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Articolo 2 Legge sul procedimento amministrativo

(L. 7 agosto 1990, n. 241)

[Aggiornato al 31/07/2021]

Conclusione del procedimento

Dispositivo dell'art. 2 Legge sul procedimento amministrativo

1. Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un'istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso. Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo.

2. Nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni.

3. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri competenti e di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa, sono individuati i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali. Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza.

4. Nei casi in cui, tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell'organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento, sono indispensabili termini superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, i decreti di cui al comma 3 sono adottati su proposta anche dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa e previa deliberazione del Consiglio dei ministri. I termini ivi previsti non possono comunque superare i centottanta giorni, con la sola esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l'immigrazione.

4-bis. Le pubbliche amministrazioni misurano e pubblicano nel proprio sito internet istituzionale, nella sezione "Amministrazione trasparente", i tempi effettivi di conclusione dei procedimenti amministrativi di maggiore impatto per i cittadini e per le imprese, comparandoli con i termini previsti dalla normativa vigente. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, previa intesa in Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono definiti modalità e criteri di misurazione dei tempi effettivi di conclusione dei procedimenti, nonché le ulteriori modalità di pubblicazione di cui al primo periodo(1).

5. Fatto salvo quanto previsto da specifiche disposizioni normative, le autorità di garanzia e di vigilanza disciplinano, in conformità ai propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di rispettiva competenza.

6. I termini per la conclusione del procedimento decorrono dall'inizio del procedimento d'ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte.

7. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 17, i termini di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 del presente articolo possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per l'acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell'amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Si applicano le disposizioni dell'articolo 14, comma 2.

8. La tutela in materia di silenzio dell'amministrazione è disciplinata dal codice del processo amministrativo, di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n.104. Le sentenze passate in giudicato che accolgono il ricorso proposto avverso il silenzio inadempimento dell'amministrazione sono trasmesse, in via telematica, alla Corte dei conti.

8-bis. Le determinazioni relative ai provvedimenti, alle autorizzazioni, ai pareri, ai nulla osta e agli atti di assenso comunque denominati, adottate dopo la scadenza dei termini di cui agli articoli 14 bis, comma 2, lettera c), 17 bis, commi 1 e 3, 20, comma 1, ovvero successivamente all'ultima riunione di cui all'articolo 14 ter, comma 7, nonché i provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti, di cui all'articolo 19, commi 3 e 6-bis, primo periodo, adottati dopo la scadenza dei termini ivi previsti, sono inefficaci, fermo restando quanto previsto dall'articolo 21 nonies, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni(1).

9. La mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente.

9-bis. L'organo di governo individua un soggetto nell'ambito delle figure apicali dell'amministrazione o una unità organizzativa cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia. Nell'ipotesi di omessa individuazione il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in mancanza, al dirigente preposto all'ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello presente nell'amministrazione. Per ciascun procedimento, sul sito internet istituzionale dell'amministrazione è pubblicata, in formato tabellare e con collegamento ben visibile nella homepage, l'indicazione del soggetto o dell'unità organizzativa a cui è attribuito il potere sostitutivo e a cui l'interessato può rivolgersi ai sensi e per gli effetti del comma 9-ter. Tale soggetto, in caso di ritardo, comunica senza indugio il nominativo del responsabile, ai fini della valutazione dell'avvio del procedimento disciplinare, secondo le disposizioni del proprio ordinamento e dei contratti collettivi nazionali di lavoro, e, in caso di mancata ottemperanza alle disposizioni del presente comma, assume la sua medesima responsabilità oltre a quella propria(2).

9-ter. Decorso inutilmente il termine per la conclusione del procedimento o quello superiore di cui al comma 7, il responsabile o l'unità organizzativa di cui al comma 9-bis, d'ufficio o su richiesta dell'interessato, esercita il potere sostitutivo e, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto, conclude il procedimento attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario.(2).

