Il sistema adottato dal codice nella enumerazione dei beni demaniali
L'elencazione contenuta in questo articolo presenta un particolare carattere sistematico, ignoto al testo legislativo precedente. Delle due parti in cui esso si divide, la prima è dedicata ai beni che non possono appartenere se non allo Stato e non possono essere oggetto se non di proprietà demaniale; la seconda, invece, è diretta ad indica quei beni che possono appartenere così allo Stato come ad altri soggetti compresi i privati, e che fanno parte del demanio solo quando sono in proprietà dello Stato.
Le due categorie corrispondono in parte alla distinzione formulata dalla dottrina fra beni del demanio necessario e beni del demanio accidentale, fra beni, cioè, che non possono essere se non demaniali e beni che sono tali soltanto in determinate condizioni.
Diciamo che le due distinzioni corrispondono soltanto in parte, perché il demanio necessario della vecchia dottrina era in un certo senso sinonimo di demanio naturale, in quanto costituito da beni non prodotti dalla volontà e dall'opera dell'uomo (demanio marittimo e demanio delle acque), il demanio esclusivo del nuovo testo non si fonda sull'origine naturale o artificiale lei beni, ma sulla loro possibilità di formare oggetto soltanto di proprietà demaniale o anche di proprietà privata. Il nuovo testo aggiunge, perciò, alle due categorie del demanio naturale quelle delle opere destinate alla difesa militare.
I beni che non possono appartenere se non allo Stato a titolo di proprietà demaniale: demanio marittimo, idrico e militare
Si esamineranno ora le singole categorie di beni demaniali indicate nella prima e nella seconda parte dell'art. 822 c.c.
a) Il demanio marittimo. Il codice della navigazione, approvato con R. D. 27 gennaio 1941, n. 9, completando l'enumerazione contenuta nel presente articolo del codice civile, dichiara compresi nel demanio marittimo (art. 28):
1) il lido, la spiaggia, i porti, le rade;
2) le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salata che, almeno durante una parte dell'anno, comunicano direttamente col mare;
3) i canali e i fossi utilizzabili ad use pubblico marittimo. L'espressa inclusione delle lagune nel demanio marittimo presenta particolare importanza, in quanto la posizione di questi tratti di mare era stata in passato assai incerta e discussa. Essa, inoltre, vale a confermare l'opinione che ritiene inapplicabile l'idea di bene demaniale, e di bene in genere, al mare territoriale, cioè a quella zona di mare che, per l'immediato contatto con il lido, è soggetta alla sovranità dello Stato. Questa sovranità importa l'esercizio di poteri di polizia e di giurisdizione sulle persona che si trova in questo mare e sui fatti che in esso si verificano, ma non trasforma il mare in un bene ossia in un oggetto di proprietà. Il mare assume questa posizione quando e racchiuso nei porti, nei seni, nelle rade, nelle lagune: non quindi quando e del tutto aperto. Questa soluzione è imposta anche da quelle disposizioni (p. es. gli art. 1 e 12 della legge sulla pesca), che parlano del « mare territoriale » in modo distinto, e quasi contrapposto, alle « acque del pubblico demanio ».
Per ragioni di accessorietà sono considerate pertinenze del demanio marittimo anche le costruzioni e le opere esistenti entro i confini del demanio stesso. Per necessità degli usi pubblici del mare, l'amministrazione può includere nel demanio marittimo anche zone di proprietà privata ad esso adiacenti, quando siano di limitata estensione e di lieve valore: in tal caso essa procede alla espropriazione in base a dichiarazione di pubblica utilità pronunziata con decreto del ministro per le comunicazioni di concerto con quello per le finanze. Qualora sia necessario procedere alla limitazione dei confini del demanio marittimo, il capo del compartimento invita tutti coloro che a ciò possono avere interesse a presentare le loro deduzioni e ad assistere alle operazioni di accertamento. Le contestazioni che possono sorgere nel corso di queste, sono risolte in via amministrativa dal ministro per le comunicazioni di concerto con quello delle finanze, salva la competenza giudiziaria secondo la regole generali.
