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Articolo 822 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Demanio pubblico

Dispositivo dell'art. 822 Codice Civile

Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare [942], la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti [945], i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale(1).

Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia; le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico [823, 824, 1145](2).

Note

(1) I beni indicati in questo comma appartengono al demanio necessario (o naturale), in quanto sono dei beni che per la loro naturale attitudine a soddisfare interessi pubblici non possono che essere di proprietà dello Stato.
Il demanio naturale è composto dal: a) demanio marittimo che, oltre ai beni indicati dall'art. 822, comprende anche: le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo. Il mare e il fondo del mare non sono beni demaniali ma cose fuori commercio (res communes omnium); b) demanio idrico; c) demanio militare, cioè le opere destinate direttamente alla difesa nazionale, ossia aeroporti e strade militari.
Non appartengono al demanio invece: a) le difese naturali; b) gli armamenti, le caserme, gli aerei militari (questi beni appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato).
(2) I beni indicati in questo comma appartengono al demanio accidentale dello Stato che è, quindi, composto da: a) demanio stradale che comprende tutte le strade di proprietà degli enti territoriali, destinate al pubblico transito; b) demanio ferroviario che comprende le strade ferrate e le loro pertinenze, e i beni occorrenti all'esercizio e conservazione della ferrovia (i fabbricati, le stazioni elettriche); c) demanio aeronautico che comprende gli aeroporti appartenenti agli enti territoriali, destinati al traffico civile, comprese le relative pertinenze (radar, impianti radio); d) demanio culturale, cioè i beni di particolare interesse storico, architettonico e artistico, appartenenti agli enti pubblici territoriali.

Brocardi

Lacus est quod perpetuam habet aquam
Litorum et riparum usus publicus est
Litus publicum est eatenus qua maxime fluctus exaestuat
Naturali iure omnium communia sunt illa: aer, aqua profluens, et mare, et per hoc, litora maris
Publicum flumen est quod perenne sit
Res communes omnium
Ripa ea putatur esse, quae plenissimum flumen continet
Stagnum est quod temporalem contineat aquam ibidem stagnantem
Uti via publica nemo recte prohibetur
Viam publicam eam dicimus, cuius etiam solum publicum est

Spiegazione dell'art. 822 Codice Civile

Il sistema adottato dal codice nella enumerazione dei beni demaniali

L'elencazione contenuta in questo articolo presenta un particolare carattere sistematico, ignoto al testo legislativo precedente. Delle due parti in cui esso si divide, la prima è dedicata ai beni che non possono appartenere se non allo Stato e non possono essere oggetto se non di proprietà demaniale; la seconda, invece, è diretta ad indica quei beni che possono appartenere così allo Stato come ad altri soggetti compresi i privati, e che fanno parte del demanio solo quando sono in proprietà dello Stato.

Le due categorie corrispondono in parte alla distinzione formulata dalla dottrina fra beni del demanio necessario e beni del demanio accidentale, fra beni, cioè, che non possono essere se non demaniali e beni che sono tali soltanto in determinate condizioni.

Diciamo che le due distinzioni corrispondono soltanto in parte, perché il demanio necessario della vecchia dottrina era in un certo senso sinonimo di demanio naturale, in quanto costituito da beni non prodotti dalla volontà e dall'opera dell'uomo (demanio marittimo e demanio delle acque), il demanio esclusivo del nuovo testo non si fonda sull'origine naturale o artificiale lei beni, ma sulla loro possibilità di formare oggetto soltanto di proprietà demaniale o anche di proprietà privata. Il nuovo testo aggiunge, perciò, alle due categorie del demanio naturale quelle delle opere destinate alla difesa militare.


I beni che non possono appartenere se non allo Stato a titolo di proprietà demaniale: demanio marittimo, idrico e militare

Si esamineranno ora le singole categorie di beni demaniali indicate nella prima e nella seconda parte dell'art. 822 c.c.
a) Il demanio marittimo. Il codice della navigazione, approvato con R. D. 27 gennaio 1941, n. 9, completando l'enumerazione contenuta nel presente articolo del codice civile, dichiara compresi nel demanio marittimo (art. 28):
1) il lido, la spiaggia, i porti, le rade;
2) le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salata che, almeno durante una parte dell'anno, comunicano direttamente col mare;
3) i canali e i fossi utilizzabili ad use pubblico marittimo. L'espressa inclusione delle lagune nel demanio marittimo presenta particolare importanza, in quanto la posizione di questi tratti di mare era stata in passato assai incerta e discussa. Essa, inoltre, vale a confermare l'opinione che ritiene inapplicabile l'idea di bene demaniale, e di bene in genere, al mare territoriale, cioè a quella zona di mare che, per l'immediato contatto con il lido, è soggetta alla sovranità dello Stato. Questa sovranità importa l'esercizio di poteri di polizia e di giurisdizione sulle persona che si trova in questo mare e sui fatti che in esso si verificano, ma non trasforma il mare in un bene ossia in un oggetto di proprietà. Il mare assume questa posizione quando e racchiuso nei porti, nei seni, nelle rade, nelle lagune: non quindi quando e del tutto aperto. Questa soluzione è imposta anche da quelle disposizioni (p. es. gli art. 1 e 12 della legge sulla pesca), che parlano del « mare territoriale » in modo distinto, e quasi contrapposto, alle « acque del pubblico demanio ».

Per ragioni di accessorietà sono considerate pertinenze del demanio marittimo anche le costruzioni e le opere esistenti entro i confini del demanio stesso. Per necessità degli usi pubblici del mare, l'amministrazione può includere nel demanio marittimo anche zone di proprietà privata ad esso adiacenti, quando siano di limitata estensione e di lieve valore: in tal caso essa procede alla espropriazione in base a dichiarazione di pubblica utilità pronunziata con decreto del ministro per le comunicazioni di concerto con quello per le finanze. Qualora sia necessario procedere alla limitazione dei confini del demanio marittimo, il capo del compartimento invita tutti coloro che a ciò possono avere interesse a presentare le loro deduzioni e ad assistere alle operazioni di accertamento. Le contestazioni che possono sorgere nel corso di queste, sono risolte in via amministrativa dal ministro per le comunicazioni di concerto con quello delle finanze, salva la competenza giudiziaria secondo la regole generali.

La costruzione e la manutenzione delle opere portuali e in genere di quelle attinenti al demanio marittimo, sono disciplinate, specialmente per quanto attiene alla ripartizione degli oneri finanziari fra i vari enti pubblici interessati, da un apposito T. U. 2 aprile 1885, n. 3095, e dal relativo regolamento 6 settembre 1904, n. 715. L'uso dei beni del demanio marittimo 6 regolato dall'autorità amministrativa marittima, alla quale spetta anche l'esercizio della relativa polizia demaniale (Cod. della nav. art. 30 54). Il codice anzidetto regola in modo particolare le concessioni, che la stessa autorità, compatibilmente con le esigenze dell'uso pubblico, può fare a favore di privati per l'uso anche esclusivo di parti del demanio stesso. Tali concessioni sono sempre temporanee, subordinate al pagamento di un canone soggette a decadenza per non uso, per mancata costruzione delle opere e per altre inosservanze espressamente previste dalla legge. Le opere costruite dal concessionario hanno carattere privato e il proprietario può, previa autorizzazione dell'autorità concedente, costituire ipoteche sulle medesime.

b) Il demanio idrico. II codice abrogato limitava questa categoria ai soli fiumi e torrenti, nonostante che le leggi speciali, a cominciare da quella sui lavori pubblici contemporanea al codice stesso, ponessero fra le acque pubbliche anche i laghi, i rivi ed altri corsi minori. Alcuni autori sostennero che le acque pubbliche delle leggi speciali fossero cosa diversa dalle acque demaniali previste dal codice civile, altri più giustamente sostennero l'equivalenza delle due espressioni e la portata integrativa delle leggi speciali rispetto al codice. Intanto, agli antichi usi delle acque (per la navigazione, per l'alimentazione degli uomini e degli animali e per l'irrigazione dei campi) la tecnica moderna ne aggiungeva altri importantissimi relativi alle bonifiche e alla produzione idroelettrica: quest'ultima adatta ad applicazioni svariatissime nelle industrie, nell'illuminazione, nei trasporti, ecc.

Il movimento legislativo per la riforma dei principi relativi alla demanialità delle acque giunse a risultati concreti soltanto durante la grande guerra, con l'emanazione di un D. L. 20 novembre 191,6, n. 1664, presto sostituito da altro più completo e perfetto del 9 ottobre 1919, n. 2161. Quest'ultimo è rimasto in vigore nonostante numerose modificazioni, fino al testo unico oggi vigente, approvato con R. D. II dicembre 1933, n. 1775, sulle acque e sugli impianti elettrici. Il primo comma dell'art. 13, dopo avere ricordato espressamente i fiumi, i torrenti e i laghi, aggiunge « le altre acque defi­nite pubbliche dalle leggi in materia ». Questa definizione si trova nell'art. 1 del testo unico citato: « sono pubbliche tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, sistemate e incrementate, le quali, considerate sia isolatamente per la loro portata o per l'ampiezza del rispettivo bacino imbrifero, sia in relazione al sistema idrografico al quale appartengono, abbiano od acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse ».

