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Articolo 250 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Riconoscimento

Dispositivo dell'art. 250 Codice Civile

(1)Il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto, nei modi previsti dall'articolo 254, dal padre e dalla madre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all'epoca del concepimento [30 Cost.]. Il riconoscimento(2) può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente [235].

Il riconoscimento(2) del figlio che ha compiuto i quattordici anni non produce effetto senza il suo assenso(3).

Il riconoscimento(2) del figlio che non ha compiuto i quattordici anni non può avvenire senza il consenso dell'altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento.

Il consenso non può essere rifiutato se risponde all'interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere il figlio, qualora il consenso dell'altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente il quale, assunta ogni opportuna informazione e disposto l'ascolto del minore, adotta eventuali provvedimenti temporanei e urgenti al fine di instaurare la relazione, salvo che la difesa del convenuto non sia palesemente fondata. Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice adotta i provvedimenti opportuni in relazione all'affidamento e al mantenimento del minore ai sensi dell'articolo 315 bis e al suo cognome ai sensi dell'articolo 262(7).

Il riconoscimento non può essere fatto dai genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, salvo che il giudice li autorizzi, valutate le circostanze e avuto riguardo all'interesse del figlio(6).

Note

(1) L'articolo è stato così sostituito dall'art. 102 della L. 19 maggio 1975 n. 151; si veda l'art. 12 della L. 1 dicembre 1970 n. 898.
Più recentemente, è altresì intervenuta la riforma sulla filiazione (Legge n. 219 del 10 dicembre 2012) che ha modificato notevolmente il tenore letterale della disposizione.
(2) Per l'accertamento della filiazione naturale occorre il riconoscimento, attuato mediante dichiarazione formale, unilaterale e discrezionale, non recettizia ed a carattere di accertamento, fatta personalmente da almeno un genitore che abbia compiuto i quattordici (prima: sedici) anni.
(3) L'assenso necessario del figlio che abbia compiuto i 14 anni figura come un atto autorizzativo e di approvazione, i cui effetti ricadono (anche ex art. 45 del d.P.R. 396/2000) nella sfera giuridica dell'autorizzante.
(4) Dovrà valutarsi l'interesse (di regola positivo) del minore al riconoscimento, tanto sotto il profilo materiale quanto quello psicologico: di regola viene inquadrato come diritto alla propria identità personale, nella sua precisa e integrale dimensione psicofisica, e subisce il limite del pericolo concreto e attuale di lesione di un bene primario.
(5) Comma così modificato con la riforma del 2012. Il precedente testo del co. IV recitava: "Il consenso non può essere rifiutato ove il riconoscimento risponda all’interesse del figlio. Se vi è opposizione, su ricorso del genitore che vuole effettuare il riconoscimento, sentito il minore in contraddittorio con il genitore che si oppone e con l’intervento del pubblico ministero, decide il tribunale con sentenza che, in caso di accoglimento della domanda, tiene luogo del consenso mancante". Si rileva comunque (non essendo mutato sul punto il requisito) come l'assenso ed il consenso siano atti ai quali non si possono apporre condizioni o termini, che in caso contrario si considerano come non apposti.
(6) Nel co. V si delinea una capacità speciale (di cui all'art. 2 del c.c.) che consente al genitore sedicenne di riconoscere il figlio; con tale atto personale egli acquisterà i diritti sostanziali e processuali previsti dalla legge per il genitore fin dalla nascita del figlio (come ha sottolineato più volte la Cassazione, si veda la sent. n. 4849/1982).
Anche l'ultimo periodo del presente comma è stato sostituito con la L. 219/2012.
(7) Comma modificato dal D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. "Riforma Cartabia"), come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197, il quale ha disposto (con l'art. 35, comma 1) che "Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti".

Ratio Legis

La disciplina del riconoscimento della filiazione naturale è stata ulteriormente modificata, adeguandosi progressivamente verso la parificazione totale tra i figli legittimi ed i naturali, in linea con il comma III dell'art. 30 della Costituzione. Si rileva, inoltre, che la ratio di eliminazione di qualsiasi forma di discriminazione tra figli legittimi e figli nati fuori dal matrimonio ha subito una svolta con le recenti norme in materia di riconoscimento dei figli naturali di cui alla legge 10 dicembre 2012 n. 219, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 293 in data 17 dicembre 2012.

