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Articolo 2222 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Contratto d'opera

Dispositivo dell'art. 2222 Codice Civile

Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo [2225] un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV [1655].

Ratio Legis

La norma ha contenuto nozionistico, infatti fornisce la definizione di contratto d'opera delineandone i caratteri essenziali quali:
a) prestazione di lavoro prevalentemente personale;
b) assenza di vincolo di subordinazione;
c) corresponsione di un corrispettivo.

Massime relative all'art. 2222 Codice Civile

Cass. civ. n. 486/2018

Il prestatore d'opera, se conviene con il committente di prendere in consegna il bene per l'esecuzione della prestazione principale su di esso, assume, ai sensi degli artt. 2222 e 1177 c.c., anche l'obbligo accessorio di custodirlo fino alla riconsegna, pure in caso di deposito a titolo gratuito o di cortesia. (Principio enunciato in fattispecie in cui un'auto, consegnata, per il lavaggio, dal suo proprietario al gestore di apposito impianto, era stata rubata mentre era parcheggiata sul piazzale dello stesso, chiusa a chiave dal gestore che aveva riposto la chiave in una bacheca non chiusa ubicata nel locale della cassa, accessibile a chiunque, senza, perciò, l'adozione di tutte le cautele idonee a superare la presunzione di colpa a carico del depositario).

Cass. civ. n. 29437/2016

Il borsista o il ricercatore che, negli intervalli di tempo fra una borsa di studio e l'altra o fra un contratto di ricerca e il successivo, continui a svolgere attività in favore di una struttura sanitaria deve considerarsi un prestatore d'opera autonomo ex art. 2222 c.c., non essendo detta attività precaria riconducibile alla categoria della parasubordinazione, in assenza della continuità e della coordinazione delle prestazioni rese, con conseguente inapplicabilità dell'art. 36 Cost. in punto di sufficienza e proporzionalità della retribuzione.

Cass. civ. n. 4489/2010

In tema di contratto di prestazione d'opera professionale, titolare del rapporto è colui che conferisce l'incarico. in nome proprio, ovvero colui che, munito di procura, agisce in nome e per conto del mandante, sicché, ove difetti la rappresentanza, la persona nel cui interesse sia richiesta un'attività professionale non assume alcuna obbligazione nei confronti del professionista officiato. Tale principio trova applicazione anche con riferimento agli incarichi conferiti ad un professionista dall'avvocato munito di procura "ad litem", atteso che essa attribuisce lo "ius postulandi" e non certo il potere di compiere in nome e per conto della parte attività di tipo diverso da quelle strettamente processuali, ancorché strumentali al positivo esito della controversia.

Cass. civ. n. 22233/2004

Nel contratto di prestazione di opera professionale la qualità di cliente può non coincidere con quella del soggetto a favore del quale l'opera del professionista deve essere svolta, di tal che chiunque può, per le più svariate ragioni, dare incarico ad un professionista affinché questi presti la propria opera a favore di un terzo, con la conseguenza che il contratto si conclude tra il committente ed il professionista, il quale resta obbligato verso il primo a compiere la prestazione a favore del terzo, mentre il primo resta obbligato al pagamento del compenso.

Cass. civ. n. 12011/1997

Il contratto di lavoro autonomo, o contratto d'opera, è caratterizzato dalla prevalenza dell'obbligazione di fare su quella di dare, con o senza l'onere di acquisto del materiale, requisito questo che sostanzialmente lo differenzia dal contratto di vendita (anche di cose future). Ne discende che il contratto con cui un imprenditore si obbliga a fornire ad un altro soggetto manufatti rientranti nella propria normale attività produttiva e/o commerciale, apportando ad essi le modifiche di forma, misura e/o qualità richieste specificamente dalla controparte, costituisce vendita (di cosa futura) se dette modifiche non snaturano le caratteristiche essenziali del prodotto, ma consistono in accorgimenti marginali e secondari diretti ad adattarlo alle specifiche esigenze dell'acquirente.

Cass. civ. n. 1040/1995

Se è vero che obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale sono generalmente obbligazioni di mezzi, in determinate circostanze esse assumono le caratteristiche delle obbligazioni di risultato in cui il professionista si impegna a realizzare un determinato opus. Tale è il caso della obbligazione di redigere un progetto di ingegneria che ha per oggetto un risultato ben definito che è la sua realizzazione.

Cass. civ. n. 933/1995

Nel contratto d'opera — caratterizzato dall'autonomia del prestatore d'opera nella scelta dei mezzi e nell'organizzazione della propria attività volta al conseguimento dell'opus — non trovano applicazione le norme speciali antinfortunistiche, che, di regola, presuppongono l'inserimento del prestatore nell'impresa del soggetto destinatario della prestazione, né la norma di cui all'art. 2087 c.c., la quale, integrando le richiamate leggi speciali, impone all'imprenditore la adozione delle misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro; con la conseguenza che, nell'indicato contratto, non è ipotizzabile un generale dovere di controllo del committente, in ordine all'attitudine del prestatore, all'efficacia o adeguatezza dell'organizzazione da lui predisposta e delle concrete modalità di svolgimento dell'opera. (Nella specie, la Suprema Corte ha annullato la decisione di merito — che aveva ritenuto il committente responsabile di aver consentito la esecuzione del montaggio di una parete in legno di uno stand fieristico ad un artigiano, privo dei mezzi necessari — per non avere adeguatamente accertato le caratteristiche e le modalità di esecuzione dell'opera, alle quali ricondurre un dovere di controllo del committente).

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Consulenze legali
relative all'articolo 2222 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Cliente chiede
mercoledì 03/04/2024
“quali obblighi di natura pubblicistica incombono sul privato committente (persona fisica) e sul lavoratore autonomo in riferimento ad una prestazione d'opera determinata?”
Consulenza legale i 12/04/2024
A partire dal 21 dicembre 2021 è entrato in vigore l’obbligo, per il committente che stipula un contratto di collaborazione occasionale, di effettuare una preventiva comunicazione all’Ispettorato territoriale del lavoro competente per territorio.

Il Ministero del lavoro e l’Ispettorato nazionale del lavoro (INL), nelle note a firma congiunta n. 29 e n. 109 del 2022, hanno fornito una serie di indicazioni specifiche sui soggetti obbligati ed esonerati dall’obbligo introdotto dalla legge n. 215/2021.

I requisiti che caratterizzano il lavoro autonomo occasionale oggetto del nuovo adempimento di comunicazione sono:
- l’autonomia, in relazione alle modalità e ai tempi di svolgimento del servizio o di realizzazione dell’opera;
- l’occasionalità dell’attività svolta o realizzata;
- il mancato inserimento nell’organizzazione dell’azienda per la quale si svolge il lavoro;
- l’assenza del vincolo di subordinazione con il committente;
- la corresponsione di un corrispettivo.

Sotto il profilo previdenziale, occorre evidenziare che i compensi percepiti fino a 5.000 euro non sono soggetti al prelievo previdenziale.
Al superamento della franchigia dei 5.000 euro, il prestatore deve iscriversi alla Gestione separata ed esporre sulla ricevuta di pagamento il contributo previdenziale previsto.
Il contributo dovuto sarà per 2/3 a carico del committente e per 1/3 a carico del lavoratore.

Ai prestatori d’opera occasionali non si applica la normativa assistenziale INAIL.

Tuttavia, il Ministero e l’INL hanno sottolineato che la comunicazione deve essere effettuata in via preventiva da parte:
- dei committenti che operano in qualità di imprenditori,
- dei lavoratori autonomi occasionali inquadrabili nella definizione contenuta all’art. 2222 c.c.

Pertanto, nel caso di specie, trattandosi di un committente privato cittadino, non vi è alcun obbligo di comunicazione, dal momento che la normativa sopra richiamata interessa esclusivamente i committenti che operano in qualità di imprenditori.

Allo stesso modo, salvo quanto sopra richiamato circa il superamento della franchigia, non vi sono ulteriori obblighi contributivi per il committente.


Anonimo chiede
lunedì 16/01/2023 - Lazio
“Buongiorno,
ho firmato un contratto con una società di consulenza che chiede di avvalersi della prestazione d’opera di un professionista qualificato per la predisposizione e per lo sviluppo di progetti di consulenza in ambito Information Security, Cyber Security e Data Protection.
Inizio con una premessa, ho firmato il medesimo contratto, con la stessa azienda, da marzo 2022 a dicembre 2022 senza lamentele da parte del committente e del Cliente finale, consegnando un rapportino mensile per collaboratori esterni, molto snello. Al rinnovo contrattuale, è stato rimodulato la tariffa e da quel giorno il committente mi chiede cose al limite dell’assurdità. Mi chiede di inviare, tramite un nuovo modulo (secondo me specifico per il personale dipendente) rapportini settimanali (inizialmente giornalieri), con pianificazione e consuntivazione delle attività svolte, con annesso i dettagli, quali:
- ore lavorate (ora inizio - ora fine), attività svolte, deliverable prodotti, incontri e riunioni svolti, che nelle comunicazioni con il Cliente, il committente deve essere informato e presente in copia nelle mail (email che contengono documenti ed info riservate), etc.
Purtroppo, le giornate rendicontate senza il rapportino o con un rapportino con informazioni generiche non saranno riconosciute e quindi pagate.
Successivamente all’aver ottenuto, dal Cliente finale, presso cui presto l’opera, le necessarie autorizzazioni:
- di non inviare informazioni classificate “Sensibili” e “Confidenziali”
- di inviare solamente lo Stato Avanzamento Lavori.
Nonostante aver compilato e consegnato la documentazione richiesta dal committente, e non avendo ricevuto dal Cliente finale alcuna lamentela sulla prestazione fornita (anzi è molto soddisfatto),
i rapportini sono sullo stato “non approvato”, per cui non potrò presentare fattura ed essere pagato.