Come si vede, la definizione è molto lata: non solo, perché include nelle acque pubbliche, oltre i fiumi e i laghi, le sorgenti e i corsi minori, ma anche perché dichiara sufficiente ad attribuire a qualunque acqua il carattere demaniale la semplice « attitudine a qualsiasi uso d'interesse generale ». Per questo, l'uso pubblico non e condizione necessaria per il carattere demaniale di un corso d'acqua: anche l'uso da parte di persone determinate, quando corrisponda a funzioni economiche d'interesse generale, può essere sufficiente a produrre la demanialità. Quest'uso si attua specialmente con la derivazione, la quale serve di mezzo a moltissime forme di sfruttamento delle acque: l'irrigazione, l'uso potabile, la produzione di energia elettrica, ecc. In tal modo l'estensione del demanio idrico e divenuta molto ampia: tuttavia, nessun corso d'acqua può essere considerato pubblico, se questa qualità non è riconosciuta con atto ufficiale dell'autorità governativa. Le acque demaniali, infatti, sono iscritte in appositi elenchi, distinti per province e pubblicati nella Gazzetta ufficiale del Regno. Agli elenchi principali il Ministero dei lavori pubblici può sempre aggiungere elenchi suppletivi, ove riconosca che acque non incluse nei primi presentano quelle attitudini pubblico interesse, che vale a determinarne la demanialità.
Contro l'inclusione di un corso in tali elenchi gli interessati possono ricorrere ai Tribunali delle acque pubbliche, entro il termine di sei mesi dalla pubblicazione. Nessuna indennità e dovuta ai proprietari che, per il riconosciuto carattere demaniale di un loro corso o di una loro sorgente, si trovino privati del relativo diritto di proprietà.

In base alle cose anzidette, si può rispondere alla domanda, ripetuta con molta insistenza dopo l'entrata in vigore dei nuovi testi legislativi, relativa a quali acque possano considerarsi di proprietà privata nel diritto vigente. Della loro sussistenza non e possibile dubitare; questo stesso codice, regolando più oltre la proprietà nei riguardi delle acque, conferma questa asserzione. Le acque private sono tuttavia contenute in limiti molto modesti : esse comprendono i laghi e gli stagni di piccola estensione e non adatti ad usi di pubblico interesse, le sorgenti che si esauriscono nei fondi privati o che, se affluenti a un corso pubblico, non recano ad esso un contributo apprezzabile, i torrenti, i rivi, e gli altri corsi minori non atti alla derivazione, le acque sotterranee non suscettibili di sfruttamento per pubblico interesse.

Le spese per la sistemazione dei fiumi e torrenti e per la difesa contro le acque, nonché i consorzi che per tali spese devono formarsi fra gli enti pubblici locali e i privati proprietari dei fondi, sono regolati da un apposito T.U. 25 luglio 1904, n. 1923, modificato con legge 13 luglio 1911, n. 774, e con R. D. 19 novembre 1921, n. 1688. Nel detto testo (art. 93-100) e in quello già citato sulle acque e sugli impianti elettrici (art. 216-224) sono pure contenute le norme per la polizia demaniale relativa alle acque. I diritti di derivazione e la complessa materia delle relative concessioni sono regolati in quest'ultimo testo unico (art. 2- 57) .

L'attività amministrativa relativa alle acque spetta al ministero dei lavori pubblici e, nelle province, ai dipendenti uffici del genio civile: nel Veneto è istituito un particolare ufficio, il Magistrato delle acque, che ha competenza estesa a tutta la regione nonché alla provincia di Mantova e in parte a quella di Trieste, con tutte le funzioni degli organi locali e non poche di quelle proprie dell'amministrazione centrale nel campo delle opere idrauliche. Le controversie relative alla demanialità delle acque, ai danni che possono derivare dalla costruzione di opere idrauliche ed ogni altra concernente diritti soggettivi in questa materia, sono de-ferite ai Tribunali delle acque pubbliche, istituiti presso determi­nate Corti di appello e composti in parte di magistrati, in parte di funzionari tecnici. Le controversie relative a interessi e concernenti la legittimità, e talora il merito, dei provvedimenti amministrativi in questa materia sono deferite ad uno speciale Tribunale superiore delle acque pubbliche.

c) Il demanio militare. Essendo la difesa militare funzione esclusiva dello Stato, tutto ciò che ad essa provvede non può appartenere se non allo Stato stesso. Tuttavia, fra i beni svariatissimi die servono L questa funzione, solo rispetto ad alcuni la legge trova necessario stabilire il regime particolare della demanialità. Il vecchio codice ricordava n proposito « le Porte, le mura, le fosse, i bastioni delle piazze da guerra », la dottrina aveva sempre ritenuto però che questa enumerazione non fosse tassativa o meglio che con essa già legislatore, menzionando soltanto le fosse e i bastioni, avesse inteso dichiarare demaniali le fortezze e le piazze la guerra, di cui i bastioni non sono che una parte. Inoltre, si avvertiva la necessità di un'interpretazione in certo senso restrittiva, in quanto non si vedeva la ragione per cui dovessero far parte del demanio i bastioni di tutte le fortezze, comprese quelle ormai lontane dai confini dello Stato e irrilevanti per la difesa militare.

Il nuovo codice ha cambiato indirizzo su questo punto, abbandonando qualunque enumerazione e sostituendo la formula generica delle « opere destinate alla difesa nazionale ». Data la sua eccessiva ampiezza, è necessaria un'interpretazione razionale e prevalentemente restrittiva. In primo luogo deve trattarsi di opere, ossia di costruzioni: non sono, perciò, comprese le difese naturali (che possono, invece, appartenere al demanio per altro titolo) e tutto il materiale bellico di carattere mobiliare. Fra le costruzioni, sono, poi, da escludere quelle che alla difesa nazionale servono in modo soltanto indiretto, come le polveriere, i depositi e le caserme. Restano perciò le fortezze, le piazze da guerra e le linee trincerate : tutte considerate nel Toro complesso, esclusa ogni distinzione fra le varie parti. Deve trattarsi, inoltre, di fortificazioni realmente corrispondenti al fine della difesa, ossia di reale efficienza bellica : non fanno parte, perciò, del demanio militare le antiche mura cittadine, le fortezze adibite a caserme o a musei. Questi ultimi beni, quando sia it caso, possono invece appartenere al demanio storico ed artistico.

Caratteristica del demanio militare è la sua completa sottrazione all'uso pubblico e a qualunque diritto da parte di persone estranee all'autorità militare. Possono, tuttavia, da questa essere fatte concessioni che non siano incompatibili col fine della difesa : p. es. quella del taglio dei prodotti erbacei crescenti sulle scarpate e sui bastioni delle fortezze.


I beni che sono demaniali solo in quanto appartengono allo Stato: demanio stradale, ferroviario, aeronautico artistico e culturale

La seconda parte dell'articolo comprende quei beni che possono appartenere sia allo Stato come ad altri soggetti e che solo nel primo caso fanno parte del pubblico demanio.

a) Il demanio stradale. Il capoverso dell'art.822 sembra riunire in una categoria complessa le strade, le autostrade e le strade ferrate. Seguendo la tradizione, si preferisce considerare a parte queste ultime. Le strade di cui qui si parla sono le « strade nazionali » di cui parlavano il codice e la legge sui lavori pubblici del 1865.Accanto a queste, la detta legge enumerava le strade provinciali, quelle comunali e quelle vicinali, appartenenti rispettivamente alla provincia, ai comuni e ai proprietari dei fondi. L'assegnazione delle strade a ciascuna categoria era, ed e in parte ancora, determinata dalla diversa importanza che esse assumono nel traffico generale.

Limitandoci alle strade nazionali, erano tali quelle aventi uno scopo esclusivamente militare, le grandi linee stradali che nel loro corso congiungono direttamente le principali città del Regno o queste coi porti più importanti, quelle che allacciano le precedenti alle grandi linee commerciali degli Stati limitrofi, nonché le strade che attraversano le principali catene delle Alpi e degli Appennini. L'elenco delle strade nazionali doveva essere approvato con decreto reale su proposta del ministro dei lavori pubblici. Era escluso che potessero esservi strade nazionali fra due punti del territorio congiunti da una ferrovia : perciò, via via che si accrebbe la rete ferroviaria dello Stato molte strade nazionali passarono nella classe di quelle provinciali, con gravissimo danno della loro manutenzione. Il Governo fascista provvide al riordinamento di tutto il sistema stradale della nazione, sopra tutto con due provvedimenti : i1 decreto legislativo 15 novembre 1923, n. 2506, e la legge 17 maggio 1928, n. 1094. Con quest'ultima, lo Stato ha trasferito molte strade provinciali nel proprio patrimonio stradale, provvedendo direttamente alla loro manutenzione. La legge poi, abbandonando ogni criterio generale per la determinazione delle strade nazionali, ha fissato direttamente l'elenco ufficiale di esse, che hanno assunto la nuova denominazione di « strade statali ». Con successiva legge 24 giugno 1929, n. 1138, e stato stabilito che l'elenco suddetto pub essere modificato con decreto reale. Per la gestione delle strade di questa categoria e stata istituita un'apposita « Azienda autonoma sta-tale della strada », la quale, come altre analoghe, pur non avendo personalità giuridica, presenta una propria autonomia finanziaria ed agisce per mezzo di organi propri entro il ministero dei lavori pubblici di cui fa parte. L'Azienda, attraverso i suoi uffici centrali e compartimentali e col concorso dell'apposita specialità della Milizia stradale per la sicurezza nazionale, provvede alla manutenzione delle strade e all'esercizio della polizia stradale, nell'interesse della sicurezza della circolazione e della conservazione del suolo pubblico. Le norme su questa polizia e sulle relative contravvenzioni, già contenute in pochi articoli della legge sui lavori pubblici, sono andate via via accrescendosi e complicandosi, sicché oggi costituiscono un vasto testo legislativo approvato con R. D. 8 dicembre 1933, n. 1740.