Brocardi

Liberi naturales

Spiegazione dell'art. 250 Codice Civile

Il riconoscimento è una dichiarazione formale che una persona fa dell’esistenza del rapporto biologico di filiazione esistente con altro soggetto il quale, in seguito a tale dichiarazione, acquista lo stato di figlio del dichiarante a tutti gli effetti.
L’atto di riconoscimento, considerata l’importanza che esso riveste e le conseguenze dirompenti che produce nella sfera giuridica personale e patrimoniale sia del dichiarante che del figlio, deve essere spontaneo, ovvero volontario; personalissimo (un’eventuale procura a riconoscere il figlio sarebbe senz’altro invalida); irrevocabile; puro, non tollerando l’apposizione di elementi accidentali quali termini o condizioni.
La capacità di riconoscere un figlio si acquista prima della generale capacità di agire, ovvero a sedici anni. Tale limite di età può essere superato tramite un’autorizzazione del giudice, in seguito alla riforma del diritto di famiglia attuata nel 2012.
Fondamentale, poi, è che il riconoscimento corrisponda all’interesse del figlio. Come ribadito dalla giurisprudenza recente, infatti, si impone un “bilanciamento” tra l’esigenza di affermare la verità biologica e l’interesse alla stabilità dei rapporti familiari, nell’ambito di una sempre maggiore considerazione del diritto all’indentità personale, che non è necessariamente correlato alla verità biologica, ma piuttosto ai legami affettivi e personali che si sono sviluppati all’interno della famiglia.
La "Riforma Cartabia" ha portato con sé il superamento della pluralità dei riti nelle controversie sui diritti della persona, dei minori e delle relazioni familiari. La legge delega dedica, infatti, il comma 23 dell’art. 1 a dettare i principi e i criteri direttivi ai quali attenersi nell'esercizio della delega conferita per la realizzazione di un rito unificato denominato "procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie". Con tale previsione il legislatore ha inteso unificare le regole processuali applicabili ai giudizi che coinvolgono le famiglie, le persone e i minorenni, che, attualmente, risultano notevolmente frammentate.
La riforma ha quindi inteso razionalizzare l'attuale sistema processuale del diritto di famiglia, introducendo un apposito Titolo IV-bis del libro II del Codice di procedura civile, rubricato "Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie", recante la disciplina del rito applicabile a tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie, di competenza del tribunale ordinario, del tribunale per i minorenni e del giudice tutelare. Restano esclusi dall'applicazione del nuovo rito solo i procedimenti volti alla dichiarazione di adottabilità, i procedimenti di adozione di minori di età e i procedimenti attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea.
In particolare, la Riforma ha portato alla modifica del quarto comma dell’articolo 250 del codice civile, armonizzandolo con i principi che reggono il nuovo rito unitario in materia di procedimenti per le persone, i minorenni e le famiglie.
Attualmente, a fronte del rifiuto del genitore che per primo ha riconosciuto il figlio al riconoscimento da parte dell’altro, quest’ultimo può rivolgersi al tribunale del luogo di residenza abituale del minore. Nell'ottica del rispetto del principio ispiratore della "Riforma Cartabia", che pone al centro l'interesse del minore, è possibile notare come, rispetto alla precedente formulazione del quarto comma, sia scomparsa la possibilità per l'altro di genitore di proporre opposizione al riconoscimento nel termine di 30 giorni.
Il procedimento segue le norme delineate dal nuovo rito unitario. Il giudice, in linea con quanto previsto dall’articolo 250 del codice civile nella sua attuale formulazione, può adottare in ogni momento, e dunque anche prima della decisione sullo status, i provvedimenti ritenuti opportuni per instaurare la relazione tra il figlio e colui che ha richiesto il riconoscimento.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 250 Codice Civile

Cass. civ. n. 275/2020

Nel procedimento disciplinato dall'art. 250 c.c., come novellato dall'art. 1 della l. n. 219 del 2012, teso al riconoscimento del figlio che non abbia compiuto i quattordici anni, quest'ultimo non assume la qualità di parte, per cui la nomina di un curatore speciale è necessaria solo ove il giudice lo ritenga opportuno in considerazione del profilarsi, in concreto, di una situazione di conflitto di interessi. (Rigetta, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 02/07/2018).

Cass. civ. n. 7762/2017

Il riconoscimento del figlio minore infraquattordicenne nato fuori dal matrimonio, già riconosciuto da un genitore, costituisce un diritto soggettivo dell’altro, tutelato nell'art. 30 Cost., che può, tuttavia, essere sacrificato in presenza del rischio della compromissione dello sviluppo psicofisico del minore stesso. In questo quadro, il necessario bilanciamento tra l’esigenza di affermare la verità biologica con l’interesse alla stabilità dei rapporti familiari, impone di accertare quale sia, in concreto, l’interesse del minore, valorizzando primariamente i risultati della sua audizione, una volta accertatane da parte del giudice la capacità di discernimento.

