Dopo aver stabilito da chi e con quale negozio giuridico deve essere nominato l’esecutore testamentario, quali persone siano capaci di assumere l’ufficio e con quali formalità e modalità, l’art. 703 ne determina le funzioni. E poiché, alle frammentarie ed insufficienti disposizioni del vecchio codice del 1865, sostituisce un’organica disciplina delle funzioni stesse con un opportuno allargamento dei correlativi poteri, l’articolo ha importanza fondamentale per comprendere il sistema, soprattutto per quanto attiene alla precisazione della struttura giuridica dell'istituto come ufficio.
La disposizione, nella prima parte, stabilisce il compito esclusivo ed essenziale dell’esecutore testamentario e ne rafforza il contenuto rispetto al vecchio codice del 1865: mentre quest’ultimo attribuiva mansioni di vigilanza affinché il testamento fosse eseguito, l’art. 703 addossa, di regola, all’attività personale dell’esecutore, l'esatta attuazione delle disposizioni di ultima volontà, con una formulazione solenne, che chiarisce trattarsi di un impegno non soltanto di carattere giuridico, ma altresì di indole morale. Dal punto di vista giuridico, curare l’esatta esecuzione della volontà del testatore, quale naturalmente manifestata nel testamento, significa che l’esecutore, come non può far di meno di quanto disposto, così non può fare neanche di più. Non potrebbe quindi, anche rispetto alle nuove norme, adducendo segrete e verbali istruzioni del testatore, apportare modificazioni o aggiunte alle disposizioni contenute nel testamento.
È da notare, d’altra parte, che, mentre l’art. #908#, quarto comma, del codice del 1865, parlava di esecuzione del testamento, nella norma attuale si è usata più opportunamente la frase: “disposizioni di ultima volontà”. Modificazione che lascia intendere che il compito dell'esecutore possa essere stato limitato dal testatore ad attuare soltanto alcune delle disposizioni contenute nel testamento. Non è facile elencare con precisione quali possano essere queste disposizioni, data la piena autonomia che è lasciata al testatore in ordine al contenuto del testamento ed alla concreta attuazione del contenuto stesso. Come riferimento generico, è da tener presente che le disposizioni da eseguire possono avere o non avere carattere strettamente patrimoniale, bensì preminentemente finalità religiose, benefiche, storiche, artistiche ecc. È da ricordare inoltre, in proposito, quanto è stato osservato nella relazione del Guardasigilli al progetto definitivo; che cioè “l’esecutore è un amministratore dell’eredità, quindi il suo compito va necessariamente oltre i limiti tradizionali segnati dall’esecuzione dei legati e degli altri oneri stabiliti dal testatore. Come amministratore, l’esecutore deve curare la gestione dei beni ereditari, erogare spese, pagare eventualmente i creditori, specialmente quando il pagamento debba precedere l'esecuzione dei legati”.
Ma l’attuazione concreta delle disposizioni di ultima volontà se, da un lato, costituisce la finalità specifica dell’esecuzione testamentaria, dall'altro ne è anche il limite. Ciò è chiarito dal secondo comma, dell’art. 703, il quale, al fine, appunto, dell’esecuzione testamentaria, impone all’esecutore di amministrare la massa ereditaria, e, coerentemente, di prendere possesso dei beni che la compongono. E lo impone come regola, apportando, in questa parte, una profonda e sostanziale modificazione al sistema del vecchio codice del 1865, secondo il quale (art. #906#) soltanto la volontà del testatore poteva investire l’esecutore del possesso, limitatamente ai beni mobili: dunque, in relazione a questi soltanto, era possibile una gestione diretta da parte dell’esecutore medesimo. La nuova disposizione, invece, come risulta chiaro dalla formulazione, investe l’esecutore testamentario del possesso dei beni ereditari mobili ed immobili senza distinzione e dell’amministrazione dei medesimi, autorizzandolo, com’è detto nel quarto comma, a compiere tutti gli atti di gestione occorrenti.
Questa, nel sistema accolto dal codice in vigore, è, come si è detto, la regola. L’eccezione si ha quando vi è diversa disposizione del testatore, il quale, come può limitare il possesso e l’amministrazione che vi si ricollega (ai soli mobili, o ai soli immobili, ovvero a parte degli uni e degli altri) così può anche vietare del tutto il possesso medesimo. In tal guisa viene tolta la partecipazione attiva dell’esecutore all’attuazione delle disposizioni di ultima volontà; oltre il caso, possibile in pratica, che quelle affidate all’esecutore, per essere di indole prettamente morale, non richiedano, per natura loro, il possesso e l’amministrazione di beni.