Quanto alle autostrade, cioè alle strade destinate esclusivamente alla circolazione degli autoveicoli, esse sono costruite di solito da enti diversi dallo Stato, in forza di concessioni amministrative. Tali enti con-servano la proprietà e la gestione tecnica ed economica delle strade così costruite : lo Stato, però, può procedere al loro riscatto, mediante convenzioni che vengono approvate con atti legislativi. Solo col passaggio delle autostrade allo Stato, esse acquistano carattere demaniale, anche durante la concessione, le dette strade sono sottoposte alle norme di polizia per la sicurezza della circolazione e per la conservazione del suolo. Circa un diritto spettante alto Stato, anche in questo caso, sulla strada, cfr. oltre quanto sarà detto a proposito delle strade ferrate.

b) Il demanio ferroviario. Le strade ferrate hanno sempre dato luogo alle più gravi discussioni circa la loro appartenenza al demanio pubblico. Questa non poteva essere dimostrata in base al criterio dell'uso pubblico, perché non il pubblico si serve di questi beni, ma 1' amministrazione nella gestione del servizio ferroviario; egualmente pub dirsi del criterio della soddisfazione immediata del fine pubblico, perché le ferrovie hanno carattere di semplice mezzo rispetto a un'attività dell' amministrazione. Con tutto questo, la demanialità delle strade ferrate fu spesso affermata dalla dottrina e dalla giurisprudenza.1 Tenuto conto del regime giuridico, varie disposizioni di legge contribuivano a far riconoscere questo come un regime di proprietà pubblica o demaniale.

Fino dalla legge sui lavori pubblici, le strade ferrate furono regolate quali beni oggetto immediato dell'attività amministrativa dello Stato, al pari dei porti, delle strade ordinarie e delle altre opere pubbliche. Venivano, inoltre, stabilite, a favore delle strade ferrate, le stesse servitù demaniali che valgono per le strade ordinarie, con l'aggiunta di alcune particolari. Una serie di norme di polizia, contenute nella stessa legge e nel regolamento legislativo 31 ottobre 1873, n. 1687, erano stabilite sia nell'interesse della incolumità delle persone, sia in quello della conservazione delle strade ferrate. Il sistema della difesa, basato su mezzi di coercizione e sull'applicazione di sanzioni penali, e quello proprio del pubblico demanio. Alla inclusione di queste strade nel detto demanio si opponeva soltanto una norma regolamentare : l'art. 8 del R. D. 4 maggio 1885, n. 3074, sulla contabilità generale dello Stato (sostituito dall'art. 7 del R. D. 23 maggio 1924, n. 877) : ivi le strade ferrate erano ricordate fra i beni patrimoniali dello Stato. Il nuovo codice, dovendo risolvere la questione, ha tenuto conto, oltre che degli elementi giuridici surricordati e contenuti nel diritto positivo, della importanza politica sempre crescente di questa categoria di beni : li ha inclusi in modo definitivo nel pubblico demanio. La disposizione ha carattere piuttosto interpretativo che innovativo.

Nessun ostacolo alla demanialità delle strade ferrate può derivare dall'esistenza delle ferrovie concesse all'industria privata. Anche ammesso, come si ritiene, che durante la concessione la strada ferrata appartenga al concessionario, e non possa quindi essere demaniale, ciò non contraddice al sistema del codice, che attribuisce carattere pubblico soltanto alle strade ferrate che appartengono allo Stato. Del resto, accanto alla proprietà privata spettante al concessionario sulle strade, si può ammettere un diritto pubblico reale appartenente allo Stato, quale titolare del servizio esercitato dal concessionario per mezzo di questi beni.

c) Il demanio aeronautico. La demanialità dei campi d'aviazione fu già affermata, per il territorio libico, dall'art. 3 del R. D. 3 luglio 1921, n. 1207; per il territorio metropolitano, la medesima poteva forse desumersi, per l'analogia delle funzioni, dalla demanialità dei porti marittimi. Oggi ii principio risulta affermato in modo espresso, oltre che dal presente articolo del codice civile, dagli art. 668 e seguenti del codice della navigazione, che sono appunto sotto it titolo : « del demanio aeronautico ». Il primo di tali articoli dichiara in questo compresi : gli aerodromi militari e gli aerodromi civili istituiti dallo Stato; ogni costruzione o impianto statale destinato al servizio della navigazione aerea.

Gli aerodromi civili possono considerarsi beni di uso pubblico, purché aperti, sia pure con l'osservanza di particolari condizioni, al traffico aereo generale; gli aerodromi militari sono nella stessa condizione solo quando siano a tale effetto designati dal ministro per l'aeronautica (art. 680); normalmente possono equipararsi ai beni del demanio militare. L'uso degli aeroporti e l'esercizio dei poteri di polizia da parte delle autorità che vi sono preposte sono regolati dal codice della navigazione (art. 680-705) e dai particolari regolamenti. Sul demanio aeronautico sono ammesse concessioni per uso di aviorimesse, di carattere temporaneo e sempre revocabile (art. 671-674).

d) Gli acquedotti. Sono questi i mezzi per il trasporto delle acque che vengono derivate dai laghi, dai fiumi e dai corsi minori. Finora la legislazione e la dottrina distinguevano, fra gli acquedotti di proprietà dello Stato, i canali demaniali da quelli patrimoniali i primi atti alla navigazione o in genere all'uso pubblico, i secondi destinati all'irrigazione e alla forza motrice. Il legislatore sembra avere voluto superare questa distinzione: come le acque, da cui i canali derivano, hanno tutte carattere demaniale qualunque sia il fine di pubblico interesse cui servono, così la stessa unità di trattamento è ritenuta applicabile ai mezzi artificiali che servono per realizzare i fini medesimi. Sono estese in conseguenza agli acquedotti le norme di polizia stabilite a tutela delle acque.

e) Il demanio artistico, storico e culturale in genere. La legislazione italiana ha sempre sottratto al regime del diritto comune le cose d'interesse storico e artistico, stabilendo per esse una relativa inalienabilità e una serie di limitazioni al diritto di proprietà, the molto si avvicinano a quelle stabilite per i beni demaniali. Tuttavia, sebbene la dottrina parlasse spesso di un demanio artistico ed archeologico, non vi erano elementi decisivi per ritenere che il legislatore avesse fatto a tali beni la condizione giuridica della demanialità in senso proprio. Il codice ha realizzato in questa materia un progresso decisivo e, sotto vari aspetti, innovativo.

I beni di cui parliamo sono distinti dalla lettera dell’art. 822 in due categorie : da un lato, « gli immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico ed artistico a norma delle leggi in materia », dall'altro « le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche ».

1) Riguardo agli immobili, le leggi in materia, cui ii codice rinvia, sono costituite principalmente da quella 10 giugno 1939, n. 1089. Le limitazioni the questa legge stabilisce per i beni suddetti riguardano così gli immobili come i mobili, tanto quelli in proprietà dello Stato, come quelli in proprietà di altri soggetti. Due condizioni, tuttavia, sono richieste purché i beni contemplati dalla detta legge facciano parte del pubblico demanio che si tratti di beni immobili e che appartengano allo Stato. In forza del successivo articolo, il regime della demanialità è esteso agli immobili della stessa categoria appartenenti alle provincie e ai comuni. Vedremo se, per gli stessi beni appartenenti ad altre persone giuridiche o a privati, possa ammettersi un diritto reale di natura pubblica a favore dello Stato.

2) La demanialità, esclusa per le cose mobili d'interesse storico ed artistico, è invece esplicitamente affermata nei riguardi delle collettività di tali cose, ossia delle raccolte dei musei, delle pinacoteche e degli archivi, alle quali, in omaggio ai fini di cultura letteraria e scientifica, sono state aggiunte le biblioteche. Questa è una notevole deviazione dal principio costante che ha sempre escluso l'estensione della demanialità ai beni mobili. Come si legge nella Relazione, l'importanza storica, culturale e politica di questi beni sembra giustificare tale deroga al principio tradizionale, che limiterebbe la demanialità ai soli immobili; d'altra parte le collettività dei mobili sono dalla legge equiparate anche per altri effetti ai beni immobili : per cui la disposizione può considerarsi non del tutto in contrasto col principio anzidetto. La demanialità investe l’universalità, non ciascun bene singolarmente considerato avulsi, nei modi di legge, dalla raccolta, i beni che la compongono s sottraggono al regime del demanio pubblico.


Possibilità di altri beni demaniali

L'art. 822 si chiude col richiamo, di cui già abbiamo parlato, ad ogni altra specie di beni che siano dalla legge sottoposti al regime proprio del demanio pubblico. Come tale assoggettamento debba risultare è questione d'interpretazione: la semplice denominazione di « cosa appartenente al demanio » non è sufficiente a determinare questo regime perché la parola « demanio » è usata nelle leggi con significati vari che spesso nulla hanno di comune con quello tecnico con cui l'espressione basata nel codice civile. Opportunamente quest'ultimo adopera costante-mente l'espressione « demanio pubblico », quasi a indicare che deve trattarsi di beni costituenti dominio pubblico, proprietà pubblica. Di questa non fanno parte perciò i beni del cosiddetto « demanio forestale », del « demanio minerario », del « demanio della Corona ».

Nell'applicazione dell' ultima parte dell'art. 822, si deve perciò tener conto, più che della terminologia adoperata, della disciplina giuridica stabilita per i beni di cui si tratta. Questa pilo risultare da un preciso richiamo al regime della demanialità, o da un complesso di norme relative all'amministrazione e alla tutela giuridica della cosa, che coincidano con quelle stabilite nei riguardi dei beni che il codice civile pone in modo espresso nel pubblico demanio.

