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Articolo 2045 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Stato di necessità

Dispositivo dell'art. 2045 Codice Civile

Quando chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona [1447](1) e il pericolo non è stato da lui volontariamente causato né era altrimenti evitabile(2), al danneggiato è dovuta un'indennità, la cui misura è rimessa all'equo apprezzamento del giudice [925, 1038, 1053, 1328, 2047 comma 2](3).

Note

(1) In ordine a tale presupposto si discute se sia rilevante anche lo stato di necessità putativo, ciò ritenuto erroneamente tale dal soggetto in base a circostanze univoche.
(2) I presupposti affinché ricorra lo stato di necessità sono: un pericolo alla persona (alla sua vita, salute etc.) serio ed attuale (cioè in grado di causare un danno imminente), inevitabile (perché in tal caso deve tenersi la condotta alternativa) ed involontario, in quanto non deve essere ascrivibile al comportamento del danneggiante. Anche in tal caso, inoltre, questo comportamento deve essere proporzionato al pericolo (v. 2044 c.c.).
(3) Inoltre, se la situazione di pericolo è stata causata da un terzo, il danneggiato può ottenere, oltre all'indennizzo, anche il risarcimento dal terzo, ma purché ciò non comporti un ristoro maggiore rispetto al pregiudizio subito, perché, altrimenti, si avrebbe indebito arricchimento (2033 c.c.).

Ratio Legis

Il legislatore tiene conto della possibilità che la condotta illecita sia tenuta per stato di necessità e stabilisce che, in tale situazione, essa è giustificata. Tuttavia, poiché nello stato di necessità il terzo che subisce il pregiudizio non ha alcuna responsabilità (cioè non ha posto in essere un illecito, a differenza di quanto accade nella legittima difesa, v. 2044 c.c.) appare equo che egli ottenga almeno un indennizzo.

Brocardi

Necessitas non habet legem

Spiegazione dell'art. 2045 Codice Civile

Nozione di atto necessitato in diritto penale. Assenza di torto oggettivo

Bene ha fatto il nuovo legislatore ad avere, con una norma espressa, risolto la grave questione sulla nozione di atto necessitato secondo il sistema moderno, facente capo al codice penale del 1889.

Occorre intendersi sulla nozione di atto necessitato secondo il sistema, mo­derno, che fa capo al codice penale del 1889.

Lo stato di necessità è causa oggettiva di esclusione di reato, come la legittima difesa, ma ne differisce sostanzialmente. Nella difesa legittima vi è un offensore ingiusto del diritto altrui contro il quale si rivolge la difesa; nello stato di necessità l'uomo si erge arbitro di una situazione, e di fronte al pericolo attuale, cioè in atto, non già semplicemente possibile, di un danno grave alla propria persona od alla persona di un terzo (si badi alla limitazione: il danno, grave, deve essere rivolto alla persona), danno che non si possa altri­menti evitare (onde il concetto della necessità), ed al quale non abbia dato volontariamente causa, sacrifica il diritto di un incolpevole.

È il caso tipico di parte della dottrina (Genovesi) per la quale, per sottrarsi agli aggressori armati che lo inseguono per derubarlo ed ucciderlo, sacrifica chi si trova sul suo cammino, e gli impedisce inconsapevolmente la fuga, calpestandolo coi suoi cavalli. È il caso illustrato dallo STRYCCHIOI del naufrago che, per salvarsi, respinge chiunque si avvicini all'unica tavola che possa reggerlo. Che qui ricorra un illecito morale non può dubitarsi, ma la legge penale manda impunito l'agente, ove sussistano gli estremi obbiettivi che essa espressamente indica, con astrazione da qualsiasi indagine sulle condizioni psicologiche dell'agente, disamina ché può valere solo a stabilire, quando obbiettivamente non ri­corrano gli estremi di legge, se egli abbia ecceduto colposamente i limiti stabiliti dalla norma, una perturbazione psichica potendo fare esulare la colpa, e « putativo », versandosi in tema di discriminante, valendo come reale, agli effetti della discriminante stessa.

Mentre per la difesa legittima non si è mai dubitato dell'assenza del torto obbiettivo, la precisazione che lo stesso criterio debba essere di guida per lo stato di necessità si è affermato solo dopo lunga evoluzione. Un disciplinamento si ebbe nel codice del 188g, ed il ministro Zanardelli affermò categoricamente che l’agente in stato di necessità non si doveva affatto ritenere non incriminabile perché aveva agito senza libertà, per cui l’art. 49, n. 3, del citato codice, dal quale peraltro non differisce l’attuale. Anche chi agisce freddamente, se ricorrono le condizioni oggettive indicate dalla legge, ha diritto di essere discriminato. Il concetto si applica anche al caso in cui sia per la legittima difesa, sia per lo stato di necessità, il diritto minacciato non è il proprio ma quello di un terzo estraneo.