Tornando ora all’ipotesi normale, è da notare che il possesso, di cui si parla nel secondo comma dell’articolo, non eccede i limiti della semplice detenzione, con tutte le conseguenze inerenti a tale tipo di possesso, poiché del possesso legittimo e della proprietà restano titolari gli eredi.
Quanto all’amministrazione, occorre qualche chiarimento. Non si coglierebbe, infatti, la vera portata della disposizione, se alla parola si desse un significato restrittivo, considerando l’esecutore testamentario come un semplice amministratore di patrimonio altrui. Questo non può essere razionalmente il concetto della legge, perché si tratta di un'amministrazione qualificata dalla precisa finalità di dare esecuzione alle disposizioni di ultima volontà. E, se per raggiungere questa finalità specifica, l’esecutore può compiere tutti gli occorrenti atti di gestione, non si può escludere che, fra questi, vi siano compresi anche atti di disposizione intesi sempre al raggiungimento dello scopo suindicato. In tal senso si era già manifestata un’autorevole dottrina in relazione alle norme del codice del 1865, per il caso in cui fosse stato concesso il possesso di beni ereditari. Si è osservato, al riguardo, che, in tale ipotesi, potrà parlarsi di poteri di disposizione dell'esecutore, limitati, però, sempre a quello scopo (pagamento dei legati, delle spese ereditarie ecc.). Ora, questo, a maggior ragione, sembra debba ritenersi in relazione alle nuove norme, intese ad ampliare i poteri dell’esecutore, mettendolo in condizioni di attuare effettivamente le ultime volontà, in modo autonomo ed indipendente dall’erede.
Argomento a favore si potrebbe trarre, non soltanto dalla relazione del Guardasigilli al progetto definitivo, ma altresì dal fatto che la legge, da un lato, vieta espressamente all’esecutore soltanto gli atti di alienazione, dall’altro, gli accorda il potere di esercitare le azioni relative all’adempimento del suo ufficio. È da ricordare, ancora, che, nell'originaria redazione, quale si legge nel progetto definitivo del Guardasigilli, si stabilì che l’esecutore potesse compiere tutti gli atti occorrenti per una regolare gestione. Formula abbastanza comprensiva, che fu sostituita con quella attuale dell’art. 703 dalla Commissione delle Assemblee legislative, e dalla discussione non emerge che si siano volute apportare restrizioni ai poteri dell’esecutore in ordine alla gestione. È vero che uno dei membri della predetta Commissione rilevò che il potere dell’esecutore testamentario non può essere altro che quello di amministratore ordinario, tanto che per la vendita dei beni si richiedeva l’autorizzazione del tribunale, ma potrebbe osservarsi che gli atti di vendita, o di alienazione in genere, sono atti di disposizioni per eccellenza; ma non sono i soli ipotizzabili.
Il codice in vigore, pur avendo allargato ed organicamente disciplinato i poteri dell'esecutore testamentario, accordandogli il
possesso dei beni ereditari, ha fissato tuttavia
due limiti alla durata del medesimo. L’uno, dipendente dalla volontà dell’erede, nel caso preveduto dall’art.
707; l’altro stabilito dal legislatore nel terzo comma dell’alt. 703, che, su questo punto, eccetto che per la proroga, non si discosta dal vecchio codice del 1865. Però, per quest’ultimo (art. #906#) la decorrenza dell’anno era fissata dal giorno della morte del testatore e, secondo l’opinione comune, non era in alcun modo prorogabile. Il codice in vigore statuisce, invece, opportunamente, che
il termine decorre dalla dichiarazione di accettazione e che l’autorità giudiziaria può prorogarlo fino al limite massimo di un altro anno, a decorrere naturalmente dalla scadenza del primo. In complesso, quindi, l’esecutore testamentario può usufruire di un termine di
due anni per portare a compimento l’incarico. Nulla vieta, peraltro, né la legge offre argomento in contrario, che il testatore apporti in proposito restrizioni sia circa il limite di tempo, sia circa la prorogabilità. Quando questa sia possibile, in ipotesi, essa non è rimessa alla pura discrezionalità dell'autorità giudiziaria, ma deve essere concessa per motivi di evidente necessità. Sono quindi richiesti due requisiti di carattere oggettivo, che il giudice deve valutare dandone congrua motivazione. Si richiede, altresì, che il giudice, prima di concedere la proroga,
senta gli eredi; ma il loro parere non può, naturalmente, avere efficacia vincolante.