Mi chiedo, può il committente fare una richiesta di inviare un rapportino con informazioni così puntuali, visto la tipologia di contratto? Se non si andrà ad un accordo bonario, ho la possibilità di recedere dal contratto per giusta causa? Ed esigere di essere pagato per la prestazione fino ad oggi svolta?

Nel contratto stipulato con il committente, per prestazioni d’opera autonome non coordinate (Art.2222 Codice Civile), è descritto:
Premessa: - che, a fronte del contenuto oggettivo dell’esigenza della Società, della natura del servizio e delle modalità attraverso le quali il servizio può essere utilmente reso – non occasionalità, assenza di coordinamento da parte del Committente ed insussistenza di mezzi da questi messi a disposizione, insussistenza di vincoli di orario, insussistenza di obbligo di presenza negli intervalli tra le singole prestazioni e libertà di organizzazione delle medesime da parte del Collaboratore, assenza di ordini e disposizioni da parte della Committente.
Articolo 3) Il Collaboratore eseguirà il servizio commessogli con prestazione personale, per il tempo, in ciascuna giornata, da egli stesso reputato necessario e secondo propria organizzazione del lavoro, purché il servizio sia utilmente reso.
Articolo 7) Le fatture relative al corrispettivo e alle eventuali spese di cui ai precedenti articoli saranno emesse previa presentazione e approvazione da parte della Committente dello stato di avanzamento delle attività svolte e dei risultati raggiunti.

PS: si chiede di omettere il mio nome, se il quesito verrà pubblicato sul sito web, grazie.”
Consulenza legale i 25/01/2023
Le considerazioni svolte nel quesito appaiono fondate.
Infatti, in sede di rinnovo contrattuale, sono state ribadite le caratteristiche di autonomia proprie della prestazione del professionista:
  • assenza di coordinamento da parte del Committente [..],
  • insussistenza di vincoli di orario, insussistenza di obbligo di presenza negli intervalli tra le singole prestazioni e
  • libertà di organizzazione delle medesime da parte del Collaboratore, assenza di ordini e disposizioni da parte della Committente”.
Viene altresì confermato che “il Collaboratore eseguirà il servizio commessogli [...] per il tempo, in ciascuna giornata, da egli stesso reputato necessario e secondo propria organizzazione del lavoro, purché il servizio sia utilmente reso”.
Neppure tale ultimo inciso (“purché il servizio sia utilmente reso”) vale a legittimare la pretesa imposizione, da parte del committente, di un sistema laborioso di controllo quali i dettagliati rapportini giornalieri richiesti al collaboratore, peraltro senza nessuna base contrattuale ma, anzi, apertamente in contrasto con quanto previsto negli accordi stipulati tra le parti.
Il comportamento del committente suscita, semmai, il sospetto che il quest'ultimo cerchi pretestuosamente di sottrarsi al pagamento del compenso.
Infatti il contratto, anche nella versione successiva al rinnovo, subordina l’emissione delle fatture alla “previa presentazione e approvazione da parte della Committente dello stato di avanzamento delle attività svolte e dei risultati raggiunti”: ciò comporta, sì, una verifica periodica dell’operato del professionista, ma non necessariamente il sistema di controllo imposto unilateralmente dalla committente.
Pertanto, ad avviso di chi scrive, il comportamento del committente, che di fatto rifiuta di corrispondere il compenso per l’attività svolta, può costituire giusta causa ai fini del recesso, ex art. 2237 del c.c., fermo restando, da un lato, che, ai sensi della norma da ultimo citata, il recesso del prestatore d’opera intellettuale deve avvenire “in modo da evitare pregiudizio al cliente", dall’altro che il prestatore ha comunque “diritto al rimborso delle spese fatte e al compenso per l'opera svolta, da determinarsi con riguardo al risultato utile che ne sia derivato al cliente”.
Si consiglia comunque di rivolgersi a un legale al fine di concordare le azioni da intraprendere, anche in previsione di un eventuale contenzioso (e per scongiurarlo).

G. F. chiede
domenica 18/12/2022 - Marche
“Un socio di cooperativa di lavoro presta la sua opera in forma non subordinata e:
1) fiscalmente percepisce compensi considerati quali redditi assimilati al lavoro dipendente (art.50 TUIR), e inoltre
2) previdenzialmente versa i propri contributi secondo le regole proprie della gestione separata degli imprenditori artigiani (circolare INPS 29/2021).
Il quesito che intendo porre è il seguente: per questa tipologia di rapporto QUALI SONO LE NORMATIVE VIGENTI che - secondo l'art.6, comma 1, lett. c - devono essere espressamente richiamate nel Regolamento Interno, considerato che il socio in questione non è inquadrabile né come imprenditore (non possiede partita iva) né come co.co.co. (in considerazione del suo differente inquadramento previdenziale) ?
mi scuso per la lunghezza del quesito.
Grazie”
Consulenza legale i 27/12/2022
Le disposizioni fornite dalla legge 3 aprile 2001, n. 142, all’articolo 1, comma 3, prevedono che “il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all’instaurazione del rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali”.

La connotazione del rapporto giuridico tra la società cooperativa e il lavoratore artigiano è rinvenibile sia nello statuto associativo, nel quale sono individuate le modalità di raggiungimento dell’oggetto sociale dell’attività imprenditoriale a cui le attività dei singoli devono tendere, sia nel contratto tra il lavoratore e la cooperativa, nel quale è specificatamente indicata la tipologia di rapporto lavorativo instaurato.

Ne consegue, quindi, che tra la cooperativa e il socio può essere instaurato un rapporto di lavoro autonomo artigiano dal quale deriva, per i motivi sopra esposti, l’iscrizione alla Gestione previdenziale speciale autonoma degli artigiani.

Ai sensi di quanto previsto dall’articolo 1, comma 114, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, il reddito derivante dallo svolgimento dell’attività lavorativa nella cooperativa artigiana da parte dei soci che stabiliscono un rapporto di lavoro in forma autonoma ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge n. 142/2001, è qualificato come reddito assimilato a quello di lavoro dipendente (cfr. l’articolo 50 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) e successive modificazioni).
Per coloro che sono iscritti alla Gestione speciale autonoma degli artigiani, il reddito prodotto ai sensi dell’articolo 50 del TUIR deve essere considerato, oltre ad eventuali altri redditi d’impresa, ai fini della determinazione della base imponibile per la quantificazione dell’importo da versare a titolo di contribuzione eccedente il minimale ai sensi della legge 2 agosto 1990, n. 233, e successive modificazioni. Il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha, infatti, evidenziato come “l’utilità economica percepita dal socio (compenso da lavoro autonomo) costituisca la base imponibile dell’obbligazione contributiva”.

L’INPS sottolinea che la qualificazione adottata come artigiano nel contratto, in conformità al Regolamento, non può prevalere su quella che deriva dall’osservazione della realtà effettuale.

Infatti, la previsione negoziale deve essere sempre convalidata e rispettata anche in fase esecutiva.

In particolare, quanto esplicitato dalle parti nel negozio, deve trovare riscontro nelle modalità di esecuzione in concreto della prestazione lavorativa.

Di conseguenza, l’inquadramento come imprenditore o co.co.co. dipenderà dal concreto esplicarsi del rapporto di lavoro e non, viceversa, dalla normativa fiscale o previdenziale applicata.

Nel caso in esame, trattandosi effettivamente di lavoro autonomo, le norme da richiamare ai sensi dell'art.6, comma 1, lett. C, sono gli artt. 2222 e ss. del Codice civile (che disciplinano il lavoro autonomo), eventualmente citando anche l’art. 50 del Tuir per l’inquadramento fiscale.

M. M. chiede
venerdì 28/10/2022 - Lombardia
“Buongiorno,

la Alfa Beta srl è proprietaria di una palazzina di 7 appartamenti tutti locati. Le pertinenze della palazzina sono un piccolo giardino comune.
Nei contratti di affitto non è stato specificato nulla circa la tenuta delle parti comuni (pulizia scale cura ordinaria del giardino)

Uno degli inquilini si offre di eseguire i lavori necessari in cambio di uno sconto sull'affitto.