I beni che fanno parte del demanio pubblico sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano. Spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà così di procedere in via amministrativa, come di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso regolati dal presente codice.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

393 Lo stato della legislazione e l'incertezza dei criteri indicati dagli scrittori rendevano necessaria una nuova sistemazione della materia. Nel procedere a questa sistemazione, mi sono attenuto al principio che la categoria dei beni del pubblico demanio, come quella che dipende da determinazioni di ordine politico, è eminentemente storica e di diritto positivo. Non vi sono criteri fissi e generali, ma la determinazione dipende da quella dei compiti che la pubblica amministrazione si riserva in un dato momento e dal rapporto necessario che si stabilisce tra quei compiti e dati beni: i beni che formano parte del demanio pubblico devono pertanto essere indicati in modo preciso dalla legge. Nel procedere all'elencazione di tali beni, li ho distinti in due categorie. Dei beni della prima categoria, enumerati nel primo comma dell'art. 822 del c.c., è esclusa l'appartenenza a soggetti diversi dallo Stato: tale è il caso del lido del mare, della spiaggia, delle rade e dei porti; dei fiumi, dei torrenti, dei laghi e delle altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia: delle opere destinate alla difesa nazionale. I beni della seconda categoria, enumerati nel secondo comma dell'art. 822, possono invece appartenere allo Stato ovvero ad altri soggetti, e come fanno parte del demanio pubblico allorché appartengono allo Stato, così sono assoggettati al regime del demanio pubblico quando appartengono alle provincie o ai comuni (art. 824 del c.c.). La demanialità dei beni dell'una e dell'altra categoria è per taluni beni inerente alla loro destinazione all'uso pubblico; per altri, invece, alla loro destinazione a fini di pubblico interesse; per altri, ancora, alla loro importanza quali elementi del patrimonio spirituale della Nazione. Tra questi ultimi beni sono comprese alcune universalità di mobili: le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi e delle biblioteche. L'importanza storica, culturale e politica di questi beni sembra giustificare tale deroga al principio tradizionale che limiterebbe la demanialità ai soli immobili; d'altra parte, le collettività dei mobili sono dalla legge equiparate anche ad altri effetti ai beni immobili: per cui la disposizione può considerarsi non del tutto in contrasto con il principio anzidetto. La demanialità investe l'universalità, non ciascun bene singolarmente considerato: avulsi, nei modi di legge, dalla raccolta, i beni che la compongono si sottraggono al regime del demanio pubblico.

Massime relative all'art. 822 Codice Civile

Cass. civ. n. 7223/2022

L'area posta a strapiombo sulla scogliera lungo la quale si infrange il mare appartiene al demanio marittimo in quanto diuturnamente assoggettata alle onde del mare e alle maree, assumendo rilievo non già la natura del terreno (spiaggia con o senza arenile o scogliera), bensì il suo coinvolgimento dallo spostamento delle sue acque, tenuto conto anche delle maree.

Cass. civ. n. 29592/2021

In tema di identificazione del demanio marittimo, il lido del mare si identifica con quella porzione di riva che non solo è a contatto diretto, nel suo limite esterno, con le acque del mare, ma ne resta normalmente coperta a mezzo delle ordinarie mareggiate, riuscendone pertanto impossibile ogni altro uso, che non sia quello marittimo o pubblico.

Cass. civ. n. 16395/2021

Il canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP) costituisce il corrispettivo dell'utilizzazione particolare (o eccezionale) di beni pubblici e non richiede un formale atto di concessione, essendo sufficiente l'occupazione di fatto dei menzionati beni, sicché la società, concessionaria statale, che abbia realizzato e gestito un'opera pubblica, occupando di fatto spazi rientranti nel demanio comunale o provinciale, è tenuta al pagamento del canone, non assumendo rilievo il fatto che l'opera sia di proprietà statale, poiché la condotta occupativa è posta in essere dalla società nello svolgimento, in piena autonomia, della propria attività d'impresa. (Nella specie, la S.C. ha respinto il ricorso contro la decisione di merito, ritenendo obbligata al pagamento del COSAP la concessionaria autostradale che aveva realizzato, e utilizzato, dei "pontoni" sovrastanti tratti di strada provinciale).

Cass. civ. n. 22569/2020

La sdemanializzazione di una strada può avvenire anche tacitamente, indipendentemente da un atto formale di sclassificazione o di inclusione o meno nell'elenco comunale delle strade, quale conseguenza della cessazione della destinazione del bene al passaggio pubblico, in virtù di atti o fatti, univoci ed incompatibili con la volontà di conservare quella destinazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto esser venuta meno la demanialità di una "mulattiera" - distante dall'agglomerato urbano e percorribile, datane la considerevole pendenza, soltanto da animali da soma - sulla base dell'impossibilità di rilevarne il tracciato, per essere ormai, da lungo tempo, interamente ricoperto da vegetazione, non manutenuto e non utilizzato a fini agricoli).

Cass. civ. n. 18511/2020

Per stabilire se un'area rivierasca debba o meno essere considerata appartenente al demanio marittimo, mentre risulta indifferente la natura geografica del terreno, sono decisive le seguenti circostanze: 1) che l'area sia normalmente coperta dalle mareggiate ordinarie; 2) che, sebbene non sottoposta a mareggiate ordinarie, sia stata in antico sommersa e tuttora utilizzabile per uso marittimo; 3) che, comunque, il bene sia necessariamente adibito ad usi attinenti alla navigazione (accesso, approdo, tirata in secco di natanti, operazioni attinenti alla pesca da terra, operazioni di balneazione) anche solo allo stato potenziale.

Cass. civ. n. 14645/2017

Gli alvei dei fiumi e dei torrenti, costituiti da quei tratti di terreno sui quali l'acqua scorre fino al limite delle piene normali, rientrano nell'ambito del demanio idrico, per cui le sponde o rive interne - ossia quelle zone soggette ad essere sommerse dalle piene ordinarie - sono comprese nel concetto di alveo, e costituiscono quindi beni demaniali, a differenza delle sponde e rive esterne che, essendo soggette alle sole piene straordinarie, appartengono, invece, ai proprietari dei fondi rivieraschi, e sulle quali può pertanto insistere un manufatto occupato da persone.

Cass. civ. n. 18215/2015

Tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche ai sensi dell'art. 1 della l. n. 36 del 1994, sicché, tranne particolari categorie oggetto di disciplina speciale, esse rientrano nel demanio idrico e sono incommerciabili, a prescindere dalla loro attitudine a soddisfare un pubblico interesse. (Principio affermato riguardo alle acque del lago di Lucrino).

Cass. civ. n. 6619/2015

Qualora venga in discussione l'appartenenza di un determinato bene, nella sua attuale consistenza, al demanio naturale, il giudice ha il potere-dovere di controllare ed accertare con quali caratteri obiettivi esso si presenti al momento della decisione giudiziale, sicché, nel caso in cui un bene acquisisca la connotazione di lido del mare, inteso quale porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, ovvero di spiaggia (ivi compreso l'arenile), che comprende quei tratti di terra prossimi al mare, che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie, esso assume i connotati naturali di bene appartenente al demanio marittimo necessario, indipendentemente da un atto costitutivo della P.A. o da opere pubbliche sullo stesso realizzate, mentre il preesistente diritto di proprietà privata subisce una corrispondente contrazione, fino, se necessario, alla totale eliminazione, sussistendo, ormai, quei caratteri che, secondo l'ordinamento giuridico vigente, precludono che il bene possa formare oggetto di proprietà privata.

Cass. civ. n. 26036/2013

Nell'ipotesi in cui il proprietario di un suolo sito sull'alveo di un lago realizzi una darsena mediante escavazione del proprio suolo, facendo sì che l'acqua lacustre allaghi lo scavo, non è possibile scindere tra proprietà privata del suolo e proprietà demaniale dell'acqua e così ritenere che la darsena appartenga al privato, salvo il diritto della P.A. alla derivazione. Al contrario, posti i principi di inseparabilità tra acqua ed alveo e di inalienabilità dei beni del demanio pubblico, deve ritenersi che, per accessione alla cosa principale, il terreno, originariamente privato ma trasformato in darsena, sia divenuto anch'esso demaniale.

Cass. civ. n. 19703/2012

Ai fini dell'individuazione dei terreni ricompresi nel demanio per la loro contiguità a corsi d'acqua pubblici, opera il principio per cui l'estensione dell'alveo, suscettibile di detta ricomprensione, agli effetti dell'art. 943 c.c., deve essere determinata con riferimento alle piene ordinarie, senza tener conto del perturbamento determinato da cause eccezionali, né computarsi l'altezza delle opere antropiche realizzate su detti terreni, le quali rimangono acquisite al demanio per accessione una volta accertata la demanialità dell'area su cui siano sorte.

Il demanio lacuale, analogamente al demanio marittimo, comprende l'alveo, cioè l'estensione che viene coperta dal bacino idrico con le piene ordinarie, e la spiaggia, cioè quei terreni contigui lasciati scoperti dalle acque nel loro volume ordinario, che risultano necessari e strumentali al soddisfacimento delle esigenze della collettività di accesso, sosta e transito (per trasporto, diporto, esercizio della pesca ecc..). A tal fine, l'alveo deve essere determinato con riferimento alle piene ordinarie allo sbocco del lago, e, quindi, mediante dati emergenti da rilevamenti costanti nel tempo, i quali siano idonei ad identificare la normale capacità del bacino idrografico, al di fuori di perturbamenti provocati da cause eccezionali; mentre la spiaggia, alla stregua della sua indicata natura, va individuata mediante accertamenti specifici, per ogni singolo tratto della riva, rivolti a stabilire, in relazione alle caratteristiche dei luoghi, la porzione di terreno coinvolta dalle menzionate esigenze generali, non potendo, pertanto, essere globalmente ed indiscriminatamente classificata e perimetrata dall'amministrazione in base alla mera fissazione di una quota sul livello del mare.

Cass. civ. n. 3665/2011

Dalla applicazione diretta degli artt. 2, 9 e 42 Cost. si ricava il principio della tutela della personalità umana e del suo corretto svolgimento, nell'ambito dello Stato sociale, anche in relazione al "paesaggio", con specifico riferimento non solo ai beni costituenti, per classificazione legislativa-codicistica, il demanio e il patrimonio oggetto della "proprietà" dello Stato, ma anche riguardo a quei beni che, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione, risultino, sulla base di una compiuta interpretazione dell'intero sistema normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività e che - per tale loro destinazione alla realizzazione dello Stato sociale - devono ritenersi "comuni", prescindendo dal titolo di proprietà, risultando così recessivo l'aspetto demaniale a fronte di quello della funzionalità del bene rispetto ad interessi della collettività. (Principio enunciato a proposito delle c.d. valli da pesca della laguna di Venezia).