9-quater. Il responsabile individuato ai sensi del comma 9-bis, entro il 30 gennaio di ogni anno, comunica all'organo di governo, i procedimenti, suddivisi per tipologia e strutture amministrative competenti, nei quali non è stato rispettato il termine di conclusione previsto dalla legge o dai regolamenti. Le Amministrazioni provvedono all'attuazione del presente comma, con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

9-quinquies. Nei provvedimenti rilasciati in ritardo su istanza di parte sono espressamente indicati il termine previsto dalla legge o dai regolamenti e quello effettivamente impiegato.

Note

(1) I commi 4-bis e 8-bis sono stati inseriti dall'art. 12, comma 1, lett. a) del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni dalla L. 11 settembre 2020, n. 120.
(2) Tale comma è stato modificato dall'art. 61, comma 1, lettera a), del D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108.

Spiegazione dell'art. 2 Legge sul procedimento amministrativo

L'articolo 1, in ossequio al principio di celerità del procedimento, stabilisce il divieto per l'amministrazione di aggravare inutilmente il procedimento, se non per motivate esigenze legate al miglior perseguimento dell'interesse pubblico. Diretta trasposizione di tale principio si ritrova nella norme in commento, che detta i termini di conclusione del procedimento.

Innanzitutto, viene fissato il principio secondo cui le pubbliche amministrazioni hanno l'obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, quantomeno nelle ipotesi il cui esso consegua alla presentazione di un'istanza da parte del privato cittadino oppure quando vi sia l'obbligo per la p.a. di procedere d'ufficio all'avvio del procedimento. Tale dettato normativo ha reso in pratica irrealizzabile quanto in precedenza espresso dalla giurisprudenza, che in taluni casi ammetteva il c.d. provvedimento implicito. Solo in certe ipotesi può ritenersi ancora praticabile, come quando il provvedimento implicito consegua ad una precedente determinazione espressa e appaia evidente che non vi possa essere alcun danno nei confronti del privato cittadino.

Persino qualora la domanda del privato appaia manifestamente irricevibile, inammissibile, improcedibile o infondata la p.a è tenuta ad adottare un provvedimento espresso, permettendosi tuttavia una redazione in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo.

Venendo ora ai termini di conclusione del procedimento, essi decorrono dall'inizio del procedimento d'ufficio, oppure dal momento in cui viene presentata la domanda del privato, nelle ipotesi in cui vi sia un obbligo dell'amministrazione di provvedere.

Di regola, il termine è di trenta giorni. In varie ipotesi, espressamente individuate con appositi decreti del presidente del Consiglio del Ministri, i termini di conclusione del procedimento possono essere stabiliti volta per volta con riguardo alle amministrazioni statali o agli enti pubblici nazionali, i quali tuttavia non possono superare il termine di novanta giorni.

Un'eccezione a quanto appena affermato compare al comma 4, secondo cui, sempre tenendo conto degli interessi pubblici in rilievo, della particolare complessità del procedimento, della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell'organizzazione amministrativa, possono essere individuati termini superiori ai novanta giorni (ma ad ogni modo non superiori a centottanta giorni). Le uniche ipotesi in cui possono aversi tempi addirittura superiori si hanno in materia di acquisto della cittadinanza italiana e di immigrazione.

Le conseguenze del mancato rispetto dei termini di conclusione del procedimento sono essenzialmente di due tipi. Anche se di difficile configurabilità nella pratica, può esserci una responsabilità penale ai sensi dell'art. 328 c.p., qualora il responsabile del procedimento non risponda entro trenta giorni dalla messa in mora o nello stesso tempo non risponda spiegando le ragioni del ritardo. In secondo luogo, il privato avrà diritto ad un indennizzo ai sensi dell'art. 2 bis o ad un risarcimento, qualora dal ritardo sia derivato un danno di natura patrimoniale. Al comma 9 si specifica inoltre che il ritardo può chiaramente determinare una responsabilità disciplinare, erariale e contabile del responsabile del procedimento e del dirigente preposto all'ufficio (evidentemente per culpa in vigilando).

I termini possono comunque subire una sospensione, e questo nelle ipotesi in cui l'amministrazione debba procedere all'acquisizione di documenti, documenti o informazioni non in possesso dell'amministrazione stessa. La sospensione può essere attuata una sola volta e comunque per un tempo non superiore ai trenta giorni.

