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DISCIPLINA GIURIDICA DELL'ISTITUTO DELLA PROPRIETÀ
L'art. 832 del c.c. definisce il diritto di proprietà, diritto reale per eccellenza, come il "diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico". Tale disposizione è intimamente collegata con quella di cui all'art. 42 Cost., secondo comma, in virtù della quale "la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti".
Tali disposizioni sono il frutto di un compromesso storico tra le parti politiche che hanno cercato, da un lato, di promuovere l'importanza e la centralità della proprietà privata senza, d'altra parte, dimenticare i vincoli posti dalla funzione anche sociale della stessa, a tutela quindi della collettività generalizzata.
Il Codice Civile, che alla proprietà (e al possesso) dedica l'intero Libro III, riserva numerose disposizioni alla regolamentazione della proprietà fondiaria e rurale, considerata, nei primi decenni del '900, come la maggiore e fondamentale fonte di ricchezza per ogni cittadino. Per questo motivo, il Libro III contiene molte norme, oggi divenute piuttosto obsolete, riguardanti nello specifico la gestione della proprietà terriera.
Oggi, infatti, la ricchezza si è spostata dalla proprietà dei fondi e dei terreni agricoli a quella, "dematerializzata", delle azioni societarie e degli investimenti finanziari.
La nozione di proprietà contenuta nel Codice Civile sembra avere un contenuto quasi "incondizionato". Locuzioni quali "in modo pieno ed esclusivo", infatti, denotano la forte tutela accordata dall'ordinamento giuridico al diritto assoluto della proprietà, garantito erga omnes.
Tuttavia, come accennato, il diritto di proprietà deve comunque "fare i conti" con i vincoli imposti alla proprietà da interessi pubblici e sociali (si pensi all'espropriazione, istituto di carattere ablatorio che consente alla Pubblica Amministrazione di privare il cittadino della sua proprietà, a fronte della corresponsione di un equo indennizzo, se ciò corrisponde alle finalità perseguite dai piani regolatori generali e alle necessità urbanistiche in generale), ma anche dai rapporti tra privati cittadini. Si fa riferimento, in tale ultimo caso, ai rapporti di vicinato, che vanno gestiti e regolamentati in modo che ciascuno possa godere della proprietà in modo pieno, senza tuttavia ledere l'uguale diritto del vicino.
In tal senso, rilevanza fondamentale acquista l'articolo immediatamente successivo a quello che definisce la proprietà, ovvero l'art. 833 del c.c.. Tale disposizione, rubricata "atti d'emulazione", vieta il compimento di qualsiasi azione che vada a ledere, senza concreti scopi di utilità, la proprietà altrui. Se l'iniziativa posta in essere da un proprietario non ha altro scopo "che quello di nuocere o recare molestia ad altri", tale atto verrà considerato emulativo e, in quanto tale, censurabile. Si pensi al classico caso di scuola del vicino di casa che innalzi un muro senza alcuna funzionalità, con l'unico scopo di togliere luce al fondo del vicino.
Allo stesso modo, l'art. 844 c.c. regola il fenomeno delle immissioni. L'ordinamento giuridico prevede la possibilità che, tra un fondo e l'altro, ci possano essere delle "intrusioni" causate da immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni, a patto che gli stessi non superino la "normale tollerabilità". Tale nozione, come è intuibile, si è prestata ad una vasta interpretazione giurisprudenziale, essendo espressione piuttosto indefinita. I giudici, nel tempo, hanno elaborato una serie di indici e criteri utili ad una definizione più precisa del concetto di "normale tollerabilità", con riguardo anche alle specifiche circostanze del caso concreto e alla situazione dei luoghi. Infatti, il secondo comma dell'art. 844 c.c. prevede che "nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tenere conto della priorità di un determinato uso".
La disciplina delle immissioni, nata con il Codice Civile, deve oggi essere integrata con la normativa in materia ambientale, con particolare attenzione alla salubrità dell'ambiente e alla salute dei cittadini, soprattutto per coloro che hanno la loro abitazione nei pressi di insediamenti industriali e commerciali. In tal senso, la giurisprudenza ha affermato che una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 844 c.c. conduce a ritenere che è legittima la decisione del giudice il quale vieti il proseguimento di attività produttive nocive della salute dei vicini proprietari, che rappresenta un bene superiore a quello della produzione, sebbene quest'ultima sia iniziata anteriormente, senza tuttavia che siano state predisposte in seguito delle idonee misure di tutela della salute dei cittadini.
