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INTRODUZIONE
Il diritto processuale penale costituisce l’insieme delle regole che disciplinano il procedimento penale, con ciò intendendosi tutte le fasi che caratterizzano la macchina processuale penale: le indagini preliminari, l’udienza preliminare e il dibattimento. Una delle caratteristiche della normativa processualpenalistica – e forse il punto di maggior debolezza della stessa – è che non possiede quei caratteri di specificità e analiticità, tipici della normativa che regola il processo civile. Sovente, infatti, si avverte che le norme del codice di procedura penale sono caratterizzate da una genericità problematica, che lascia aperti numerosissimi dubbi in ordine alle modalità e ai casi di applicazione di una determinata norma.
Non a caso, la giurisprudenza si è spesso occupata di temi estremamente spinosi la cui risoluzione ha richiesto un grossissimo sforzo interpretativo ed ermeneutico da parte dei giudici della Corte di Cassazione.
Cominciando, ad esempio, dalle questioni sulla competenza, i precedenti che si sono registrati sull’applicazione della connessione ex art. 12 e 16 c.p.p. sono stati molteplici e, solo di recente, le Sezioni Unite hanno risolto il dubbio sui casi in cui vi può essere l’applicazione del nesso teleologico tra la condotta di più soggetti al fine di radicare la competenza nel luogo di consumazione del reato più grave.
Tantissimi sono poi i casi in cui si discute della natura delle nullità degli atti. Il nostro codice di procedura penale, invero, lungi dallo stabilire quando un atto è affetto da nullità generale, relativa e assoluta, si limita a fornire solo dei criteri cui l’interprete deve attenersi per valutare la legittimità di un determinato atto. In questi casi, dunque, non è semplice stabilire quando, ad esempio, una notifica è nulla e determina la regressione del procedimento penale o è assolutamente regolare.
Il tema dei mezzi di ricerca della prova è sempre attuale nelle aule dei Tribunali. Stabilire, infatti, se una prova è stata assunta legittimamente vuol dire anche stabilire se quella prova sarà utilizzabile nell’ambito del procedimento penale e se, dunque, potrà formare parte del corredo conoscitivo a disposizione del giudice per valutare la colpevolezza o l’innocenza del reo.
È importante rilevare, comunque, che la corretta applicazione delle norme del procedimento penale non è un fattore che attiene alla sola regolarità delle formalità processuali; talvolta, infatti, tale circostanza può essere il discrimen tra una strategia processuale vincente e una tattica del tutto inefficace o monca.
Se, ad esempio, la posizione processuale di un soggetto è estremamente grave a causa delle intercettazioni telefoniche, stabilire se queste sono legittime e se, dunque, sono utilizzabili dal giudice, è fondamentale: qualora, invero, le modalità di acquisizione delle stesse dovessero essere affette da una patologia ricavabile dall’art. 266 e seguenti del codice di rito, l’eccezione del difensore potrebbe determinarne l’“eliminazione” dal fascicolo processuale delle telefonate registrate e, spesso, l’assoluzione dell’imputato.
ORIGINI DEL DIRITTO PROCESSUALE PENALE
Il processo penale ha origini antichissime e la prima regolamentazione risale addirittura all’impero romano, allorché, nel Digesto, furono inserite le modalità attraverso le quali irrogare le pene previste per ogni delitto.
Ovviamente, i modelli processuali “antichi” sono sempre stati caratterizzati da una spiccata tendenza inquisitoria, in cui la veste dell’accusatore e del giudicante erano assunte dal medesimo soggetto e nei quali era bastevole anche il semplice sospetto per condannare il presunto colpevole.
È solo in seguito al XVII secolo che comincia a svilupparsi l’idea di un procedimento penale caratterizzato dalla dialettica tra le parti (accusa e difesa) e in cui il giudicante fosse un soggetto terzo e imparziale.