In tema di beni pubblici, il connotato della "demanialità" esprime una duplice appartenenza, alla collettività ed al suo ente esponenziale, dovendosi intendere la titolarità in senso stretto come appartenenza di servizio, nel senso che l'ente esponenziale può e deve assicurare il mantenimento delle specifiche rilevanti caratteristiche del bene e la sua concreta possibilità di fruizione; ne consegue che la titolarità dei beni demaniali allo Stato o agli altri enti territoriali non è fine a sé stessa e non rileva solo sul piano della "proprietà", ma comporta per l'ente titolare anche la sussistenza di oneri di "governance" finalizzati a rendere effettive le varie forme di godimento e di uso pubblico del bene. (Principio enunciato in relazione alle c.d. valli da pesca della laguna di Venezia).

Cass. civ. n. 23705/2009

L'appartenenza di una strada ad un ente pubblico territoriale può essere desunta da una serie di elementi presuntivi aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall'art. 2729 c.c., non potendo reputarsi, a tal fine, elemento da solo sufficiente l'inclusione o meno della strada stessa nel relativo elenco, già previsto dall'art. 8 della legge n. 126 del 1958, avente natura dichiarativa e non costitutiva, ed avendo carattere relativo la presunzione di demanialità di cui all'art. 22 della legge n. 2248 del 1865, all. F. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva riconosciuto ad una strada natura comunale in forza di plurime circostanze e, segnatamente, dall'inclusione nelle mappe catastali, dalla classificazione come comunale da parte del Consiglio dell'ente territoriale, dall'attività di manutenzione effettuata dall'ente, dall'inclusione nella toponomastica cittadina con attribuzione di numerazione civica e, infine, dalla mancanza di elementi validi a sostegno del contrario assunto sulla natura privata della strada medesima).

Cass. civ. n. 17737/2009

Mentre il lido del mare è quella porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, sicché ne riesce impossibile ogni altro uso che non sia quello marittimo, la spiaggia comprende non solo quei tratti di terra prossimi al mare, che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie, ma anche l'arenile cioè quel tratto di terraferma che risulti relitto dal naturale ritirarsi delle acque, restando idoneo ai pubblici usi del mare, anche se in via soltanto potenziale e non attuale. Pertanto, perché l'arenile sia compreso nel demanio marittimo non è sufficiente che sia derivato dall'abbandono del mare, ma è necessario che non abbia perso l'attitudine potenziale a realizzare i pubblici usi del mare. L'accertamento di tale circostanza in giudizio deve essere effettuato con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della decisione, mentre i titoli esibiti dalle parti possono costituire soltanto utili e concreti elementi di giudizio, liberamente apprezzabili dal giudice. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la natura demaniale di un terreno sulla scorta della descrizione dei luoghi contenuta in una consulenza tecnica d'ufficio, avvalorata da un verbale di delimitazione della zona del demanio marittimo, pur non approvato dal direttore marittimo, dal quale risultava che detto terreno non apparteneva al demanio).

Cass. civ. n. 10817/2009

A differenza di quanto previsto dall'art. 829 c.c. - secondo cui il passaggio di un bene dal demanio pubblico al patrimonio ha natura dichiarativa e può avvenire anche tacitamente - per i beni appartenenti al demanio marittimo, tra i quali si include la spiaggia, comprensiva dell'arenile, non è possibile che la sdemanializzazione si realizzi in forma tacita, essendo necessaria, ai sensi dell'art. 35 cod. nav, l'adozione di un espresso e formale provvedimento della competente autorità amministrativa, avente carattere costitutivo.

Nel demanio marittimo è incluso, oltre il lido del mare e la spiaggia, anche l'arenile, ovvero quel tratto di terraferma che risulti relitto dal naturale ritirarsi delle acque, e la sua natura demaniale - derivante dalla corrispondenza con uno dei beni normativamente definiti negli artt. 822 c.c. e 28 c.n. - permane anche qualora una parte di esso sia stata utilizzata per realizzare una strada pubblica, non implicando tale evento la sua sdemanializzazione, così come la sua attitudine a realizzare i pubblici usi del mare non può venir meno per il semplice fatto che un privato abbia iniziato ad esercitare su di esso un potere di fatto, realizzandovi abusivamente opere e manufatti.

Cass. civ. n. 4388/2009

In tema di usucapione, grava sulla P.A., convenuta nel relativo giudizio, l'onere di dimostrare la natura demaniale del bene oggetto del contendere, e di conseguenza la sua inidoneità ad essere usucapito. A tal fine, è tuttavia insufficiente che la natura demaniale del bene risulti dall'intavolazione dell'atto col quale la P.A. abbia acquistato il bene, giacché l'iscrizione tavolare effettuata ai sensi dell'art. 2 del r.d. 28 marzo 1929, n. 449 ha efficacia costitutiva del diritto, ma non certificativa della natura o dell'estensione di esso.

Cass. civ. n. 10876/2008

A seguito dell'entrata in vigore dell'art. 822 c.c., l'appartenenza dei laghi al demanio pubblico prescinde dalla sussistenza delle condizioni previste dall'art. 1, primo comma, del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775 essendo sufficiente, per l'attribuzione della demanialità, l'accertamento in uno specchio d'acqua dei caratteri idrografici di un lago e non di uno stagno e non assumendo rilievo il mancato inserimento nell'elenco delle acque pubbliche, data la natura dichiarativa del relativo provvedimento.

Cass. civ. n. 21245/2007

In relazione alle strade vicinali, benché la loro natura di beni privati di interesse pubblico faccia presumere (fino a prova contraria) l'esistenza sulle medesime di una servitù di uso pubblico a favore del Comune, ai fini del riconoscimento del diritto di comproprietà a favore dei proprietari dei fondi latistanti è necessario allegare e provare di aver conferito, in vario modo e misura, il sedime della strada.

Cass. civ. n. 4975/2007

Affinché un'area privata venga a far parte del demanio, non è sufficiente che essa sia destinata all'uso pubblico, ma è invece necessario che sia intervenuto un atto o un fatto che ne abbia trasferito il dominio alla P.A., e che essa sia destinata all'uso pubblico dalla stessa P.A., a meno che non possa operare, trattandosi di aree adiacenti a una strada pubblica, la presunzione di demanialità stabilita dall'art. 22 della legge n. 2248 del 1865, all. F - la quale sancisce una presunzione iuris tantum di proprietà pubblica di quegli spazi adiacenti alle strade comunali che, per l'immediata accessibilità, appaiono parte integrante (pertinenza) della strada, salvo prova contraria idonea a dimostrare il carattere privato degli stessi spazi. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva riconosciuto la natura pubblica di uno slargo adiacente una via comunale, benché fosse privo di sbocchi di transito e potesse essere utilizzato dai soli frontisti, oltre a risultare in parte catastalmente intestato ai suddetti privati).

Cass. civ. n. 13834/2005

Ai fini dell'individuazione dei terreni ricompresi nel demanio per la loro contiguità a corsi d'acqua pubblici, opera il principio per cui l'estensione dell'alveo, suscettibile di detta ricomprensione, deve essere determinata con riferimento alle piene ordinarie, senza tenere conto del perturbamento determinato da cause eccezionali.

Cass. civ. n. 17387/2004

La casa cantoniera - in base all'art. 22, secondo comma della legge 20 marzo 1865, n. 2248, ribadito da ultimo dall'art. 24 del D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285 - costituisce pertinenza della strada e partecipa quindi al suo carattere di demanialità quando la strada stessa appartiene ad un ente pubblico territoriale. Ne consegue che la perdita del carattere demaniale della casa cantoniera può essere solo l'effetto della perdita dello stesso carattere della strada (salvo diversa disposizione a norma dell'art. 818 c.p.c.).

Cass. civ. n. 12272/2004

Nel nostro ordinamento, le acque pubbliche fanno parte, salva diversa previsione legale, del demanio necessario (idrico) dello Stato, come risulta dall'art. 822 c.c. e dal regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 e come è ribadito dal D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616; questa regola non trova eccezione, in favore dei Comuni, nella successiva normativa sul riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183, giacché l'art. 11 di detta legge, se affida ai Comuni, unitamente ad altri soggetti, il compito di partecipare alle funzioni riguardanti il riassetto delle acque in materia di difesa del suolo, non attribuisce ad essi la titolarità di alcun diritto dominicale sulle stesse acque pubbliche, titolarità che neppure è ricavabile dall'interesse dell'ente locale alla corretta gestione delle acque sul proprio territorio, a norma dell'art. 4 della legge 5 gennaio 1994, n. 36.

Cass. civ. n. 10304/2004

Costituiscono lido e spiaggia, e come tali sono comprese nel demanio marittimo, ai sensi degli artt. 822 c.c. e 28 cod. nav, la striscia di terreno immediatamente a contatto con il mare, e comunque coinvolta dallo spostamento delle sue acque, tenuto conto anche delle maree, nonché quell'ulteriore porzione, fra detta striscia e l'entroterra, che venga concretamente interessata dalle esigenze di pubblico uso del mare.

Per stabilire se un'area rivierasca debba o meno essere considerata appartenente al demanio marittimo, mentre risulta indifferente la natura geografica del terreno, sono decisive le seguenti circostanze: 1) che l'area sia normalmente coperta dalle mareggiate ordinarie; 2) che, sebbene non sottoposta a mareggiate ordinarie, sia stata in antico sommersa e tuttora utilizzabile per uso marittimo; 3) che, comunque, il bene sia necessariamente adibito ad usi attinenti alla navigazione (accesso, approdo, tirata in secco di natanti, operazioni attinenti alla pesca da terra, operazioni di balneazione) anche solo allo stato potenziale.