Cass. civ. n. 781/2017

In tema di riconoscimento di figlio naturale, l'art. 250 c.c. (come modificato dall’art. 1, comma 2, lett. b, della l. n. 219 del 2012) subordina, nell'ipotesi di minore infraquattordicenne, la possibilità del secondo riconoscimento al consenso del genitore che detto riconoscimento ha già effettuato e dispone, altresì, che, al compimento del quattordicesimo anno, il minore (anche se nato o concepito prima dell’entrata in vigore della l. n. 219 del 2012 cit.) divenga titolare di un autonomo potere di incidere sul diritto del genitore al riconoscimento, configurando il suo assenso quale elemento costitutivo dell’efficacia della domanda stessa di riconoscimento. Ne consegue che il raggiungimento, da parte del minore, della "maggiore età" ritenuta dal legislatore adeguata ad esprimere un meditato giudizio, rilevabile d’ufficio, determina il venir meno della necessità del consenso del primo genitore al riconoscimento da parte dell'altro e, in difetto, dell'intervento del giudice. (Nella specie, la S.C., preso atto che il minore aveva compiuto quattordici anni nel corso del processo ed aveva rifiutato il suo assenso al riconoscimento, ha dichiarato, su ricorso della madre, cessata la materia del contendere, cassando senza rinvio la sentenza di riconoscimento della paternità.

Cass. civ. n. 16103/2015

La competenza a provvedere sull'autorizzazione al riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio richiesta, ex art. 250, comma 5, c.c., dal genitore non ancora sedicenne, appartiene al tribunale ordinario. (Principio di diritto enunciato ai sensi dell'art. 363, comma 3, c.p.c.).

Cass. civ. n. 17277/2014

Il potere, spettante in via esclusiva al genitore che per primo ha riconosciuto il figlio infraquattordicenne, di esprimere il consenso al successivo riconoscimento, da parte dell'altro genitore, costituisce un corollario della paternità (o maternità) e non della legale rappresentanza del minore nell'esercizio della potestà genitoriale, la cui sospensione, quindi, non gli impedisce di acconsentire al suddetto secondo riconoscimento, legittimando, in caso contrario, l'altro genitore a promuovere, ex art. 250 cod. civ., l'azione per ottenere la sentenza sostitutiva, in un procedimento nel quale il primo è litisconsorte necessario insieme al minore, rappresentato dal tutore.

Cass. civ. n. 5884/2012

Nel procedimento previsto dall'art. 250, quarto comma, c.c. per conseguire una pronuncia che tenga luogo del mancato consenso del genitore, che abbia già riconosciuto il figlio infrasedicenne, al riconoscimento dello stesso minore da parte dell'altro genitore, deve essere disposta obbligatoriamente l'audizione del minore, atteso che questi assume la qualità di parte, come riconosciuto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 83 del 2011

Cass. civ. n. 14934/2004

Nel procedimento previsto dall'art. 250, quarto comma, c.c. il minore infrasedicenne non assume la qualità di parte, divenendo tale solamente all'esito della nomina del curatore speciale ai sensi dell'art. 78, secondo comma, c.p.c. in presenza di un conflitto d'interessi con il genitore legale rappresentante che si oppone al riconoscimento da parte dell'altro genitore naturale, determinandosi in tal caso una sorta di intervento iussu iudicis del minore stesso, a mezzo del suddetto curatore. Ne consegue che la sentenza emessa a chiusura del procedimento deve essere notificata, ai fini della decorrenza del termine breve per la relativa impugnazione, anche al suddetto curatore, non determinandosi in difetto il passaggio in giudicato e la conseguente definitività della decisione, in ragione del mancato decorso di detto termine rispetto a tutte le parti in causa. [Principio enunciato nell'ambito di un giudizio concernente la domanda di equa riparazione dei danni (lamentati per effetto di una durata del giudizio ex art. 250, quarto comma, c.c. prolungatasi, anche in ragione della condotta degli addetti alla cancelleria, per quattro anni e cinque mesi e dedotta come irragionevole in considerazione pure della particolare semplicità del rito camerale e della delicatezza della vicenda in questione), proposta seppur in difetto di notificazione della sentenza emessa a conclusione del giudizio (anche) al curatore speciale nominato alla minore, e dal giudice di merito dell'impugnazione nondimeno ritenuta conclusiva del procedimento all'esito del decorso del termine breve per l'impugnazione fatto decorrere dalla relativa notifica effettuata solamente ai genitori e al P.M.].

Cass. civ. n. 5115/2003

Il riconoscimento del figlio naturale minore infrasedicenne, già riconosciuto da un genitore, è diritto soggettivo primario dell'altro genitore, costituzionalmente garantito dall'art. 30 Cost.: in quanto tale, esso non si pone in termini di contrapposizione con l'interesse del minore, ma come misura ed elemento di definizione dello stesso, atteso il diritto del bambino ad identificarsi come figlio di una madre e di un padre e ad assumere cosi una precisa e completa identità. Ne consegue che il secondo riconoscimento, ove vi sia opposizione dell'altro genitore che per primo ha proceduto al riconoscimento, può essere sacrificato — anche alla luce degli artt. 3 e 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 (resa esecutiva con la legge 27 maggio 1991, n. 176) — solo in presenza di motivi gravi ed irreversibili, tali da far ravvisare la probabilità di una forte compromissione dello sviluppo psico-fisico del minore. (Enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso che costituissero impedimento al secondo riconoscimento l'età del padre naturale, la sua residenza in una località lontana da quella di residenza della minore, nonché la mancanza, dà parte sua, di un'attività lavorativa stabile e di un'autonoma abitazione).