Gli articoli dal 922 c.c. in poi disciplinano i "modi di acquisto della proprietà", ovvero le modalità con cui un soggetto può acquisire la titolarità di un determinato fondo o porzione dello stesso. Tra questi, ricordiamo:
l'occupazione (art. 923 c.c.), che consiste nella materiale apprensione della cosa, da cui segue l'acquisto del diritto di proprietà sulla stessa, a titolo originario;
l'accessione (art. 934 c.c.), espressa dall'antico brocardo omne quod inaedificatur solo cedit. Si tratta di un modo di acquisto della proprietà a titolo originario che si verifica nel momento in cui qualcosa venga costruito al di sopra di un certo fondo, il proprietario del quale ne acquista la proprietà;
A tutela del diritto di proprietà, l'ordinamento giuridico predispone una serie di azioni, definite tradizionalmente "azioni petitorie", grazie alle quali il proprietario può tutelarsi nei confronti dei terzi che pretendano di vantare diritti incompatibili con il suo. Tra le azioni a difesa della proprietà ricordiamo:
l'azione di rivendicazione (art. 948 c.c.), attraverso la quale il proprietario è legittimato a rivendicare la cosa "da chiunque la possiede o detiene". L'onere della prova previsto per il valido esperimento di tale azione è particolarmente complesso; la dottrina definisce tale prova probatio diabolica, poiché il proprietario è tenuto a provare la titolarità del diritto dimostrando l'avvenuto acquisto a titolo originario, provando quindi la precedente proprietà di tutti i danti causa;
l'azione negatoria (art 949 c.c.), che mira a tutelare il proprietario dagli eventuali diritti incompatibili, che possano recargli pregiudizio, vantati da terzi sulla cosa;
le azioni di regolamento di confini e per apposizione di termini (artt. 950 e 951 c.c.) attraverso le quali è possibile individuare l'esatto tracciato dei confini tra due fondi o, qualora dei confini esistano ma non siano certi, apporre una segnaletica univoca.
DISCIPLINA GIURIDICA DELL'ISTITUTO DEL POSSESSO
L'art. 1140 del c.c., poi, disciplina l'istituto del possesso. Differentemente rispetto alla proprietà, il possesso è solamente una situazione di fatto, che non dimostra, in quanto tale, la titolarità della proprietà sulla cosa da parte del possessore, nonostante le due situazioni soggettive, di possesso e proprietà, vengano, nella maggior parte dei casi, a coincidere. Infatti, la disposizione di cui all'art. 1140 c.c. così recita: "il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale". Tradizionalmente, la dottrina attribuisce al possesso due requisiti fondamentali:
l'apprensione materiale sulla cosa, corrispondente al potere di fatto sulla stessa (corpus possessionis);
l'intenzione di comportarsi come titolare di un diritto reale (animus possidendi).
Diversa dal possesso è la detenzione, che consiste in quella situazione di fatto in virtù della quale un soggetto ha l'apprensione materiale di una determinata cosa, senza tuttavia avere l'animus possidendi, essendo quindi consapevole dell'altrui titolarità di un diritto reale sulla cosa. Esempio emblematico in tal senso è quello dato dalla situazione del conduttore, il quale detiene l'appartamento in cui vive grazie ad un valido contratto di locazione, senza tuttavia voler esercitare sullo stesso un diritto reale proprio (animus detinendi).
Molteplici sono gli effetti che derivano dal possesso di una determinata cosa, tra i quali è possibile ricordare:
l'acquisto dei frutti da parte del possessore di buona fede (art. 1148 c.c.);
la possibilità di acquistare la proprietà di una cosa mobile, ricevuta a non domino, in presenza di buona fede e di titolo idoneo al trasferimento della proprietà, secondo il meccanismo del "possesso vale titolo" disciplinato dall'art. 1153 c.c.;
l'usucapione dei beni, grazie al possesso continuo, pacifico e ininterrotto per un determinato periodo di tempo. L'usucapione costituisce un modo di acquisto della proprietà a titolo originario.