Cass. civ. n. 4769/2004

Il lido del mare - da intendersi come quella porzione di riva che è a contatto diretto, nel suo limite esterno, con le acque del mare e che resta normalmente coperta dalle ordinarie mareggiate, sicché ne riesce impossibile ogni altro uso oltre quello marittimo o pubblico - appartiene allo Stato e fa parte del demanio pubblico dello Stato stesso, ai sensi dell'art. 822, primo comma, c.c.: pertanto, il suo utilizzo non può costituire oggetto di concessione da parte di un ente territoriale diverso dallo Stato, atteso anche che l'art. 824, primo comma, del codice medesimo assoggetta al regime dei beni demaniali, se appartenenti alle province o ai comuni, soltanto i beni della specie di quelli indicati dal secondo comma del citato art. 822, tra i quali non è compreso il lido del mare.

Cass. civ. n. 915/2003

La strada interpoderale o vicinale, iscritta negli elenchi comunali, si presume assoggettata al pubblico transito, diritto reale dell'ente esponenziale estinguibile soltanto per volontà anche implicita del medesimo, irrilevante essendo al riguardo che la via sia chiusa da un lato, senza sbocco su altra strada.

Cass. civ. n. 1552/2002

È esclusa la demanialità della darsena costruita su suolo privato circondato da proprietà privata con accesso al lago mediante un lungo canale che regola il flusso e il deflusso delle acque, in assenza di una modificazione strutturale del lago, quale situazione di fatto, mediante espansione dell'alveo fino alla darsena, valevole come modo di acquisto per tale bene artificiale della qualità di bene pubblico.

Cass. civ. n. 2092/2000

In tema di demanio comunale, al fine di provare la proprietà in capo al comune di un terreno non è sufficiente una certificazione proveniente dallo stesso comune.

Cass. civ. n. 823/2000

Affinché un'area privata venga a far parte del demanio stradale e assuma, quindi, la natura di strada pubblica, non basta né che vi si esplichi di fatto il transito del pubblico (con la sua concreta, effettiva e attuale destinazione al pubblico transito e la occupazione sine titulo dell'area da parte della pubblica amministrazione), né la mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica, né l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta, ma è necessario che la strada risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in base a un atto o a un fatto (convenzione, espropriazione, usucapione, ecc.) idoneo a trasferire il dominio e che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell'ente all'uso pubblico (inequivocabile è in tal senso l'inciso «se appartengono... ai comuni» proprio dell'art. 824, primo comma, c.c.).

Cass. civ. n. 361/1999

A norma degli artt. 1 T.U. n. 1775 del 1933 e 822 c.c., fanno parte di un corso d'acqua pubblico, e perciò appartengono al demanio idrico, non solo il letto di magra del fiume, ma anche le zone che, comprese tra questo e l'argine (naturale ed artificiale), sono soggette a rimanere sommerse in caso di piene ordinarie; a tal fine il livello della piena ordinaria di un corso d'acqua pubblico va determinato in base alla congiunta valutazione dell'elemento quantitativo e di quello temporale, dovendosi considerare come quota raggiunta dalla piena ordinaria il livello massimo attinto dalle acque in un numero di anni talmente prevalente rispetto a quelli del residuo periodo (all'uopo sufficientemente lungo) preso in considerazione, da rappresentare la norma.

Cass. civ. n. 12701/1998

Fanno parte del demanio idrico, perché rientrano nel concetto di alveo, le sponde e le rive interne dei fiumi, cioè le zone soggette ad essere sommerse dalle piene ordinarie (mentre le sponde e le rive esterne, che possono essere invase dalle acque solo in caso di piene straordinarie, appartengono ai proprietari dei fondi rivieraschi), ed altresì gli immobili che assumono natura di pertinenza del medesimo demanio per l'opera dell'uomo, in quanto destinati al servizio del bene principale per assicurare allo stesso un più alto grado di protezione. Tale rapporto pertinenziale e la conseguente demanialità del bene accessorio permangono fino al momento in cui la pubblica amministrazione manifesti la sua volontà di sottrarre la pertinenze alla sua funzione, mentre la sdemanializzazione non può desumersi da comportamenti omissivi della medesima. (Nella specie, la P.A. aveva espropriato un'area limitrofa al Brenta per la ricostruzione dell'alveo del fiume dopo un'alluvione e l'argine era stato ripristinato con l'inserimento di una «banca» e di una «sotto-banca» di rinforzo, sulla quale ultima successivamente un privato aveva costruito un fabbricato; la S.C. ha confermato la impugnata sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche, con cui era stata rigettata l'azione del privato di accertamento del suo diritto di proprietà relativamente all'area su cui insisteva detto edificio, sulla base del rilievo della qualità di pertinenza demaniale della sottobanca, che, pur non essendo permeata dalle acque di piena ordinaria, era inseparabile strutturalmente dall'alveo e poteva assolvere una funzione protettiva con continuità e non per esigenze solo momentanee).

Cass. civ. n. 10253/1997

Quando non si tratta di beni del demanio necessario, la demanialità non è una qualifica attribuita ad un bene in funzione del titolo di acquisto o della volontà inattuata di una determinata destinazione demaniale o del modo di atteggiarsi del potere di disposizione, ma una qualifica che attiene alla destinazione concreta del bene ed alla sua caratterizzazione funzionale secondo taluna delle varie destinazioni ad uso pubblico previste dalla legge per ciascuna delle categorie dei beni demaniali. Pertanto, deve escludersi che i beni acquistati dallo Stato in R.D. 7 luglio 1866 n. 3036 ed alla cosiddetta liquidazione dell'asse ecclesiastico, attuata con legge 15 agosto 1867 n. 3848, siano di diritto entrati a far parte del demanio pubblico indipendentemente dalla loro concreta destinazione ad una pubblica funzione non essendo in tal senso indicative le disposizioni degli artt. 2 del citato R.D. n. 3848 ed 11 del citato R.D. n. 3036, che, nel prevedere la devoluzione al «demanio» dello Stato dei beni dei soppressi enti morali, si sono riferite al patrimonio dello Stato seguendo il linguaggio del tempo, in cui il predetto sostantivo indicava il complesso dei beni appartenenti allo Stato o agli altri enti pubblici territoriali, nell'ambito del quale si distingueva il demanio pubblico dal demanio privato (fiscale o patrimoniale) a seconda della destinazione del bene e del regime della proprietà (pubblica o privata) a cui questo veniva concretamente assoggettato.

Cass. civ. n. 5522/1996

La presunzione di demanialità stabilita dall'art. 22 della L. n. 2248 del 1865, all. F — la quale non si riferisce ad ogni area comunicante con la strada pubblica, ma solo a quelle aree che, per l'immediata accessibilità, appaiono integranti della funzione viaria della rete stradale, in guisa da costituire pertinenza della strada — ha carattere relativo e, come tale, è destinata a cadere di fronte all'esistenza di elementi probatori che, secondo il prudente ed incensurabile apprezzamento del giudice di merito, siano idonei a dimostrare il carattere privato degli spazi medesimi.

Cass. civ. n. 3117/1995

L'iscrizione delle strade negli appositi elenchi (che richiede l'accertamento dell'uso pubblico e la sua destinazione alla funzione di collegamento di parti del territorio comunale), secondo la procedure prevista dalle leggi in materia, ha carattere meramente dichiarativo e non costitutivo, cosicché l'iscrizione stessa crea una presunzione di appartenenza della strada all'ente cui essa è attribuita, presunzione che può essere vinta con la prova contraria della sua natura privata e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività.

Cass. civ. n. 6337/1994

Al fine di determinare l'appartenenza di una strada al demanio comunale, costituiscono indici di riferimento, oltre che l'uso pubblico, cioè l'uso da parte di un numero indeterminato di persone (il quale, isolatamente considerato, potrebbe indicare solo una servitù di passaggio), la ubicazione della strada all'interno dei luoghi abitati, l'inclusione nella toponomastica del comune, l'apposizione della numerazione civica, il comportamento della pubblica amministrazione nel settore dell'edilizia e dell'urbanistica e l'assoggettamento dei cittadini alla prassi determinata da tale comportamento (presupponente la natura pubblica della strada). Per converso, non può ritenersi elemento da solo sufficiente l'inclusione o rispettivamente la mancata inclusione nell'elenco delle strade comunali, stante la natura dichiarativa e non costitutiva dell'elenco anzidetto.

Cass. civ. n. 5491/1994

In tema di individuazione dei terreni ricompresi nel demanio per la loro contiguità a laghi pubblici, opera, secondo il criterio desumibile dall'art. 943 c.c., il principio per cui l'estensione dell'alveo — suscettibile della detta ricomprensione — deve essere determinata con riferimento al livello delle piene ordinarie allo sbocco del lago, senza che si possa tener conto del perturbamento determinato da cause eccezionali (meteoriche, geosismiche o prodotte dall'opera dell'uomo per esigenze momentanee) e senza che dall'alveo propriamente detto possa distinguersi il lido, che, invece, è una componente strutturale del primo, come sopra individuato, potendo soltanto l'alveo stesso distinguersi dalla «spiaggia», come zona di terreno scoperto contigua all'alveo, la quale, ove esistente, resta assoggettata al regime della demanialità per i pubblici usi del lago.

Cass. civ. n. 2539/1994

La circostanza che una strada sia attraversata da una linea ferrata non influisce sulla natura (pubblica o privata) della strada, essendo giuridicamente possibile che una ferrovia intersechi una strada privata (o sia da questa intersecata) dando luogo ad una servitù sulla strada o sulla linea ferrata o anche, nel caso di demanialità della ferrovia, ad un uso speciale di questa, sul punto di intersezione per effetto di concessione di attraversamento in favore degli utenti della strada.

Cass. civ. n. 6201/1990

Una strada privata diventa pubblica quando la destinazione pubblica segua o si accompagni all'acquisto della proprietà del suolo stradale da parte della pubblica amministrazione, in base ad un atto o fatto (convenzione, espropriazione, usucapione) idoneo a trasferirne il dominio, con la conseguenza che l'atto con il quale il proprietario del fondo, a cui vantaggio sia costituita una servitù di transito sul fondo altrui, trasferisca al comune tale diritto di transito, deve ritenersi inidoneo a consentire al predetto comune l'esercizio di diritti di supremazia pubblica sul fondo servente.

