi al vincolo da essa derivante, fermo restando che l'onere di provare il vizio da cui deriva l'invalidità di una deliberazione giudizialmente impugnata grava su chi la impugna. (Fattispecie relativa all'impugnazione della deliberazione dell'assemblea di una società a responsabilità limitata di approvazione di una situazione patrimoniale, prodromica alla messa in liquidazione della società e qualificabile come bilancio straordinario, da cui emergeva un debito per sottoscrizione di un precedente aumento di capitale del socio impugnante, che aveva concorso con il proprio voto favorevole all'approvazione della delibera. Enunciando il principio in massima, la S.C. ha affermato che gravava su detto socio l'onere nella specie non assolto di provare l'eccepita nullità della deliberazione per difetto di veridicità della situazione patrimoniale approvata, con particolare riferimento al debito in questione).

Cass. civ. n. 10895/2004

In tema di bilancio di società — che ha la funzione di informare i soci e i terzi dell'attività svolta dagli amministratori attraverso la rappresentazione contabile dello stato patrimoniale della società e dei risultati economici della gestione — la delibera di approvazione del medesimo (la quale, ovviamente, non può prescindere dalla relazione di accompagnamento redatta dall'amministratore), non comporta automaticamente — in difetto di espressa previsione nell'ordine del giorno sul quale l'assemblea è stata convocata — l'approvazione anche degli atti gestori menzionati nella relazione. (Nel rilevare che l'attore aveva inteso impugnare non la delibera di approvazione del bilancio ma uno degli atti gestori compiuti dall'amministratore, al quale si faceva riferimento nella relazione di accompagnamento al bilancio, la Corte ha cassato la sentenza impugnata che aveva annullato la delibera di approvazione del bilancio ritenendo erroneamente che in tal modo l'assemblea avesse inteso approvare anche l'atto di gestione invalidamente compiuto dall'amministratore, che agendo in conflitto di interessi, aveva concesso in locazione un immobile appartenente alla società a favore di altra società di cui il medesimo era socio).

Cass. civ. n. 27/2000

In sede di assemblea i soci intervenuti hanno non solo il diritto di esprimere la propria opinione sugli argomenti all'ordine del giorno ma anche di richiedere informazioni e chiarimenti tanto sulle materie oggetto di deliberazione quanto sull'andamento della gestione sociale, e ciò vale anche in sede di assemblea di approvazione del bilancio, ai sensi dell'art. 2423 c.c. (sia nel nuovo che nel vecchio testo) dato il collegamento esistente tra principio di chiarezza e diritto all'informazione; per essere legittimo l'esercizio di tale diritto deve essere pertinente agli argomenti posti all'ordine del giorno e non trovare ostacolo in oggettive esigenze di riservatezza in ordine a notizie la cui diffusione può arrecare pregiudizio alla società; quando la domanda sia pertinente e non attenga a notizie riservate deve ricevere una risposta adeguata, concreta, idonea a dissipare insufficienze e incertezze, il relativo accertamento costituendo giudizio di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da idonea motivazione.

Cass. civ. n. 7623/1997

La delibera di approvazione del bilancio di una società per azioni non è invalida per esser stata adottata dopo la scadenza del termine di quattro mesi dalla chiusura dell'esercizio sociale, stabilito dall'art. 2364, secondo comma, c.c., o del termine più lungo (ma non superiore a sei mesi) dalla detta chiusura, fissato nell'atto costitutivo, conformemente alle previsioni dell'ultima parte della disposizione citata.

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A. D. chiede
martedì 26/03/2024
“Sono Presidente di una cooperativa a mutualità prevalente iscritta alla Camera di Commercio. L'assemblea dei soci ha eletto i consiglieri che riuniti nel CDA hanno deciso gli incarichi: Presidente, Vicepresidente e Tesoriere.
Lo statuto prevede che sono riservate alle competenze dei soci " la nomina degli amministratori e la struttura dell'organo amministrativo".
Vorrei sapere se il CDA può modificare (anche a maggioranza) gli incarichi precedentemente definiti ( in particolare cambiare il Vicepresidente). Grazie.”
Consulenza legale i 03/04/2024
L’art. 2519 del c.c. dispone che alle società cooperative, salvo quanto per esse espressamente previsto, si applicano in quanto compatibili le disposizioni sulla società per azioni.
Ai sensi dell’art. 2364 del c.c., applicabile alle cooperative in forza del rinvio operato dall’art. 2519 del c.c., l'assemblea ordinaria: approva il bilancio; nomina e revoca gli amministratori; nomina i sindaci e il presidente del collegio sindacale e, quando previsto, il soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti; determina il compenso degli amministratori e dei sindaci, se non è stabilito dallo statuto; delibera sulla responsabilità degli amministratori e dei sindaci; delibera sugli altri oggetti attribuiti dalla legge alla competenza dell'assemblea, nonché sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento di atti degli amministratori, ferma in ogni caso la responsabilità di questi per gli atti compiuti; approva l'eventuale regolamento dei lavori assembleari.
Detta previsione è integrata dall’art. 22 dello statuto.