Anche per il possesso, l'ordinamento giuridico predispone delle azioni a tutela della situazione di fatto:
l'azione di reintegrazione (o di spoglio, art. 1168 c.c.), grazie alla quale colui che è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può domandarne al giudice la reintegrazione;
l'azione di manutenzione (art. 1170 c.c.), attraverso la quale il possessore di beni immobili o universalità di mobili può agire contro le molestie o turbative perpetrate da terzi.
Infine, agli articoli 1171 c.c. e 1172 c.c. vengono disciplinate le cosiddette "azioni di nunciazione" (esperibili tanto dal possessore quanto dal proprietario), ovvero le azioni di denunzia di nuova opera e di danno temuto, attraverso l'esperimento delle quali si mira ad ottenere in prima battuta un provvedimento cautelare che possa proteggere dalle attività pregiudizievoli altrui. Mentre la denuncia di nuova opera è volta a contrastare il pregiudizio che potrebbe derivare da una nuova opera o da una cosa altrui, con la denuncia di danno temuto si mira ad ovviare ad un danno che potrebbe essere provocato dalla particolare conformazione o posizione della cosa. Dopo la fase cautelare, si passa alla fase di merito, destinata ad accertare in maniera definitiva l'effettività della situazione soggettiva azionata.
Lo staff di Brocardi.it ha maturato una vasta esperienza in questo settore giuridico, attraverso i numerosi pareri in materia di proprietà e possesso forniti in questi anni e, proprio per questo, è in grado di elaborare consulenze specifiche, fornendo, se necessario, delle indicazioni precise su come redigere richieste formali e lettere di intimazione, facilitando così la comunicazione e prevenendo l'insorgenza di liti.
Qui di seguito vengono esposti succintamente alcuni casi particolarmente emblematici o di frequente accadimento, utili in molti casi per trovare già alcune risposte preliminari ai propri problemi.
Parere giuridico degli avvocati di Brocardi.it in materia di immissioni: a che cosa si fa riferimento con il concetto di "normale tollerabilità"?
Caso esemplificativo: all'interno di uno stabile condominiale vengono svolte attività di ballo che disturbano la tranquillità dei condomini. È possibile appellarsi ad una misurazione in decibel del rumore provocato da tali attività, al fine di ricondurle, o meno, entro la soglia della normale tollerabilità?
La disposizione di cui all'art. 844 c.c. fa riferimento al concetto di "normale tollerabilità" per stabilire una soglia entro la quale anche delle immissioni, che possano in qualche modo disturbare il fondo del vicino, debbano comunque essere considerate accettabili e lecite. Tuttavia, come spesso accade, il legislatore ha adottato una espressione ampia e polisenso, senza specificare in modo esaustivo che cosa si debba precisamente intendere per "normale tollerabilità". Il Codice Civile si limita ad ancorare tale criterio ad alcuni presupposti. Infatti, nel valutare il parametro della normale tollerabilità, si deve:
prendere in considerazione la condizione dei luoghi;
effettuare un contemperamento tra esigenze della produzione e ragioni della proprietà.
Dopodiché, solamente il giudice, al cospetto delle specifiche circostanze del caso di specie, potrà valutare se sia stato o meno superato il limite della normale tollerabilità, alla luce della particolarità della situazione.
Sulla natura imprecisata del concetto di “normale tollerabilità” si è pronunciata la Corte di Cassazione, con sentenza n. 17051 del 2011, nella quale in particolare si legge che “…il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante, sulla quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (c.d. criterio comparativo)…”.
In situazioni incerte di questo genere, dove si rende necessario il parere di esperti del diritto, che sappiano interpretare la legge in modo corretto e competente, diventa fondamentale l'assistenza di un team legale specializzato, come quello di Brocardi.it, che permetta all'utente di comprendere in modo preciso i suoi diritti e doveri.
Chiarimenti legali con riguardo all'istituto dell'usucapione: è possibile usucapire un posto auto condominiale?
L’usucapione prevista dagli artt. 1158 e ss. del c.c. è un modo di acquisto della proprietà o di altro diritto reale su cosa altruia titolo originario, dal quale discende la titolarità del diritto a fronte del suo possesso continuato per un determinato arco di tempo predeterminato dalla legge. L’usucapione viene definita un modo di acquisto della proprietà a titolo originario, in quanto il diritto acquisito discende, appunto, dal decorso del tempo e non dalle ragioni di un precedente dante causa.