Cass. civ. n. 2352/1984

Al fine di individuazione e delimitazione di un bene demaniale, i rilievi e le misurazioni scritte che un tecnico della pubblica amministrazione abbia effettuato al diverso scopo di predisporre un progetto di lavori riguardanti il bene medesimo, possono fornire meri indizi, quali scritti provenienti da terzi, ma non assumere l'efficacia probatoria dell'atto pubblico o della certificazione amministrativa, difettando il requisito del conferimento all'autore dei suddetti atti di una pubblica funzione di documentazione o certificazione.

Cass. civ. n. 6919/1983

L'occupazione di un terreno privato da parte del comune, integrante un fatto illecito in difetto di provvedimento autorizzativo, la quale sia eseguita dalla irreversibile destinazione del bene nella realizzazione di una strada comunale ad uso pubblico, comporta, salva restando la responsabilità risarcitoria del comune medesimo per quell'illecito, l'estinzione del diritto di proprietà del privato e la contestuale acquisizione del terreno stesso al demanio dell'ente territoriale, a titolo originario.

Cass. civ. n. 4056/1978

Nella controversia circa il regime reale di un bene immobile, le risultanze catastali non hanno valore probatorio decisivo, bensì soltanto valore indiziario. (Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza del merito, con cui si era ritenuto che, controvertendosi circa la natura demaniale di un fondo, le risultante del catasto italiano, da cui il fondo appariva come non demaniale, non bastavano a provare la sdemanializzazione, ma che nemmeno le risultanze del vecchio catasto pontificio, in cui il fondo appariva come strada comunale, bastavano a provarne la demanialità).

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Consulenze legali
relative all'articolo 822 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

D. M. chiede
lunedì 06/06/2022 - Umbria
“Abito in Umbria (Perugia) sulla strada comunale. C'è un tubo dell'acqua ma il tubo dal comune finisce a casa dei nostri vicini ed è piccolo: è stato installato 15 anni fa. Serve 10 case lungo la strada -- siamo l'ultima casa (N. 11) ma non estenderanno la linea a noi e invece dicono che dobbiamo installare una nuova linea a nostre spese che tutti i 10 vicini potranno usare perché sarà più grande e migliore.

Il comune e il gestore, Umbra Acque, hanno affermato che non posso collegarmi alla condotta esistente perché "non è in grado di servire direttamente l'utenza richiesta in quanto non ha caratteristiche idrauliche idonee". Non ho mai visto prove di questo.
Hanno anche affermato che "spetterà all'utente (me) installare un nuovo tubo a proprie spese".

La domanda è: perché devo pagare io stesso questa nuova pipa? Non è di competenza del comune o del gestore se si trova sulla strada comunale? E poi se pago l'installazione, come possono attaccarsi gratuitamente tutti i miei vicini? Ciò non ha senso. Vogliono da me 30mila euro ma il comune, il gestore, né i vicini non contribuiranno nulla. Mi potete aiutare?

Grazie!”
Consulenza legale i 22/06/2022
In primo luogo, è opportuno chiarire i motivi della richiesta di Umbra Acque, che il soggetto gestore del servizio idrico integrato della Regione Umbria.

L’art. 7 del Regolamento di gestione del sistema idrico integrato stabilisce che di norma si considera direttamente allacciabile alla rete di distribuzione dell’acquedotto un potenziale utente che è posizionato ad una distanza massima di 20 ml dalla rete di distribuzione. Solo in tal caso, si applica quanto previsto in Carta del Servizio Idrico.
Per le distanze comprese tra i 20 e i 70 ml il Gestore è tenuto a inviare al potenziale utente uno specifico computo metrico con i costi preventivati delle opere di allacciamento.
Per distanze superiori ai 70 ml (come quella oggetto della richiesta di parere), invece, la richiesta dell’utente non viene considerata come un nuovo allaccio, bensì come una vera e propria estensione di rete, per la quale il richiedente, a sue spese, deve produrre degli elaboratori tecnici utili alla richiesta di opportuno parere del Gestore, sentito il Comune di appartenenza (art. 10 Regolamento cit.).

Pertanto, se le nuove condotte che Umbra Acque richiede di realizzare non sono considerate un allaccio a favore di un singolo immobile/utente finale, bensì un’estensione della rete a servizio della collettività, possono essere utilizzate da tutti i proprietari frontisti sulla stessa via.

Tanto premesso, va chiarito che la legislazione in materia di acque e di organizzazione del servizio idrico integrato è abbastanza intricata e caratterizzata da una frammentazione e stratificazione di norme e competenze di vari livelli, che rendono abbastanza complessa l’analisi della questione.
Senza dilungarci eccessivamente, per quanto riguarda la proprietà delle reti si può ricordare l’art. 143, D. Lgs. n. 152/2006, ai sensi del quale gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti del codice civile e sono inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge.
La tutela di tali beni, comunque, spetta anche all'ente di governo dell'ambito, ai sensi dell'art. 823, secondo comma, c.c..

Di norma, l'adeguamento del servizio idrico dovrebbe andare di pari passo con l’espansione edilizia e tale compito (in collaborazione con il gestore del servizio) rimane di competenza degli Enti locali (art. 157, D. Lgs. n. 152/2006), che infatti incassano gli oneri di urbanizzazione per ogni intervento che determini un aggravio sul carico urbanistico.
L’art. 17 del Regolamento di gestione del servizio idrico riprende tale disposizione relativa ai nuovi interventi urbanizzativi, aggiungendo che le spese sono a carico del soggetto che realizza la nuova edificazione.

In merito al servizio idrico, per quanto qui ci occupa va poi ricordata la L.R. Umbria n. 13/2011, che dichiaratamente persegue la finalità di garantire la disponibilità e accesso individuale e collettivo all’acqua in quanto diritto universale, fondamentale e inviolabile della persona.
Tale Legge ha istituito un’unica autorità regionale per i servizi idrici e per il servizio rifiuti, chiamata AURI, che esercita le funzioni di organizzazione del servizio, nonché la scelta della forma di gestione, il suo affidamento (nel nostro caso il gestore è Umbra Acque) e il relativo controllo.
Vi sono, dunque, almeno tre soggetti (Comune, Auri e Umbra Acque), che hanno a vario titolo la competenza ad intervenire nel caso specifico, con tutto ciò che ne consegue in tema di mancato coordinamento tra Enti e “rimpalli” burocratici.

In ogni caso, da quanto sopra è possibile trarre le seguenti conclusioni:
1- se il fabbricato è di nuova costruzione o, comunque, è stato oggetto di interventi edilizi importanti che hanno determinato un aumento del carico urbanistico, i costi degli interventi di adeguamento della rete purtroppo paiono dover essere addossate al solo soggetto che richiede l’allaccio;
2- se la inadeguatezza della rete è pre-esistente e non riconducibile all’attuale proprietario dell’edificio, vi potrebbe essere spazio per chiedere perlomeno al Comune (proprietario della rete) di farsi carico in parte dei costi, ricollegandosi all’art. 1, L. R. Umbria n. 13/2011 e al diritto in essa sancito di accesso all’acqua pubblica.

Una volta chiarito che non ci si trova nella situazione di cui al punto 1, pare opportuno formulare una richiesta nei sensi di cui al punto 2 nei confronti del Comune, possibilmente coinvolgendo anche gli altri vicini che andrebbero a beneficiare dell’estensione della rete.


Stefano M. chiede
lunedì 13/03/2017 - Lazio
“Il sistema delle concessioni che gli enti pubblici attivano nel caso dell'uso dei beni comuni indisponibili e che genera contratto unilaterali non è lesivo dei diritti del concessionario dato che questi non viene messo sullo stesso piano del concedente?”
Consulenza legale i 21/03/2017
Per rispondere alle osservazioni poste con il quesito in esame si ritiene possa essere sufficiente riportare quanto affermato da un autorevole giurista, Massimo Severo Giannini, il quale, nel cercare di spiegare come mai i beni pubblici oggetto di concessione costituiscano pur sempre “proprietà pubblica in senso oggettivo”, riservata originariamente al pubblico potere, scriveva: «se un fiume cambia alveo, il nuovo alveo è pubblico. Se un’alluvione crea una spiaggia, ove prima era acqua, essa è subito pubblica. Non appena una strada viene ad esistenza, essa è bene pubblico».
Il concetto che si voleva esprimere, dunque, è quello che la natura pubblica di questi beni permane anche in seguito all’emanazione del provvedimento concessorio, ed è proprio da tale concetto che occorre prendere spunto per spiegare il perché un concessionario di beni pubblici si viene a trovare in una posizione deteriore rispetto all’ente pubblico concedente.

Come ben noto, il Codice Civile vigente dedica ai beni appartenenti allo Stato, agli enti pubblici e agli enti ecclesiastici gli articoli da 822 a 831, distinguendo nel corpo di tali norme il demanio pubblico dal patrimonio indisponibile e da quello disponibile (a ciascuna categoria corrisponde un diverso regime giuridico).
I beni demaniali e patrimoniali indisponibili sono sottoposti ad un regime speciale di stampo pubblicistico, finalizzato a preservare l’utilità pubblica cui sono strumentali (si dice, infatti, che sono strumenti che la Pubblica Amministrazione usa per perseguire propri interessi e fini); per converso, i beni appartenenti al patrimonio disponibile sono sottoposti ad una disciplina di natura essenzialmente privatistica.

