(massima n. 1)
In tema di riscossione delle imposte sui redditi, l'art. 54, quinto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, introdotto dall'art. 14, primo comma, lettera b), della legge 29 dicembre 1990, n. 408, collegando il beneficio dell'applicazione della soprattassa ridotta da esso indicata in luogo delle sanzioni previste dagli artt. 46 e 49 unicamente al versamento della maggiore imposta risultante dalla dichiarazione integrativa, ovverosia al pagamento di una somma di denaro ulteriore, non consente di procedere a compensazione con un credito tributario vantato dal contribuente. In materia tributaria, infatti, la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, di riscossione e di rimborso ed ogni deduzione è regolata da specifiche, inderogabili norme di legge. Né tale principio può ritenersi superato per effetto dell'art. 8, comma primo, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. «statuto dei diritti del contribuente»), il quale, nel prevedere in via generale l'estinzione dell'obbligazione tributaria per compensazione, ha lasciato ferme, in via transitoria, le disposizioni vigenti (demandando ad appositi regolamenti l'estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato, a decorrere dall'anno d'imposta 2002), ovvero per effetto dell'art. 17 del D.L.vo 9 luglio 1997, n. 241, il quale, nell'ammettere la compensazione in sede di versamenti unitari delle imposte, ne ha limitato l'applicazione all'ipotesi di crediti dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti e risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data della sua entrata in vigore.