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Se l’artista ingaggiato per lo spettacolo non è all’altezza può operare la “clausola di protesta”

Se l’artista ingaggiato per lo spettacolo non è all’altezza può operare la “clausola di protesta”
La “clausola di protesta” è diffusa nei contratti collettivi nazionali degli artisti e consente la risoluzione del contratto se il cantante non si rivela adeguato agli standard del committente.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 21506 depositata in cancelleria il 20 agosto di quest’anno, si è occupata della questione giuridica relativa alla risoluzione del contratto con cui un cantante lirico era stato assunto per tenere uno spettacolo in un teatro, rivelandosi successivamente inidoneo a tale ruolo.
A fronte dell’impiego di tale clausola da parte dell’ente lirico, il cantante aveva avanzato una richiesta di risarcimento del danno di rilevante importo.
Al fine di negare la possibilità per l’ente lirico di recedere in tal modo dal contratto, il cantante aveva fatto riferimento all’art. 2222 del c.c. che disciplina il contratto d’opera, negozio attraverso il quale un soggetto viene incaricato di portare a compimento un’opera o un servizio attraverso il lavoro personale.
I giudici, viceversa, hanno dichiarato la natura atipica del contratto in questione il quale, pur ispirandosi alla prestazione d’opera, se ne discosta in parte, poiché il risultato richiesto all'artista non è in tutto e del tutto equiparabile a quella di un qualunque altro professionista. Mentre quest’ultimo, infatti, svolge il suo lavoro in completa autonomia e senza in alcun modo adattarsi a indicazioni provenienti dal committente, la prestazione dovuta dal cantante lirico riveste in certi aspetti il carattere della para-subordinazione, poiché il coordinamento, l’organizzazione e la direzione che provengono dall’ente lirico influiscono in maniera determinante sull'esecuzione del lavoro.
Inoltre, affermano gli ermellini, la prassi della contrattualistica nel mondo dello spettacolo prevede da tempo l’inserimento della c.d. “ clausola di protesta”, che a detta dei giudici opera come una clausola risolutiva, attraverso la quale al committente è consentito di liberarsi dal vincolo contrattuale se l’artista non risulta sufficientemente capace e comunque adatto al ruolo.
Tale clausola, per importanza e diffusione, risulta inoltre essere stata prevista anche nel contratto collettivo nazionale degli artisti.
La clausola di protesta è stata diversamente qualificata in dottrina e in giurisprudenza: alcuni l’hanno qualificata come un patto di prova; altri come un negozio giuridico unilaterale ad incertam personam; altri ancora come una giusta causa di recesso o un peculiare istituto proprio del rapporto di lavoro artistico.
In ogni caso, l’utilizzo della clausola in questione permette al committente di slegarsi dal vincolo contrattuale, escludendo l’applicazione della norma generale relativa ai diritti economici del prestatore d’opera di cui all'art. 2237 del c.c..
Tale peculiare clausola di protesta, affermano gli ermellini, “identifica una possibilità per il committente di liberarsi dalla scrittura teatrale, se giudica l’artista non idoneo al ruolo per il quale è stato scritturato”. L’ipotesi più frequente, asseriscono inoltre i giudici, “è quella dell’artista che, durante le prove, si riveli tecnicamente inadeguato o che non sia all’altezza dell’incarico perché non conosce la parte o, ancora, le cui prestazioni non soddisfino gli standard qualitativi che il committente intende offrire al suo pubblico”.
In tali ipotesi è quindi possibile risolvere il contratto.


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