Cessati, per scadenza del termine originario o prorogato, il possesso e l'amministrazione dei beni, può non cessare l'ufficio dell’esecutore; ufficio che, secondo le disposizioni del testatore, può continuare sia per la vigilanza sull’esecuzione che passa agli eredi, sia per attuazione di particolari disposizioni che non richiedono il possesso dei beni. È da notare, in proposito, che, tanto nel progetto della Commissione reale quanto in quello definitivo del Guardasigilli, il divieto era limitato alla vendita dei beni ereditari. La Commissione delle Assemblee legislative propose, invece, che alla parola “vendere” si sostituisse “alienare” e la proposta passò nel codice in vigore. Con ciò si è evidentemente allargato il divieto, estendendolo a tutti gli atti che importano alienazione secondo i principi generali.
La disposizione stessa va intesa come riferentesi
non soltanto alle necessità inerenti al soddisfacimento dei legati, ma anche a quelle dipendenti dall’attuazione di tutti i pesi ed oneri compresi nell’esecuzione testamentaria. Bisogna notare, inoltre, che, per autorizzare l’alienazione, non sono necessarie le ragioni di evidente necessità richieste per la proroga del possesso: è, perciò, da ritenere che il relativo provvedimento sia rimesso al prudente criterio del giudice, il quale deve, però, anche in questo caso, sentire gli eredi. Il che è di evidente opportunità, potendo costoro evitare l’alienazione con il dare all’esecutore il modo di attuare le disposizioni del testamento. Questa facoltà degli eredi è dominante nel sistema, tanto che l’art.
707 subordina, a tale facoltà, la riconsegna a costoro dei beni ereditari.
La tutela dei diritti degli eredi sta alla base del sistema accolto dal codice in vigore nella disciplina dell’esecuzione testamentaria. A questi criteri è pure ispirato l’ultimo comma dell’art. 703 circa la portata, del quale, peraltro, è necessario qualche chiarimento. A stare alla formulazione e argomentando a contrario, parrebbe infatti che il legislatore si fosse preoccupato soltanto di salvaguardare il diritto dell’erede alla rinunzia dell’eredità, od all’accettazione con beneficio di inventario. Ma così non è: il problema è più ampio e consiste nell’esaminare se la presenza dell’esecutore testamentario e l'amministrazione dei beni ereditari a lui affidata, col possesso dei beni medesimi, possa o no pregiudicare i diritti degli eredi, non soltanto per quanto riguarda la rinunzia all’eredità, o l’accettazione beneficiata (il che è escluso testualmente dalla legge), ma anche per ciò che riguarda la stessa disponibilità dei beni anzidetti da parte degli eredi. Il problema, intuitivamente di grande importanza pratica, è stato discusso dalla Commissione reale: si prospettò, infatti, l’opportunità di fissare limitazioni ai diritti dell’erede e ai diritti dei creditori dell’erede stesso, stabilendosi che l’erede non potesse disporre dei beni dell’eredità, compresi nella gestione dell’esecutore testamentario, e che i creditori dell’erede, che non fossero creditori dell’eredità, non potessero agire sui beni anzidetti. Si sarebbe così creata una temporanea indisponibilità dei beni ereditari da parte dell’erede ed un temporaneo divieto degli atti di esecuzione da parte dei creditori dell’erede stesso. Ma si apprende dalla relazione che non si ritenne opportuno porre alcuna limitazione, neppure nei riguardi esclusivamente degli eredi non legittimari.
Dunque, è chiaro il senso nel quale deve essere inteso l’orientamento del sistema in ordine al problema al quale si è accennato: nel senso, cioè, che, in mancanza di espressa disposizione in contrario, essendo l’erede, come regola, proprietario e legittimo possessore dei beni ereditari, nessuna limitazione egli subisce quanto alla disposizione dei beni, allo stesso modo che nessuna limitazione subiscono i diritti dei creditori dell’erede circa l’esecuzione; salve le limitazioni derivanti dalla separazione dei patrimoni e dal beneficio dell'inventario. Se, nell’ultimo comma dell’art. 703, si è ritenuto di dover ricordare espressamente che gli atti dell’esecutore non pregiudicano la rinunzia o l’accettazione col beneficio dell'inventario, ciò è stato fatto evidentemente per eliminare ogni dubbio che l’attività esplicata dall’esecutore potesse essere intesa come atto di gestione ereditaria vera e propria. Dubbio che, d'altronde, resta pure eliminato dal considerare che l’esecutore agisce in via autonoma senza rappresentare l’erede e non ne impegna in alcun modo la responsabilità.