Il ns quesito riguarda la possibilità di affidargli i compiti (quindi riconoscendoli un compenso) senza incorrere in responsabilità derivanti da possibili infortuni, piuttosto che la presunzione di un rapporto di lavoro subordinato.

Il condominio non ha partita IVA

Grazie”
Consulenza legale i 06/11/2022
Nel caso di specie si dovrebbe dimostrare la natura autonoma del lavoro svolto dal condomino.

Dal momento che il condomino non ha partita IVA, l’unica strada percorribile sarebbe il lavoro autonomo occasionale di cui all’art. 2222 c.c. che riguarda attività episodiche, saltuarie e non programmate.

Tali attività, proprio per queste caratteristiche, si differenziano dalle attività professionali svolte con abitualità, regolarità, e sistematicità dei comportamenti e professionalità (svolgimento di una pluralità di atti coordinati tra di loro finalizzati a un identico scopo).
Infatti, si può definire come prestazione di lavoro autonomo occasionale: “qualsiasi attività di lavoro caratterizzata dall’assenza di abitualità, professionalità, continuità e coordinazione”.

Sotto il profilo fiscale, infatti, vi sono differenze nella qualificazione del reddito tra:
1) Le prestazioni di lavoro autonomo occasionale, che sono produttive di redditi diversi, ex art. 67, co. 1, lett. l del TUIR;
2) Le attività di lavoro autonomo svolte in modo professionale e continuativo, che sono produttive di redditi da lavoro autonomo, ex art. 71, co. 2 del TUIR.

Nel caso di specie, tuttavia, la natura stessa dell’attività (pulizia scale e cura ordinaria del giardino) fa venire meno il requisito dell’occasionalità, rendendola un’attività abituale svolta con continuità (anche se non giornalmente). Proprio per l’assenza del requisito dell’occasionalità, non sarà possibile nemmeno utilizzare i c.d. Voucher per le prestazioni occasionali.

Pertanto, il condomino per svolgere regolarmente l’attività desiderata dovrebbe costituirsi ditta individuale e aprire una partita iva.

Anche in tal caso, considerato sia il tipo di attività sia la mono-committenza, bisognerebbe porre molta attenzione alla configurazione e svolgimento dell’attività; il confine tra lavoro autonomo e subordinato sarebbe molto labile ed ci si esporrebbe al rischio di sanzioni e conversione del rapporto in lavoro subordinato.

Per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro e la responsabilità per eventuali infortuni, anche nel caso in cui il condomino dovesse essere considerato un lavoratore autonomo occasionale o professionale ex art. 2222 c.c. non verrebbe meno qualsiasi obbligo da parte del condominio.

Infatti, ai sensi dell’art. 26 D. Lgs. 81/2008, il committente è tenuto all’osservanza degli obblighi di verifica dell’idoneità tecnico-professionale, di informazione dei rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro nonché di cooperazione e coordinamento nell’attuazione delle misure di prevenzione.
Tutto quanto sopra considerato, si sconsiglia di affidare al condomino la tenuta delle parti comuni. Sarebbe più opportuno affidare tale attività ad una ditta esterna.

R. C. C. chiede
lunedì 27/06/2022 - Lombardia
“Egregi Avvocati della redazione Brocardi,
Vi scrivo per avere chiarimenti su di una tematica prettamente giuslavoristica. Mio padre è andato in pensione con QUOTA 100 nel febbraio del 2021; ad oggi gli si prospetta la possibilità di svolgere l'attività di assistente bagnante presso un centro dilettantistico sportivo (a r.l., come indicato nella sigla societaria). Il contratto sarà un contratto di COLLABORAZIONE SPORTIVA con pagamento secondo le ORE effettuate; preciso che non sarà superato il limite di 5mila euro annui e che l'attività verrà svolta a chiamata, non essendo previsto un numero preciso di ore o giorni lavorativi. Considerato il DIVIETO DI CUMULO della pensione quota 100 con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale nel limite di 5mila lordi annui (fattispecie nella quale presumo la questione rientri), Vi domando se mio padre potrà iniziare a svolgere l'attività lavorativa senza incorrere nelle sanzioni per violazione del cumulo.
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 04/07/2022
Come correttamente rilevato nel quesito, ai sensi dell’art. 14, comma 3, del decreto 4/2019, “la pensione quota 100 non è cumulabile, a far data dal primo giorno di decorrenza della pensione e fino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia con i redditi da lavoro dipendenti o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui”.

È, quindi, consentito, cumulare un reddito massimo di 5.000 euro con il reddito da pensione, a patto che derivi da lavoro autonomo occasionale.

La violazione del divieto comporta la sospensione del trattamento previdenziale per l’anno in cui i redditi si sono cumulati.

Per rispondere al quesito è innanzitutto necessario capire se, nel caso di specie, trattasi di un’associazione sportiva dilettantistica o altro tipo di società (come sembrerebbe data la sigla r.l.).

I compensi derivanti da collaborazione sportiva con un’associazione dilettantistica non possono essere identificati come reddito da lavoro dipendente, nè come reddito da lavoro autonomo e sono qualificati come “redditi diversi”; non sono neppure rilevabili ai fini del cumulo dei redditi ai fini IRPEF.

I compensi per attività sportiva dilettantistica sono peraltro compatibili con la Naspi, come precisato dalla circolare n. 174 del 23/11/17. Al punto 1 (ultimo capoverso) si specifica che premi e compensi “conseguiti per lo svolgimento di attività sportiva dilettantistica si precisa che gli stessi sono interamente cumulabili con l’indennità NASPI e il beneficiario della prestazione non è tenuto ad effettuare all’INPS comunicazioni relative all’attività e ai relativi compensi e ai premi”.

La circolare INPS numero 117 del 9 agosto 2019, poi, elenca quelli che sono i redditi che non rilevano ai fini dell’incumulabilità. Tuttavia, non viene fatto nessun riferimento ai redditi derivanti da rimborso spese per attività sportiva dilettantistica.

La compatibilità con la pensione Quota 100 è presente per quanto concerne le indennità e i compensi percepiti nell’ambito dell’amministrazione locale o di cariche pubbliche elettive. Non ci sono problemi con questa pensione neanche per chi svolge una funzione sacerdotale o di giudice di pace, tributario od onorario, e riscuote con regolarità. Sono compatibili con la Quota 100 persino i redditi di impresa e i ricavi non derivanti da attività lavorative (es. partecipazione societaria con capitale e conseguente riscossione di utili), nonché tutti i risarcimenti, i rimborsi spese o gli indennizzi per la cessazione di un’attività commerciale.

Alla luce delle disposizioni richiamate, pur in assenza di uno specifico riferimento alle collaborazioni per attività sportiva dilettantistica nella circolare esplicativa dell’INPS, si ritiene che in tal caso i relativi redditi possano essere ritenuti compatibili con la Quota 100.

Si precisa che trattasi di un’interpretazione di questa Redazione che non trova, purtroppo, alcuna esplicita conferma nella normativa vigente.

Se invece si trattasse di collaborazione sportiva con una società a scopo di lucro, per garantire la compatibilità dei relativi redditi con la pensione quota 100 si dovrebbe dimostrare la natura di lavoro autonomo occasionale della prestazione.

Sarà, quindi, necessario stabilire che cosa si intende per lavoro autonomo occasionale.

Per quanto riguarda la disciplina civilistica, l’art. 2222 c.c. definisce lavoratore autonomo occasionale chi si obbliga a compiere, dietro corrispettivo, un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio, senza vincolo di subordinazione, né potere di coordinamento del committente in via del tutto occasionale.

Si tratta, quindi, di un’attività lavorativa caratterizzata dall’assenza dei requisiti dell’abitualità, professionalità, continuità e coordinazione.

Per attività occasionale si intende una attività lavorativa svolta in modo del tutto episodico e non continuativa nel tempo.

La prestazione di lavoro autonomo occasionale riguarda solitamente attività a prevalente vocazione intellettuale, come nel caso di consulenza, scrittura, e tutte le attività affini. Si tratta delle prestazioni professionali a carattere intellettuale. Si tratta di soggetti che non hanno obbligo di iscrizione ad albi o elenchi professionali che svolgono occasionalmente l’attività.

Affinché vi sia coordinamento occorre che l’attività sia svolta all’interno dell’azienda o nell’ambito del ciclo produttivo del committente.

Ciò posto, l’attività di assistente bagnanti difficilmente potrà essere inquadrata nel lavoro autonomo occasionale. Per esempio, l’assistente bagnanti dovrà sottostare agli orari e indicazioni del datore di lavoro e ciò escluderebbe la natura autonoma del rapporto.

Inoltre, il contratto stesso, pur essendo a chiamata, presuppone un rapporto stabile con la stessa società sportiva che potrebbe far pensare alla continuità della prestazione, esclusa, come detto, nel caso del lavoro autonomo occasionale.