Affinché possa concretizzarsi l’acquisto per usucapione di un determinato diritto è necessario che siano presenti due elementi:
Il possesso pacifico ed ininterrotto del bene o di altro diritto reale, acquisito in maniera non violenta o clandestina;
Il decorso di un determinato periodo di tempo.
La giurisprudenza, (Cass. Civ., sez.II, n. 20039 del 06.10.2016), ammette che una determinata parte condominiale possa essere usucapita da un singolo proprietario. Affinché, però, si possa considerare usucapita una parte comune, non è sufficiente che gli altri comproprietari si siano semplicemente astenuti dall’utilizzo di quella determinata parte comune. Il proprietario che ritiene di aver usucapito, deve infatti allegare e provare in giudizio di aver posseduto per almeno un ventennio in maniera tale da rendere assolutamente impossibile il godimento del bene condominiale da parte degli altri condomini, e la sua volontà di possedere come proprietario esclusivo e non come comproprietario.
Non è quindi sufficiente dimostrare in giudizio di aver posteggiato pacificamente la macchina in una certa zona per diversi anni, ma si dovrà dimostrare di aver considerato quel determinato posto auto per anni come una pertinenza esclusiva della unità abitativa, escludendo in radice la possibilità che altri condomini ne facciano parimenti uso ai sensi dell’art. 1102 c.c., ad esempio costruendovi intorno una recinzione in cui solo quel determinato proprietario poteva accedere.
Assistenza legale degli avvocati specializzati di Brocardi.it in merito agli atti emulativi
L'art. 833 c.c. afferma che "il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri".
In altre parole, tale norma persegue la finalità di impedire che l'esercizio pieno ed esclusivo del diritto di proprietà (assicurato in via di principio dal precedente art. 832 c.c.) si traduca in un pregiudizio nei confronti del vicino, a fronte di atti che sono privi di una concreta utilità per chi li pone in essere. Viceversa, se l'azione posta in essere riveste una certa utilità per il proprietario, essa non potrà essere considerata alla stregua di atto emulativo, in quanto tale censurabile.
Tale norma si colloca sulla scia del più generale divieto di abuso del diritto il quale, pur non espressamente disciplinato dal Codice Civile, si ritiene esistente all'interno dell'ordinamento giuridico, sulla base di una interpretazione estensiva del più generale dovere di buona fede nelle relazioni tra privati.
Affinché un atto possa considerarsi emulativo, è necessario che sussista sia l'elemento oggettivo, dato dall'assenza di una utilità concreta per il proprietario, sia un elemento soggettivo, consistente nell'intento specifico di nuocere o comunque di creare molestia ad altri. Si è al di fuori di tale ipotesi, quindi, quando ricorra una utilità anche solamente "apprezzabile" per il proprietario.
La giurisprudenza ha conosciuto negli anni un'ampia casistica in materia di atti emulativi. Con riferimento a vari casi concreti sottoposti all'attenzione dei giudici si possono ricordare, a titolo esemplificativo, alcune significative pronunce dei tribunali e della Corte di Cassazione che si elencano qui di seguito:
"Per aversi atto emulativo vietato ai sensi dell'art. 833 c.c. è necessario che l'atto di esercizio del diritto sia privo di utilità per chi lo compie e sia posto in essere al solo scopo di nuocere o di recare molestia ad altri, sicchè è riconducibile a tale categoria di atti l'azione del proprietario che installi sul muro di recinzione del fabbricato comune un contenitore avente aspetto di telecamera nascosta fra il fogliame degli alberi posto in direzione del balcone del vicino” (Cass. civ., Sez. II, 11/04/2001, n.5421)
“Lo stendere il bucato ed i tappeti in modo da oscurare la finestra dell'appartamento sottostante costituisce atto emulativo, vietato ai sensi dell'art. 833 c.c., quando è possibile utilizzare altre posizioni o, comunque, stendere in modo da evitare l'oscuramento delle aperture sottostanti” (Trib. Genova, Sez. III, 03/01/2006).
