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Articolo 1977 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Nozione

Dispositivo dell'art. 1977 Codice Civile

(1)La cessione dei beni ai creditori è il contratto col quale il debitore(2) incarica i suoi creditori o alcuni di essi di liquidare tutte o alcune sue attività e di ripartirne tra loro il ricavato in soddisfacimento dei loro crediti [1982; 160 n. 2, 181 n. 3, 182, 186 l.f.](3)(4).

Note

(1) Si tratta di un contratto consensuale, ad effetti obbligatori (1376 c.c.) che richiede la forma scritta per la validità della stipula (1978 c.c.).
(2) La norma si riferisce al concetto di debitore in generale e, quindi, tale è, ad esempio, anche il fideiussore.
(3) Strutturalmente, quindi, il contratto di cessione di beni ai creditori configura un'ipotesi di mandato (1703 c.c.) conferito anche nell'interesse del creditore mandatario (v. 1723, 2 c.c.).
(4) Si vedano gli articoli 160, 182 e 186 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, Legge fallimentare, che disciplinano il concordato preventivo mediante cessione dei beni.

Ratio Legis

La fattispecie in esame soddisfa l'interesse di entrambe le parti ad estinguere il debito in modo rapido: in particolare, atteso che il debito è certo e che il debitore, quindi, non potrebbe contestarlo nel merito, ciò che si evita è la lungaggine del processo esecutivo (2910 ss. c.c.).

Brocardi

Bonorum cessio
Procurator in rem suam

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1977 Codice Civile

Cass. civ. n. 17060/2007

L'art. 2941 n. 6 del codice civile che dispone la sospensione della prescrizione tra le persone i cui beni siano sottoposti per legge o per provvedimento del giudice all'amministrazione altrui e quelle da cui l'amministrazione è esercitata non è applicabile estensivamente ai rapporti tra debitore e creditori del concordato preventivo con cessione dei beni perché la titolarità dell'amministrazione dei beni ceduti spetta esclusivamente al liquidatore che la esercita non in nome o per conto dei creditori ma nel rispetto delle direttive impartite dal tribunale. (Cassa senza rinvio, App. Brescia, 7 Maggio 2004).

Cass. civ. n. 5306/1999

La cessione dei beni proposta con la istanza di concordato preventivo non si perfeziona già con il deposito di essa o — quantomeno — con il decreto di ammissione assecondato dalla pubblicità prevista dall'art. 166 della legge fallimentare, e neppure con la sentenza di omologazione del concordato, dovendosi invece l'istituto in questione ricondurre, sia pure con le caratteristiche proprie di un procedimento complesso ed articolato, alla figura generale della cessione dei beni ai creditori prevista dall'art. 1977 c.c., la quale si sostanzia in un mandato irrevocabile a gestire e liquidare i beni del debitore, senza alcuna efficacia traslativa alla proprietà, e con il quale si conferisce agli organi della procedura la legittimazione a disporre dei beni dell'imprenditore al fine di soddisfare il ceto creditorio.

Cass. civ. n. 5177/1990

Con il contratto di cessione dei beni ai creditori viene attribuito ai cessionari soltanto un potere di disposizione finalizzato alla liquidazione ed al riparto per cui il debitore cedente conserva la titolarità e l'esercizio diretto delle azioni relative alle attività cedute, che può espletare anche nei rapporti interni della cessione, senza che l'esercizio di tali azioni comporti la necessità del litisconsorzio dei creditori cessionari.

Cass. civ. n. 531/1990

Colui che ha stipulato la cessione di propri beni ai creditori non può invocare, ai fini della risoluzione per eccessiva onerosità di una vendita compiuta dal liquidatore di quei beni, il proprio stato di bisogno come conseguenza automatica della situazione di difficoltà in cui versa, atteso che la cessione dei beni ai creditori non postula di per sé, l'esistenza di uno stato di bisogno del cedente, potendo determinare il debitore alla cessione anche considerazioni opportunistiche o di calcolo, quale l'intento di ricavare dalla cessione dei beni un risultato più vantaggioso di quello correlato all'assoggettamento dello stesso a plurime azioni esecutive.

Cass. civ. n. 4135/1981

Il contratto previsto dall'art. 1977 c.c. — che, anche se non attua immediatamente una solutio , ha una funzione solutoria, attenendo la sua causa al soddisfacimento dei crediti — è caratterizzato dall'intento, comune al cedente ed ai cessionari, di liquidare, in tutto o in parte, il patrimonio del debitore, al fine di ripartirne il ricavato fra i creditori. Pertanto, ai fini della configurabilità di tale contratto, non è sufficiente che il debitore dichiari di mettere i suoi beni a disposizione dei creditori, ma occorre che il debitore medesimo — mediante una inequivoca manifestazione di volontà (l'accertamento della cui sussistenza costituisce un giudizio di fatto riservato al giudice del merito) — conferisca ai creditori un mandato a liquidare i suoi beni e soddisfarsi con il ricavato di tale liquidazione.