L'assemblea straordinaria, invece, delibera sulle modificazioni dello statuto, sulla nomina, sulla sostituzione e sui poteri dei liquidatori e su ogni altra materia espressamente attribuita dalla legge alla sua competenza (2365cc).
A norma dell’art. 2380 bis, comma V, del c.c., la nomina del presidente del consiglio di amministrazione (tra gli amministratori scelti dall’assemblea) spetta allo stesso consiglio, salvo che non sia determinato dall’assemblea; così come la nomina del vicepresidente e del tesoriere.

Nel caso di specie, infatti, è stato proprio il CDA a deliberare le nomine.

La dicitura di cui all’art. 22 dello statuto, che riserva ai soci la nomina degli amministratori e la struttura dell'organo amministrativo, non viene disattesa.
A conferma di ciò, l’art. 30 dello statuto prevede che la cooperativa possa essere amministrata da un amministratore unico o da un consiglio di amministrazione formato da un massimo di 9 membri; tale scelta viene proprio operata dall’assemblea, in ossequio al disposto di cui all’art. 22.
La riserva ai soci delle decisioni sulla struttura dell’organo amministrativo, infatti, si ritiene riferibile alla scelta su un sistema collegiale o monocratico (se ammesso) e al numero di amministratori, ai ruoli da individuare nell’organo amministrativo, nonché all’eventuale scelta tra i diversi sistemi o modelli di governance (cioè di gestione e controllo).

Nel caso di specie, l’assemblea ha nominato gli amministratori, decidendo, si suppone, anche sulla struttura che l’organo amministrativo doveva assumere: numero di membri, composizione e ruoli da definire al suo interno (presidente, vicepresidente e tesoriere).
A sua volta, il CDA ha individuato tra gli amministratori nominati dall’assemblea coloro che dovevano assumere le cariche di presidente, vicepresidente e tesoriere.
Allo stesso modo, lo stesso CDA potrà modificare le precedenti nomine.

Ugo B. chiede
giovedì 25/02/2021 - Toscana
“In Assemblea è stato preso atto della volontà dei neo nominati Consiglieri "di voler rinunciare ad un compenso riconosciuto dall'assemblea ferma restando e senza pregiudizio per la successiva possibile attribuzione di compensi da parte del consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale, agli amministratori investiti di particolari cariche ai sensi dell'art.2389, comma 3, c.c."
In coerenza con quanto sopra il CdA nell'ambito della riunione che si è svolta a valle della seduta assembleare ha attribuito il compenso agli amministratori investiti di particolari cariche.
Un sindaco è intervenuto sottolineando l'opportunità della ratifica del compenso in una apposita assemblea.
A me sembra superfluo dato che i Consiglieri in questione operano non solo le scelte gestionali ma anche quelle volte alla organizzazione dell'impresa"”
Consulenza legale i 09/03/2021
L'art. 2389 del c.c. sancisce che i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti all'atto della nomina o dall'assemblea
In materia di compenso degli amministratori deve applicarsi il combinato disposto dell'art. 2364 del c.c. e dell'art. 2389 del c.c. che attribuisce allo statuto e, in subordine, alla delibera assembleare, la determinazione del compenso spettante agli amministratori.

Nel caso in cui si tratti di amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto, la competenza a stabilirne la remunerazione spetta, invece, ai sensi dell’art. 2389, comma 3°, al consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale.
Sul punto risulta particolarmente esplicativo un passaggio di una sentenza della Suprema Corte: "L'applicazione dell'art. 2389 comma 2 [oggi comma 3], c.c., che attribuisce al consiglio di amministrazione il compito di deliberare la remunerazione spettante per gli amministratori investiti di particolari cariche, presuppone dunque che le particolari cariche siano state previste nell'atto costitutivo e che siano state attribuite dall'assemblea o dall'organo amministrativo, ove ciò sia consentito dall'atto costitutivo o dall'assemblea o dalla legge e nei limiti ivi fissati [...]" Cassazione civile, 29 maggio 2015, n. 11235.

Stando alle informazioni fornite nel quesito, sembra che l’atto costituivo abbia già investito determinati amministratori di particolari cariche.
In tale eventualità non è necessario richiede una “ratifica” assembleare dell’attribuzione di un compenso agli amministratori con particolari cariche deliberata dal C.d.A.; è, invece, sufficiente il parere del collegio sindacale.

Se, al contrario, tali particolari cariche non siano attribuite dall’atto costitutivo, la loro attribuzione sarà di competenza dell’assemblea; potrà competere al C.d.A. solo la delega di attribuzioni, ma nell'ambito delle previsioni dell'atto costituivo e nell'esercizio del potere di delega disciplinato in via generale dall'art. 2381 del c.c..
Una volta che siano state conferite particolari cariche nei termini di cui sopra, il C.d.A. avrà la facoltà di determinarne la remunerazione.
Va segnalato, infine, che la determinazione di tale remunerazione, in fin dei conti, passa comunque dall’assemblea in sede di approvazione del bilancio (competenza dell'assemblea a norma dell'art. 2364, comma 1°, n. 1, c.c..