Sindacato civile. Atto necessitato contro persona o cosa minacciante pericolo atto necessitato contro terzo incolpevole. Contraddittorietà nella dottrina per la seconda ipotesi. Delitto civile

Fermo il principio dell’assenza di torto oggettivo, ai fini del rimprovero penale, è ovvio che se l’impunità trae la sua ragion d’essere da una norma che prescinde dalle condizioni soggettive dell’agente, agli effetti dell’indagine se l’operato sia fonte di azione per risarcimento di danni bisogna fare ricorso ai criteri che informano le leggi civili, altro essendo l’ illecito penale, altro lo illecito civile, per le differenti finalità delle due leggi, la civile mirando solo a reintegrazione di patrimonio, a restitu­zioni, ad indennizzi. In difetto di una norma espressa si sono avute incertezze.
Anzitutto si è distinto tra atto necessitato contro persona minacciante incoscientemente pericolo (minore di anni quattordici, folli, ubriachi) e contro persona estranea alla causa del pericolo (atto necessitato contro terzo in­colpevole), come nei casi citati da parte della dottrina (Genovesi). Comun­que, la dottrina è stata concorde nel ritenere che l'atto necessitato contro chi, sia pure incoscientemente per difetto di capacità d' intendere e di volere, mi­nacci pericolo, non generi responsabilità neppure agli effetti civili: qui si agisce, sostanzialmente, per difesa legittima.

Incertezze gravi si sono avute per la seconda ipotesi, quando cioè il pericolo derivi da forze di natura, da caso, da eventi fortuiti, da fatto di terzo, e, per sottrarsi ad esso, il minacciato leda il diritto di un incolpevole, cioè di chi è estraneo alla situazione creatasi. Il diritto romano, posteriore all'età di Labeone e di Servio, affermò che la presenza di un giusto timore se rendeva il fatto impunito non toglieva l'obbligo del risarcimento in sede civile. Nel diritto intermedio non si enunciarono criteri precisi. In diritto moderno, nel silenzio della legge, vi fu, tra i trattatisti, contraddittorietà di opinioni, pure inclinandosi a ritenere indennizzabile il danno arrecato. Fu proposto, quasi in linea transattiva, il criterio della proporzionalità: il fatto dovrebbe dichiararsi illecito se per la conservazione di un bene mi­nore se ne sacrifichi uno maggiore o eguale, lecito se il diritto sacrificato sia il minore.

Si elaborarono pure altre costruzioni teoriche, mentre miglior consiglio sarebbe stato riportarsi alla precisa nozione dell'atto necessitato, ed a quella del delitto civile, quale deriva dalla evoluzione storica, e dai codici? Delitto civile ricorre quando alcuno abbia voluto il fatto dannoso, indipendente­mente dal fine ultimo pel quale abbia agito, ed atto necessitato è atto volon­tario col quale si fa ricadere su altri quel danno che era per colpire la persona propria, o quella di terzo che di più ci sta a cuore.

La volontà è libera, non potendosi considerare vera e propria coazione quello che è niente altro che il motivo che spinge. La volontà risiede nel fatto che l'agente, pure va­lutando che il veliero contro il quale si rivolge per salvarsi con la sua nave dalla furia dei marosi, ed occupare l'unico posto libero nel porto, sarà distrutto, pure valutando che il bambino sarà schiacciato dal suoi cavalli, che ha lanciati a corsa per sottrarsi ai banditi, pure valutando che il naufrago che egli strappa all'unica tavola di salvezza perirà, tutto ciò perché considera che col sacrificio altrui conseguirà la salvezza propria (o di altri di cui si interessa). La legge penale lo scrimina con una espressa norma, per la legge civile, sotto l'imperio del codice del '65, in difetto di una disposi­zione espressa, era necessario riportarsi ai principi generali. In tema di atti necessitati vi è la invasione di una sfera fuori la disponibilità legittima dello agente: in questa invasione, che non è coatta, in questa volontà di far ricadere su altri incolpevole quel danno che eventi naturali, od azione di terzo estraneo era per causare a noi, od a persona che volemmo render salva, si riscontra l'illecito civile.