La costruzione e la manutenzione delle opere portuali e in genere di quelle attinenti al demanio marittimo, sono disciplinate, specialmente per quanto attiene alla ripartizione degli oneri finanziari fra i vari enti pubblici interessati, da un apposito T. U. 2 aprile 1885, n. 3095, e dal relativo regolamento 6 settembre 1904, n. 715. L'uso dei beni del demanio marittimo 6 regolato dall'autorità amministrativa marittima, alla quale spetta anche l'esercizio della relativa polizia demaniale (Cod. della nav. art. 30 54). Il codice anzidetto regola in modo particolare le concessioni, che la stessa autorità, compatibilmente con le esigenze dell'uso pubblico, può fare a favore di privati per l'uso anche esclusivo di parti del demanio stesso. Tali concessioni sono sempre temporanee, subordinate al pagamento di un canone soggette a decadenza per non uso, per mancata costruzione delle opere e per altre inosservanze espressamente previste dalla legge. Le opere costruite dal concessionario hanno carattere privato e il proprietario può, previa autorizzazione dell'autorità concedente, costituire ipoteche sulle medesime.
b) Il demanio idrico. II codice abrogato limitava questa categoria ai soli fiumi e torrenti, nonostante che le leggi speciali, a cominciare da quella sui lavori pubblici contemporanea al codice stesso, ponessero fra le acque pubbliche anche i laghi, i rivi ed altri corsi minori. Alcuni autori sostennero che le acque pubbliche delle leggi speciali fossero cosa diversa dalle acque demaniali previste dal codice civile, altri più giustamente sostennero l'equivalenza delle due espressioni e la portata integrativa delle leggi speciali rispetto al codice. Intanto, agli antichi usi delle acque (per la navigazione, per l'alimentazione degli uomini e degli animali e per l'irrigazione dei campi) la tecnica moderna ne aggiungeva altri importantissimi relativi alle bonifiche e alla produzione idroelettrica: quest'ultima adatta ad applicazioni svariatissime nelle industrie, nell'illuminazione, nei trasporti, ecc.
Il movimento legislativo per la riforma dei principi relativi alla demanialità delle acque giunse a risultati concreti soltanto durante la grande guerra, con l'emanazione di un D. L. 20 novembre 191,6, n. 1664, presto sostituito da altro più completo e perfetto del 9 ottobre 1919, n. 2161. Quest'ultimo è rimasto in vigore nonostante numerose modificazioni, fino al testo unico oggi vigente, approvato con R. D. II dicembre 1933, n. 1775, sulle acque e sugli impianti elettrici. Il primo comma dell'art. 13, dopo avere ricordato espressamente i fiumi, i torrenti e i laghi, aggiunge « le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia ». Questa definizione si trova nell'art. 1 del testo unico citato: « sono pubbliche tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, sistemate e incrementate, le quali, considerate sia isolatamente per la loro portata o per l'ampiezza del rispettivo bacino imbrifero, sia in relazione al sistema idrografico al quale appartengono, abbiano od acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse ».
Come si vede, la definizione è molto lata: non solo, perché include nelle acque pubbliche, oltre i fiumi e i laghi, le sorgenti e i corsi minori, ma anche perché dichiara sufficiente ad attribuire a qualunque acqua il carattere demaniale la semplice « attitudine a qualsiasi uso d'interesse generale ». Per questo, l'uso pubblico non e condizione necessaria per il carattere demaniale di un corso d'acqua: anche l'uso da parte di persone determinate, quando corrisponda a funzioni economiche d'interesse generale, può essere sufficiente a produrre la demanialità. Quest'uso si attua specialmente con la derivazione, la quale serve di mezzo a moltissime forme di sfruttamento delle acque: l'irrigazione, l'uso potabile, la produzione di energia elettrica, ecc. In tal modo l'estensione del demanio idrico e divenuta molto ampia: tuttavia, nessun corso d'acqua può essere considerato pubblico, se questa qualità non è riconosciuta con atto ufficiale dell'autorità governativa. Le acque demaniali, infatti, sono iscritte in appositi elenchi, distinti per province e pubblicati nella Gazzetta ufficiale del Regno. Agli elenchi principali il Ministero dei lavori pubblici può sempre aggiungere elenchi suppletivi, ove riconosca che acque non incluse nei primi presentano quelle attitudini pubblico interesse, che vale a determinarne la demanialità.