Si ritiene pertanto che nel caso di specie si rientrerebbe nell’ambito del lavoro subordinato e, pertanto, gli eventuali redditi sarebbero incompatibili con la pensione quota 100.

In conclusione, la risposta al quesito potrebbe essere molto diversa a seconda della precisa forma giuridica del centro sportivo e, naturalmente, della forma contrattuale prescelta.

Data la delicatezza della questione e delle sanzioni collegate ad un’eventuale violazione del divieto di cumulo, si consiglia di verificare innanzitutto la natura del centro sportivo che ha proposto la collaborazione e di chiedere anche la consulenza di un commercialista.

D. F. S. chiede
venerdì 21/01/2022 - Abruzzo
“Siamo un Organismo di Formazione accreditato con la Regione Abruzzo.
Abbiamo 1 solo dipendente
UTILIZZIAMO Per le DOCENZE con CONTRATTO DI PRESTAZIONE D'OPERA INTELLETUALE, personale:
A) - Medici, Infermieri, Psicologi, iscritto nei rispettivi ALBI professionali
B) - AVVOCATI e Sociologi non iscritti a nessun ALBO
- tutti hanno già un contratto a tempo pieno con l'ASL,
- e dalla stessa sono autorizzati a svolgere attività extralavorativa di docenza
- per non più di 30 gg e non più di 5000 euro.

SI CHIEDE
1 - SE E' NECESSARIO DARE COMUNICAZIONE ALL'ISPETTORATO DEL LAVORO OGNI GIORNO IN CUI GLI INSEGNANTI prestano la loro opera intellettuale, o si è esonerati ai sensi di quanto indicato nella circolare 29 del 21.12.21 pag.2 comma 4: "Restano viceversa esclusi........ le professioni intellettuali.

- Abbiamo un tutor Operatore Socio Sanitario a contratto di prestazione d'opera occasionale, che non effettua prestazioni manuali da cui derivi un manufatto tangibile, ma svolge attività di sorveglianza sullo svolgimento del tirocinio e stage e di raccordo con le caposala delle strutture ospitanti (Cliniche, Case di Riposo, RSA, CROCE ROSSA...)

2 - Per lui è opportuno che abbia UN CONTRATTO DI PRESTAZIONE D'OPERA OCCASIONALE
o dobbiamo fare anche a lui un CONTRATTO DI PRESTAZIONE D'OPERA INTELLETTUALE.”
Consulenza legale i 07/02/2022
Dalla lettura della nota n. 29 del Ministero del Lavoro si evince che sono escluse dall’obbligo di comunicazione solo le professioni intellettuali ed in genere tutte le attività autonome solo se esercitate in maniera abituale e assoggettate al regime IVA; peraltro, il ministero precisa che se l’attività effettivamente svolta non corrisponda a quella esercitata in regime IVA, la stessa rientrerà nell’ambito di applicazione della disciplina in esame.

Pertanto, nel caso di specie, per stabilire se i professionisti indicati rientrino nell’obbligo di comunicazione anzidetto, si dovrà verificare se gli stessi siano titolari di partita IVA e la stessa sia relativa all’attività di docenza. Diversamente, la prestazione d’opera occasionale sarà soggetta all’obbligo di preventiva comunicazione all’Ispettorato del lavoro.

Per quanto riguarda l’inquadramento dell’operatore socio sanitario, è necessario innanzitutto stabilire quale sia la differenza tra il contratto d’opera e il contratto d’opera intellettuale.
La differenza con il contratto d’opera in generale, oltre al lavoro prevalentemente materiale e non intellettuale proprio del generico contratto d’opera avente ad oggetto la realizzazione di un opera o di un servizio, risiede nel compenso, che per l’opera manuale, e non per quella intellettuale, è dovuto solo quando il cliente ottenga il risultato prestabilito.

Difatti, la prestazione del professionista si configura come obbligazione di mezzi e non di risultato. Motivo per cui, il prestatore d’opera è tenuto a svolgere in modo diligente l’attività promessa, senza però essere obbligato a pervenire ad un determinato risultato (per esempio, l’avvocato non sarà quindi responsabile dell’eventuale perdita della causa, nei limiti della normale diligenza). Diversamente, grava sul professionista un’obbligazione di risultato quando egli è tenuto a realizzare un’opera, come nel caso di un progetto architettonico.

Si dovrà, quindi, stabilire se all’operatore socio sanitario è richiesto uno specifico risultato da conseguire, oppure se pone le proprie competenze a servizio dell’ente. Sembrerebbe che l’operatore sanitario in questione rientri nella seconda ipotesi e quindi sia inquadrabile nel contratto d’opera intellettuale.

Piuttosto, considerato il ruolo svolto dell’operatore socio sanitario, si pone il dubbio se allo stesso non si applichi la disciplina delle collaborazioni coordinate e continuativa di cui all’art. 2, D. Lgs. 81/2015.

Le collaborazioni coordinate e continuative sono quelle ipotesi di lavoro autonomo caratterizzate dall’obbligo del collaboratore di svolgere, in via continuativa, una prestazione prevalentemente personale a favore del committente ed in coordinamento con quest’ultimo.

Alla luce delle informazioni a disposizione, il ruolo svolto dall’operatore sembra presupporre un coordinamento con l’organizzazione del committente.

Inoltre, sembrerebbe assente nel caso di specie il requisito dell’occasionalità, perché lo stesso rientri nel contratto d’opera occasionale. Nel caso in cui la ripetizione di una medesima prestazione lavorativa è oggetto o presupposto del contratto, anche laddove non sia definito l’arco temporale di esecuzione, va escluso il carattere dell’occasionalità. Sotto tale aspetto, quindi, non rileva tanto la misurazione della durata del rapporto di lavoro bensì rileva il continuativo e perdurante interesse del committente al ripetersi della prestazione lavorativa da parte del collaboratore.

L’attività di sorveglianza e raccordo svolta dall’operatore socio sanitario presenta entrambi i requisiti della continuità e del coordinamento con l’organizzazione del committente. A ciò si aggiunga che ad oggi non esiste un albo degli operatori socio sanitari (l’iscrizione ad un albo esclude l’applicazione della normativa del rapporto di lavoro subordinato).


M.P. chiede
martedì 21/09/2021 - Lombardia
“Sono pensionato dal 1 settembre 2020 con quota 100. Vorrei sapere se posso avere un rapporto occasionale autonomo di lavoro senza incorrere in sospensioni della retribuzione pensionistica. Allego bozza del contratto che sarebbe stato predisposto con inizio dal 27.09.21. Premetto che questo è unico eventuale rapporto per anno in corso. Grazie.”
Consulenza legale i 25/09/2021
Ai sensi dell’art. 14, comma 3, del decreto 4/2019, “la pensione quota 100 non è cumulabile, a far data dal primo giorno di decorrenza della pensione e fino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia con i redditi da lavoro dipendenti o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui”.
È, quindi, consentito, cumulare un reddito massimo di 5.000 euro con il reddito da pensione, a patto che derivi da lavoro autonomo occasionale.
La violazione del divieto comporta la sospensione del trattamento previdenziale per l’anno in cui i redditi si sono cumulati.

Sarà, quindi, necessario stabilire che cosa si intende per lavoro autonomo occasionale.

Per quanto riguarda la disciplina civilistica, l’art. 2222 definisce lavoratore autonomo occasionale chi si obbliga a compiere, dietro corrispettivo, un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio, senza vincolo di subordinazione, ne potere di coordinamento del committente in via del tutto occasionale.
Si tratta, quindi, di un’attività lavorativa caratterizzata dall’assenza dei requisiti dell’abitualità, professionalità, continuità e coordinazione.

Il contratto trasmesso, nonostante il titolo, presenta alcuni elementi che potrebbero portare ad escludere la natura occasionale dello stesso.
Infatti, all’art. 2 si parla di “collaborazione professionale” e “qualificato supporto professionale”, all’art. 4 di “attività professionale”, termini che si pongono in contrasto con il requisito dell’assenza di professionalità, richiesta invece nel caso del lavoro autonomo occasionale.
Inoltre, nonostante ciò sia escluso dall’art. 4 del contratto, è difficile pensare ad un’“attività di supporto all’attività amministrativa e di ufficio” senza coordinamento della prestazione.
Affinché vi sia coordinamento occorre che l’attività sia svolta all’interno dell’azienda o nell’ambito del ciclo produttivo del committente.
Infine, la durata del contratto (dal 27 settembre al 31 dicembre) potrebbe far pensare alla continuità della prestazione, esclusa, come detto, nel caso del lavoro autonomo occasionale.
Tali aspetti sono esplicitamente esclusi dal testo contrattuale, ma l’inquadramento del rapporto dipenderà anche dal concreto esplicarsi del rapporto tra le parti.

Pertanto, se da un lato non ci sono incompatibilità tra la pensione quota 100 e il lavoro autonomo occasionale sotto i 5.000 euro l’anno, per evitare la sanzione prevista dalla legge, si dovrà verificare che nel caso di specie si tratti effettivamente di lavoro autonomo occasionale e non di altro genere di rapporto, sotto mentite spoglie.