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Anonimo chiede
martedì 07/05/2024
“Ho più immobili:
1) la casa che abito insieme a mia moglie che ne è comproprietaria al 50%; (siamo in regime di separazione dei beni),
2) altri immobili in comproprietà con mio fratello "creditore",
3) una società srl che ha alcuni immobili.
E' possibile e come ottenere che venga esclusa dal pignoramento la casa che abitiamo?
Grazie e cordiali saluti

Consulenza legale i 13/05/2024
Le soluzioni che possono essere offerte per ottenere ciò che viene chiesto sono diverse a seconda che l’esecuzione (pignoramento immobiliare) vi sia già stata o meno.
La prima ipotesi che si prende in considerazione è quella di esecuzione non ancora iniziata.
Si esclude, innanzitutto, di poter fare ricorso per la quota di comproprietà di tale immobile alla costituzione di un fondo patrimoniale.
Il fondo patrimoniale, come ormai è ben noto, costituisce un patrimonio separato, i cui beni sono destinati al soddisfacimento dei bisogni della famiglia; in conseguenza di ciò, come dispone chiaramente il testo dell’art. 170 del c.c., l'esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, e ciò a prescindere dal fatto che il vincolo sia stato contratto da entrambi i coniugi o da uno solo di essi.
La Corte di Cassazione ha precisato che, ai fini dell'esecuzione, è irrilevante il momento in cui il credito è sorto (cfr. Cass., 9 aprile 1996, n. 3251), facendo tuttavia salva l'esperibilità dell’azione revocatoria ordinaria, qualora ne ricorrano i presupposti, al fine di far dichiarare l'inefficacia relativa dell'atto costitutivo del fondo patrimoniale intervenuto successivamente al sorgere del credito.

Costituisce, infatti, un orientamento giurisprudenziale ormai costante nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui l'atto costitutivo del fondo patrimoniale è revocabile con l'azione revocatoria ordinaria ai sensi dell'art. 2901 del c.c., mediante la declaratoria di inefficacia nei confronti del creditore istante (c.d. inefficacia relativa) dell'atto compiuto dal debitore che sia pregiudizievole alle sue ragioni (una recente giurisprudenza di legittimità ribadisce, peraltro, che l'atto di costituzione di un fondo patrimoniale può essere oggetto di azione revocatoria anche in presenza di figli minori).

Esclusa, dunque, tale soluzione, per i rischi cui si può andare incontro e che vanificherebbero le spese che si dovrebbero andare ad affrontare, altro istituto giuridico offerto dal nostro ordinamento ed a cui si può pensare di fare ricorso è quello della cessione di beni al creditore (cd. cessio bonorum), contratto disciplinato dagli artt. 1977 e ss. c.c.
Si tratta di quel particolare contratto in forza del quale il debitore incarica i suoi creditori o alcuni di essi di alienare tutti o alcuni suoi beni e di ripartirne fra loro il ricavato in soddisfacimento dei loro crediti
Trattandosi di atto scaturente dalla libera manifestazione della volontà delle parti (debitore e creditore), si può convenire espressamente, come risulta dallo stesso testo della norma, di escludere la quota di comproprietà dell’immobile che si intende salvaguardare, essendo peraltro volto a soddisfare la fondamentale esigenza di garantire alla famiglia una casa in cui poter vivere.

Tale contratto, inoltre, si intende stipulato, salvo patto contrario, pro solvendo, il che si pone a garanzia del creditore, considerato che in questo modo il debitore si intenderà liberato verso i creditori solo dal giorno in cui essi riceveranno la parte loro spettante sul ricavato della liquidazione e nei limiti di quanto hanno ricevuto (così art. 1984 del c.c.).
Altro aspetto positivo di tale contratto, che lo dovrebbe far preferire all’esecuzione forzata, è che il debitore, seppure perda la disponibilità dei beni ceduti (art. 1980 del c.c.), ha pur sempre il diritto di esercitare il controllo sulla gestione (art. 1983 del c.c.) e di ottenere l’eventuale residuo della liquidazione (art. 1982 del c.c.).