Contro l'inclusione di un corso in tali elenchi gli interessati possono ricorrere ai Tribunali delle acque pubbliche, entro il termine di sei mesi dalla pubblicazione. Nessuna indennità e dovuta ai proprietari che, per il riconosciuto carattere demaniale di un loro corso o di una loro sorgente, si trovino privati del relativo diritto di proprietà.
In base alle cose anzidette, si può rispondere alla domanda, ripetuta con molta insistenza dopo l'entrata in vigore dei nuovi testi legislativi, relativa a quali acque possano considerarsi di proprietà privata nel diritto vigente. Della loro sussistenza non e possibile dubitare; questo stesso codice, regolando più oltre la proprietà nei riguardi delle acque, conferma questa asserzione. Le acque private sono tuttavia contenute in limiti molto modesti : esse comprendono i laghi e gli stagni di piccola estensione e non adatti ad usi di pubblico interesse, le sorgenti che si esauriscono nei fondi privati o che, se affluenti a un corso pubblico, non recano ad esso un contributo apprezzabile, i torrenti, i rivi, e gli altri corsi minori non atti alla derivazione, le acque sotterranee non suscettibili di sfruttamento per pubblico interesse.
Le spese per la sistemazione dei fiumi e torrenti e per la difesa contro le acque, nonché i consorzi che per tali spese devono formarsi fra gli enti pubblici locali e i privati proprietari dei fondi, sono regolati da un apposito T.U. 25 luglio 1904, n. 1923, modificato con legge 13 luglio 1911, n. 774, e con R. D. 19 novembre 1921, n. 1688. Nel detto testo (art. 93-100) e in quello già citato sulle acque e sugli impianti elettrici (art. 216-224) sono pure contenute le norme per la polizia demaniale relativa alle acque. I diritti di derivazione e la complessa materia delle relative concessioni sono regolati in quest'ultimo testo unico (art. 2- 57) .
L'attività amministrativa relativa alle acque spetta al ministero dei lavori pubblici e, nelle province, ai dipendenti uffici del genio civile: nel Veneto è istituito un particolare ufficio, il Magistrato delle acque, che ha competenza estesa a tutta la regione nonché alla provincia di Mantova e in parte a quella di Trieste, con tutte le funzioni degli organi locali e non poche di quelle proprie dell'amministrazione centrale nel campo delle opere idrauliche. Le controversie relative alla demanialità delle acque, ai danni che possono derivare dalla costruzione di opere idrauliche ed ogni altra concernente diritti soggettivi in questa materia, sono de-ferite ai Tribunali delle acque pubbliche, istituiti presso determinate Corti di appello e composti in parte di magistrati, in parte di funzionari tecnici. Le controversie relative a interessi e concernenti la legittimità, e talora il merito, dei provvedimenti amministrativi in questa materia sono deferite ad uno speciale Tribunale superiore delle acque pubbliche.