“Poiché per configurarsi l'atto emulativo previsto dall'art. 833 c.c. è necessario che l'atto di esercizio del diritto sia privo di utilità per chi lo compie ed abbia lo scopo di nuocere o recare molestia ad altri, non è riconducibile a tale categoria la delibera del condominio che, nel disporre il ripristino della recinzione della terrazza a livello attraverso l'installazione di una rete divisoria fra la parte di proprietà esclusiva del condomino e quella di proprietà comune, abbia la finalità di impedirne l'usucapione e di delimitare il confine, garantendo a tutti i condomini l'accesso alla parte comune” (Cass. civ., Sez. II, 27/06/2005, n.13732).
Attraverso il servizio di consulenza legale di Brocardi.it, sarà possibile conoscere quali sono le migliori modalità per difendersi di fronte a comportamenti altrui che pregiudicano il pieno e libero godimento della proprietà. Una semplice lettera di intimazione, se ben redatta, può già ottenere il risultato sperato, senza dover ricorre a costose pratiche legali che finiranno inevitabilmente nelle aule giudiziarie.
Parere degli avvocati di Brocardi.it in materia di acquisto della proprietà grazie al meccanismo, disciplinato dall'art. 1153 c.c., del "possesso vale titolo"
La disposizione di cui all'art. 1153 c.c. disciplina una modalità di acquisto della proprietà che richiede solamente la compresenza di tre elementi:
il possesso in buona fede (ovvero senza essere a conoscenza dell'altruità della cosa) in capo al ricevente;
la provenienza della cosa da colui che non è proprietario;
la presenza di un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà.
Tale disposizione, indubbiamente vantaggiosa per l'acquirente, il quale diventa proprietario della cosa a titolo originario, risponde ad una esigenza di tutela della circolazione dei beni mobili, che verrebbe altrimenti paralizzata dai continui controlli sulla effettiva titolarità dei beni, che dovrebbero essere effettuati di volta in volta dai soggetti acquirenti.
Tuttavia, il successivo articolo 1156 c.c. opera alcune precisazioni, escludendo dal campo di applicazione del meccanismo del "possesso vale titolo" le universalità di mobili e i beni mobili iscritti in pubblici registri. In tal caso, infatti, la registrazione dei beni permette una maggiore possibilità di individuazione riguardo all'effettiva titolarità degli stessi.
Anche la giurisprudenza si è espressa in merito all'ambito di applicazione del meccanismo del "possesso vale titolo", escludendo l'applicazione della norma per i beni di interesse storico e artistico. Infatti, la Corte di Cassazione ha affermato sul punto che "la disposizione dell'art. 1153 c.c. non opera con riguardo a cose di interesse artistico e storico appartenenti ad enti o istituti legalmente riconosciuti diversi dallo Stato o da altri enti o istituti pubblici e soggette, a norma del combinato disposto degli articoli 26 e 28, L. 1-6-39, n. 1089, al regime dell'inalienabilità, senza previa autorizzazione del Ministero della pubblica istruzione, e della prelazione statale nell'acquisto di esse, in quanto si tratta di beni per i quali è espressamente vietata (art. 32) all'alienante la traditio in pendenza del termine per i detti adempimenti, mentre la consegna della cosa, per potere produrre gli effetti di cui al citato art. 1153, deve essere non vietata dalla legge per motivi d'interesse generale".
Risposta a quesiti legali in materia di azioni possessorie: quando esercitare l'azione di reintegrazione (o spoglio) e quando quella di manutenzione?
Le azioni possessorie sono disciplinate dagli articoli 1168 e 1170 c.c. In particolare:
con l'azione di reintegrazione (o spoglio), il possessore si difende da una condotta, configurabile come "spoglio", perpetrata da terzi. Tale comportamento deve produrre una privazione totale, o parziale, del possesso attraverso modalità violente o clandestine, che compromettano in maniera apprezzabile l'esercizio del possesso;
con l'azione di manutenzione, il possessore mira a contrastare le molestie o le turbative perpetrate da terzi nei confronti del suo possesso. Le molestie o turbative consistono in comportamenti di varia natura volti a alterare o comunque a recare pregiudizio al possesso altrui, modificandone sostanzialmente le modalità di esercizio.
È opportuno operare una distinzione tra il concetto di spoglio e quello di molestia.