Fondamentale all'interno della disciplina dei termini di conclusione del procedimento è la figura del titolare del potere sostitutivi in caso di inerzia, da individuarsi appositamente per ogni amministrazione. Tale soggetto, su istanza di parte, è tenuto a provvedere all'emanazione di un provvedimento espresso entro i termini di cui sopra, dimezzati. Parimenti, egli è tenuto ad avviare il procedimento disciplinare nei confronti del precedente responsabile rimasto inerte.

In ogni caso, va rammentato che la tutela avverso il silenzio dell'amministrazione è regolato dal Codice del processo amministrativo, tramite l'art. 34.

Massime relative all'art. 2 Legge sul procedimento amministrativo

Cons. Stato n. 2874/2019

La normativa di cui all'art. 2, comma 3 della Legge n. 241/1990 non è compatibile con procedimenti regolati dalla Legge n. 689/1981 la quale è composta da un sistema di norme organico e compiuto e delinea un procedimento di carattere contenzioso scandito in fasi i cui tempi sono regolati in modo da non consentire, anche nell'interesse dell'incolpato, il rispetto di un termine così breve.

Cons. Stato n. 4577/2018

La violazione del termine finale di un procedimento amministrativo non consegue l'illegittimità dell'atto tardivo - salvo che il termine sia qualificato perentorio dalla legge. L'art. 2-bis della legge sul procedimento, infatti, correla all'inosservanza del termine finale conseguenze sul piano della responsabilità dell'Amministrazione, ma non include, tra le conseguenze giuridiche del ritardo, profili afferenti la stessa legittimità dell'atto tardivamente adottato.

Cons. Stato n. 3234/2017

L'obbligo della P.A. di provvedere - ai sensi dell'art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dall'art. 7 della legge 18 giugno 2009, n. 69 - sussiste in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l'adozione di un provvedimento e quindi, tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell'Amministrazione.

Cons. Stato n. 2099/2017

L'obbligo della P.A. di provvedere sull'istanza di un privato, necessario ai fini della formazione di un silenzio-rifiuto impugnabile in s.g., non è stabilito in via generale, ma va ravvisato solo quando si possa desumere da una norma di legge puntuale, ovvero anche da una norma di principio, che sia però, all'evidenza, chiaramente interpretabile in tal senso; tale regola è espressione dello stesso principio di buon andamento di cui all'art. 97 Cost., poiché un obbligo generale come quello che si esclude costringerebbe, in ultima analisi, l'Amministrazione ad un impegno sproporzionato di risorse di fronte a qualsivoglia istanza, per assurdo anche manifestamente infondata o soltanto emulativa.

Cons. Stato n. 1754/2013

La formazione del silenzio-rifiuto, o lo speciale procedimento giurisdizionale oggi disciplinato dall'art. 117 del c.p.a., non risulta compatibile con le pretese che solo apparentemente abbiano per oggetto una situazione di inerzia, in quanto concernono diritti soggettivi la cui eventuale lesione è direttamente accertabile dall'autorità giurisdizionale competente. Ai sensi dell'art. 31 del c.p.a. è pertanto inammissibile il ricorso diretto all'accertamento dell'illegittimità del silenzio su un'istanza dell'interessato allorché il Giudice amministrativo sia privo di giurisdizione in ordine al rapporto giuridico sottostante ovvero si verta, comunque, nell'ambito di posizioni di diritto soggettivo, anche laddove sia riscontrabile un'ipotesi di giurisdizione esclusiva.

Cons. Stato n. 3894/2011

Le valutazioni in ordine all'esistenza di un interesse storico-artistico su un immobile, tali da giustificare l'apposizione del relativo vincolo, costituiscono espressione di un potere nel quale sono presenti sia momenti di discrezionalità tecnica, sia momenti di propria discrezionalità amministrativa. Tale valutazione è espressione di una prerogativa esclusiva dell'amministrazione e può essere sindacata in sede giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità ed illogicità di evidenza tale da far emergere inattendibilità della valutazione tecnica-discrezionale compiuta. Il superamento del termine legale di centoventi giorni per l'adozione del provvedimento finale ex art. 12, co. 10, D. lgs. 42/2004, non comporta consumazione del potere, non determinando perciò alcun effetto viziante sulla determinazione comunque adottata in ritardo.