In Italia, possiamo dire che il procedimento penale come lo conosciamo oggi nasce in seguito alla riforma del 1988 che ha rivoluzionato il modello precedente, ancora di stampo mussoliniano e inquisitorio, trasformandolo in un modello di stampo accusatorio.
Nel tempo, tuttavia, la normativa è stata profondamente rimaneggiata attraverso le riforme più disparate e anche attraverso l’intervento della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha profondamente modificato alcune disposizioni vigenti in quanto contrarie alla normativa nazionale e sovranazionale sul giusto processo.
Lo stesso si divide in undici libri, a seconda delle macroaree trattate.
Il Libro Primo fornisce una panoramica sull’identità, caratteristiche e facoltà dei soggetti protagonisti del procedimento penale e, nello specifico: l’indagato, l’imputato, il pubblico ministero, il giudice, la persona offesa dal reato, la parte civile, il responsabile civile, la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. Ovviamente, il primo libro fornisce anche specifiche sul difensore e sulla polizia giudiziaria nonché sulle norme che regolano la giurisdizione e la competenza del Tribunali.
Il Libro Secondo, invece, stabilisce in via generale quali sono gli atti tipici del procedimento penale, la disciplina delle notifiche e le nullità che possono verificarsi.
Il Libro Terzo è specificamente deputato alla disciplina dei mezzi di prova e i mezzi di ricerca della prova, con ciò intendendosi le modalità attraverso le quali una determinata prova può essere “raccolta”.
Il Libro Quarto, che chiude la parte prima del codice di procedura penale, è dedicato esclusivamente alle misure cautelari, sia personali che reali, e alle modalità di impugnazione delle stesse.
La Parte seconda del codice, composta dai libri che vanno dal quinto all’undicesimo, regola invece l’insieme del procedimento penale vero e proprio, a partire dalle indagini preliminari fino all’esecuzione delle pene.
Il Libro Quinto regola la fase delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare. Lo stesso, in buona sostanza, disciplina l’inizio e la fine della fase preliminare del giudizio penale, che si conclude col provvedimento finale del Giudice per l’Udienza Preliminare che, attraverso la sentenza di non luogo a procedere o attraverso l’emissione del decreto che dispone il giudizio, può determinare la fine del contenzioso o l’inizio della fase del dibattimento penale.
Il Libro Sesto fornisce invece la normativa dei cd. procedimenti speciali, ovvero di quelle procedure particolari che, attraverso una riduzione dei tempi processuali di risoluzione della controversia, offrono numerosi vantaggi all’imputato. Si pensi, ad esempio, al patteggiamento (che prevede l’applicazione di una pena concordata tra la difesa dell’imputato e il Pubblico Ministero) e il giudizio abbreviato (stando al quale il soggetto viene giudicato “allo stato degli atti” e senza esperire alcuna ulteriore attività processuale).
Il Libro Settimo e l’Ottavo regolano la fase del dibattimento, ovvero quella parte del processo penale vero e proprio in cui si realizza al massimo il contraddittorio delle parti.
L’Ottavo, in particolar modo, disciplina le peculiarità del rito dinanzi al Tribunale in Composizione Monocratica.
Le impugnazioni, con ciò intendendosi le modalità attraverso le quali si può mettere in discussione una sentenza di primo o secondo grado, sono invece regolate dal Libro Nono, che fornisce indicazioni specifiche sui mezzi di impugnazione ordinari e straordinari.
Il Libro Decimo si occupa, invece, della fase dell’esecuzione penale. In buona sostanza, il libro predetto ci dice cosa accade quando un soggetto viene condannato ad una pena, che naturalmente andrà espiata.
Chiude il codice di procedura penale il Libro Undicesimo, che regola i rapporti con le autorità giurisdizionali straniere. La normativa in esso approntata, in altre parole, regola i casi di estradizione, riconoscimento nello Stato italiano di una sentenza estera e viceversa e i casi di arresto ultraterritoriale.
Si noti, in ogni caso, che il panorama processuale è costellato da numerosissime leggi “complementari” che regolano aspetti rilevantissimi del procedimento penale, o comunque di quello che ne consegue.