c) Il demanio militare. Essendo la difesa militare funzione esclusiva dello Stato, tutto ciò che ad essa provvede non può appartenere se non allo Stato stesso. Tuttavia, fra i beni svariatissimi die servono L questa funzione, solo rispetto ad alcuni la legge trova necessario stabilire il regime particolare della demanialità. Il vecchio codice ricordava n proposito « le Porte, le mura, le fosse, i bastioni delle piazze da guerra », la dottrina aveva sempre ritenuto però che questa enumerazione non fosse tassativa o meglio che con essa già legislatore, menzionando soltanto le fosse e i bastioni, avesse inteso dichiarare demaniali le fortezze e le piazze la guerra, di cui i bastioni non sono che una parte. Inoltre, si avvertiva la necessità di un'interpretazione in certo senso restrittiva, in quanto non si vedeva la ragione per cui dovessero far parte del demanio i bastioni di tutte le fortezze, comprese quelle ormai lontane dai confini dello Stato e irrilevanti per la difesa militare.
Il nuovo codice ha cambiato indirizzo su questo punto, abbandonando qualunque enumerazione e sostituendo la formula generica delle « opere destinate alla difesa nazionale ». Data la sua eccessiva ampiezza, è necessaria un'interpretazione razionale e prevalentemente restrittiva. In primo luogo deve trattarsi di opere, ossia di costruzioni: non sono, perciò, comprese le difese naturali (che possono, invece, appartenere al demanio per altro titolo) e tutto il materiale bellico di carattere mobiliare. Fra le costruzioni, sono, poi, da escludere quelle che alla difesa nazionale servono in modo soltanto indiretto, come le polveriere, i depositi e le caserme. Restano perciò le fortezze, le piazze da guerra e le linee trincerate : tutte considerate nel Toro complesso, esclusa ogni distinzione fra le varie parti. Deve trattarsi, inoltre, di fortificazioni realmente corrispondenti al fine della difesa, ossia di reale efficienza bellica : non fanno parte, perciò, del demanio militare le antiche mura cittadine, le fortezze adibite a caserme o a musei. Questi ultimi beni, quando sia it caso, possono invece appartenere al demanio storico ed artistico.
Caratteristica del demanio militare è la sua completa sottrazione all'uso pubblico e a qualunque diritto da parte di persone estranee all'autorità militare. Possono, tuttavia, da questa essere fatte concessioni che non siano incompatibili col fine della difesa : p. es. quella del taglio dei prodotti erbacei crescenti sulle scarpate e sui bastioni delle fortezze.
I beni che sono demaniali solo in quanto appartengono allo Stato: demanio stradale, ferroviario, aeronautico artistico e culturale
La seconda parte dell'articolo comprende quei beni che possono appartenere sia allo Stato come ad altri soggetti e che solo nel primo caso fanno parte del pubblico demanio.
a) Il demanio stradale. Il capoverso dell'art.822 sembra riunire in una categoria complessa le strade, le autostrade e le strade ferrate. Seguendo la tradizione, si preferisce considerare a parte queste ultime. Le strade di cui qui si parla sono le « strade nazionali » di cui parlavano il codice e la legge sui lavori pubblici del 1865.Accanto a queste, la detta legge enumerava le strade provinciali, quelle comunali e quelle vicinali, appartenenti rispettivamente alla provincia, ai comuni e ai proprietari dei fondi. L'assegnazione delle strade a ciascuna categoria era, ed e in parte ancora, determinata dalla diversa importanza che esse assumono nel traffico generale.