Cons. Stato n. 3487/2010

Anche se avviato d'ufficio, l'amministrazione ha comunque l'obbligo di concludere il procedimento mediante l'adozione di un provvedimento espresso, diretto ad indicare, in maniera trasparente, la decisione assunta, nell'ambito delle operazioni discrezionali consentite.

Cons. Stato n. 1880/2009

Non sussiste l'obbligo di provvedere nei casi di riesame dell'atto inoppugnabile per lo spirare del termine di decadenza.

Cons. Stato n. 2318/2007

La domanda del privato volta ad ottenere atti diretti a produrre effetti sfavorevoli nei confronti dei terzi, con immediati vantaggi a favore dell'istante, ha valore non già di mero esposto, bensì di istanza suscettibile di far sorgere a carico della p.a. l'obbligo di provvedere, nella misura in cui il richiedente sia portatore di uno specifico e rilevante interesse che valga a differenziare la sua posizione da quella di coloro facenti parte della collettività.

Il dovere di provvedere può scaturire da norme che espressamente lo prevedono, ma può anche sorgere in concomitanza con l'esercizio di poteri assolutamente discrezionali, laddove la mancata emanazione del provvedimento si concretizza in una violazione delle regole di fondo dell'attività amministrativa.

Cons. Stato n. 1431/2007

È illegittimo il provvedimento di sospensione ove ecceda i termini di legge.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2 Legge sul procedimento amministrativo

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Cliente chiede
mercoledì 26/06/2024
“Salve. In data 22/01/2024 presentavo, tramite patronato, domanda di pensione di anzianità anticipata "in computo" ai sensi del D.M. 282/1996. In data 22/04/2024 richiedevo all'INPS i tempi stimati di risposta alla domanda di pensione presentata, a maggio mi veniva comunicato (tramite il servizio "INPS RISPONDE") che " Ad oggi non è possibile procedere alla liquidazione di nessuna prestazione anticipata con calcolo contributivo e decorrenza successiva al 01/01/2024. Siamo in attesa di aggiornamento dei sistemi informatici alla luce delle innovazioni della legge di bilancio per il 2024".
QUESITO:
Esistono dei vincoli temporali specifici che obbligano l'INPS a rispondere alla domanda di pensione protocollata entro un determinato lasso di tempo? Se il suddetto ritardo perdurasse, il che potrebbe comportare significativi danni per il sottoscritto, sono ipotizzabili azioni di risarcimento, in sede amministrativa e/o civile, contro l'INPS?
Grazie, Cordiali saluti”
Consulenza legale i 05/07/2024
L'INPS deve rispondere alle domande di pensione entro tempi ragionevoli. Tuttavia, non esiste un termine specifico fisso stabilito dalla legge per la risposta a tutte le domande di pensione. I tempi possono variare in base al tipo di pensione richiesta e alla complessità del caso. Generalmente, i tempi di risposta possono essere indicati nelle circolari interne dell'INPS o nei regolamenti specifici.
Secondo la Legge 7 agosto 1990, n. 241, articolo 2, comma 1, "ove il procedimento consegua obbligatoriamente a un'istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso".

Questo principio impone all'INPS di rispondere alle richieste dei cittadini entro un termine ragionevole. In assenza di un termine specifico, il termine generale di conclusione del procedimento amministrativo è di 30 giorni, salvo diversa disposizione normativa.

L'INPS, con la Circolare n. 55 del 08 Aprile 2021, ha stabilito i termini specifici per la conclusione dei procedimenti amministrativi relativi alle domande di pensione. Questi termini sono definiti ai sensi dell'articolo 2 della legge numero 241 del 7 Agosto 1990 e includono la responsabilità delle unità organizzative, dei soggetti responsabili del procedimento e i termini iniziali e finali per l'emissione dei provvedimenti.