Alessandro chiede
martedì 15/10/2019 - Emilia-Romagna
“Buongiorno, sono un libero professionista, consulente informatico.

Lavoro per una software house su diversi progetti; li conosco da oltre 10 anni e non abbiamo mai avuto un contratto scritto.

L'attività mi pone spesso in contatto diretto con il cliente finale (il cliente della società per cui lavoro); con uno di questi clienti (chiamiamolo cliente X) sono sorte contese che sono sfociate in atteggiamenti di tipo personale anche denigratori nei miei confronti; tuttavia le fatture sono state sempre tutte pagate al mio cliente che a sua volta ha sempre pagato le mie.

Quando il mio cliente mi dice: c'è da fare questa attività per il mio cliente X, con il quale ho cattivi rapporti, posso io in modo motivato rifiutare in partenza questo lavoro, se ho motivo di ritenere che l'ipercriticità di X, le sue critiche professionali manifestatasi apertamente, possano impedire il corretto svolgimento del lavoro.

E' come se una persona chiama un imbianchino dandogli diverse case da imbiancare; se una di queste per sue motivazioni personali o professionali non la volesse imbiancare, immagino possa rifiutarsi; vale anche per me?

Cordiali saluti”
Consulenza legale i 22/10/2019
Se chi pone il quesito non lavora alle dipendenze della software house e non c’è un contratto scritto tra i due, rientriamo nella prestazione di lavoro autonomo, regolata dagli articoli 2222 e seguenti del codice civile.

Il prestatore d’opera, sia egli professionista o meno, è tenuto nei confronti del proprio committente esclusivamente ad eseguire l’opera in maniera diligente e secondo competenza.
Non ha alcun obbligo di accettare o meno un incarico, salvo – come si diceva – che nel contratto (che non deve avere forma scritta) le parti pattuiscano questa (ad esempio, il non esprimere alcuna riserva sulla clientela finale proposta dal committente) come condizione particolare per l’affidamento degli incarichi o per il pagamento della prestazione, ecc.

Se si tratta di professionista intellettuale (ovvero che per l’esercizio della sua professione necessiti di iscrizione ad un albo o elenco speciale) egli potrà recedere dal contratto per giusta causa e senza recare pregiudizio (danno) al proprio cliente/committente.

Ciò detto, è evidente che il prestatore d’opera che collabora con la software house senza vincolo alcuno potrà liberamente e legittimamente rifiutarsi di assumere un incarico a favore dell’uno piuttosto che dell’altro cliente finale proposto dal proprio committente.
L’importante è che lo faccia sempre prima che gli venga affidato l’incarico stesso, diversamente potrebbe mettere in difficoltà il committente il quale dovrebbe in corso d’opera trovare un sostituto, oppure ancora rimborsarlo delle spese eventualmente anticipate per il lavoro, insomma dovrà recedere dal rapporto in modo tale da non ledere il committente.

La conseguenza del rifiuto ad assumere incarichi, va da sé, non è di natura giuridico-contrattuale (salvo, si ripete, che non esistano precisi accordi che vincolino in tal senso) ma evidentemente di opportunità: rifiutare incarichi significa, alla lunga, minare il rapporto di fiducia e collaborazione con il committente rischiando di interrompere la collaborazione.

Luigi O. chiede
martedì 20/02/2018 - Lazio
“Avvocato il seguente quesito,
1. un artigiano (tipo giardinaggio) viene chiamato per lavori in casa. Lavora in nero e potrebbe riportare danni alla sua persona. Cosa succede al proprietario della casa?
2. Una ditta artigiana regolarmente iscritta Camera di Commercio, Iva, etc, viene chiamata per lavori in casa. Succede che il titolare della ditta, o un suo dipendente, riportano danni alla salute, quali responsabilità per il proprietario della casa?
Grazie”
Consulenza legale i 27/02/2018
Con il contratto d'opera una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente (art. 2222 c.c.).
Rispetto all’appalto (artt. 1655 e seguenti c.c.) la diversità va ravvisata nella prevalenza del lavoro personale, che non presuppone un’organizzazione di mezzi e quindi l’utilizzazione del lavoro altrui. L’appalto, in sostanza, è tipico dell’impresa medio-alta, mentre il contratto d’opera è tipico della piccola impresa o dell’artigianato.

E' previsto che per la realizzazione dell'opera il committente disponga una serie di direttive, alle quali il prestatore deve attenersi, senza però che queste siano tali da inficiare l'autonomia del prestatore, nello svolgimento della sua attività.
Caratteristica del contratto d’opera, quindi, è l’autonomia.
I criteri per distinguere l’autonomia dalla dipendenza e quindi il contratto d’opera dal contratto di lavoro subordinato sono molteplici. Il dipendente, per la disciplina e l’esecuzione della prestazione, ha il dovere di osservare le disposizioni impartite dal datore di lavoro che è responsabile, ex art. 2087 c.c., della tutela dell’integrità fisica e della personalità morale dei prestatori di lavoro ed è, pertanto, tenuto ad adottare tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono all’uopo necessarie. Ne consegue che, il committente sarà tenuto al risarcimento del danno patito dal lavoratore durante l'esecuzione della propria prestazione lavorativa.

Bisogna fare attenzione al fatto che nel diritto del lavoro vige il cosiddetto «principio di effettività» in base al quale non conta tanto ciò che risulta dalle carte, ma l’effettiva realizzazione di una attività di lavoro dipendente soggetta al potere direttivo e di controllo del datore di lavoro. Quindi, anche se il rapporto di lavoro si realizza «di fatto» cioè senza formale regolarizzazione, il datore di lavoro che beneficia della prestazione dell’attività lavorativa del dipendente, è soggetto a tutte le norme e obblighi previsti per quella determinata categoria di dipendente, tra cui in particolare, gli obblighi relativi alla sicurezza, oltre a quelli di natura retributiva e contributiva, rimanendo, come sopra detto, esposto al rischio di dover risarcire gli eventuali danni patiti dal lavoratore non regolarizzato e di dover sopportare le sanzioni amministrative e penali per la mancata regolarizzazione del lavoratore oltre che per la mancata attuazione delle obbligatorie misure di sicurezza.

Per quanto riguarda la figura dell’artigiano, essa è prevista dagli artt. 2 e 3 della L.443/1985 che definisce artigiano colui che: "(...) esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare l’impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri e i rischi attinenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo”; ed ancora: “nell’esercizio di particolari attività che richiedono una peculiare preparazione e implicano responsabilità a tutela e garanzia degli utenti (a titolo esemplificativo attività di installazione di impianti, attività di autoriparazione, servizi di pulizia, attività di estetista, attività di parrucchiere e barbiere ecc….) deve essere in possesso dei requisiti tecnico – professionali previsti da leggi statali”.

L’iscrizione nell’Albo Imprese Artigiane è obbligatoria (Legge quadro per l’Artigianato 443/1985) ed è costitutiva dell’impresa artigiana (vale a dire che l'iscrizione non ha mera funzione di pubblicità: è solo con l'iscrizione che l'impresa artigiana viene ad esistenza).
All’artigiano e all’impresa artigiana, in materia di sicurezza, si applica l’articolo 21 del D.Lgs n. 81/2001 che contiene le Disposizioni relative ai componenti dell’impresa familiare di cui all’articolo 230 bis del Codice civile e ai lavoratori autonomi e che, dopo aver definito con dovizia di particolari i soggetti a cui si applica la norma specifica, tra i quali i lavoratori autonomi che compiono opere o servizi ai sensi dell’articolo 2222 del Codice civile e gli artigiani, individua gli obblighi cui sono tenuti gli stessi, tra cui in particolare:
a) l’utilizzo di attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al Titolo III del medesimo D.Lgs 81/2001;
b) l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale conformemente alle disposizioni di cui al Titolo III del medesimo D.Lgs. 81/2001.

Successivamente, lo stesso art. 21 del D.lgs 81/2001 prevede delle sanzioni penali nel caso di mancata osservanza degli obblighi di cui alle summenzionate lettere a) e b).
È da tenere in considerazione che in tema di infortuni sul lavoro, la Corte di Cassazione ha chiarito che comunque il dovere di sicurezza opera anche in relazione al committente, dal quale non può tuttavia esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori. Ne consegue che, ai fini della configurazione della responsabilità di tale committente, occorre verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo.