Limitandoci alle strade nazionali, erano tali quelle aventi uno scopo esclusivamente militare, le grandi linee stradali che nel loro corso congiungono direttamente le principali città del Regno o queste coi porti più importanti, quelle che allacciano le precedenti alle grandi linee commerciali degli Stati limitrofi, nonché le strade che attraversano le principali catene delle Alpi e degli Appennini. L'elenco delle strade nazionali doveva essere approvato con decreto reale su proposta del ministro dei lavori pubblici. Era escluso che potessero esservi strade nazionali fra due punti del territorio congiunti da una ferrovia : perciò, via via che si accrebbe la rete ferroviaria dello Stato molte strade nazionali passarono nella classe di quelle provinciali, con gravissimo danno della loro manutenzione. Il Governo fascista provvide al riordinamento di tutto il sistema stradale della nazione, sopra tutto con due provvedimenti : i1 decreto legislativo 15 novembre 1923, n. 2506, e la legge 17 maggio 1928, n. 1094. Con quest'ultima, lo Stato ha trasferito molte strade provinciali nel proprio patrimonio stradale, provvedendo direttamente alla loro manutenzione. La legge poi, abbandonando ogni criterio generale per la determinazione delle strade nazionali, ha fissato direttamente l'elenco ufficiale di esse, che hanno assunto la nuova denominazione di « strade statali ». Con successiva legge 24 giugno 1929, n. 1138, e stato stabilito che l'elenco suddetto pub essere modificato con decreto reale. Per la gestione delle strade di questa categoria e stata istituita un'apposita « Azienda autonoma sta-tale della strada », la quale, come altre analoghe, pur non avendo personalità giuridica, presenta una propria autonomia finanziaria ed agisce per mezzo di organi propri entro il ministero dei lavori pubblici di cui fa parte. L'Azienda, attraverso i suoi uffici centrali e compartimentali e col concorso dell'apposita specialità della Milizia stradale per la sicurezza nazionale, provvede alla manutenzione delle strade e all'esercizio della polizia stradale, nell'interesse della sicurezza della circolazione e della conservazione del suolo pubblico. Le norme su questa polizia e sulle relative contravvenzioni, già contenute in pochi articoli della legge sui lavori pubblici, sono andate via via accrescendosi e complicandosi, sicché oggi costituiscono un vasto testo legislativo approvato con R. D. 8 dicembre 1933, n. 1740.
Quanto alle autostrade, cioè alle strade destinate esclusivamente alla circolazione degli autoveicoli, esse sono costruite di solito da enti diversi dallo Stato, in forza di concessioni amministrative. Tali enti con-servano la proprietà e la gestione tecnica ed economica delle strade così costruite : lo Stato, però, può procedere al loro riscatto, mediante convenzioni che vengono approvate con atti legislativi. Solo col passaggio delle autostrade allo Stato, esse acquistano carattere demaniale, anche durante la concessione, le dette strade sono sottoposte alle norme di polizia per la sicurezza della circolazione e per la conservazione del suolo. Circa un diritto spettante alto Stato, anche in questo caso, sulla strada, cfr. oltre quanto sarà detto a proposito delle strade ferrate.
b) Il demanio ferroviario. Le strade ferrate hanno sempre dato luogo alle più gravi discussioni circa la loro appartenenza al demanio pubblico. Questa non poteva essere dimostrata in base al criterio dell'uso pubblico, perché non il pubblico si serve di questi beni, ma 1' amministrazione nella gestione del servizio ferroviario; egualmente pub dirsi del criterio della soddisfazione immediata del fine pubblico, perché le ferrovie hanno carattere di semplice mezzo rispetto a un'attività dell' amministrazione. Con tutto questo, la demanialità delle strade ferrate fu spesso affermata dalla dottrina e dalla giurisprudenza.1 Tenuto conto del regime giuridico, varie disposizioni di legge contribuivano a far riconoscere questo come un regime di proprietà pubblica o demaniale.