Non si può non menzionare, ad esempio, l’ordinamento penitenziario, rilevantissimo per la disciplina delle misure alternative alla detenzione e il D. Lgs. 231 del 2001 che ha introdotto nel nostro paese la responsabilità penale delle persone giuridiche.
Qui di seguito vengono esposti succintamente alcuni casi particolarmente emblematici o di frequente accadimento, utili in molti casi per trovare già alcune risposte preliminari ai propri problemi.
Consulenza giuridica sulle facoltà riconosciute ai soggetti del procedimento penale
Spesso non è agevole comprendere qual è il ruolo che l’ordinamento processuale italiano attribuisce ai soggetti del procedimento penale. Così, è frequentissimo che ci si chieda quali siano le differenze tra la persona offesa dal reato che non si è costituita parte civile e quella che, invece, ha esercitato l’azione civile nel processo penale.
Quella che noi definiamo persona offesa dal reato è, in buona sostanza, il soggetto che è stato leso dalla commissione di un determinato fatto costituente una fattispecie penalmente punita (ad esempio, il soggetto diffamato o derubato o colui al quale è stata estorta una somma di denaro).
Il codice di procedura, tuttavia, attribuisce diversi poteri al soggetto predetto a seconda che questi si sia costituito parte civile nel processo penale oppure no.
Nel secondo caso, invero, la persona offesa può partecipare al procedimento penale ma non ne diviene mai parte attiva. La stessa, dunque, non potrà interrogare i testimoni, non potrà depositare atti e/o proporre impugnazioni.
Quando, invece, la persona offesa sicostituisce parte civile, diviene parte attiva del contraddittorio processuale e alla stessa sono riservati tutti i poteri che ha l’imputato e il Pubblico Ministero.
Sotto tale aspetto, dunque, la costituzione di parte civile rappresenta un momento fondamentale: è solo attraverso l’esperimento di detta facoltà che la persona offesa non solo è in grado di richiedere un risarcimento per il danno subito (di natura sia morale che materiale) ma anche di partecipare in modo determinante al processo penale per cercare di aiutare l’accusa e ottenere la condanna dell’imputato.
Tema strettamente connesso al ruolo dei soggetti del procedimento penale è quello relativo alla differenza tra la veste di “indagato” e quella di “imputato”.
Di fatto, le due figure sono la stessa persona fisica, con la differenza che l’indagato è il sospettato di un delitto determinato nell’ambito delle indagini preliminari; l’imputato, invece, diviene tale dopo l’esercizio dell’azione penale, ovvero dopo che il Pubblico Ministero, convinto delle indagini svolte, decide di procedere per la sua strada con l’intenzione di dimostrare la colpevolezza del sospettato.
La differenza tra i due soggetti, tuttavia, non è soltanto una questione di nome.
Infatti, a seconda che ci si trovi di fronte ad un soggetto indagato o imputato, mutano in modo considerevole le formalità che occorre rispettare per l’esperimento di alcune indagini e/o le modalità attraverso le quali assumere informazioni sui fatti accaduti.
Il team di Brocardi.it può fornire chiarimenti specifici al riguardo, fondamentali per comprendere quali siano le garanzie dell'indagato in caso di indagini preliminari o quali siano le facoltà della persona offesa dal reato.
Parere in materia di utilizzabilità delle intercettazioni e legittimità dei mezzi di ricerca della prova
Spesso, nel corso del processo penale, si discute dell’utilizzabilità delle prove acquisite dal pubblico ministero, con ciò intendendosi la possibilità che queste prove entrino nel corredo conoscitivo del Tribunale giudicante.
Al riguardo, uno dei temi più discussi afferisce alle intercettazioni telefoniche. Ci si chiede, in buona sostanza, quand’è che un’intercettazione è stata legittimamente disposta dall’accusa.