S. D. G. chiede
venerdì 29/12/2017 - Sicilia
“Sono titolare di contratto di lavoro come infermiere libero professionista a parcella, dapprima presso il ministero di grazia e giustizia con contratto secondo legge 740/70, contratto questo che è transitato all'a.s.p. di Trapani il 16/04/2016. In questo contratto, che la nuova azienda committente ha preso in carico senza farmi mai firmare una ulteriore stipula ne rinnovo, all'art.5 è previsto un periodo di assenza dal servizio per motivi personali, di salute, per incarichi a tempo determinato presso pubbliche amministrazioni ecc...
In data 12/09/2017 sono stato operato in chirurgia bariatrica per un intervento videolaparoscopico di rimozione gastrica e per questo motivo ho comunicato l'indisponibilità al servizio dal 06/09/2017 al 05/11/2017, in data 27/10/2017 ho comunicato che a seguito dell'intervento continuavo la mia indisponibilità al servizio fino al 31/12/2017.
in data 17/11/2017 mi viene chiesto "necessaria documentazione giustificativa attestante, per l'intero periodo di fruizione, la sua momentanea indisponibilità al servizio."
Non avendo io incarichi di dipendenza, ne contratto di lavoro subordinato o parasubordinato, come posso rispondere a questa richiesta?
Sono obbligato a rilasciare certificazione medica sul mio stato di salute, tenuto conto che per il periodo di assenza non solo non ho emesso fatture, ma non mi verrà corrisposto alcunché?
Oppure devo farmi fare una relazione dallo specialista che mi ha operato a giustificazione dell'assenza? e se del caso secondo quale articolo del codice civile o Legge dovrei giustificarmi?”
Consulenza legale i 07/01/2018
L’infermiere può esercitare la professione in maniera autonoma o in maniera dipendente; nel primo caso si assume la responsabilità del proprio agire e la responsabilità di rappresentare la professione nel contesto sociale, auto – organizzando in maniera propria il lavoro, nel secondo caso, invece, viene etero – diretto, in tutte le fasi dell’esercizio del lavoro, dal proprio datore.

L’esercizio della professione infermieristica in maniera automa può essere svolta tanto in forma individuale (tramite apertura di una partita IVA o con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, le cosiddette Co.co.co) tanto in forma collegiale (all’interno di un’associazione tra professionisti o di cooperative).

Nel caso di esercizio della professione con apertura di partita IVA il professionista presta la propria attività nei confronti di qualsiasi cliente desiderato; mentre, nel caso di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co) l'attività può essere svolta solo nei confronti del committente o dei committenti con i quali sono stati conclusi i relativi contratti e secondo le disposizioni dei contratti stessi.

Dalle informazioni da Lei forniteci, parrebbe che il suo rapporto di lavoro, sia pur esercitato in maniera autonoma, possa essere inquadrata come collaborazione coordinata e continuativa, data la presenza di un contratto che La lega, non occasionalmente, ad una singola struttura. Di conseguenza, non sembrando essere Lei un lavoratore autonomo a tutti gli effetti, esistono più ragioni per le quali il certificato medico in questione potrebbe essere richiesto:

1) Innanzitutto, come da Lei specificato, all’interno del Suo contratto all’art. 5 è prevista la possibilità di assentarsi dal servizio per diverse motivazioni tra cui quelle legate alla malattia; di conseguenza, per verificare che l’assenza sia effettivamente legata ai suesposti motivi, il committente potrebbe legittimamente richiederne adeguata certificazione.

2) In secondo luogo, e soprattutto, l’art. 14 della Legge n. 81 del 22/05/2017 stabilisce che “la malattia e l’infortunio dei lavoratori autonomi che prestano la loro attività in via continuativa per il commettente non comportano l’estinzione del rapporto di lavoro, la cui esecuzione, su richiesta del lavoratore, rimane sospesa, senza diritto al corrispettivo, per un periodo non superiore a 150 giorni per anno solare […] In caso di malattia o infortuno di gravità tale da impedire lo svolgimento dell’attività lavorativa per oltre 60 giorni, il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi è sospeso per l’intera durata della malattia o dell’infortunio fino ad un massimo di due anni …”.
Dunque, essendo la malattia una causa di sospensione del contratto che non comporta l’estinzione dello stesso (salvo il venir meno dell’interesse del committente), ed anche alla luce della sospensione del versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi che ne deriva, l’assenza dovrà essere adeguatamente giustificata per il tramite di un certificato medico comprovante l’effettiva durata della malattia.

Inoltre, lo stesso certificato dovrà sicuramente essere prodotto nel caso ritenesse, qualora avesse i requisiti, di fare richiesta di indennità per malattia all’Enpapi (Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza della Professione Infermieristica).

In ultimo, per rispondere alla Sua domanda, l’eventuale certificato di malattia dovrà contenere i seguenti dati:

- Codice fiscale del lavoratore;
- Residenza o domicilio abituale;
- Eventuale domicilio di reperibilità durante la malattia;
- Codice di diagnosi, mediante l’utilizzo del codice nosologico, che sostituisce o si aggiunge alle note di diagnosi;
- Data di dichiarato inizio malattia, data di rilascio del certificato, data di presunta fine malattia nonché, nei casi di accertamento successivo al primo, di prosecuzione o ricaduta della malattia;
- Modalità ambulatoriale o domiciliare della visita eseguita.

Nicola A. chiede
sabato 11/11/2017 - Lombardia
“Buongiorno, il mio quesito ha per oggetto l'inversione contabile o reverse charge, in ambito fiscale.
Essendo io un prestatore d'opera, vorrei sapere se la decisione in merito all'applicazione dell'inversione contabile in fattura, spetta automaticamente al prestatore d'opera, ogni qualvolta se ne presentano le condizioni, o se è il cliente o destinatario della fattura, che deve richiederne l'emissione con l'applicazione del reverse charge, al prestatore d'opera.
Inoltre vorrei sapere chi deve pagare le eventuali sanzioni, in caso di emissione della fattura in regime di reverse charge senza che vi siano i requisiti, o in caso di mancata emissione della stessa in presenza dei requisiti posti dalla legge ai fini dell'inversione contabile; infine a quanto ammontano tali sanzioni.
Grazie e cordiali saluti.”
Consulenza legale i 15/11/2017
Il reverse charge rappresenta un metodo di applicazione dell’IVA attraverso cui si realizza un’inversione contabile dell’imposta, il cui assolvimento passa in capo all’acquirente piuttosto che sul venditore, come avviene negli altri casi.

È stato introdotto nel nostro ordinamento al fine di evitare le frodi IVA che possono derivare dall’ordinario meccanismo di assolvimento del tributo in base al quale, il fornitore applica l’imposta in fattura addebitandone il pagamento al cliente e, successivamente, con il meccanismo delle liquidazioni IVA, mensili o trimestrali, procede al versamento dell’IVA a debito eccedente rispetto a quella detraibile.

Il comma 1 dell’art. 17 del D.P.R. n. 633/1972, infatti, dispone che L'imposta è dovuta dai soggetti che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili, i quali devono versarla all'erario, cumulativamente per tutte le operazioni effettuate e al netto della detrazione prevista nell'art. 19, nei modi e nei termini stabiliti nel titolo secondo”.

Nell’ambito di questo meccanismo accade talvolta che il cedente/prestatore non versi nelle casse dello Stato l’IVA addebitata in rivalsa al cessionario/committente, realizzando, quindi, una vera e propria frode.

Il reverse charge IVA trova applicazione nelle ipotesi di cui agli articoli 17, 34, comma 6, secondo periodo, e 74, settimo e ottavo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e agli articoli 46, comma 1, e 47, comma 1, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427.

In tutte queste ipotesi, ad esclusione di quella di cui all’art. 34, comma 6, secondo periodo – che non dovrebbe essere oggetto del quesito poiché riguarda l’ipotesi della cessione di beni da parte di produttori agricoli -, la norma pone l’onere di emettere la fattura in capo al cedente/prestatore.

In tali casi, il cedente/prestatore emetterà fattura “… senza addebito d'imposta, con l'osservanza delle disposizioni di cui agli articoli 21 e seguenti e con l'annotazione «inversione contabile» e l'eventuale indicazione della norma …”, sulla base della quale la fattura viene emessa con la suddetta annotazione.

La determinazione in ordine all’assolvimento dell’imposta con applicazione del meccanismo dell’inversione non andrà assunta dal cedente/prestatore in modo arbitrario ma, tenendo conto delle previsioni di legge, ossia ogni qualvolta l’operazione posta in essere rientri tra quelle per le quali la legge prevede il citato meccanismo, il cedente/prestatore deve emettere la fattura senza addebitare l’imposta ed effettuando le annotazioni prima indicate.

In tali ipotesi, il cessionario/committente, che per effetto del meccanismo dell’inversione contabile è tenuto al pagamento dell’imposta, provvede ad integrare la fattura con l'indicazione dell'aliquota e della relativa imposta e ad annotarla nel registro di cui agli articoli 23 o 24 entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese; lo stesso documento, ai fini della detrazione, è annotato anche nel registro di cui all'articolo 25.