Fino dalla legge sui lavori pubblici, le strade ferrate furono regolate quali beni oggetto immediato dell'attività amministrativa dello Stato, al pari dei porti, delle strade ordinarie e delle altre opere pubbliche. Venivano, inoltre, stabilite, a favore delle strade ferrate, le stesse servitù demaniali che valgono per le strade ordinarie, con l'aggiunta di alcune particolari. Una serie di norme di polizia, contenute nella stessa legge e nel regolamento legislativo 31 ottobre 1873, n. 1687, erano stabilite sia nell'interesse della incolumità delle persone, sia in quello della conservazione delle strade ferrate. Il sistema della difesa, basato su mezzi di coercizione e sull'applicazione di sanzioni penali, e quello proprio del pubblico demanio. Alla inclusione di queste strade nel detto demanio si opponeva soltanto una norma regolamentare : l'art. 8 del R. D. 4 maggio 1885, n. 3074, sulla contabilità generale dello Stato (sostituito dall'art. 7 del R. D. 23 maggio 1924, n. 877) : ivi le strade ferrate erano ricordate fra i beni patrimoniali dello Stato. Il nuovo codice, dovendo risolvere la questione, ha tenuto conto, oltre che degli elementi giuridici surricordati e contenuti nel diritto positivo, della importanza politica sempre crescente di questa categoria di beni : li ha inclusi in modo definitivo nel pubblico demanio. La disposizione ha carattere piuttosto interpretativo che innovativo.
Nessun ostacolo alla demanialità delle strade ferrate può derivare dall'esistenza delle ferrovie concesse all'industria privata. Anche ammesso, come si ritiene, che durante la concessione la strada ferrata appartenga al concessionario, e non possa quindi essere demaniale, ciò non contraddice al sistema del codice, che attribuisce carattere pubblico soltanto alle strade ferrate che appartengono allo Stato. Del resto, accanto alla proprietà privata spettante al concessionario sulle strade, si può ammettere un diritto pubblico reale appartenente allo Stato, quale titolare del servizio esercitato dal concessionario per mezzo di questi beni.
c) Il demanio aeronautico. La demanialità dei campi d'aviazione fu già affermata, per il territorio libico, dall'art. 3 del R. D. 3 luglio 1921, n. 1207; per il territorio metropolitano, la medesima poteva forse desumersi, per l'analogia delle funzioni, dalla demanialità dei porti marittimi. Oggi ii principio risulta affermato in modo espresso, oltre che dal presente articolo del codice civile, dagli art. 668 e seguenti del codice della navigazione, che sono appunto sotto it titolo : « del demanio aeronautico ». Il primo di tali articoli dichiara in questo compresi : gli aerodromi militari e gli aerodromi civili istituiti dallo Stato; ogni costruzione o impianto statale destinato al servizio della navigazione aerea.
Gli aerodromi civili possono considerarsi beni di uso pubblico, purché aperti, sia pure con l'osservanza di particolari condizioni, al traffico aereo generale; gli aerodromi militari sono nella stessa condizione solo quando siano a tale effetto designati dal ministro per l'aeronautica (art. 680); normalmente possono equipararsi ai beni del demanio militare. L'uso degli aeroporti e l'esercizio dei poteri di polizia da parte delle autorità che vi sono preposte sono regolati dal codice della navigazione (art. 680-705) e dai particolari regolamenti. Sul demanio aeronautico sono ammesse concessioni per uso di aviorimesse, di carattere temporaneo e sempre revocabile (art. 671-674).
d) Gli acquedotti. Sono questi i mezzi per il trasporto delle acque che vengono derivate dai laghi, dai fiumi e dai corsi minori. Finora la legislazione e la dottrina distinguevano, fra gli acquedotti di proprietà dello Stato, i canali demaniali da quelli patrimoniali i primi atti alla navigazione o in genere all'uso pubblico, i secondi destinati all'irrigazione e alla forza motrice. Il legislatore sembra avere voluto superare questa distinzione: come le acque, da cui i canali derivano, hanno tutte carattere demaniale qualunque sia il fine di pubblico interesse cui servono, così la stessa unità di trattamento è ritenuta applicabile ai mezzi artificiali che servono per realizzare i fini medesimi. Sono estese in conseguenza agli acquedotti le norme di polizia stabilite a tutela delle acque.
e) Il demanio artistico, storico e culturale in genere. La legislazione italiana ha sempre sottratto al regime del diritto comune le cose d'interesse storico e artistico, stabilendo per esse una relativa inalienabilità e una serie di limitazioni al diritto di proprietà, the molto si avvicinano a quelle stabilite per i beni demaniali. Tuttavia, sebbene la dottrina parlasse spesso di un demanio artistico ed archeologico, non vi erano elementi decisivi per ritenere che il legislatore avesse fatto a tali beni la condizione giuridica della demanialità in senso proprio. Il codice ha realizzato in questa materia un progresso decisivo e, sotto vari aspetti, innovativo.