Sul punto, rileva in particolare la disciplina degli articoli 266 e seguenti del codice di procedura penale che stabilisce i limiti di ammissibilità e le modalità di acquisizione delle intercettazioni, come anche la richiesta del Pubblico Ministero e il provvedimento autorizzativo del Giudice per le Indagini Preliminari.
Le intercettazioni, infatti, possono essere disposte solo per determinate categorie di reati (identificate dall’art. 266 c.p.p. sulla base della pena per gli stessi prevista e/o sulla specie di reato) e devono essere richieste dal pubblico ministero il quale deve fornire al G.I.P. le ragioni per cui si ritiene necessaria l’attività di ricerca della prova. Questi, infine, è tenuto ad autorizzare la pubblica accusa per un periodo non superiore ai 15 giorni, che può essere prorogato di volta in volta attraverso altre richieste e altri provvedimenti autorizzativi.
Se manca uno di questi passaggi, il risultato dell’intercettazione non può essere utilizzato e questo può essere un elemento rilevantissimo per la difesa dell’imputato.
Altro tema connesso è quello relativo alla possibilità di utilizzare le intercettazioni telefoniche nell’ambito di un procedimento penale in cui le stesse non erano state disposte.
Se, ad esempio, il pubblico ministero, sentite le intercettazioni nel processo X, si accorge che le stesse possono essere utili anche nel procedimento Y, può utilizzarle nell’ambito di quest’ultimo? Con quali limiti?
Sul punto, vi sono stati diverse dispute giurisprudenziali, taciute solo di frequente dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che hanno stabilito i limiti e i modi di utilizzazione delle intercettazioni telefoniche.
Lo staff di avvocati di Brocardi.it, abituato a questo genere di questioni, potrà valutare se, e quando, le intercettazioni siano state assunte in via legittima e se le stesse siano utilizzabili nell’ambito del procedimento penale.
Assistenza legale in merito alla esperibilità dei mezzi di impugnazione ordinari e straordinari
Nonostante il codice di procedura penale indichi in modo specifico quali siano i mezzi di impugnazione, a volte è molto complesso stabilire quanti giorni si hanno per proporre un appello o un ricorso per Cassazione.
Con specifico riferimento ai termini per impugnare, invero, v’è solo l’art. 585 del c.p.p. che, in buona sostanza, indica in quindici, trenta e quarantacinque i giorni per impugnare una sentenza di primo grado o una sentenza di appello, rinviando, per stabilire il dies a quo da cui far decorrere il termine, all’art. 544 del c.p.p. relativo ai tempi per l’emissione della sentenza da parte del giudicante.
Tema molto dibattuto sui mezzi d’impugnazione è quello relativo ai modi e casi attraverso i quali si può mettere in discussione l’efficacia di una sentenza passata in giudicato (dunque definitiva).
La revisione rappresenta un mezzo d’impugnazione, definito straordinario perché in grado di rimettere in discussione il contenuto di una sentenza non più soggetta a impugnazione ordinaria (appello e ricorso per Cassazione).
Ovviamente, tale mezzo d’impugnazione può essere esperito soltanto nei casi previsti dall’art. 630 c.p.p., tra cui spicca quello relativo all’emersione di una “nuova” prova che dimostrerebbe l’innocenza del condannato.
Ora, v’è ancora oggi un acceso dibattito su cosa debba intendersi per prova “nuova” e se, ad esempio, si debba trattare solo di una prova sopravvenuta dopo il giudizio definitivo (e che l’imputato non poteva conoscere prima) o di una prova che, seppur conosciuta dall’imputato, non è stata da questi utilizzata per dimostrare la sua innocenza.
Gli esperti di Brocardi.it potranno valutare l'opportunità di proporre un appello o un ricorso per Cassazione e, se il caso di specie rientra in quelli previsti dall’art. 630 c.p.p., di richiedere la revisione del processo penale.
Chiarimenti legali in materia di misure cautelari personali e reali
Il Libro Terzo del codice di rito disciplina i casi e i modi attraverso le quali il pubblico ministero può comminare all’indagato misure cautelari personali (es. custodia cautelare) o personali (sequestro).