Nel documento sono indicate le tempistiche specifiche per ciascuna pratica, ed in particolare:
  • 55 giorni per la Pensione di Vecchiaia e la pensione anticipata
  • 90 giorni per la pensione di vecchiaia in cumulo e in totalizzazione
L'articolo 10 del regolamento dell'INPS prevede anche un risarcimento per il danno ingiusto cagionato dall'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo.
Se l'INPS non rispetta i termini stabiliti, è possibile innanzitutto richiedere un sollecito formale chiedendo la conclusione del procedimento amministrativo.

In caso di mancata risposta, sarà possibile presentare un ricorso amministrativo all'INPS o all'organo competente entro 90 giorni dalla data di notifica del provvedimento o dal mancato riscontro.

Una volta trascorsi i termini sopra esposti, o intervenuta una decisione negativa da parte dell’Inps, l’interessato potrà proporre domanda al Tribunale, in funzione di Giudice unico del lavoro, competente per territorio, che si pronuncerà sulla questione: in caso di accoglimento del diritto a pensione, il giudice dovrà riconoscere un indennizzo, pari alle mensilità spettanti non pagate, interessi ed accessori.

Il danno da ritardato pensionamento non è automaticamente riconosciuto per il solo fatto della violazione dei termini procedurali.

Per ottenere il risarcimento, è necessario dimostrare al giudice che il ritardo nella procedura ha effettivamente causato due tipi di danni:
  1. Danno patrimoniale: ad esempio, se il ritardo ha costretto il lavoratore a protrarre l'attività lavorativa, è necessario quantificare e provare i costi aggiuntivi sostenuti a causa di questa prolungata attività lavorativa.
  2. Danno non patrimoniale; questo comprende il pregiudizio alla qualità della vita e la lesione del benessere psicofisico del lavoratore a causa del ritardo nella pensione. Questo tipo di danno deve essere altrettanto quantificato e provato attraverso prove documentali e testimoniali.
Secondo la Cassazione “Il danno da ritardato pensionamento rientra nella categoria unitaria del danno non patrimoniale, potendo poi essere specificato nella sua accezione di danno esistenziale (quando il lavoratore non ha potuto realizzare se stesso nella propria scelta di vita legata alla volontà di andare in pensione) e/o di danno biologico (quando il pregiudizio è consistito in una vera e propria lesione dello stato di salute e benessere psico-fisico). Incombe però sul lavoratore, dimostrare, oltre alla colpa dell’istituto previdenziale, che il ritardato pensionamento ha provocato un danno, non potendosi configurare secondo i principi del nostro ordinamento giuridico, di un danno risarcibile in re ipsa in ragione degli imprescindibili oneri di allegazione e di prova che gravano sul soggetto che vanti pretese risarcitorie, come già chiarito dalle Sezioni Unite con la pronuncia n. 26972/08 sopra richiamato e dai successivi arresti conformi” (Cass. n. 4886/2020)



Anonimo chiede
martedì 31/10/2023
“Oltre al caso previsto dall'art. 16 comma 4 della L. 241/90 è possibile interrompere (non sospendere) un procedimento amministrativo?
Il caso in ispecie è il seguente.
Autorizzazione Unica ZES disciplinata dal D.L. 124/2023 art. 15. Il comma 7 del medesimo articolo demanda all'AdSP i compiti di Amministrazione procedente. L'AdSP, gestendo aree demaniali marittime deve obbligatoriamente, anche, rilasciare una Concessione demaniale per l'occupazione e l'uso del bene DEMANIALE. A tal fine, come è noto, è obbligo procedere con Avviso Pubblico nel rispetto della Direttiva Bolkestain. Detta Pubblicazione non è prevista nell' art. 15 cit. e pertanto non ricompresa nei termini procedimentali scanditi nell'Autorizzazione Unica ZES. E' POSSIBILE QUINDI INTERROMPERE I TERMINI DEL PROCEDIMENTO (art. 15 D.L. 124/2023) PER I 30 gg. DI PUBBLICAZIONE SULLA GUE?”
Consulenza legale i 09/11/2023
Premesso che il quesito posto verte su un istituto di recentissima introduzione in relazione al quale non sussistono precedenti in giurisprudenza relativi alla disciplina applicabile, va innanzitutto sottolineato che, in via generale, la l.n 241/1990 disciplina istituti di portata generale applicabili a qualsivoglia procedimento amministrativo salvo espresse deroghe.

Ciò detto, occorre tenere distinte due diverse possibilità di sospensione/interruzione dei termini del procedimento amministrativo.

La prima è quella disciplinata dall’art. 2 della legge sul proc. amministrativo che prevede la possibilità di sospendere il termine di conclusione del procedimento ossia il termine che decorre dalla comunicazione di avvio del procedimento o dall’istanza del privato e che si conclude con l’adozione del provvedimento finale

L’altra possibilità, invece, è data dall’interruzione dei termini entro cui le amministrazioni coinvolte nel procedimento, che sono tenute a rilasciare pareri, nulla osta o atti di assenso entro i termini di legge, quando esse manifestano delle necessità istruttorie.

In tal caso, l’ art. 16 della legge sul proc. amministrativo dispone che “Nel caso in cui l'organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie i termini di cui al comma 1 (20 giorni n.d.r.) possono essere interrotti per una sola volta e il parere deve essere reso definitivamente entro quindici giorni dalla ricezione degli elementi istruttori da parte delle amministrazioni interessate.”

Nel caso di specie viene in rilievo un diverso ma simile adempimento a quelli sopra indicati che afferisce ad una pecualire procedura riguardante le concessioni demaniali che, com’è noto, sono oggetto di numerosi e recenti interventi legislativi che hanno codificato la necessità che tanto il rinnovo quanto la costituzione di nuove concessioni passi attraverso l’indizione di una procedura di evidenza pubblica, nel rispetto dei principi d matrice europea di trasparenza e tutela della concorrenza.

Per tali ragioni, quindi, si può affermare che, l’Amministrazione competente, ai sensi dell’art. 15, comma 7, del D.Lgs. n. 124/2023, possa applicare il predetto articolo, di portata generale, e quindi interrompere il procedimento al fine di garantire l’espletamento dell’istruttoria necessaria prevista dalla normativa nazionale e sovranazionale in tema di concessioni demaniali.


L. B. chiede
martedì 08/03/2022 - Piemonte
“Buongiorno,
ho una domanda riguardante una questione eventuale di variazione destinazione d'uso terreno che cercherò di sintetizzare il più possibile e ve ne sarei molto grato se potreste darmi delucidazioni in merito.
Oltre ad essere titolare di un'azienda riparazione e vendita moto e quad, con mia moglie abbiamo preso in affitto un'area di circa 22 ettari con annesse strutture sportive oltre che terreni che precedentemente era dedicata alla pratica di campo da Golf ed è stata fatta per questo una Srl a nome appunto di mia moglie. Abbiamo poi un Team sportivo, che strutturato come Società Sportiva Dilettantistica a Responsabilità Limitata, svolge attività di corsi ed avviamento a sport motociclistici ed a diversamente abili.
Attualmente all'interno del vigente PRGC l'area è indicata come zone C.P.-IMPIANTI SPORTIVI PRIVATI destinate alla pratica di attività golfistica in genere, confrontandoci con il comune nel periodo precedente alla stipula del contratto di affitto ci era stato consigliato proprio dai funzionari di richiedere una variazione di destinazione urbanistica proprio per poter svolgere attività sportiva motoristica e motociclistica nello specifico, dicendoci che in quel periodo saremo stati proprio in tempo con quel tipo di richiesta di variazione e che in un periodo di circa 45 giorni avremo potuto avere esiti a detta loro positivi in quanto oltre al resto svolgiamo proprio attività per bambini e simili.
(da notare che in questo lasso di tempo ci siamo anche preparati su eventuali prove rumori e sicurezze varie del caso, preparandoci per tempo su tutto nell'attesa di risposte).
In sintesi:
-26/04/2021 invio domanda con raccomandata redatta da un geometra per richiesta variazione destinazione urbanistica.
-nei 45 giorni successivi nessuna risposta...
-Nel mese di giugno nessuna risposta...
-08/07/2021 dopo tentativi vari fatto videochiamata in comune perchè non ricevevano date le restrizioni, ci è stato detto dall'architetto comunale che nella richiesta che loro hanno valutato con la regione erano sorte "cose da valutare" in sovrintendenza riguardante probabilmente vincoli ambientali ed erano state richieste integrazioni in merito che richedevano del tempo. Visto il periodo estivo ci saremo potuti sentire verso metà/fine settembre.
-29/07/2021 abbiamo comunque avviato il contratto di affitto speranzosi in buoni esiti perchè l'interesse per l'area era per noi positivo.
-Settembre nessuna risposta...
-04/10/2021 dopo mancate risposte mandato mail PEC al comune per avere anche solo informazioni sullo stato avanzamento pratica...a cui non abbiamo mai avuto risposta.
-Chiamato il sindaco con cui eravamo in contatto per informazioni e il tempo sembrava si allungasse sempre, ci aveva comunicato che comunque per la fine dell'anno avrebbe avuto conferme in merito.
-Richamato prima di fine anno e ci ha riferito che la pratica era in lavorazione e per fine dicembre avremo avuto conferme.
-Abbiamo ricontattato il 30 dicembre e ci ha risposto che sperava di avere notizie ma non c'erano ancora novità, ci ha confermato che entro il primo trimestre 2022 avvrebbero dato pareri in merito.
- Ci ritroviamo tutt'ora in attesa pur con spese e l'attività che non può partire al cento per cento, senza ancora risposte.