Nel sistema giuridico italiano l’utilità pubblica cui sono destinati i beni demaniali e patrimoniali indisponibili può essere perseguita attraverso tre distinti modi:
  1. un uso esclusivo da parte della stessa Amministrazione
  2. un uso generale, da parte di qualsiasi soggetto pubblico o privato
  3. un uso particolare, da parte di soggetti pubblici o privati cui è riservato un certo utilizzo del bene (con esclusione di altri individui da qualsiasi uso del medesimo bene o solo da particolari usi di esso).
E’ proprio quest’ultima forma di uso quella che qui ci interessa, per mezzo della quale si realizza una vera e propria riserva di utilizzazione, che può trovare il suo fondamento nella legge o in un atto amministrativo, come appunto la concessione.
La struttura e configurazione giuridica che la concessione amministrativa normalmente assume è quella di una concessione-contratto, ossia di una fattispecie complessa risultante dalla commistione di due elementi, che sono:
  1. un atto unilaterale ed autoritativo, che è appunto la concessione;
  2. una convenzione integrativa del contenuto di questa, avente natura privatistica, in quanto costituente il fondamento di un rapporto contrattuale bilaterale fonte di obblighi e diritti reciproci dell'ente concedente e del privato concessionario.

In virtù di questo strumento giuridico i titolari della concessione non fanno altro che esercitare diritti speciali su beni ed attività usualmente indisponibili ai privati e riservati ai pubblici poteri; ciò che la caratterizza, dunque, è il trasferimento da un ente pubblico ad un soggetto privato di poteri pubblici, ovvero di quelle particolari situazioni soggettive capaci di determinare atti unilaterali di carattere autoritativo.
La stessa giurisprudenza ha più volte chiarito che il beneficiario di una concessione della P.A. assume, in virtù dell’utilità pubblica cui è asservito il bene, il ruolo di sostituto del concedente e, relativamente ai poteri pubblici trasferitigli in forza del provvedimento concessorio, diviene egli stesso soggetto investito di una pubblica funzione; nei confronti della P.A. concedente, invece, il concessionario rimane titolare di un semplice interesse legittimo al rispetto delle norme di legge.

Per quanto concerne il rapporto tra il provvedimento concessorio e il c.d. contratto ad esso accessivo, va detto che, quand’anche il contratto venga stipulato precedentemente alla concessione, esso non può tuttavia dirsi autonomo rispetto all’attività di concessione, essendo stipulato in funzione di essa.

Da quanto sopra delineato, dunque, può facilmente intuirsi come il privato giammai potrà pretendere di essere posto sullo stesso piano della Pubblica amministrazione concedente, venendo di fatto egli a surrogarsi a quest’ultima nell’esercizio dei poteri connessi all’uso dei beni pubblici, poteri che non sono altro che una derivazione di quelli pubblici e che avranno come unica finalità quella di perseguire la pubblica utilità a cui i beni che ne costituiscono oggetto sono destinati.
In altri termini, l'incremento della sfera giuridica del privato (mediante la concessione, che, comunque, in genere prevede in capo al privato l'onere del pagamento di un canone) è solo indiretto e strumentale rispetto all'interesse pubblico della migliore gestione del servizio pubblico ovvero utilizzo e sfruttamento del bene demaniale e/o del patrimonio indisponibile della P.A.
Ciò vale peraltro a distinguere il potere concessorio da quello autorizzatorio, con il quale ultimo l'ampliamento della sfera giuridica del privato è la causa tipica dell'atto e il munus publicum viene esercitato solo in funzione di controllo e programmazione.
Nel rapporto concessorio, invece, potendo il privato vantare nei confronti della P.A. un semplice interesse legittimo, si avrà che caratteristiche di detto istituto saranno la precarietà del rapporto e la sua revocabilità ad nutum da parte della pubblica amministrazione, ove sopravvengano e si manifestino pubbliche esigenze.

Inoltre, va anche evidenziato che, a fronte di una domanda di concessione di un bene demaniale, l'amministrazione dispone di un ampio potere discrezionale, nell'ambito del quale deve considerarsi rientrante anche la ponderazione di interessi di ordine generale e di natura diversa da quelli propriamente demaniali, teso ad accertare la compatibilità dell'uso particolare del bene richiesto in concessione con l'uso generale, secondo le finalità ad esso proprie (T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 14.10.2004, n. 2282).
Anche ciò lascia chiaramente intuire come il privato concessionario non possa in alcun modo pretendere di essere posto sullo stesso piano del concedente, neppure sotto il profilo della determinazione del contenuto della convenzione che accompagna la concessione, essendo il contenuto di quest’ultima dettato in funzione del perseguimento di una pubblica utilità, nel quale non vi può essere alcuna interferenza da parte del concessionario.

Romina P. chiede
martedì 17/01/2017 - Toscana
“se sono proprietario di un bene mobile (parti di archivi), che sono entrati nella mia disponibilità prima del 1830 (certificabile) e che attualmente sarebbe considerato un bene demaniale lo stato può rivendicarne la proprietà ? (senza considerare l'applicazione del vincolo per l'interesse storico artistico cd notifica)
Consulenza legale i 24/01/2017
La risposta al quesito è più complessa di quel che sembri, perché dipende dal significato da attribuire all’espressione “sono entrati nella mia disponibilità prima del 1830 (certificabile)”.
Infatti, una cosa è se la provenienza di tali archivi sia privata, ovvero se l’attuale proprietario/possessore ne sia entrato in possesso mediante regolare negozio concluso con altro privato; altro è, invece, se la provenienza di tali archivi, prima del 1830, fosse pubblica.

Se si tratta, infatti, di bene demaniale ab origine, e del quale dunque il privato si è impossessato non importa come, l’accertamento della natura pubblica del bene potrà essere fatto in ogni momento.
Tra i beni elencati nell’art. 822 cod. civ., in effetti, correttamente rientrano anche le universalità di mobili come “le raccolte (…) degli archivi”, se – specifica la norma – appartengono allo Stato: si tratta dunque di beni che non appartengono allo Stato necessariamente ed esclusivamente (a differenza, ad esempio del lido del mare o della spiaggia) ma solo eventualmente, ovvero possono anche appartenere a privati (il primo è il demanio cosiddetto “necessario”, il secondo “eventuale”).
Se, dunque, essi appartengono allo Stato, seguono il regime del demanio: il che significa, ai sensi dell’art. 823 cod. civ., che su di essi è precluso l’acquisto di diritti reali da parte di privati sia a titolo derivativo (inalienabilità/incommerciabilità) ma altresì a titolo originario (non sono usucapibili) e non possono e non possono essere sottratti alla loro destinazione pubblica.

Se questo, dunque, è il caso dell’archivio di cui al quesito, non è propriamente corretto affermare che lo Stato può rivendicarne la proprietà: a rigore, e più correttamente, la proprietà dello Stato non è mai venuta meno.

Diverso è se si tratta di archivio privato, ma di interesse culturale. In tal caso, allora – come correttamente si accenna nel quesito – potrebbe intervenire una “dichiarazione di interesse culturale” da parte del Ministero, volta a conferire ufficiosamente ed inderogabilmente una particolare tutela al bene stesso, tutela accordata e disciplinata dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (Decreto Legislativo n 24/2004).
Ciò tuttavia – si noti bene - non significa affatto che il bene divenga demaniale: esso rimane privato, ma riceve una tutela speciale di natura pubblicistica.

Più precisamente, la cosiddetta dichiarazione di interesse storico particolarmente importante, ai sensi dell'art. 13 del citato decreto, accerta la sussistenza nell'archivio o nei singoli documenti appartenenti a privati (famiglie, persone, associazioni ed enti di natura privata, imprese, ecc.) delle caratteristiche di bene culturale (art. 10, comma 3 del suddetto Codice). La Soprintendenza archivistica accerta il particolare interesse storico e culturale di un archivio o di un documento:
· per autonoma iniziativa d’ufficio;
· su motivata richiesta della regione e di ogni altro ente territoriale interessato;
· su segnalazione del privato proprietario, possessore o detentore del bene.
La Soprintendenza, con atto motivato, avvia poi il procedimento per la dichiarazione dell’interesse storico particolarmente importante del fondo archivistico o del documento, dandone contestualmente comunicazione al proprietario, possessore o detentore.

Il proprietario, possessore o detentore che riceva la comunicazione di avvio del procedimento ha la possibilità, entro 30 giorni, di presentare alla Soprintendenza eventuali osservazioni o controdeduzioni. Durante tale periodo, i documenti sono comunque sottoposti, in via cautelare, alle norme di tutela previste dal d.lgs. n. 42/2004.
Trascorso il termine sopra indicato viene emanato un provvedimento di dichiarazione di interesse culturale dell’archivio o del documento. Avverso tale provvedimento è ammesso il ricorso, per motivi di legittimità o di merito.
Il provvedimento dichiarativo dell'interesse storico particolarmente importante è emanato dalla Soprintendenza archivistica: con l’emanazione del provvedimento di dichiarazione di interesse culturale, l’archivio o il documento sono definitivamente sottoposti alla disciplina del d.lgs. n. 42/2004.

Una volta intervenuta tale dichiarazione, gli archivi e i singoli documenti sono a tutti gli effetti dei beni culturali sottoposti alla normativa di tutela prevista dallo stesso Codice. La dichiarazione produce effetti sulla situazione del privato proprietario, possessore o detentore dell'archivio, in quanto lo assoggetta agli obblighi connessi al regime vincolistico, previsto dal Codice in materia di protezione, conservazione, circolazione dei beni culturali.
In particolare, il privato è tenuto a garantire la conservazione dell'archivio e a provvedere alla sua inventariazione ai sensi dell'articolo 30 del Codice. Copia degli inventari e dei relativi aggiornamenti deve essere inviata alla Soprintendenza archivistica.
Il privato proprietario, possessore o detentore dell'archivio dichiarato di interesse storico particolarmente importante che abbia effettuato interventi conservativi sul proprio archivio può essere ammesso a ricevere contributi statali, ai sensi degli articoli 34 e 35 del Codice. Egli può anche usufruire delle agevolazioni tributarie previste dalla legge (art. 31).
Gli archivi privati dichiarati di importante interesse storico possono essere consultati dagli studiosi che ne facciano richiesta, tramite il Soprintendente archivistico, ai sensi e nei modi previsti dall’articolo 127.