Per quanto attiene alle misure personali, è indispensabile conoscere se la misura sia stata comminata legittimamente, dunque in presenza dei presupposti previsti dagli artt. 273 e 274 c.p.p. e, soprattutto, se la durata della stessa non supera i limiti previsti dall’art. 303 del c.p.p..
L’articolo predetto, in particolare, stabilisce i tempi di durata massima di una misura cautelare personale, superati i quali la stessa perde automaticamente effetto. Se, ad esempio, Tizio viene assoggettato a misura cautelare il primo luglio del 2020, giorno in cui è stato emesso il decreto che dispone il giudizio, non è possibile che sia afflitto dalla misura una volta decorsi sei mesi (dunque gennaio 2021) e non sia stata ancora pronunciata la sentenza di condanna di primo grado.
Quanto alle misure reali, spesso accade che le stesse affliggano non solo il presunto colpevole di un determinato delitto, ma anche chi non ha nulla a che vedere con questi.
Si pensi, ad esempio, al soggetto che ha acquistato in buona fede un fondo che viene sottoposto a sequestro perché nello stesso v’è uno scarico di acque inquinanti.
In questo caso, l’ordinamento mette a disposizione una serie di modalità attraverso le quali il terzo può chiedere di essere liberato dal sequestro.
La redazione giuridica di Brocardi.it può offrire concretamente una mano nel risolvere tutti i dubbi in materia di durata e legittimità delle misure cautelari applicate, sia reali che personali.
Consulenza legale in merito agli effetti dei riti alternativi
Il codice di procedura penale prevede che il soggetto indagato o imputato possa richiedere dei riti alternativi, come ad esempio l’abbreviato o il patteggiamento.
Tali riti, in buona sostanza, prevedono diversi effetti premiali per l’imputato, come ad esempio una riduzione della pena, per “ricompensare” una scelta che presuppone un notevole accorciamento dei tempi processuali.
Nel caso dei riti alternativi, uno dei maggiori dubbi che spesso si manifesta è relativo ai casi in cui propendere per il giudizio abbreviato.
Come noto, il giudizio abbreviato è regolato dagli artt. 438 e seguenti del codice di rito e prevede che il soggetto venga giudicato “allo stato degli atti”, ovvero attraverso le prove raccolte dal Pubblico Ministero e quelle raccolte dal difensore nel corso delle indagini preliminari.
È soltanto attraverso l’abbreviato cd. “condizionato” che l’imputato può chiedere al giudice di assumere un’altra prova nell’ambito del giudizio.
Quand’è, dunque, che è ragionevole propendere per l’abbreviato?
Si tratta di una scelta molto complessa, che deve essere il frutto di un ragionamento sia giuridico che fattuale, riferito alla particolare condizione indiziaria del soggetto imputato.
I professionisti del diritto di Brocardi.it potranno aiutare a comprendere che effetti avrà la scelta del rito alternativo nell’ambito del procedimento penale e, soprattutto, quale, tra i riti previsti, potrebbe essere più opportuno per il caso di specie sottoposto.
Chiarimenti in materia di misure alternative alla detenzione
Se taluno viene condannato alla pena della reclusione per un periodo superiore ai due anni, è normale che tale pena debba essere eseguita per essere concretamente scontata dal condannato.
Il nostro Ordinamento Penitenziario, tuttavia, offre una vasta gamma di misure alternative alla detenzione che possono consentire al condannato di non scontare affatto la pena all’interno del carcere, oppure di scontarne solo una parte.
Ovviamente, accedere ai predetti benefici non è così semplice e spesso di discute in Tribunale della meritevolezza di un determinato soggetto di esser destinatario di una misura alternativa alla detenzione.
Al riguardo, si è lungamente discusso, per le detenzione domiciliare, di cosa si intenda per “persona in condizioni di salute particolarmente gravi che richiedano costanti contatti con i presìdi sanitari”, circostanza che rende possibile al malato di scontare la propria pena presso il suo domicilio.