I beni di cui parliamo sono distinti dalla lettera dell’art. 822 in due categorie : da un lato, « gli immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico ed artistico a norma delle leggi in materia », dall'altro « le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche ».
1) Riguardo agli immobili, le leggi in materia, cui ii codice rinvia, sono costituite principalmente da quella 10 giugno 1939, n. 1089. Le limitazioni the questa legge stabilisce per i beni suddetti riguardano così gli immobili come i mobili, tanto quelli in proprietà dello Stato, come quelli in proprietà di altri soggetti. Due condizioni, tuttavia, sono richieste purché i beni contemplati dalla detta legge facciano parte del pubblico demanio che si tratti di beni immobili e che appartengano allo Stato. In forza del successivo articolo, il regime della demanialità è esteso agli immobili della stessa categoria appartenenti alle provincie e ai comuni. Vedremo se, per gli stessi beni appartenenti ad altre persone giuridiche o a privati, possa ammettersi un diritto reale di natura pubblica a favore dello Stato.
2) La demanialità, esclusa per le cose mobili d'interesse storico ed artistico, è invece esplicitamente affermata nei riguardi delle collettività di tali cose, ossia delle raccolte dei musei, delle pinacoteche e degli archivi, alle quali, in omaggio ai fini di cultura letteraria e scientifica, sono state aggiunte le biblioteche. Questa è una notevole deviazione dal principio costante che ha sempre escluso l'estensione della demanialità ai beni mobili. Come si legge nella Relazione, l'importanza storica, culturale e politica di questi beni sembra giustificare tale deroga al principio tradizionale, che limiterebbe la demanialità ai soli immobili; d'altra parte le collettività dei mobili sono dalla legge equiparate anche per altri effetti ai beni immobili : per cui la disposizione può considerarsi non del tutto in contrasto col principio anzidetto. La demanialità investe l’universalità, non ciascun bene singolarmente considerato avulsi, nei modi di legge, dalla raccolta, i beni che la compongono s sottraggono al regime del demanio pubblico.
Possibilità di altri beni demaniali
L'art. 822 si chiude col richiamo, di cui già abbiamo parlato, ad ogni altra specie di beni che siano dalla legge sottoposti al regime proprio del demanio pubblico. Come tale assoggettamento debba risultare è questione d'interpretazione: la semplice denominazione di « cosa appartenente al demanio » non è sufficiente a determinare questo regime perché la parola « demanio » è usata nelle leggi con significati vari che spesso nulla hanno di comune con quello tecnico con cui l'espressione basata nel codice civile. Opportunamente quest'ultimo adopera costante-mente l'espressione « demanio pubblico », quasi a indicare che deve trattarsi di beni costituenti dominio pubblico, proprietà pubblica. Di questa non fanno parte perciò i beni del cosiddetto « demanio forestale », del « demanio minerario », del « demanio della Corona ».
Nell'applicazione dell' ultima parte dell'art. 822, si deve perciò tener conto, più che della terminologia adoperata, della disciplina giuridica stabilita per i beni di cui si tratta. Questa pilo risultare da un preciso richiamo al regime della demanialità, o da un complesso di norme relative all'amministrazione e alla tutela giuridica della cosa, che coincidano con quelle stabilite nei riguardi dei beni che il codice civile pone in modo espresso nel pubblico demanio.
I beni che fanno parte del demanio pubblico sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano. Spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà così di procedere in via amministrativa, come di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso regolati dal presente codice.