Né si dica che in tal modo si accoglie il principio della coatta voluntas est etiam voluntas, già respinto dalla progredita sapienza giuridica romana. Tale canone, indubbiamente inaccettabile, è riferibile al caso in cui si voglia sostenere che sia valida una obbligazione contratta nell'alternativa di patire una violenza, validità che non pub ammettersi per difetto di consenso li­bero. Quando non si tratti di contrarre un impegno o di firmare una liberazione, sebbene d' invadere una sfera di diritto altrui, di un incolpevole, e manca la coazione fisica, l'atto è libero. La legge penate pub scriminarlo per ragioni sulle quali non è il caso di fermarsi, la legge civile no.


Sistema vigente. Misura dell’indennizzo

La norma in esame fa applicazione dei principii su espressi, e risolve esplicitamente la questione, in conformità di ragione. Dopo di essersi enunciato nell' art. 2043 del c.c. che « qualunque fatto doloso o colposo, che cagioni ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno », ed essersi dettato, come deroga, nel successivo articolo che « non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o di altri » perché, evidentemente, qui fa difetto l'elemento della ingiustizia nel danno arrecato, come quello che è prodotto a colui che voleva cagionare il danno nostro, si adopera nell' art. 2045 del c.c. una locuzione che non lascia dubbi sulla illiceità del fatto, ma tende solo a temperare la misura del risarcimento, in considerazione del motivo non pravo che spinge l'autore dell'atto necessitato. Il danno non verrà valutato alla stregua dei comuni fatti dolosi o colposi, cioè secondo le norme dell’ art. 2056 del c.c., e seguenti, ma secondo l'equo apprezzamento del giudice.


Eccesso colposo

Si è al di fuori dei termini dello stato di necessità, quando qualcuno abbia un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo, per ragione di ufficio di funzione, di esercizio di professione, arte o mestiere, o per privata convenzione, e simili. La legge non pratica limitazioni, né può farne inter­prete, onde il preposto alla sicurezza pubblica, alla tutela dell'ordine in una sala, sia perché agente di pubblica sicurezza, sia perché guardiano privato, se, nel verificarsi di un pericolo, es. incendio, per salvarsi uccide o ferisce, non agisce in stato di necessità. L' infermiere, tenuto, per convenzione, alla custodia di un demente, se per sottrarsi alle violenze di questo commette un fatto a danno di un terzo, è tenuto a risarcirlo non alla stregua della norma in esame, ma secondo le regole ordinarie di responsabilità.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

37 Ho regolato con una norma di generate applica­zione la responsabilità per danni arrecati in istato di neces­sità.
Lo stato di necessità può incidere tanto sull'inadempi­mento contrattuale quanto sull'illecito extra-contrattuale: in entrambi i casi, se, per evitare il pericolo, si sacrifica lecita­mente l'interesse altrui, si ottiene, peraltro, il vantaggio di escludere o di ridurre il danno proprio. Non è perciò equo far gravare sempre sul danneggiato le conseguenze dell'atto necessitato: ma è altrettanto eccessivo ammettere che l'autore
del danno sia sempre obbligato ad un indennizzo. Benché il sacrificio dell'interesse altrui avvenga consapevolmente, vi è sempre da considerare, alle volte, l'inevitabilità dell'atto derivante dall'indomabile istinto di conservazione proprio o di solidarietà per il terzo in pericolo. Lo stimolo di questo istinto può funzionare, allora, come un caso fortuito.
Perciò si è creduto di rimettere al giudice il decidere, secondo le circostanze, su chi deve gravare il rischio dello stato di necessità, e quali siano le proporzioni in cui eventualmente esso debba far carico sul danneggiante e sul dan­neggiato: in tal modo si sono allargati i confini della discre­zionalità concessa al giudice dall'art. 77 cpv. del progetto della Commissione reale, che non comprendeva la possibilità di esonerare dall'obbligo di risarcire.
Il concetto di atto necessitato risulta dall'art. 54 cod. pen.; ed è chiaro che anche in civile non può comprendere l'ipotesi in cui il debitore aveva il dovere giuridico di esporsi al pericolo.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

798 Nell'art. 2045 del c.c. si disciplina la responsabilità di chi arreca danno per la necessità della salvezza, non di una cosa, ma di una persona in pericolo. A rigore, per quanto non vi sia stato eccesso e si sia rispettata la proporzione tra pericolo e danno, il fatto compiuto in situazione di necessità è imputabile perciò cosciente e volontario; da ciò deriverebbe la conseguenza che il danno deve essere risarcito secondo i criteri ordinari. Ma per riguardo alle particolarità del caso, mentre la legge penale dichiara non punibile l'autore (art. 54 del c.p.), quella civile sancisce soltanto una attenuazione di responsabilità, nel senso che al danneggiato è dovuta una indennità che sarà determinata dal giudice secondo equità (art. 2045), costituendo in sostanza un dovere del soggetto di contribuire, con il sacrificio parziale proprio, alla salvezza altrui se questa non si possa altrimenti ottenere.