Infatti, mentre lo spoglio incide in maniera diretta sulla cosa oggetto di possesso, poiché consiste in una vera e propria sottrazione della cosa al possessore, la molestia si concretizza più semplicemente nel turbamento dell'attività di godimento della cosa da parte del possessore, che sarà resa, per questo, disagevole.
Anche la giurisprudenza si è pronunciata in merito a tale distinzione, con una recente sentenza della Cassazione Civile (la n. 19586 del 30 settembre 2016) con la quale si è posta l'attenzione su un caso in cui veniva posta, lungo una strada, una catena manualmente amovibile, sorretta da paletti in ferro, non incidente sulla possibilità di passaggio pedonale e veicolare, ma esclusivamente sulla modalità di fruizione, divenuta più scomoda. In tale occasione, i giudici di legittimità hanno convertito l'azione di reintegrazione proposta dal ricorrente in azione di manutenzione ex art. 1170 c.c., sostenendo che mentre lo spoglio "incide direttamente sulla cosa che ne costituisce l'oggetto, sottraendola in tutto o in parte alla disponibilità del possessore", la molestia "si rivolge contro l'attività di godimento del possessore, disturbandone il pacifico esercizio, ovvero rendendolo disagevole e scomodo".
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DISCIPLINA GIURIDICA DELL'ISTITUTO DELLA PROPRIETÀ
L'art. 832 del c.c. definisce il diritto di proprietà, diritto reale per eccellenza, come il "diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico". Tale disposizione è intimamente collegata con quella di cui all'art. 42 Cost., secondo comma, in virtù della quale "la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti".
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Il Codice Civile, che alla proprietà (e al possesso) dedica l'intero Libro III, riserva numerose disposizioni alla regolamentazione della proprietà fondiaria e rurale, considerata, nei primi decenni del '900, come la maggiore e fondamentale fonte di ricchezza per ogni cittadino. Per questo motivo, il Libro III contiene molte norme, oggi divenute piuttosto obsolete, riguardanti nello specifico la gestione della proprietà terriera.
Oggi, infatti, la ricchezza si è spostata dalla proprietà dei fondi e dei terreni agricoli a quella, "dematerializzata", delle azioni societarie e degli investimenti finanziari.
La nozione di proprietà contenuta nel Codice Civile sembra avere un contenuto quasi "incondizionato". Locuzioni quali "in modo pieno ed esclusivo", infatti, denotano la forte tutela accordata dall'ordinamento giuridico al diritto assoluto della proprietà, garantito erga omnes.
Tuttavia, come accennato, il diritto di proprietà deve comunque "fare i conti" con i vincoli imposti alla proprietà da interessi pubblici e sociali (si pensi all'espropriazione, istituto di carattere ablatorio che consente alla Pubblica Amministrazione di privare il cittadino della sua proprietà, a fronte della corresponsione di un equo indennizzo, se ciò corrisponde alle finalità perseguite dai piani regolatori generali e alle necessità urbanistiche in generale), ma anche dai rapporti tra privati cittadini. Si fa riferimento, in tale ultimo caso, ai rapporti di vicinato, che vanno gestiti e regolamentati in modo che ciascuno possa godere della proprietà in modo pieno, senza tuttavia ledere l'uguale diritto del vicino.
In tal senso, rilevanza fondamentale acquista l'articolo immediatamente successivo a quello che definisce la proprietà, ovvero l'art. 833 del c.c.. Tale disposizione, rubricata "atti d'emulazione", vieta il compimento di qualsiasi azione che vada a ledere, senza concreti scopi di utilità, la proprietà altrui. Se l'iniziativa posta in essere da un proprietario non ha altro scopo "che quello di nuocere o recare molestia ad altri", tale atto verrà considerato emulativo e, in quanto tale, censurabile. Si pensi al classico caso di scuola del vicino di casa che innalzi un muro senza alcuna funzionalità, con l'unico scopo di togliere luce al fondo del vicino.
Allo stesso modo, l'art. 844 c.c. regola il fenomeno delle immissioni. L'ordinamento giuridico prevede la possibilità che, tra un fondo e l'altro, ci possano essere delle "intrusioni" causate da immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni, a patto che gli stessi non superino la "normale tollerabilità". Tale nozione, come è intuibile, si è prestata ad una vasta interpretazione giurisprudenziale, essendo espressione piuttosto indefinita. I giudici, nel tempo, hanno elaborato una serie di indici e criteri utili ad una definizione più precisa del concetto di "normale tollerabilità", con riguardo anche alle specifiche circostanze del caso concreto e alla situazione dei luoghi. Infatti, il secondo comma dell'art. 844 c.c. prevede che "nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tenere conto della priorità di un determinato uso".