Sotto il profilo sanzionatorio, la nuova disciplina (art. 15 D. Lgs. n. 158/2015), entrata in vigore il 1° gennaio 2016, ha introdotto rilevanti modifiche in merito alle violazioni di tale istituto, novellando il comma 9-bis dell’art. 6 del D. Lgs. n. 471/97 ed introducendo tre nuovi commi (9-bis.1, 9-bis.2 e 9-bis.3) al fine di creare un sistema maggiormente conforme al principio di proporzionalità e di colpire in modo più grave le violazioni compiute con un intento di evasione o di frode, o che, comunque, comportino l’occultamento dell’operazione o un debito d’imposta, ed in modo più mite le fattispecie irregolari per le quali l’imposta risulta comunque assolta.

Per rispondere al 2° quesito, l’ipotesi della emissione della fattura in regime di reverse charge senza che sussistano i requisiti è sostanzialmente diversa da quella in cui l’imposta è stata erroneamente assolta dal cessionario/committente con il meccanismo dell’inversione contabile … per operazioni riconducibili alle ipotesi di reverse charge ma per le quali non ricorrevano tutte le condizioni per la sua applicazione.

Infatti, in quest’ultimo caso, la cui disciplina sanzionatoria è dettata dall’art. 6, comma 9-bis.2 del D. Lgs. n. 471/97, il cessionario o committente ha il diritto alla detrazione dell’imposta assolta irregolarmente con l’inversione contabile, mentre il cedente o prestatore - seppur debitore dell’imposta - non è obbligato all’assolvimento della stessa, ma è punito con la sanzione in misura fissa stabilita da un minimo di 250 euro a un massimo di 10.000 euro.
Del pagamento di tale sanzione è responsabile, in via solidale, il cessionario o committente.

Di contro, nel caso di ricorso all’inversione contabile in ipotesi palesemente estranee a detto regime, tornano applicabili al cedente/prestatore e al cessionario/committente, rispettivamente le sanzioni di ai commi 1 e 8 dello stesso art. 6: quindi, sanzione amministrativa compresa fra il novanta e il centoottanta per cento dell'imposta relativa all'imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell'esercizio a carico del cedente/prestatore e sanzione amministrativa pari al cento per cento dell'imposta, con un minimo di euro 250, sempreché non provveda a regolarizzare l'operazione, per il cessionario/committente.

Nel caso, invece, in cui, in presenza dei requisiti stabiliti dalla legge ai fini dell’inversione contabile, il cessionario/committente non riceve la fattura da parte del cedente/prestatore o la riceve irregolare, il cessionario o committente deve informare l'Ufficio competente nei suoi confronti entro il trentesimo giorno successivo, provvedendo entro lo stesso periodo all'emissione di fattura ai sensi dell'articolo 21 del predetto decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, o alla sua regolarizzazione, e all'assolvimento dell'imposta mediante inversione contabile. In caso contrario, sarà punito con sanzione amministrativa compresa fra 500 euro e 20.000.

Il cedente/prestatore sarà sanzionabile, invece, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del D. Lgs. n. 471/97, ossia con sanzione amministrativa compresa tra il cinque ed il dieci per cento dei corrispettivi non documentati o non registrati e, se la violazione non rileva neppure ai fini della determinazione del reddito, con sanzione amministrativa da euro 250 a euro 2.000.

Anonimo chiede
sabato 18/03/2017 - Veneto
“Buongiorno. Volevo avere una consulenza sul mio contratto di prestatore d'opera.
Ad esempio, vorrei capire se il mio patto di concorrenza è valido dato che non ricevo un compenso e non è nemmeno scritto sul contratto, poi volevo sapere se gli posso dare le dimissioni anticipate e non 3 mesi come scritto da contratto, dato che loro mi mandano a fare clienti anche nelle provincie non sottoscritte da contratto, per cui volevo capire se questa poteva essere un giusta causa di dimissioni anticipate? Poi sul mio contratto non è prevista una quantità di lavoro che devo fare o meglio quanti clienti riesco a soddisfare (il mio lavoro comporta andare dai clienti per effettuare manutenzioni degli estintori) nel caso io non riesca a soddisfare tutti i clienti in un mese di lavoro loro mi possono contestare qualcosa a livello giuridico? Allego per email il mio contratto”
Consulenza legale i 28/03/2017
La risposta ai quesiti dipende dall’esatta qualificazione del rapporto: sotto questo profilo il contratto è stato infatti redatto in maniera approssimativa e confusa.

Dall’intestazione del medesimo nonché dal contenuto del primo articolo, il rapporto parrebbe doversi ricondurre alla fattispecie del contratto d’opera di cui agli articoli 2222 e seguenti cod. civ., ovvero, sostanzialmente, nel contratto che prevede la prestazione di un’opera o un servizio dietro corrispettivo, senza vincolo di subordinazione.

Il contratto d’opera lascia un ampio margine di autonomia al lavoratore (o più correttamente, al “prestatore d’opera”), il corrispettivo è determinato dalle parti di comune accordo (normalmente si fa riferimento agli usi di settore), il patto di non concorrenza è liberamente pattuibile tra le parti ed infine il diritto di recesso può essere esercitato:
- dal cliente/committente in qualunque momento e senza alcuna giustificazione, salvo il rimborso delle spese sostenute e il pagamento dell’opera già eseguita;
- dal prestatore d’opera solo per giusta causa (ovvero una causa di tale gravità da non consentire la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto), senza tuttavia il rispetto di un determinato termine ma in modo tale da non recare un pregiudizio al cliente.
Sia gli studiosi che la giurisprudenza hanno però stabilito che tale ultima disciplina è liberamente derogabile dalle parti.

Se si prosegue, tuttavia, nella lettura del contratto, la natura del rapporto cambia completamente perché si fa esplicito riferimento all’agenzia.
Il rapporto di agenzia trova una disciplina specifica sia nel codice civile (art. 1742 e seguenti) sia, talvolta e/o per taluni aspetti agli Accordi Economici Collettivi.
L’oggetto dell’agenzia è la promozione della conclusione di contratti in una zona determinata per conto del preponente: dal contenuto dell’articolo 5 del contratto parrebbe che, oltre all’incarico di manutentore, si aggiunga in effetti quello di agente per la promozione dei prodotti e dei servizi antincendio della ditta.

Il compenso, nell’agenzia, viene corrisposto a provvigione, ovvero in proporzione agli affari conclusi dall’agente per conto e nell’interesse della mandante.
Le parti possono prevedere che il compenso sia legato al raggiungimento di determinati budget di fatturato (e quindi prevedere lo svolgimento, come vien detto nel quesito, di una “determinata quantità di lavoro”), ma ciò deve essere espressamente pattuito nel contratto.
Se il contratto è a tempo determinato il recesso non è ammesso, salva l’ipotesi della giusta causa (non ci sono, dunque, termini fissi per recedere anticipatamente); solo se il contratto è a tempo indeterminato è previsto invece un preavviso, determinabile liberamente dalle parti, ma che non può essere, in ogni caso, inferiore a quello dettato dalla norma di legge (art. 1750 cod. civ.).
Il patto di non concorrenza è ammesso e previsto per legge e può avere una durata massima di due anni. Quale corrispettivo per l’obbligo di non concorrenza, all’atto di cessazione del rapporto (non prima) viene corrisposta un’indennità, commisurata ad una serie di parametri stabiliti per legge (art. 1751-bis c.c.).

Tutto ciò chiarito e premesso, tornando al quesito: se il rapporto è – di fatto, ovvero al di là di quanto scritto nel contratto – un rapporto di prestazione d’opera che nulla ha a che vedere con l’agenzia, ovvero un rapporto che consiste semplicemente nella manutenzione periodica degli impianti antincendio, opera per la quale viene corrisposto (o almeno dovrebbe esserlo) un compenso fisso mensile, e nulla più, la risposta alle domande è già stata offerta poc’anzi, riepilogando la disciplina del contratto d’opera.
In buona sostanza, è legittimo il recesso con preavviso di tre mesi.
E’ legittima la pattuizione di un patto di non concorrenza, così come che ne sia prevista una durata biennale (la legge stabilisce una durata massima del patto di cinque anni).
Non c’è, né per legge né per contratto, alcun obbligo “quantitativo” nell’esecuzione della prestazione, vale a dire che non sussiste alcun obbligo di raggiungere un determinato numero di appuntamenti/interventi presso la clientela. Sotto questo profilo, dunque, nessuna contestazione si può muovere al prestatore d’opera, che ha assoluta autonomia nei tempi e nei modi di esecuzione del lavoro, salvo, lo si ripete, che vi siano direttive precise in tal senso da parte del committente (nel contratto in effetti è scritto “attenendosi esclusivamente alle indicazioni ed alle strategie fornite dall’azienda”: occorrerebbe verificare cosa ciò significhi in concreto, se tali direttive vengano date e che contenuto abbiano).