Massime relative all'art. 2045 Codice Civile

Cass. civ. n. 13919/2016

In tema di responsabilità medica, la struttura ospedaliera che esegua un intervento chirurgico d'urgenza non può invocare lo stato di necessità di cui all'art. 2045 c.c., il quale implica l'elemento dell'imprevedibilità della situazione d'emergenza, la cui programmazione rientra nei compiti di ogni struttura sanitaria e, con riguardo alle risorse ematiche, deve tradursi in un approvvigionamento preventivo o nella predeterminazione delle modalità per un rifornimento aggiuntivo straordinario, sicché grava sulla struttura la prova di aver eseguito, sul sangue pur somministrato in via d'urgenza, tutti i controlli previsti all'epoca dei fatti. (Nella specie, il paziente aveva contratto epatite post-trasfusionale in conseguenza di emotrasfusioni alle quali era stato sottoposto con particolare urgenza, essendo giunto in ospedale con una ferita da arma da fuoco e con una grave emorragia in corso).

Cass. civ. n. 23275/2010

L'art. 2045 c.c., laddove riconosce in favore del danneggiato un'indennità nell'ipotesi in cui chi ha compiuto il fatto dannoso abbia agito in stato di necessità, ha una funzione surrogatoria od integratrice, avendo lo scopo di assicurare al danneggiato un'equa riparazione; ne consegue che non è affetta da violazione di legge la sentenza con cui il giudice d'appello, individuati nel fatto gli estremi dello stato di necessità e corretta in tal senso la motivazione della prima sentenza (che, invece, aveva attribuito al danneggiante la responsabilità risarcitoria ai sensi dell'art. 2043 c.c.), esercitando il proprio giudizio equitativo, liquidi in favore del danneggiato, a titolo di indennità, la stessa somma di danaro che il primo giudice aveva liquidato a titolo risarcitorio.

Cass. civ. n. 12100/2003

In tema di illecito, qualora l'attore abbia chiesto il risarcimento dei danni e sia stato accertato che il convenuto aveva agito in stato di necessità, il giudice deve applicare d'ufficio l'art. 2045 c.c., essendo implicita nella domanda di risarcimento quella di corresponsione di un equo indennizzo, anche in assenza di un esplicito richiamo, da parte del danneggiato, alla ricordata norma ex art. 2045 c.c.

Cass. civ. n. 10571/2002

L'art. 2045 c.c., il quale prevede che l'autore del fatto dannoso commesso in stato di necessità è tenuto a corrispondere una indennità al danneggiato, è applicabile anche nel caso di danno cagionato da incidente stradale, purché l'autore del fatto dimostri gli elementi costitutivi dell'esimente. L'apprezzamento relativo alla ricostruzione del sinistro costituisce giudizio di merito e, pertanto, è insindacabile in sede di legittimità, quando sia sorretto da adeguato e corretto ragionamento.

Cass. civ. n. 12621/1999

La necessità del consenso del paziente alle cure sanitarie viene meno sia in presenza di uno stato di necessità effettivo, sia in presenza di uno stato di necessità presunto o putativo, il quale ricorre allorché il medico, senza colpa, abbia ritenuto in base a circostanze scusabili resistenza d'un pericolo di danno grave alla salute del paziente.

Cass. civ. n. 4029/1995

L'art. 2045 c.c. (il quale prevede che l'autore del fatto dannoso commesso in stato di necessità è tenuto a corrispondere una indennità al
danneggiato) è applicabile, per analogia, nel caso di danno cagionato da persona non punibile per aver agito in stato di cosiddetta legittima difesa putativa.