Cass. civ. n. 12077/1999

In tema di autorizzazione al riconoscimento di figlio naturale, la mera diversità culturale, di origini, di etnia e di religione non può di per sé costituire elemento significativo ai fini dell'esclusione dell'interesse del minore all'acquisizione della doppia genitorialità. Tuttavia, il fanatismo religioso (nella specie, si trattava di genitori di nazionalità e religioni diverse) può assumere rilievo dirimente qualora si traduca in un'indebita compressione dei diritti di libertà del minore o in un pericolo per la sua crescita secondo i canoni generalmente riconosciuti dalle società civili.

Cass. civ. n. 4148/1999

Al pari di quanto accade in tema di controversie in tema di dichiarazione giudiziale di paternità naturale di minori, anche nel procedimento previsto dall'art. 250, quarto comma, c.c., avente ad oggetto l'indagine sulla legittimità del rifiuto al secondo riconoscimento opposto dal genitore che per primo abbia riconosciuto il figlio, il termine breve per appellare è rispettato con il tempestivo deposito in cancelleria del ricorso entro trenta giorni dalla notifica della sentenza, mentre, nel caso in cui l'impugnazione sia stata proposta con citazione a udienza fissa, il gravame deve considerarsi tempestivo e validamente proposto purché il deposito della citazione avvenga entro il termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza, essendo detto deposito l'atto con il quale, nei procedimenti camerali, l'impugnazione è proposta.

Cass. civ. n. 2338/1999

Nel giudizio promosso per il riconoscimento della paternità o della maternità di un minore infraseadicenne, l'interesse del minore costituisce l'unico parametro di riferimento ai fini della valutazione della legittimità del rifiuto del consenso eventualmente opposto dall'altro genitore, interesse la cui esistenza, prescindendo dai rapporti tra i genitori, deve ritenersi predicabile tutte le volte in cui, dal secondo riconoscimento, non derivi al minore un pregiudizio tale da incidere sul suo sviluppo psicofisico, ed a prescindere, dunque, dalla concreta dimostrazione che esso risulti per lui vantaggioso. (Nell'affermare il principio di diritto che precede, la S.C. ha, così, ritenuto illegittimo il rifiuto del consenso al riconoscimento di un minore infrasedicenne opposto alla madre che aveva fondato tale decisione motivandola con l'aver più volte, in precedenza, inutilmente invitato il padre naturale a tale riconoscimento, sia durante la gravidanza sia dopo il parto, mentre, al momento, ella era sul punto di contrarre matrimonio con altro uomo, cui il minore risultava legato da uno stabile e valido rapporto affettivo).

Cass. civ. n. 12018/1998

In tema di riconoscimento di figli naturali, l'indagine sulla legittimità del rifiuto del consenso al secondo riconoscimento opposto dal tutore del minore (nominato a seguito della morte del genitore che aveva per primo riconosciuto il figlio) va condotta alla luce della presunzione (semplice) della esistenza di un interesse del minore al richiesto riconoscimento sotto il profilo spirituale non meno che sotto quello dei diritti all'istruzione, educazione mantenimento ad esso conseguenti. Un eventuale rifiuto del consenso deve ritenersi, pertanto, del tutto ingiustificato in assenza di seri e specifici motivi che evidenzino la contrarietà del riconoscimento all'indicato interesse del minore (nell'affermare il suindicato principio di diritto la Corte ha ritenuta legittima la sentenza sostitutiva del consenso non prestato, emessa dal giudice di merito ai sensi dell'art. 250, terzo comma c.c., in relazione ad una vicenda di riconoscimento richiesto dal padre naturale di un minore la cui madre era deceduta il giorno successivo al parto, ed il cui tutore, zio materno, aveva rifiutato il consenso al detto riconoscimento deducendo, tra l'altro, che non vi fosse alcuna prova certa della asserita paternità del richiedente, mentre le prove genetiche avevano evidenziato un risultato probabilistico, in tal senso, superiore al 99,99 per cento).

Cass. civ. n. 11263/1994

Nel procedimento disciplinato dall'art. 250, comma 4, c.c. l'audizione del minore costituisce la prima fonte del convincimento del giudice circa la convenienza del secondo riconoscimento e deve, quindi, essere disposta anche d'ufficio. Tuttavia il vizio procedurale dipendente dal mancato espletamento di un tale incombente deve essere espressamente dedotto dalle parti, non trattandosi di nullità rilevabile d'ufficio, ma di prescrizione rivolta a soddisfare unicamente l'esigenza istruttoria di accertare se il rifiuto del consenso risponda o meno all'interesse del figlio.

