Nozione di atto necessitato in diritto penale. Assenza di torto oggettivo
Bene ha fatto il nuovo legislatore ad avere, con una norma espressa, risolto la grave questione sulla nozione di atto necessitato secondo il sistema moderno, facente capo al codice penale del 1889.
Occorre intendersi sulla nozione di
atto necessitato secondo il sistema, moderno, che fa capo al codice penale del 1889.
Lo stato di necessità è causa oggettiva di esclusione di reato, come la legittima difesa, ma ne differisce sostanzialmente. Nella difesa legittima vi è un offensore ingiusto del diritto altrui contro il quale si rivolge la difesa; nello stato di necessità l'uomo si erge arbitro di una situazione, e di fronte al pericolo attuale, cioè in atto, non già semplicemente possibile, di un danno grave alla propria persona od alla persona di un terzo (si badi alla limitazione: il danno, grave, deve essere rivolto alla persona), danno che non si possa altrimenti evitare (onde il concetto della necessità), ed al quale non abbia dato volontariamente causa, sacrifica il diritto di un incolpevole.
È il caso tipico di parte della dottrina (Genovesi) per la quale, per sottrarsi agli aggressori armati che lo inseguono per derubarlo ed ucciderlo, sacrifica chi si trova sul suo cammino, e gli impedisce inconsapevolmente la fuga, calpestandolo coi suoi cavalli. È il caso illustrato dallo STRYCCHIO
I del naufrago che, per salvarsi, respinge chiunque si avvicini all'unica tavola che possa reggerlo. Che qui ricorra un illecito morale non può dubitarsi, ma la legge penale manda impunito l'agente, ove sussistano gli estremi obbiettivi che essa espressamente indica, con astrazione da qualsiasi indagine sulle condizioni psicologiche dell'agente, disamina ché può valere solo a stabilire, quando obbiettivamente non ricorrano gli estremi di legge, se egli abbia ecceduto colposamente i limiti stabiliti dalla norma, una perturbazione psichica potendo fare esulare la colpa, e «
putativo », versandosi in tema di discriminante, valendo come reale, agli effetti della discriminante stessa.
Mentre per la difesa legittima non si è mai dubitato dell'assenza del torto obbiettivo, la precisazione che lo stesso criterio debba essere di guida per lo stato di necessità si è affermato solo dopo lunga evoluzione. Un disciplinamento si ebbe nel codice del 188g, ed il ministro Zanardelli affermò categoricamente che l’agente in stato di necessità non si doveva affatto ritenere non incriminabile perché aveva agito senza libertà, per cui l’art. 49, n. 3, del citato codice, dal quale peraltro non differisce l’attuale. Anche chi agisce freddamente, se ricorrono le condizioni oggettive indicate dalla legge, ha diritto di essere discriminato. Il concetto si applica anche al caso in cui sia per la legittima difesa, sia per lo stato di necessità, il diritto minacciato non è il proprio ma quello di un terzo estraneo.
Sindacato civile. Atto necessitato contro persona o cosa minacciante pericolo atto necessitato contro terzo incolpevole. Contraddittorietà nella dottrina per la seconda ipotesi. Delitto civile
Fermo il principio dell’assenza di torto oggettivo, ai fini del rimprovero penale, è ovvio che se l’impunità trae la sua ragion d’essere da una norma che prescinde dalle condizioni soggettive dell’agente, agli effetti dell’indagine se l’operato sia fonte di azione per risarcimento di danni bisogna fare ricorso ai criteri che informano le leggi civili, altro essendo l’ illecito penale, altro lo illecito civile, per le differenti finalità delle due leggi, la civile mirando solo a reintegrazione di patrimonio, a restituzioni, ad indennizzi. In difetto di una norma espressa si sono avute incertezze.
Anzitutto si è distinto tra atto necessitato contro persona minacciante incoscientemente pericolo (minore di anni quattordici, folli, ubriachi) e contro persona estranea alla causa del pericolo (atto necessitato contro terzo incolpevole), come nei casi citati da parte della dottrina (Genovesi). Comunque, la dottrina è stata concorde nel ritenere che l'atto necessitato contro chi, sia pure incoscientemente per difetto di capacità d' intendere e di volere, minacci pericolo, non generi responsabilità neppure agli effetti civili: qui si agisce, sostanzialmente, per difesa legittima.