Qualora, invece, si tratti in effetti di un contratto di agenzia, va detto che:
- il patto di non concorrenza è legittimo ed è corretto che non venga corrisposta all’agente un’indennità se non al termine del rapporto;
- il preavviso di 3 mesi a favore di entrambe le parti non è legittimo, perché si può recedere dal contratto solo per giusta causa (in genere si tratta di motivi attinenti al venir meno del rapporto di fiducia, che nell’agenzia è alla base) e, in tal caso, in ogni momento;
- non è ritenuta legittima la variazione unilaterale del contratto senza limiti né condizioni da parte del preponente (variazione consistente, ad esempio, nella modifica dell’ambito territoriale o nella diminuzione della misura delle provvigioni), poiché rimessa al libero ed incondizionato arbitrio del preponente.
Il potere di variare unilateralmente il contenuto del contratto – secondo l’orientamento prevalente della Cassazione - dovrebbe essere necessariamente collegato a parametri oggettivi o limiti esterni, predeterminati al momento della formazione del consenso quali, a mero titolo esemplificativo, il mancato raggiungimento nella zona assegnata all’agente di una ben definita soglia minima di fatturato.
Se il potere di cui si sta parlando viene esercitato in maniera scorretta e contraria a buona fede nonché abusando della propria posizione, ciò può legittimare altresì la risoluzione del contratto per giusta causa.

Per concludere, dunque, il contratto, così come è stato redatto, si presta a molteplici contestazioni ed al contenzioso: si potrebbe, ad avviso di chi scrive, addirittura ipotizzare l’esistenza, di fatto, non di un rapporto di lavoro autonomo (come il contratto d’opera) ma di un rapporto di lavoro di natura subordinata, con il diritto del lavoratore, se così fosse accertato, di richiedere le eventuali differenze retributive e contributive al Giudice del Lavoro.
In ogni caso, si potrebbero eccepire diversi inadempimenti al committente.
Il contratto andrebbe rinegoziato con quest’ultimo, redigendolo in maniera corretta e con riferimento alla normativa più appropriata: si ritiene opportuno e consigliabile, per la valutazione più approfondita di tutti gli aspetti sopra evidenziati, rivolgersi ad un avvocato esperto della materia.

Anonimo chiede
mercoledì 26/01/2011
“Quando si prescrive il diritto del prestatore d'opera ad ottenere il pagamento del corrispettivo dovuto? Vale la prescrizione ordinaria?”
Consulenza legale i 28/01/2011

L'espressione "prestatore d'opera" comprende sia il prestatore "manuale" che "intellettuale".
Per il primo, non vi sono norme derogative dell'ordinaria prescrizione decennale.
Quanto ai prestatori d'opera intellettuale, il codice civile (art. 2956 del c.c.) individua ipotesi di prescrizione breve triennale per:

1) prestatori di lavoro, per le retribuzioni corrisposte a periodi superiori al mese;
2) professionisti, per il compenso dell'opera prestata e per il rimborso delle spese correlative;
3) notai, per gli atti del loro ministero;
4) insegnanti, per la retribuzione delle lezioni impartite a tempo più lungo di un mese.


G.A. chiede
giovedì 16/09/2021 - Sicilia
“Buongiorno,
Sono un impiegato full time e di ruolo dal 2010 del Dipartimento Protezione civile della Regione XXX.

Sono in possesso della Laurea in Architettura, non riconosciuta dalla Regione XXX che quindi mi ha inquadrato in categoria B "Collaboratore" ( licenza media).
Sono anche inscritto all'Albo Professionale.

All'interno dell'ufficio, sebbene la mia bassa qualifica mi impone di espletare mansioni di poca rilevanza (fotocopie , archivio, protocollo), mi sono sempre occupato di mansioni superiori, non tecniche , ma sempre nel campo amministrativo e solo per rispetto ai Dirigenti che ripongono in me notevole stima.

Ritengo pertanto di non avere alcuna incompatibilità lavorativa tra il lavoro di ufficio e quello professionale, che comunque viene svolto al di fuori degli orari di ufficio stesso.

Capite bene però che con una laurea come la mia ed una specializzazione post-laurea, non posso contentarmi di fare solamente il semplice impiegato, anche per via della bassa remunerazione mensile ed in confidenza, come avrete già capito, vi dico che ho sempre lavorato ufficiosamente in team con altri colleghi.

A questo punto mi chiedo cosa posso fare per poter ufficializzare la mia professione pur rimanendo un pubblico impiegato.

Ho colleghi nella stessa mia situazione che hanno aperto la P.I. in regime forfettario con gestione separata INPS, altri che operano con la "Prestazione occasionale", che a quanto pare non ha più limiti di durata e soglia dei compensi (€5.000), perchè se li avesse anche qui si dovrebbe aprire la Gestione separata INPS per i redditi eccedenti gli € 5.000. Voi in qualità di esperti cosa ne pensate?

Vi chiedo a questo punto di aiutarmi a comprendere meglio per poter trovare la giusta soluzione al mio caso, che mi possa consentire di lavorare in serenità e soprattutto senza sentirmi, pur lavorando, in difetto.

Grazie

Cordiali saluti”
Consulenza legale i 24/09/2021
Per rispondere al quesito, è necessario richiamare l’art. 53 del D. Lgs. n. 165/2001 (testo unico sul pubblico impiego).

Secondo tale norma, il dipendente pubblico è obbligato a prestare il proprio lavoro in maniera esclusiva nei confronti dell’Amministrazione da cui dipende.

L’art. 53, comma 7, del D. Leg. 30/03/2001, n. 165, dispone, in particolare, che i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza; lo stesso art. 53 prevede - ai commi 8 e 9 - il divieto per le pubbliche amministrazioni, nonché per gli enti pubblici economici e per i soggetti privati, di conferire incarichi retribuiti a dipendenti di altre amministrazioni pubbliche o dipendenti pubblici in generale senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi.

Le disposizioni in questione non si applicano, ai sensi dell’art. 53, comma 6, del D. Leg. 165/2001, ai dipendenti con rapporto di lavoro part time non superiore al 50%, ai docenti universitari a tempo definito ed alle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali.

Il divieto in oggetto si applica a tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso, con esclusione delle attività elencate dal citato art. 53, comma 7, del D. Leg.vo 165/2001, tra le quali si cita a titolo di esempio la collaborazione a giornali, riviste, la partecipazione a seminari e convegni, lo sfruttamento di opere soggette al diritto d’autore.

Pertanto, si ritiene che l’attività professionale di architetto sia incompatibile ai sensi dell’art. 53 D. Lgs. 165/2001 a meno che non sia autorizzata dall’amministrazione di appartenenza.

Le condizioni e i criteri in base ai quali il dipendente a tempo pieno può essere autorizzato a svolgere un’altra attività sono predeterminati, a norma del comma 5 dell’art. 53 citato, dall’amministrazione di appartenenza tenendo in considerazione:
– la temporaneità e l’occasionalità dell’incarico. Sono, quindi, autorizzabili le attività esercitate sporadicamente ed occasionalmente, anche se eseguite periodicamente e retribuite, qualora per l’aspetto quantitativo e per la mancanza di abitualità, non diano luogo ad interferenze con l’impiego;
– il non conflitto con gli interessi dell’amministrazione e con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione;
– la compatibilità dell’impegno lavorativo derivante dall’incarico con l’attività lavorativa di servizio cui il dipendente è addetto tale da non pregiudicarne il regolare svolgimento. L’attività deve essere svolta al di fuori dell’orario di servizio.

Ai sensi del comma 10, l'autorizzazione deve essere richiesta all'amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati che intendono conferire l'incarico; può, altresì, essere richiesta dal dipendente interessato. L'amministrazione di appartenenza deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta stessa.

Circa l’inquadramento come contratto d’opera occasionale, si precisa che lavoratore autonomo occasionale può essere definito, alla luce dell’art. 2222 del Codice civile, chi si obbliga a compiere un’opera od un servizio, con lavoro prevalentemente proprio, senza vincolo di subordinazione e senza alcun coordinamento con il committente; l’esercizio dell’attività, peraltro, deve essere del tutto occasionale, senza i requisiti della professionalità e della prevalenza.

Come è stato chiarito in dottrina e giurisprudenza, la prestazione occasionale non è utilizzabile dai professionisti iscritti ad albi professionali.

Sul punto è intervenuta a chiarire la posizione di prassi anche l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 41/E/2020, secondo la quale, in breve, nessuna attività di un professionista iscritto ad un Albo può essere inquadrata come una prestazione occasionale.

Sostanzialmente, le prestazioni occasionali sono vietate in tutti i casi in cui il professionista risulti essere iscritto ad un Albo. Tutti questi professionisti quando svolgono attività legate alla loro iscrizione all’Albo devono operare esclusivamente con Partita IVA. Ricorrendone i requisiti si potrà optare per il regime forfettario.

I contributi dovranno essere versati alla gestione separata INPS.

Per quanto riguarda l’inquadramento fiscale, ad ogni modo, si consiglia di rivolgersi ad un commercialista.

In conclusione, per svolgere la professione di architetto, pur rimanendo un pubblico dipendente full time, sarà necessario, innanzitutto, ottenere l'autorizzazione all'amministrazione di appartenenza e, in secondo luogo, aprire una partita IVA, non essendo possibile svolgere la professione in parola con prestazione occasionale.


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