Scusandomi per il messaggio non breve, chiedo se possibile ci possano essere modalità di intervento o se comunque non siano state rispettate tempistiche dal lato Comune, oppure ancora ci siano situazioni da sbolccare in altro modo.

Grazie mille per la vostra comprensione ed attendo vostro gentile riscontro in merito.”
Consulenza legale i 22/03/2022
Lo strumento per superare l’inerzia della pubblica amministrazione previsto dall’ordinamento è il ricorso avverso il silenzio, disciplinato dagli artt. 2, L. n. 241/1990, 31 e 117 c.p.a..
Tuttavia, tale rimedio non è invocabile per ogni tipo di procedimento amministrativo e uno degli ambiti tradizionalmente esclusi dal perimetro di applicabilità è proprio la pianificazione urbanistica.
Infatti, le scelte urbanistiche sono rimesse alla valutazione discrezionale della P.A. (nel nostro caso del comune) e rispetto ad esse non è configurabile un vero e proprio obbligo di provvedere (Consiglio di Stato, sez. VI, 08 giugno 2020, n. 3632).
Pertanto, si ritiene che il silenzio serbato dalla P.A. sulla domanda di modificazione di una destinazione di zona non possa essere oggetto della speciale azione prevista dalle norme sopra ricordate, che viene ritenuta generalmente inammissibile (Consiglio di Stato sez. V, 02 aprile 2002, n. 1810; T.A.R. Torino, sez. II, 21 novembre 2019, n. 1160).
Va sottolineato che negli ultimi tempi la giurisprudenza sembra mostrare una parziale apertura su questi temi, ma si tratta di casi abbastanza isolati e non pienamente sovrapponibili al presente, sconsigliando la possibilità di assumersi il rischio di un ricorso.
Nel caso di specie, per completezza, si nota che -da quanto è stato possibile ricavare dai documenti allegati al quesito e dal sito web dell’Ente- l’istanza in questione si è inserita in un procedimento attualmente in corso di variante semplificata del piano regolatore generale comunale, ai sensi dell’art. 17, L. R. Piemonte n. 56/1977.
La domanda di variazione della destinazione urbanistica dell’area, dunque, non viene valutata singolarmente, ma nell’ambito di tale variante, che necessita l’acquisizione di vari pareri da parte di Enti sovraordinati.
Eventuali ritardi in tale fase, non dipendenti dal Comune, nonché le varie sospensioni dei termini disposte dalla normativa emergenziale Covid-19, potrebbero spiegare le lungaggini riscontrate sino ad ora.
Purtroppo, l’unica soluzione è quella di inviare ulteriori solleciti, possibilmente per iscritto, segnalando le difficoltà di natura organizzativa ed economica causate dalla mancata approvazione della variante.