Incertezze gravi si sono avute per la seconda ipotesi, quando cioè il pericolo derivi da forze di natura, da caso, da eventi fortuiti, da fatto di terzo, e, per sottrarsi ad esso, il minacciato leda il diritto di un incolpevole, cioè di chi è estraneo alla situazione creatasi. Il diritto romano, posteriore all'età di Labeone e di Servio, affermò che la presenza di un giusto timore se rendeva il fatto impunito non toglieva l'obbligo del risarcimento in sede civile. Nel diritto intermedio non si enunciarono criteri precisi. In diritto moderno, nel silenzio della legge, vi fu, tra i trattatisti, contraddittorietà di opinioni, pure inclinandosi a ritenere indennizzabile il danno arrecato. Fu proposto, quasi in linea transattiva, il criterio della proporzionalità: il fatto dovrebbe dichiararsi illecito se per la conservazione di un bene minore se ne sacrifichi uno maggiore o eguale, lecito se il diritto sacrificato sia il minore.
Si elaborarono pure altre costruzioni teoriche, mentre miglior consiglio sarebbe stato riportarsi alla precisa nozione dell'atto necessitato, ed a quella del delitto civile, quale deriva dalla evoluzione storica, e dai codici? Delitto civile ricorre quando alcuno abbia voluto il fatto dannoso, indipendentemente dal fine ultimo pel quale abbia agito, ed atto necessitato è atto volontario col quale si fa ricadere su altri quel danno che era per colpire la persona propria, o quella di terzo che di più ci sta a cuore.
La volontà è libera, non potendosi considerare vera e propria coazione quello che è niente altro che il motivo che spinge. La volontà risiede nel fatto che l'agente, pure valutando che il veliero contro il quale si rivolge per salvarsi con la sua nave dalla furia dei marosi, ed occupare l'unico posto libero nel porto, sarà distrutto, pure valutando che il bambino sarà schiacciato dal suoi cavalli, che ha lanciati a corsa per sottrarsi ai banditi, pure valutando che il naufrago che egli strappa all'unica tavola di salvezza perirà, tutto ciò perché considera che col sacrificio altrui conseguirà la salvezza propria (o di altri di cui si interessa). La legge penale lo scrimina con una espressa norma, per la legge civile, sotto l'imperio del codice del '65, in difetto di una disposizione espressa, era necessario riportarsi ai principi generali. In tema di atti necessitati vi è la invasione di una sfera fuori la disponibilità legittima dello agente: in questa invasione, che non è coatta, in questa volontà di far ricadere su altri incolpevole quel danno che eventi naturali, od azione di terzo estraneo era per causare a noi, od a persona che volemmo render salva, si riscontra l'illecito civile.
Né si dica che in tal modo si accoglie il principio della
coatta voluntas est etiam voluntas, già respinto dalla progredita sapienza giuridica romana. Tale canone, indubbiamente inaccettabile, è riferibile al caso in cui si voglia sostenere che sia valida una obbligazione contratta nell'alternativa di patire una violenza, validità che non pub ammettersi per difetto di consenso libero. Quando non si tratti di contrarre un impegno o di firmare una liberazione, sebbene d' invadere una sfera di diritto altrui, di un incolpevole, e manca la coazione fisica, l'atto è libero. La legge penate pub scriminarlo per ragioni sulle quali non è il caso di fermarsi, la legge civile no.
Sistema vigente. Misura dell’indennizzo
La norma in esame fa applicazione dei principii su espressi, e risolve esplicitamente la questione, in conformità di ragione. Dopo di essersi enunciato nell'
art. 2043 del c.c. che «
qualunque fatto doloso o colposo, che cagioni ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno », ed essersi dettato, come deroga, nel successivo articolo che «
non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o di altri » perché, evidentemente, qui fa difetto l'elemento della ingiustizia nel danno arrecato, come quello che è prodotto a colui che voleva cagionare il danno nostro, si adopera nell'
art. 2045 del c.c. una locuzione che non lascia dubbi sulla illiceità del fatto, ma tende solo a temperare la misura del risarcimento, in considerazione del motivo non pravo che spinge l'autore dell'atto necessitato. Il danno non verrà valutato alla stregua dei comuni fatti dolosi o colposi, cioè secondo le norme dell’
art. 2056 del c.c., e seguenti, ma secondo l'equo apprezzamento del giudice.
Eccesso colposo
Si è al di fuori dei termini dello stato di necessità, quando qualcuno abbia un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo, per ragione di ufficio di funzione, di esercizio di professione, arte o mestiere, o per privata convenzione, e simili. La legge non pratica limitazioni, né può farne interprete, onde il preposto alla sicurezza pubblica, alla tutela dell'ordine in una sala, sia perché agente di pubblica sicurezza, sia perché guardiano privato, se, nel verificarsi di un pericolo, es. incendio, per salvarsi uccide o ferisce, non agisce in stato di necessità. L' infermiere, tenuto, per convenzione, alla custodia di un demente, se per sottrarsi alle violenze di questo commette un fatto a danno di un terzo, è tenuto a risarcirlo non alla stregua della norma in esame, ma secondo le regole ordinarie di responsabilità.