Infine, se il pignoramento dovesse già essere stato eseguito su tutti i beni del debitore, compresa la quota in comproprietà dell’immobile adibito ad abitazione principale della famiglia, ci si può avvalere, sempre che ne sussistano i presupposti, della riduzione del pignoramento, istituto disciplinato dall’art. 496 del c.p.c. e che costituisce espressione del diritto del debitore di subire una giusta esecuzione, senza che i suoi beni siano vincolati in misura non proporzionata al soddisfacimento del creditore.
Condizioni necessarie per consentire al giudice dell’esecuzione di disporre la riduzione sono:
  1. che i beni pignorati siano più di due, oppure, nel caso di un solo bene, che esso sia divisibile;
  2. che l’entità dei beni pignorati sia eccessiva rispetto alle obiettive esigenze del creditore.


A. S. chiede
mercoledì 22/02/2023 - Lombardia
“Egregio Avvocato/commercialista

con la cessio-bonorum i beni possono essere ceduti al creditore invece di conferire il mandato di vendita con la facoltà di tenere l'incasso? Quindi il debitore fa la fattura al creditore e viene effettuata una compensazione tra debiti e crediti?
Il contratto deve essere necessariamente registrato?”
Consulenza legale i 01/03/2023
Ai sensi dell’art. 1977 c.c. la cessione di beni ai creditori (cessio bonorum) è il contratto col quale il debitore incarica i suoi creditori o alcuni di essi di liquidare tutte o alcune sue attività e di ripartirne tra loro il ricavato in soddisfacimento dei loro crediti. La cessione dei beni si deve fare per iscritto, sotto pena di nullità. Inoltre, se tra i beni oggetto della cessione vi sono immobili, il contratto deve essere concluso per atto pubblico o scrittura privata autenticata e dovrà essere registrato.

La cessione dei beni costituisce per il debitore un'importante possibilità per evitare gli effetti di una esecuzione forzata. Secondo la normativa italiana, per recuperare un credito scaduto, il creditore può ricorrere alla liquidazione forzata del patrimonio del debitore, tramite esecuzione individuale (nel caso di consumatori o imprese non fallibili) o istanza di fallimento o altre procedure concorsuali (in tutti gli altri casi). Una valida alternativa può essere rappresentata dal ricorso alla cessione dei beni del debitore.
Si ritiene possa essere una soluzione migliorativa degli interessi di entrambe le parti; infattile tempistiche di liquidazione sono più brevi, meno rigide e più formali, evitando le vendite in asta e il ricorso al tribunale, beneficiando anche di un risparmio sui costi di procedura. Inoltre, vi è una maggiore possibilità di ottenere una liquidità maggiore anche a seguito di una minor perdita di valore in asta del bene.

La sottoscrizione del contratto da parte dei creditori limita la possibilità che questi possano compiere azioni esecutive su altri beni del creditore, è necessario infatti che i beni oggetto del contratto siano stati venduti e il riparto sia avvenuto, diversamente, potranno iniziare tali azioni esecutive solo dopo aver risolto il contratto di cessio bonorum (art. 1980 del c.c.).
Inoltre, il debitore ai sensi dell’ art. 1980 del c.c. e art. 1983 del c.c. non può disporre dei beni ceduti ma mantenerne il controllo sull’operato dei creditori.
La caratteristica di questo contratto è che la proprietà dei beni non passa ai creditori, i quali ne hanno solo la disponibilità per poterli vendere e distribuire tra di loro il ricavato (ed eventualmente restituire il residuo al debitore).

Ai sensi dell’art. 166 del codice della crisi d'impresa gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nell’anno anteriore sono oggetto di azione revocatoria. La revocatoria fallimentare rappresenta, infatti, il principale strumento di tutela della par condicio creditorum e di rispetto del divieto di alterazione del legittimo ordine dei privilegi.

Nel caso di specie, dato che la Società non è in grado di estinguere il proprio debito con mezzi monetari, utilizzerebbe infatti un mezzo anormale di pagamento effettuando la vendita dei propri beni.

Dall’analisi della bozza di contratto inviatoci si evince come, nel caso in cui la Società venisse dichiarata fallita, la possibilità che vi sia un creditore che chieda l’azione revocatoria su tale vendita sembrerebbe remota visto quanto dichiarato e quindi che non vi siano altri creditori al di fuori della controparte. Tale strada potrebbe essere fattibile a condizione che il creditore sia interessato all’acquisto, visto che in tal caso si tratterebbe di una vendita a tutti gli effetti e non più di cessio bonorum.
Il contratto di vendita sarà nella forma richiesta dall'oggetto della cessione; se beni immobili dovrà essere stipulato in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata ed essere trascritto nei registri immobiliari. Successivamente, si potrà procedere con la compensazione delle partite di credito/debito; in tal caso la forma sarà libera.