Il tema, molto discusso in Cassazione, non è stato ancora del tutto risolto e, nella maggior parte dei casi, la valutazione del Tribunale non risponde a canoni generici ma deve essere fatta in concreto, osservando le reali condizioni di salute del malato e la compatibilità delle stesse con una incarcerazione.
Il team di Brocardi.it potrà fornire una consulenza capendo se, in caso di condanna, sarà ammissibile la richiesta di una misura alternativa alla detenzione tra quelle previste dall’Ordinamento Penitenziario, verificando i presupposti per accedervi.
Consulenza legale sulla fase dell’esecuzione penale
La fase dell’esecuzione penale è molto complessa e il nostro codice di procedura penale, col libro decimo, oltre a chiarire quand’è che una sentenza o un decreto penale divengono irrevocabili, chiarisce anche il ruolo del giudice dell’esecuzione.
Questi ha un ruolo molto importante perché si tratta della figura deputata a decidere sulle più disparate questioni relative all’esecuzione della pena.
Il Giudice dell’esecuzione, nella maggior parte dei casi, viene adito affinché al condannato venga riconosciuta l’applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato.
Spesso, infatti, capita che un determinato soggetto sia condannato per più reati, ma nel corso di procedimenti separati. In questi casi, il soggetto dovrebbe scontare l’equivalente della somma dei periodi di reclusioni comminati per ciascun reato (cd. cumulo materiale).
Facendo riferimento al Giudice dell’esecuzione, invece, si può fare in modo che questi, riconosciuta la continuazione tra i fatti di reato commessi, proceda a riquantificare la pena utilizzando il criterio del cumulo giuridico e, dunque, applicando la pena per il reato più grave, aumentata sino al triplo.
L’applicazione del cumulo giuridico consente, nella maggior parte dei casi, di ottenere una riduzione di pena spesso considerevole.
Lo staff di Borcardi.it sarà in grado di identificare il giudice dell’esecuzione competente e di capire quali questioni siano allo stesso sottoponibili in relazione alla condanna emessa.
Assistenza legale sulla fase delle indagini preliminari
Accade molto spesso che si abbia il sospetto di aver commesso un reato e/o che qualcuno abbia sporto una querela nei nostri confronti.
In questi casi, una difesa “preventiva” potrebbe essere molto più efficace di un approccio postumo al procedimento penale e, per questo, è indispensabile sapere se c’è già un pubblico ministero che sta indagando sulla nostra persona e per quali fattispecie di reato.
Nel nostro sistema processuale penale possiamo dire che esistono due esigenze contrapposte: la prima è che le indagini del procedimento penale rimangano segrete al fine di consentire al pubblico ministero di effettuare le indagini senza il timore di un inquinamento probatorio dell’indagato.
La seconda, diametralmente opposta, è che l’indagato/imputato sia informato del fatto che si stanno eseguendo delle indagini sul suo conto al fine di consentirgli di esercitare le facoltà difensive previste dalla legge. In tali casi, dunque, il soggetto viene a conoscenza dello svolgimento di indagini sul suo conto in quanto è l’organo dell’accusa che gli notifica un atto attraverso il quale lo informa dei diritti che può esercitare.
È possibile, però, che un determinato soggetto voglia conoscere se sono in corso indagini sul suo conto, senza attendere provvedimenti del P.M.
In tali casi, il nostro codice di procedura penale prevede specifiche modalità attraverso le quali il soggetto può richiedere di essere informato sull’esistenza di un procedimento penale a suo carico, come la richiesta ex art. 335 del c.p.p..
Gli esperti di Brocardi.it saranno un valido aiuto nella comprensione del significato di una notifica proveniente dall’Autorità Giudiziaria, nella valutazione dei successivi adempimenti procedimentali e delle modalità attraverso le quali è possibile interloquire con la Procura della Repubblica di riferimento.
Chi siamo
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