Cass. civ. n. 2127/1982

La necessità del locatore di intraprendere o proseguire nell'immobile locato un'attività commerciale, artigianale o professionale, considerata, dall'art. 59, n. 1 della l. 27 luglio 1978, n. 392, come causa di legittimo recesso dal contratto del locatore medesimo, se non deve consistere in uno stato di bisogno avente gli stessi caratteri d'intensità richiesti dagli artt. 2045 cod. civ. e 54 cod. pen., esige, tuttavia, che il proposito di destinare l'immobile ad uno degli usi anzidetti sia, oltre che serio, rispondente ad apprezzabili ragioni di vita e di lavoro, con la conseguenza che, sebbene l'attività progettata dal locatore possa anche non essere esclusiva, deve negarsi (fatte salve talune ipotesi eccezionali delle quali va fornita rigorosa prova) che integri la necessità considerata dall'art. 59, n. 1 della l. n. 392 del 1978 quella avente ad oggetto lo svolgimento di un lavoro del tutto sussidiario alla principale attività del locatore (nella specie, impiegato a tempo pieno).

Cass. pen. n. 2603/1982

Quando il conducente già trovasi in una situazione di illegittimità, la manovra di emergenza costituisce sempre un rischio per colui che la compie e, perciò, a questi sono addebitabili le eventuali conseguenze dannose derivanti dalla manovra.

Cass. civ. n. 448/1982

La realizzazione di una costruzione in violazione delle norme che regolano l'esercizio del diritto di proprietà, quale la copertura realizzata da un condomino su un proprio terrazzo che impedisca la veduta in appiombo dalle finestre superiori, ancorché al dichiarato fine di difendersi da moleste immissioni, non integra gli estremi del «fatto dannoso» necessitato che, ai sensi dell'art. 2045 c.c., determina l'obbligo di corrispondere un'equa indennità.

Cass. pen. n. 7242/1981

La manovra di emergenza, compiuta dal conducente di un veicolo per evitare danni a sé o ad altri, non è a lui ascrivibile a titolo di colpa, anche concorrente, soltanto se la sua condotta precedente sia stata in tutto conforme a legge. Allorquando, invece, quella manovra sia stata resa necessaria da un pregresso comportamento illegittimo, la situazione di colpa, insita nell'irregolarità commessa, si riflette anche nella manovra di emergenza ed importa l'obbligo da parte del giudice di valutare se ed in quale misura le conseguenze dannose scaturitene debbano essere poste a carico del conducente autore della manovra stessa.

Cass. civ. n. 2238/1981

Presupposto per il riconoscimento del diritto all'indennità, che, ai sensi dell'art. 2045 c.c., il giudice può (nella misura ritenuta equa) attribuire al danneggiato nel caso in cui l'autore del fatto dannoso abbia agito in stato di necessità, è che la condotta di quest'ultimo sia consistita in un'azione diretta a cagionare danno; pertanto, tale indennità è correttamente negata quando — alla stregua della valutazione di tutti gli elementi della fattispecie concreta — risulti che l'azione del danneggiante sia stata invece diretta soltanto a giovare al soggetto in pericolo, il quale dalla opera di salvataggio tentata a suo favore abbia accidentalmente ricevuto un danno sostanzialmente non dissimile da quello che gli sarebbe derivato in mancanza di detta azione. (Nella specie, l'indennità era stata richiesta dalla passeggera di un automobile rimasta ferita per la brusca frenata che il conducente di tale veicolo era stato costretto a compiere per evitare la collisione con altro veicolo improvvisamente immessosi sulla strada).

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relative all'articolo 2045 Codice Civile

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Nicola F. chiede
lunedì 07/05/2018 - Liguria
“Salve , avrei una domanda per voi su una cosa che mi è successa e vorrei dei consigli , stava andando in stazione quando il mio cellulare improvvisamente ha smesso di funzionare , ho dovuto tassativamente comprarne un altro perché dovevo restare in contatto con la clinica privata veterinaria verso la quale il mio cane era operato al cuore , così ho fatto tardi e non sono riuscito a prendere il biglietto per l Intercity e a bordo sono stato multato per la cifra di 200 euro, vorrei chiedere se posso ricorrere a senso dell' art 2045 stato di necessità , o se mi conviene far un ricorso di un altro tipo al giudice di pace o un istanza in autotutela grazie”
Consulenza legale i 08/05/2018
La normativa che regola il trasporto ferroviario impone di salire su di un treno muniti di biglietto, salvo i casi in cui:
- la biglietteria della stazione è chiusa
- la stazione è priva di biglietteria
- le emettitrici automatiche di biglietti sono chiuse o non sono presenti
- i punti di vendita alternativi di titoli di viaggio ubicati in stazione non sono presenti o sono chiusi

In questi casi, come in generale quando si viaggia senza biglietto perché, come nel caso in esame, si è arrivati in ritardo e non vi era tempo per farlo, la legge prescrive che il viaggiatore deve avvisare il personale di bordo al momento di salire o subito dopo e, comunque, entro la stazione successiva, così da regolarizzare la propria posizione, munendosi di biglietto, mediante pagamento di una sovrattassa di 5 euro.

