Soppressione del secondo comma dell'art. 715 del codice del 1865
Diceva il secondo comma dell'art. 713 del codice del 1865 che « lo stesso diritto (cioè quello concernente gli sciami di api) spetta al proprietario di animali mansuefatti ». Ma poiché questo stesso diritto si limitava alla facoltà di inseguimento mentre ne erano diversi i termini e le persone che potevano compiere l'occupazione, più precisamente e più opportunamente nell'art. 925 del nuovo codice è stata soppressa questa frase e, formandosi una separata disposizione, sono state distinte le due norme, quella del primo comma concernente la possibilità dell'inseguimento con l'obbligo del risarcimento del danno, e quella del secondo comma, che fissa la possibilità dell'occupazione e il termine dopo il quale questa pile essere compiuta.
Varie specie di animali
Si parla nel primo comma di animali mansuefatti. Occorre rifarsi ancora (e quasi sempre occorrerà anche per gli articoli che seguono) al diritto romano che divide gli animali in tre categorie:
a) i selvatici (ferae bestiae) che vivono allo stato selvaggio in assoluta indipendenza dall'uomo (es. le bestie feroci e la selvaggina);
b) i mansuefatti o addomesticati (animalia mansuefacta) che originariamente erano selvatici ma che l'uomo, mediante l'opera sua, ha ridotto in suo potere abituandoli anche ad allontanarsi e a ritornare al luogo di dimora ad essi assegnato (es. cervi, mufloni, pavoni, falchi);
c) domestici o mansueti (animalia mansueta) che vivono normalmente, per la loro stessa natura presso l'uomo al quale occorrono continuamente perché gli forniscono utilità economica o servono al suo diletto (es. cani, cavalli, buoi).
Gli animali selvatici costituiscono senz'altro, come abbiamo visto, oggetto di occupazione essendo res nullius, a meno che si trovino in riserve di caccia e di pesca.
Gli animali domestici al contrario sono senz'altro esclusi dall'occupazione, anche se si trovano temporaneamente lontani e fuori del materiale dominio del proprietario, a meno che questo non abbia compiuto nei riguardi di essi un vero e proprio atto di derelizione.
Per gli animali mansuefatti l'occupazione è possibile soltanto quando essi, allontanatisi dal proprietario, non soltanto non siano tornati presso di lui ma abbiano perso l'abitudine di ritornarvi, recuperando l'antico stato selvaggio e ridiventando, quindi, res nullius.
Termine per reclamare gli animali fuggiti
Il diritto romano non stabiliva termini per il recupero dei detti animali da parte del proprietario, il quale perdeva il proprio diritto appena gli animali avessero perduto la consuetudo revertendi. Ma in alcune legislazioni moderne, tuttavia, è prevalso il concetto di fissare un termine al proprietario per reclamare l'animale fuggito e catturato da altri. Il codice austriaco fissava quarantadue giorni da quello in cui « l'animale mansuefatto era rimasto fuori da se ». Il codice albertino, dal quale quello del 1865 ha preso la disposizione dell'art. 713, fissava il termine di venti giorni. Il codice tedesco si attiene invece ancora alla norma romana disponendo che l'animale mansuefatto diventi cosa di nessuno se perde l'abitudine di fare ritorno al luogo che gli è destinato. Il codice svizzero dispone, in analogia con quello tedesco, che « gli animali addomesticati diventano senza padrone quando siano ridiventati selvatici e non ritornino più dal proprietario ». Il codice brasiliano, a sua volta, ha una norma quasi identica a quella del codice tedesco stabilendo che sono considerati come cosa senza padrone e suscettibili di appropriazione « gli animali catturati e addomesticati, che non sono stati marcati, quando hanno perduto l'abitudine di ritornare al luogo dove tornavano per consuetudine ».
Il progetto preliminare redatto dalla Commissione Reale per la riforma dei codici aveva riunito in tre commi di un articolo la disciplina giuridica per gli animali mansuefatti. Nel primo indicava il momento in cui gli animali cessavano di appartenere al loro proprietario fissandolo nel momento in cui essi perdono l'abitudine del ritorno. Nel secondo stabiliva la facoltà di inseguimento da parte del proprietario. Nel terzo dava al proprietario stesso, per reclamare gli animali fuggiti, un perentorio termine di venti giorni da quello in cui aveva avuto conoscenza del luogo e della persona presso cui si trovano.
Fu, peraltro, rilevato un qualche contrasto fra il primo e il terzo comma e, ad ogni modo, fu reclamata la necessità di fissare un dies a quo per la decorrenza del termine suindicato di venti giorni.
Questi rilievi furono ritenuti fondati e, nel testo definitivo dell'art. 925, non è esplicitamente indicato il momento in cui il proprietario perde il diritto sull'animale mansuefatto, che, fuggendo, si è sottratto al suo potere. Ma poiché, in forza del primo comma, il proprietario ha la facoltà di inseguire l'animale — facoltà che non si comprenderebbe se non insita nel diritto di proprietà — e poiché, per disposizione del secondo comma, chi si e impadronito dell'animale non può conseguire l'effetto dell'occupazione, cioè la proprietà, se non siano decorsi venti giorni da quello in cui il proprietario ha avuto conoscenza del luogo in cui l'animale si trova, la perdita della proprietà da parte del precedente proprietario e l'acquisto da parte dell'occupante avvengono contemporaneamente allo scadere del detto termine di venti giorni.
Quanto al dies a quo è sembrato che la prova possa riuscire più agevole quando si tratti di accertare il giorno in cui l'antico proprietario ha avuto la conoscenza del luogo di nuova permanenza dell'animale, che non quando si voglia precisare una data per la perdita della consuetudo revertendi.