Cass. civ. n. 2463/1994

Nell'indagine sulla legittimità o meno del rifiuto, da parte del genitore che per primo abbia riconosciuto il figlio naturale, del consenso al successivo riconoscimento ad opera dell'altro genitore (art. 250 c.c.), occorre fare esclusivo riferimento all'interesse del minore, e, quindi, valutare il complesso dei diritti che a lui derivano da detto ulteriore riconoscimento, considerandosi che esso non incide in sé sul rapporto con l'autore del precedente riconoscimento (art. 317 bis c.c.), né impone a quest'ultimo di riprendere la convivenza con l'altro genitore o di troncare eventuali legami con terzi. Al fine indicato, pertanto, non rilevano valutazioni comparative dei due genitori, né apprezzamenti negativi circa la personalità o la condotta di chi intende effettuare il secondo riconoscimento, se non nei limiti in cui possano evidenziare che l'acquisto di quei diritti sia foriero, per il minore stesso, più di nocumento che di vantaggio.

Cass. civ. n. 2182/1994

In materia di accertamento della filiazione naturale, la sentenza della Corte costituzionale n. 341 del 1990, dichiarativa dell'illegittimità dell'art. 274, primo comma, c.c., nella parte in cui non prevede, se si tratti di minore infrasedicenne, che l'azione promossa dal genitore esercente la patria potestà, per ottenere la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, sia ammessa solo quando ritenuta dal giudice rispondente all'interesse del figlio, non implica che una siffatta preliminare delibazione di rispondenza sia effettuata nel diverso caso di cui all'art. 250 c.c., concernente la risoluzione del conflitto insorto allorché il genitore, che abbia già riconosciuto il minore, neghi il proprio consenso al riconoscimento da parte dell'altro preteso genitore naturale, rientrando il relativo riscontro nel compito cui il giudice è tenuto per ovviare con la propria decisione al consenso mancante.

Cass. civ. n. 1741/1993

In tema di riconoscimento di figli naturali, nel procedimento di cui all'art. 250, quarto comma, c.c. sono litisconsorti necessari il genitore che si oppone al riconoscimento ed il P.M., che deve intervenire ai sensi dell'art. 70 n. 3 c.p.c., e non anche il minore infrasedicenne del cui riconoscimento si controverte. Tuttavia, nell'ipotesi in cui a seguito della proposizione della domanda il presidente del tribunale nomini un curatore speciale al minore e questi intervenga nel processo, formulando proprie deduzioni e prendendo specifiche conclusioni, si determina una situazione di litisconsorzio processuale, assimilabile a quella prodotta dall'intervento in causa di un terzo per ordine del giudice ai sensi dell'art. 107 c.p.c., con la conseguente nullità della sentenza di secondo grado, rilevabile anche d'ufficio, nell'ipotesi in cui nel giudizio di appello non sia disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti del detto curatore quando l'impugnazione non risulti proposta anche nei suoi confronti.

Cass. civ. n. 1958/1991

Il procedimento previsto dall'art. 250, quarto comma c.c. per conseguire dal tribunale una pronuncia che tenga luogo del mancato consenso al riconoscimento del figlio minore da parte del genitore che abbia già effettuato tale riconoscimento, è volto esclusivamente ad accertare se il secondo riconoscimento risponde all'interesse del minore stesso, sicché in esso resta irrilevante ogni indagine sulla veridicità del secondo riconoscimento, indagine, questa, che presuppone il riconoscimento e che può essere svolta in separato giudizio, ove il riconoscimento autorizzato a norma dell'art. 250 venga impugnato ex art. 263 c.c.; un siffatto accertamento non può quindi essere svolto nel giudizio di cui all'art. 250, se non al limitato fine, in presenza di contestazioni della controparte, di verificare, ma solo incidenter tantum, la legittimazione attiva del richiedente.

Cass. civ. n. 687/1991

Il giudizio di cui all'art. 250, quarto comma, c.c., promosso dal genitore che intenda riconoscere il figlio infrasedicenne per superare l'opposizione dell'altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento, sebbene nella prima fase debba svolgersi, ai sensi dell'art. 38 disp. att. c.c., con rito camerale, ha natura contenziosa e si conclude con sentenza, contro la quale va proposto gravame alla corte d'appello, sezione per i minorenni, nelle forme ordinarie e nel termine di trenta giorni dalla sua notificazione, ex art. 325 c.p.c. Tale notificazione va fatta nel modo specificamente previsto dall'art. 285 c.p.c. ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione e, perciò, quando la parte sia presente in giudizio a mezzo di procuratore ovvero con l'assistenza di un difensore presso il quale abbia eletto domicilio, la notificazione deve essere fatta al medesimo difensore e, comunque, nel suo domicilio, applicandosi, cioè, l'art. 170 c.p.c. (ancorché non sia prevista, nel rito camerale, una vera e propria costituzione in giudizio).

Nel giudizio previsto dall'art. 250, quarto comma, c.c. - diretto ad accertare se il riconoscimento del figlio minore infrasedicenne, cui si oppone il genitore che ha già riconosciuto il minore, sia tuttavia rispondente all'interesse dello stesso minore - la considerazione degli effetti positivi, che in via normale si producono a favore del minore con il secondo riconoscimento (sia per la contemporanea presenza della figura materna e di quella paterna, sia per i diritti relativi all'educazione, istruzione e mantenimento), non può essere da sola sufficiente a giustificare l'accoglimento dell'istanza del genitore, giacché il vantaggio del minore va apprezzato non in via presuntiva, bensì in concreto, attraverso una completa valutazione dei suoi interessi, alla luce delle ragioni addotte dall'altro coniuge per negare il consenso, tenendo anche presente la necessità di evitare turbamenti e conflittualità psicologiche, pregiudizievoli all'armonioso sviluppo della personalità del minore, nonché le esigenze materiali, morali e psicologiche del minore, correlate all'età, alla sua condizione attuale e a quella in cui si verrebbe a trovare dopo il secondo riconoscimento.

Cass. civ. n. 6093/1990

Il riconoscimento di figlio naturale minore di sedici anni, già riconosciuto da un genitore, da parte del secondo genitore, ancorché condizionato all'interesse del minore, costituisce un diritto soggettivo primario della personalità espressamente riconosciuto dalla Costituzione (art. 30) e dalle leggi ad essa successive (vedi art. 1 della L. 4 maggio 1983, n. 184). Ne consegue che, perché tale diritto sia sacrificato, non è comunque sufficiente l'interesse del minore a non vedersi in qualche modo turbata la serenità della vita che conduce con il genitore che lo ha riconosciuto per primo, ma è necessaria la presenza di un fatto impeditivo di importanza proporzionata al valore del diritto sacrificato cosi che il trauma presumibilmente riportabile dal minore sarebbe così grave da pregiudicare in modo serio il suo sviluppo psicofisico.

Cass. civ. n. 5575/1989

Il tribunale per i minorenni, adito, ai sensi dell'art. 250, quarto comma, c.c., dal genitore che intenda effettuare il «secondo» riconoscimento del minore infrasedicenne (al fine di superare la mancanza di consenso dell'altro genitore), non può conoscere della domanda riconvenzionale, con cui il convenuto chieda il rimborso di somme erogate per il mantenimento del figlio, considerando che tale domanda, di competenza per materia del tribunale ordinario, non resta attratta dalla competenza per materia del tribunale per i minorenni in ordine alla domanda principale, perché «eccedente» tale competenza per materia, ai sensi ed agli effetti dell'art. 36 c.p.c.

Cass. civ. n. 6557/1988

Nel procedimento di cui all'art. 250 quarto comma c.c., promosso dal genitore che intenda riconoscere il figlio infrasedicenne per superare l'opposizione dell'altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento, la sentenza del tribunale per i minorenni è impugnabile non con reclamo alla corte d'appello, sezione per i minorenni, ma con citazione in appello ad udienza fissa davanti alla sezione medesima, la quale va notificata nei termini previsti dagli artt. 325 ss. c.p.c. ed introduce un procedimento di gravame soggetto al rito ordinario (anche per quanto riguarda i termini di comparizione), tenuto conto che le disposizioni dell'art. 38 terzo e quarto comma disp. att. c.c. prevedono il rito camerale ed il reclamo per i suoi procedimenti di volontaria giurisdizione, mentre quello suddetto ha natura contenziosa. Peraltro, nel caso di proposizione di reclamo, anziché d'appello, nonché di trattazione e definizione del procedimento di secondo grado con rito camerale, deve escludersi il verificarsi di nullità, qualora il ricorso introduttivo risulti notificato (con il decreto di fissazione dell'udienza) entro il termine d'impugnazione, sia inoltre rispettato il termine di comparizione, ovvero la sua inosservanza sia sanata dalla comparizione della controparte con l'assistenza di difensore (da considerarsi equivalente alla costituzione in giudizio), e, infine, non si deduca e dimostri una concreta lesione del diritto di difesa per effetto dell'erronea adozione del rito camerale.

Cass. civ. n. 6059/1988

Con riguardo al riconoscimento del figlio naturale che sia stato già riconosciuto da uno dei genitori, il consenso di quest'ultimo, richiesto quando il figlio non abbia ancora compiuto i sedici anni (art. 250 terzo comma cod. civ.), e non sia quindi munito della capacità di apprezzare direttamente l'opportunità dell'atto, non è ricollegabile a posizioni soggettive proprie, del genitore stesso, ma si giustifica esclusivamente per il suo potere di rappresentare il minore e, quindi, di valutarne l'interesse morale e materiale rispetto al secondo riconoscimento (potere di rappresentanza che viene poi esercitato anche nell'eventuale giudizio promosso con ricorso avverso il rifiuto del consenso, ove la qualità di parte in senso sostanziale spetta al minore). Pertanto, il decesso o la sopravvenuta incapacità di detto genitore non rende libero il secondo riconoscimento del figlio infrasedicenne, ma implica che l'indicata valutazione compete a chi assuma la rappresentanza del minore, cioè al tutore od al curatore speciale (salva restando la rilevanza di quell'evento quale elemento da considerare per vagliare il concreto interesse del minore, anche nel suddetto giudizio).

Cass. civ. n. 7535/1987

Nel procedimento previsto dall'art. 250 c.c., per conseguire una pronuncia che tenga luogo del mancato consenso del genitore, che abbia già riconosciuto il figlio minore infrasedicenne, al riconoscimento da parte dell'altro genitore, l'indagine diretta a stabilire se la presumibile opportunità per il minore stesso di un ampliamento della propria sfera familiare ed affettiva, con la presenza di entrambi i genitori, debba essere in concreto esclusa, alla stregua dei suoi interessi morali e materiali, va condotta con riferimento alla situazione in atto, e, quindi, non può essere basata solo su considerazioni attinenti a comportamenti od atteggiamenti in precedenza tenuti da genitore che intenda effettuare il secondo riconoscimento.

Cass. civ. n. 2654/1987

Nel giudizio previsto dall'art. 250, quarto comma c.c. — diretto ad ottenere, da parte di chi vuole effettuare il riconoscimento, una sentenza che tenga il luogo del consenso rifiutato dal genitore che per primo ha riconosciuto il figlio naturale minore di sedici anni — sono contraddittori necessari il genitore che si oppone ed il P.M., ma non anche il minore, il quale non assume la veste di parte e al quale, quindi, non deve essere nominato un curatore speciale per il giudizio medesimo, non essendo egli considerato, a causa della sua non ancora raggiunta maturità, portatore di una posizione soggettiva autonomamente tutelata ed essendo soltanto prevista la sua audizione per ragioni istruttorie al fine di stabilire se il riconoscimento sia conforme al suo interesse. La disparità di tale trattamento rispetto ai figli ultrasedicenni non si pone in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza trovando razionale giustificazione nella presunzione, correlata all'età, del raggiungimento da parte degli ultrasedicenni di un grado di maturità da consentire un meditato giudizio sul proprio interesse al riconoscimento.

Poiché per l'art. 250 c.c. il genitore che ha per primo riconosciuto il figlio naturale non può rifiutare il consenso al riconoscimento dell'altro genitore ove tale riconoscimento risponda all'interesse del figlio, a rendere non conveniente il riconoscimento stesso non è decisivo che íl minore si sia inserito stabilmente nella famiglia del primo, dovendo tale elemento essere valutato unitamente ad altri, con riguardo principalmente agli effetti che il riconoscimento di entrambi i genitori può produrre in termini di, educazione, istruzione e mantenimento del minore e tenuto, in ogni caso, presente che l'esigenza di evitare turbamenti o conflittualità psicologiche pregiudizievoli all'armonioso sviluppo della personalità dello stesso deve prevalere sul fatto oggettivo della generazione.

Cass. civ. n. 4887/1982

Il divieto per il minore infrasedicenne di riconoscere il figlio, ai sensi dell'art. 250 quinto comma c.c., non priva il minore stesso della condizione di genitore, con la conseguenza che, quando, divenuto sedicenne, provveda al riconoscimento del figlio stesso, acquista tutti i diritti sostanziali e processuali previsti dalla legge per il genitore fin dalla nascita del figlio.

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Consulenze legali
relative all'articolo 250 Codice Civile

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Anne M. chiede
sabato 04/10/2014 - Toscana
“Se un figlio naturale, non riconosciuto, compare a 20 anni dalla morte del padre e chiede la sua parte della eredità, c'è una prescrizione?”
Consulenza legale i 08/10/2014
Se il de cuius, cioè il defunto che abbia lasciato un'eredità, aveva un figlio nato fuori dal matrimonio, ma che non è mai stato riconosciuto, tale presunto figlio dovrà - al fine di ottenere la sua parte di eredità - esercitare l'azione di riconoscimento giudiziale di paternità per far accertare da un giudice il suo status di figlio.
Ai sensi dell'art. 269 del c.c., la paternità e la maternità possono essere giudizialmente dichiarate nei casi in cui è ammesso il riconoscimento, e la prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo (es. analisi del DNA).
L'azione per ottenere che sia dichiarata giudizialmente la paternità o la maternità è imprescrittibile riguardo al figlio (art. 270 del c.c.). Sul tema della imprescrittibilità, è stata respinta una questione di legittimità costituzionale della norma. La Corte costituzionale ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del primo comma dell'art. 270 c.c. nella parte in cui, affermando l'imprescrittibilità dell'azione per il riconoscimento di paternità o maternità naturale proposta dal figlio, non prevede un termine decadenziale nell'ipotesi in cui, deceduto il presunto genitore, l'azione sia promossa nei confronti degli eredi di quest'ultimo (sentenza n. 11934/2002). In altre parole, il figlio può chiedere di essere riconosciuto come tale senza alcun limite di tempo, anche dopo la morte del presunto padre.

Il figlio, una volta acquisito legalmente tale status, è un legittimario nei confronti del padre (art. 536 del c.c.).
Se il genitore lascia un figlio solo, a questi è riservata la metà del patrimonio. Se i figli sono più, è loro riservata la quota dei due terzi, da dividersi in parti uguali tra tutti i figli. Se tra gli eredi c'è anche il coniuge del defunto: se c'è un solo figlio, a quest'ultimo è riservato un terzo del patrimonio ed un altro terzo spetta al coniuge; se i figli sono più di uno, ad essi è complessivamente riservata la metà del patrimonio e al coniuge spetta un quarto del patrimonio del defunto (la divisione tra tutti i figli verrà effettuata in parti uguali).

E' tuttavia prescrittibile l'azione di riduzione avverso le liberalità lesive della porzione legittima (art. 553 del c.c.), cioè quel rimedio concreto che ha il legittimario per ottenere la sua porzione ereditaria, materialmente.
In assenza di una espressa previsione legislativa, si reputa applicabile all'azione di riduzione il termine ordinario decennale. Il dies a quo di decorrenza del termine ha costituito un problema annoso, che la giurisprudenza ha affrontato in molteplici occasioni e con diversi esiti, sino alla pronuncia a Sezioni Unite della Corte di cassazione, la quale ha stabilito che la lesione alla quota legittima si produce soltanto quando si verifica l'acquisto ereditario in conseguenza di un atto di accettazione espressa ovvero tacita, se la lesione deriva da una disposizione testamentaria (artt. 475 e ss. c.c.), e quindi è soltanto a far tempo dalla data dell'accettazione dell'eredità che decorrerà il termine prescrizionale decennale onde promuovere l'azione di riduzione (Cass. Civ. S.U., 20644/04).
Nel caso in cui la lesione della quota di riserva sia conseguita ad una donazione, il termine decorre invece dalla data di apertura della successione.
Va però ulteriormente precisato che, ai fini del decorso della prescrizione rileva la possibilità legale di esercizio del diritto e non invece quella di fatto, perciò è generalmente ritenuto irrilevante l'eventuale impedimento di mero fatto.
La giurisprudenza e la dottrina hanno da sempre sostenuto che, nell'ipotesi in cui vi sia accertamento dello status di figlio naturale (sentenza di dichiarazione di paternità naturale) e quindi la qualità di legittimario sia attribuita successivamente alla morte del de cuius, il termine di prescrizione dovrebbe decorrere dal passaggio in giudicato di tale sentenza. Ciò, in quanto, fino a tale accertamento della filiazione, i figli si trovano nella impossibilità giuridica, e non di mero fatto, di accettare l'eredità.
Oggi, tale orientamento è stato recepito nell'art. 480 del c.c. (modificato con D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154), che prevede espressamente, in caso di accertamento giudiziale della filiazione, che il termine per l'accettazione dell'eredità decorra dal passaggio in giudicato della sentenza che accerta la filiazione stessa.
Pertanto, si deve ritenere che il presunto figlio, una volta chiesta e ottenuta la sentenza che ne accerti lo status di legittimario del de cuius, sia ancora in tempo per reclamare la sua quota di eredità.

Paolo M. chiede
mercoledì 28/11/2012 - Lombardia
“Mia moglie da cui ho divorziato, ha perduto la patria potestà. Sono il padre naturale e ho ottenuto dal Giudice l'affidamento esclusivo. Mia figlia è nata 25.12.2003. La madre può vedere la figlia in forma protetta 2 volte al mese per due ore alla volta. Se la bimba non volesse più vedere la mamma (l'incontro le procura disagio) potrebbe essere ascoltata dal giudice?”
Consulenza legale i 28/11/2012

L'art. 248 del c.p.c. disciplinava l'audizione dei minori degli anni quattordici, disponendo che gli stessi possano essere sentiti solo nel caso in cui la loro audizione sia resa necessaria da particolari circostanze, precisando che i minori non debbano prestare giuramento. Tuttavia, con sentenza n. 139 dell'11 giugno 1975 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità della predetta norma.

La recente legge 54/2006 ha introdotto nel codice l'art. 155 sexies del c.c., il quale disciplina le ipotesi in cui il giudice dispone l'audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni e anche di età inferiore ove capace di discernimento.

Pertanto, sarà il giudice a dover valutare nella fattispecie specifica l'opportunità di sentire la minore, avuto riguardo prima d'ogni cosa al suo interesse.