Valerio T. chiede
martedì 06/10/2020 - Lazio
“Buongiorno.
A causa di una vicenda di natura penale che mi vede coinvolto solo come testimone, sono stato sottoposto a ritiro cautelare del porto d'armi nonché delle armi, delle munizioni e delle polveri da lancio.
Sono attualmente in attesa di un provvedimento definitivo che, però, tarda ad arrivare.
Inoltre, sull’atto notificatomi di apertura del procedimento non viene indicato il termine di durata del procedimento stesso.
Ho svolto ricerche, ma, oltre a quello ordinario di 30 giorni, ho notato che il Ministero dell'Interno può, per alcuni procedimenti, adottare termini differenti che fanno capo a due diverse normative. In particolare: per i termini superiori ai 90 giorni, si fa riferimento al DPCM del 10 ottobre 2012 numero 214; per i termini dei procedimenti da 90 a 180 e oltre, si fa riferimento al DPCM 21 marzo 2013 numero 50.
In entrambi gli elenchi previsti dalle normative in quedtione non ho individuato il mio caso.
Tanto premesso, con il presente quesito, vorrei conoscere il termine di scadenza per ottenere il provvedimento definitivo a seguito del ritiro cautelare delle armi. E ciò al fine di proporre dinanzi al Tar, oltre alle numerose questioni di merito, anche una questione pregiudiziale di legittimità.

Consulenza legale i 13/10/2020
L’art. 2, comma 1, L. n. 241/1990 fissa in trenta giorni il termine generale entro il quale la P.A. deve concludere il procedimento amministrativo, salvo le deroghe stabilite con appositi regolamenti.
Per quanto qui rileva, è necessario fare riferimento ai D.P.C.M. 10 ottobre 2012, n. 214 e al D.P.C.M. 21 marzo 2013, n. 58, che come correttamente rilevato nel quesito, non dettano alcuna disposizione specifica in merito al ritiro del porto d’armi.

A rigore, quindi, pare doversi applicare il termine ordinario di trenta giorni, con la precisazione che, a causa dell’emergenza sanitaria, l’art. 103, D.L. n. 18/2020, convertito in L. n. 27/2020, ha sospeso tutti i termini procedimentali dal 23 febbraio al 15 aprile.
In seguito, l’art. 37, D.L. n. 23/2020, convertito in L. n. 40/2020, ha prorogato il predetto termine del 15 aprile fino al 15 maggio 2020.
Pertanto, al fine di verificare l’avvenuta scadenza del termine ex art. 2, L. n. 241/1990, non bisognerà tenere conto del periodo compreso tra il 23 febbraio e il 15 maggio 2020.

In ogni caso, il decorso del termine rileva, più che sotto il profilo della legittimità dell’atto, alla luce dell’azione avverso il silenzio prevista dall’art. 31, D. Lgs. n. 104/2010 della risarcibilità del danno da ritardo ex art. 2 bis, L. n. 241/1990.

Per completezza, si precisa che la facoltà di adottare i provvedimenti oggetto del quesito è disciplinata dall’art. 39, R. D. n. 773/1931, ai sensi del quale il Prefetto può vietare la detenzione delle armi alle persone ritenute capaci di abusarne.
Il secondo comma della stessa norma disciplina il ritiro cautelare delle armi da parte degli ufficiali e degli agenti di pubblica sicurezza nei casi di urgenza, facoltà che sembra essere stata esercitata nel caso di specie.

La giurisprudenza amministrativa, anche recente, in materia di sospensione delle licenze di polizia ha chiarito che i provvedimenti di natura cautelare devono avere una durata certa e limitata al solo tempo necessario a fronteggiare situazioni transitorie, delle quali l’Amministrazione è tenuta a dar conto con adeguata motivazione.
Sono stati, quindi, giudicati illegittimi i provvedimenti cautelari/sospensivi adottati per un tempo indeterminato, “poiché si violerebbe il limite temporale massimo previsto dall’ultima parte del citato comma 2 dell’art. 21 quater, ossia i diciotto mesi di cui al successivo art. 21 novies” (T.A.R. Aosta, sez. I, 18 maggio 2020, n. 10).
Il caso esaminato dalla decisione da ultimo citata non è perfettamente identico al presente, ma trattandosi di principi generali pare possibile utilizzare anche tali argomentazioni in un eventuale ricorso.


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