Dal tenore del quesito si intuisce che Lei non ha adottato questo comportamento, cioè non ha avvisato immediatamente il personale di bordo del treno sul quale viaggiava e, pertanto, al momento del controllo del biglietto, essendone sprovvisto e non avendo preventivamente informato nessuno, Le è stata comminata la relativa sanzione amministrativa, a nostro dire legittima.
Chiede, tuttavia, se può impugnare il provvedimento invocando lo stato di necessità di cui all’art. 2045 c.c.
Il citato articolo dispone che : “Quando chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona e il pericolo non è stato da lui volontariamente causato né era altrimenti evitabile, al danneggiato è dovuta un’indennità la cui misura è rimessa all’equo apprezzamento del giudice”.
Dunque, i presupposti affinché ricorra lo stato di necessità sono: un pericolo alla persona (alla sua vita, salute, ecc..) serio ed attuale (cioè in grado di causare un danno imminente), inevitabile ed involontario.
Solo in presenza di tali presupposti lo stato di necessità è causa di esclusione dell’antigiuridicità del fatto lesivo e della relativa responsabilità.
Ora, nel caso in esame, non può invocarsi il c.d. stato di necessità quale motivo per sottrarsi alla sanzione amministrativa irrogata.
Lei non era in una situazione di pericolo che avrebbe arrecato un danno grave alla Sua persona. Era semplicemente in ritardo ed è salito a bordo del treno senza biglietto e senza neppure informare, di questo, il personale a bordo del treno sul quale viaggiava.
Riteniamo, pertanto, che non potrà essere impugnato il verbale invocando “lo stato di necessità” di cui all’art. 2045 c.c.

In ogni caso, contro il verbale è prevista la possibilità di ricorrere presso lo stesse ente che ha comminato la sanzione, entro 30 giorni dalla contestazione immediata (o notifica differita) del verbale, presentando i propri scritti difensivi.
In alternativa l’interessato potrà ricorrere al Giudice di Pace del luogo ove è avvenuta l’infrazione.

In conclusione, potrà impugnare il verbale sia davanti all’ente che lo ha emesso, sia davanti al Giudice di Pace del luogo ove è stata commessa l’infrazione anche se, a nostro avviso, non ci sono validi motivi di impugnazione e neppure lo stato di necessità da Lei invocato.


Vincenzo chiede
mercoledì 27/10/2010

“Su un bus in Russia, a 200 m. dall'albergo, mi alzo per prendere la borsa nella cappelliera. Il soggetto che era seduto dietro di me, mi imita, ma improvvisamente dopo una brusca frenata mi rovina addosso e cadendo mi fratturo una costola. L'assicurazione del sig. in questione non vuole pagare invocando l'art. 1681 c.c. E' giusto tutto questo o mi posso appellare all'art. 2045 stato di necessità? Grazie anticipatamente.”

Consulenza legale i 01/12/2010

Il caso di specie, sul presupposto che il danneggiato sia cittadino italiano e alla luce dell'art. 62, l. 31 maggio 1995 n. 218, non potrebbe essere risolto applicando la legge italiana, bensì quella dello Stato in cui si è verificato l'evento illecito (Russia).

Tuttavia, anche supponendo possa trovare applicazione la legge italiana, appare difficile configurare una responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 del c.c. del soggetto che ha accidentalmente procurato la frattura della costola al cittadino italiano. Ciò perché il danneggiante, ad esclusione della propria colpa, potrà verosimilmente invocare il caso fortuito .

L'art. 1681 del c.c., richiamato dall'assicurazione del danneggiante -che quindi esclude la colpa del proprio cliente-, sancisce invece la responsabilità del vettore (in questo caso chi guidava il bus) per sinistri che colpiscano la persona del viaggiatore durante il viaggio se non prova di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno. Il richiamo sembra appropriato.
Appellarsi all'art. 2045 del c.c. non appare utile, in primo luogo perché è dimostrabile l'assenza di colpa del danneggiante; in secondo luogo poiché non appare sussistente lo stato di necessità: colui che ha provocato il danno, infatti, non agiva certo per la necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona.