A seguito della riformulazione dell'art. 183 ed alla conseguente abolizione del tentativo obbligatorio di conciliazione, le norme relative a quest'ultimo (originariamente contenute proprio nel primo e secondo comma dell'art. 183) sono state trasfuse nella norma in esame, mediante inserimento di un nuovo primo comma.
La
comparizione personale delle parti, volta a consentire al
giudice istruttore di interrogare liberamente le parti, anche per tentare la conciliazione, adesso è subordinata ad una loro richiesta congiunta, salvo il caso in cui il giudice intenda esercitare la facoltà che gli viene concessa dall’
art. 117 del c.p.c..
E’ possibile che la parte, per un giustificato motivo, quale può essere un
impedimento lavorativo o di salute, non sia fisicamente presente all’udienza; ciò non potrà essere di ostacolo né all’
interrogatorio libero né al
tentativo di conciliazione, purchè la parte assente sia rappresentata da un
procuratore, generale o speciale (che può anche essere lo stesso
difensore di giudizio), il quale si dichiari di essere a conoscenza dei fatti di causa.
Dalla lettura della norma si evince che il conferimento della
procura al difensore è soggetto a due condizioni, una di carattere sostanziale e l’altra di carattere formale.
In primo luogo, si richiede che il procuratore sia a conoscenza dei fatti di causa.
In secondo luogo, poi, si richiede che la procura venga conferita con
atto pubblico o
scrittura privata autenticata, contenente il potere di conciliare e
transigere la controversia.
Proprio a quest'ultimo proposito, va segnalata l’innovazione apportata dal legislatore del 2005, ossia il fatto che, qualora la procura sia conferita con scrittura privata autenticata, la sottoscrizione possa essere autenticata anche dal difensore (in precedenza, tale possibilità veniva radicalmente esclusa, in considerazione della natura sostanziale della procura stessa e del carattere eccezionale del potere di autenticazione conferito al difensore ai sensi dell'art. 83, 3° co.).
La mancata conoscenza dei fatti di causa da parte del procuratore, così come la mancata comparizione ingiustificata della parte all’udienza, costituirà argomento di prova, valutabile dal giudice ai sensi del secondo comma dell’art. 116cpc.
Indubbiamente, la prova che il giudice trarrà da tale fatto non potrà essere sufficiente a fondare il suo convincimento, ma potrà solo costituire un indizio che, unitamente ad altri indizi e ad altre prove, sarà in grado di giustificare la sua decisione finale.
Se il
tentativo di conciliazione dovesse fallire nella fase introduttiva del processo, potrà essere rinnovato in qualunque momento dell'istruzione, in omaggio al
favor conciliationis (la Riforma Cartabia ha aggiunto soltanto la precisazione “nel rispetto del calendario del processo); inoltre, il tentativo di componimento può essere esperito in ogni grado del giudizio.
Il quarto comma dell’
art. 350 del c.p.c., come modificato a seguito della Riforma Cartabia, prevede espressamente, per la fase di appello, che nella prima udienza di trattazione il collegio proceda al tentativo di conciliazione. Nel giudizio di Cassazione, invece, è da escludere la possibilità di un componimento giudiziale, e ciò in considerazione dell’essenza stessa di tale giudizio (nulla esclude, ovviamente, che le parti possano autonomamente transigere, il che determina la cessazione della materia del contendere).
L’ultimo comma della norma disciplina il caso in cui le parti giungano ad una conciliazione, la quale determina la chiusura del processo.
Generalmente viene emanata una
ordinanza di
cancellazione della causa dal ruolo ovvero una formale dichiarazione di estinzione del giudizio in corso, ma non si può fare a meno di sottolineare che la conclusione della lite si verifica
ipso iure per effetto della conciliazione.
Dell’avvenuta conciliazione viene redatto processo verbale, secondo le particolari formalità dettate dall’
art. 88 delle disp. att. c.p.c..
Circa le conseguenze della mancata redazione del processo verbale di conciliazione, sono state prospettate diverse soluzioni: c'è chi propende per la validità della conciliazione giudiziaria (purché l'avvenuta conciliazione risulti dal verbale d'udienza), e chi, invece, propende per l'invalidità della stessa.
Il verbale di conciliazione deve essere sottoscritto dal cancelliere, dalle parti e dal giudice.
La sottoscrizione da parte del giudice è condizione di esistenza della conciliazione giudiziaria, e dunque la sua mancanza incide sulla validità della conciliazione medesima.
La mancata sottoscrizione da parte del cancelliere non incide sulla validità della conciliazione, in quanto trattasi di formalità non indispensabile per il collegamento del negozio al processo e per la qualificazione della conciliazione come giudiziale.
In ordine alle conseguenze della mancata sottoscrizione delle parti, sono state prospettate diverse soluzioni.
Da alcuni è stata sostenuta la piena validità del verbale non sottoscritto dalle parti, ritenendosi sufficienti le sottoscrizioni del cancelliere e del giudice; da altri, invece, è stato qualificato come nullo il verbale privo della sottoscrizione delle parti, allorché questo contenga la manifestazione di atti dispositivi, salvo che l’impedimento delle parti alla sottoscrizione non sia stato adeguatamente documentato.
Per quanto concerne la natura giuridica della conciliazione giudiziale, va detto che, seppure essa si fonda su una convenzione, non può tuttavia assimilarsi ad un negozio di diritto privato, caratterizzandosi dal punto di vista strutturale per il necessario intervento del giudice, mentre dal punto di vista funzionale per la produzione di effetti sia processuali (chiusura del giudizio) che sostanziali (ossia quelli derivanti dal
negozio giuridico che viene contestualmente stipulato dalle parti, che può essere una transazione, un riconoscimento di debito, ecc.).
L’ultimo periodo del terzo comma della norma in esame, stabilendo che il processo verbale di conciliazione costituisce
titolo esecutivo, lascia all'interprete l'individuazione della natura, giudiziale o
stragiudiziale, di tale titolo esecutivo.
Al riguardo, c'è chi fa rientrare il verbale di conciliazione nell'
art. 474 del c.p.c., n. 1, in quanto provvedimento al quale la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva; altri, invece, lo ascrivono al n. 2 della medesima norma, trattandosi di atto al quale la legge attribuisce espressamente
efficacia esecutiva.
Infine, vi è chi lo riconduce alla categoria degli
atti esecutivi redatti da
notaio di cui all'art. 474, 2° co., n. 3 c.p.c., con la conseguenza che esso potrà fondare solo l'
espropriazione forzata, ma non l'esecuzione per consegna o rilascio, né l'
esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare.
L'ordinanza di cancellazione della causa dal ruolo, resa a seguito di conciliazione delle parti e redazione del relativo processo verbale, qualora la conciliazione medesima risulti invalida ed inefficace per difetto dei requisiti di legge, non ostacola la
riassunzione del processo e la sua prosecuzione su istanza dell'interessato, e ciò in considerazione della revocabilità propria di tale ordinanza.