La disciplina delle immissioni, nata con il Codice Civile, deve oggi essere integrata con la normativa in materia ambientale, con particolare attenzione alla salubrità dell'ambiente e alla salute dei cittadini, soprattutto per coloro che hanno la loro abitazione nei pressi di insediamenti industriali e commerciali. In tal senso, la giurisprudenza ha affermato che una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 844 c.c. conduce a ritenere che è legittima la decisione del giudice il quale vieti il proseguimento di attività produttive nocive della salute dei vicini proprietari, che rappresenta un bene superiore a quello della produzione, sebbene quest'ultima sia iniziata anteriormente, senza tuttavia che siano state predisposte in seguito delle idonee misure di tutela della salute dei cittadini.
Gli articoli dal 922 c.c. in poi disciplinano i "modi di acquisto della proprietà", ovvero le modalità con cui un soggetto può acquisire la titolarità di un determinato fondo o porzione dello stesso. Tra questi, ricordiamo:
DISCIPLINA GIURIDICA DELL'ISTITUTO DEL POSSESSO
L'art. 1140 del c.c., poi, disciplina l'istituto del possesso. Differentemente rispetto alla proprietà, il possesso è solamente una situazione di fatto, che non dimostra, in quanto tale, la titolarità della proprietà sulla cosa da parte del possessore, nonostante le due situazioni soggettive, di possesso e proprietà, vengano, nella maggior parte dei casi, a coincidere. Infatti, la disposizione di cui all'art. 1140 c.c. così recita: "il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale". Tradizionalmente, la dottrina attribuisce al possesso due requisiti fondamentali:
Molteplici sono gli effetti che derivano dal possesso di una determinata cosa, tra i quali è possibile ricordare:
Lo staff di Brocardi.it ha maturato una vasta esperienza in questo settore giuridico, attraverso i numerosi pareri in materia di proprietà e possesso forniti in questi anni e, proprio per questo, è in grado di elaborare consulenze specifiche, fornendo, se necessario, delle indicazioni precise su come redigere richieste formali e lettere di intimazione, facilitando così la comunicazione e prevenendo l'insorgenza di liti.
CONSULENZE LEGALI IN MATERIA DI PROPRIETÀ E POSSESSO
Qui di seguito vengono esposti succintamente alcuni casi particolarmente emblematici o di frequente accadimento, utili in molti casi per trovare già alcune risposte preliminari ai propri problemi.
Caso esemplificativo: all'interno di uno stabile condominiale vengono svolte attività di ballo che disturbano la tranquillità dei condomini. È possibile appellarsi ad una misurazione in decibel del rumore provocato da tali attività, al fine di ricondurle, o meno, entro la soglia della normale tollerabilità?
La disposizione di cui all'art. 844 c.c. fa riferimento al concetto di "normale tollerabilità" per stabilire una soglia entro la quale anche delle immissioni, che possano in qualche modo disturbare il fondo del vicino, debbano comunque essere considerate accettabili e lecite. Tuttavia, come spesso accade, il legislatore ha adottato una espressione ampia e polisenso, senza specificare in modo esaustivo che cosa si debba precisamente intendere per "normale tollerabilità". Il Codice Civile si limita ad ancorare tale criterio ad alcuni presupposti. Infatti, nel valutare il parametro della normale tollerabilità, si deve:
Sulla natura imprecisata del concetto di “normale tollerabilità” si è pronunciata la Corte di Cassazione, con sentenza n. 17051 del 2011, nella quale in particolare si legge che “…il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante, sulla quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (c.d. criterio comparativo)…”.
L'art. 833 c.c. afferma che "il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri".
In altre parole, tale norma persegue la finalità di impedire che l'esercizio pieno ed esclusivo del diritto di proprietà (assicurato in via di principio dal precedente art. 832 c.c.) si traduca in un pregiudizio nei confronti del vicino, a fronte di atti che sono privi di una concreta utilità per chi li pone in essere. Viceversa, se l'azione posta in essere riveste una certa utilità per il proprietario, essa non potrà essere considerata alla stregua di atto emulativo, in quanto tale censurabile.
Tale norma si colloca sulla scia del più generale divieto di abuso del diritto il quale, pur non espressamente disciplinato dal Codice Civile, si ritiene esistente all'interno dell'ordinamento giuridico, sulla base di una interpretazione estensiva del più generale dovere di buona fede nelle relazioni tra privati.
Affinché un atto possa considerarsi emulativo, è necessario che sussista sia l'elemento oggettivo, dato dall'assenza di una utilità concreta per il proprietario, sia un elemento soggettivo, consistente nell'intento specifico di nuocere o comunque di creare molestia ad altri. Si è al di fuori di tale ipotesi, quindi, quando ricorra una utilità anche solamente "apprezzabile" per il proprietario.
La giurisprudenza ha conosciuto negli anni un'ampia casistica in materia di atti emulativi. Con riferimento a vari casi concreti sottoposti all'attenzione dei giudici si possono ricordare, a titolo esemplificativo, alcune significative pronunce dei tribunali e della Corte di Cassazione che si elencano qui di seguito:
La disposizione di cui all'art. 1153 c.c. disciplina una modalità di acquisto della proprietà che richiede solamente la compresenza di tre elementi:
Tuttavia, il successivo articolo 1156 c.c. opera alcune precisazioni, escludendo dal campo di applicazione del meccanismo del "possesso vale titolo" le universalità di mobili e i beni mobili iscritti in pubblici registri. In tal caso, infatti, la registrazione dei beni permette una maggiore possibilità di individuazione riguardo all'effettiva titolarità degli stessi.
Anche la giurisprudenza si è espressa in merito all'ambito di applicazione del meccanismo del "possesso vale titolo", escludendo l'applicazione della norma per i beni di interesse storico e artistico. Infatti, la Corte di Cassazione ha affermato sul punto che "la disposizione dell'art. 1153 c.c. non opera con riguardo a cose di interesse artistico e storico appartenenti ad enti o istituti legalmente riconosciuti diversi dallo Stato o da altri enti o istituti pubblici e soggette, a norma del combinato disposto degli articoli 26 e 28, L. 1-6-39, n. 1089, al regime dell'inalienabilità, senza previa autorizzazione del Ministero della pubblica istruzione, e della prelazione statale nell'acquisto di esse, in quanto si tratta di beni per i quali è espressamente vietata (art. 32) all'alienante la traditio in pendenza del termine per i detti adempimenti, mentre la consegna della cosa, per potere produrre gli effetti di cui al citato art. 1153, deve essere non vietata dalla legge per motivi d'interesse generale".
Risposta a quesiti legali in materia di azioni possessorie: quando esercitare l'azione di reintegrazione (o spoglio) e quando quella di manutenzione?
Le azioni possessorie sono disciplinate dagli articoli 1168 e 1170 c.c. In particolare:
Infatti, mentre lo spoglio incide in maniera diretta sulla cosa oggetto di possesso, poiché consiste in una vera e propria sottrazione della cosa al possessore, la molestia si concretizza più semplicemente nel turbamento dell'attività di godimento della cosa da parte del possessore, che sarà resa, per questo, disagevole.
Anche la giurisprudenza si è pronunciata in merito a tale distinzione, con una recente sentenza della Cassazione Civile (la n. 19586 del 30 settembre 2016) con la quale si è posta l'attenzione su un caso in cui veniva posta, lungo una strada, una catena manualmente amovibile, sorretta da paletti in ferro, non incidente sulla possibilità di passaggio pedonale e veicolare, ma esclusivamente sulla modalità di fruizione, divenuta più scomoda. In tale occasione, i giudici di legittimità hanno convertito l'azione di reintegrazione proposta dal ricorrente in azione di manutenzione ex art. 1170 c.c., sostenendo che mentre lo spoglio "incide direttamente sulla cosa che ne costituisce l'oggetto, sottraendola in tutto o in parte alla disponibilità del possessore", la molestia "si rivolge contro l'attività di godimento del possessore, disturbandone il pacifico esercizio, ovvero rendendolo disagevole e scomodo".
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