È certo che l’art. #831# del vecchio codice del 1865 disciplinava in maniera troppo sommaria le disposizioni testamentarie a favore dell’anima, e ciò spiega le controversie dottrinali e giurisprudenziali sorte in ordine all’interpretazione di quel testo legislativo. L’attuale testo, nell'intento di regolare in maniera più completa le disposizioni a favore dell’anima, è riuscito più composito, ma non più organico, più complesso, ma non più completo, e, infine, notevolmente ambiguo.
Nella norma in esame, mentre appare, per un verso, sintomatica la collocazione (le disposizioni a favore dell’anima sono disciplinate subito dopo quelle a favore di persona incerta, sì che l’anima appare quasi come diretta destinataria delle disposizioni stesse), per un altro verso, con un brusco strappo, si orienta la disciplina legislativa verso un profilo oggettivo, che pare voglia totalmente obliterare l’insopprimibile esigenza soggettiva (l’art. 629, al primo comma, si affretta ad
attribuire alle disposizioni in oggetto la qualifica di un onere, e a richiamare l’art.
648). E questo è il punto più delicato: non basta determinare l’onerato rispetto ad una disposizione testamentaria, perché questa risulti definita;
occorre, infatti,
determinare il beneficiario di essa. Anzi, non soltanto questa determinazione è necessaria e, si direbbe, pregiudiziale, ma addirittura essa è l’unica costante del rapporto. Infatti, la più importante disposizione testamentaria, cioè l’istituzione di erede, ha un beneficiario, ma non ha un onerato (nel caso in cui l’eredità sia passiva, si potrà ben dire che l’istituzione di erede si risolva in un
incommodum, anziché in un beneficio, ma ciò rileva solo da un punto di vista economico).
L’equiparazione con l'onere si rivela, ciò posto,
inadeguata, poiché questo inciderà sempre direttamente sull’interesse di determinati soggetti giuridici (sia pure lo stesso erede istituito), mentre la disposizione a favore dell’anima potrà soltanto indirettamente toccare la sfera di interessi di un soggetto giuridico determinato. Così, se il testatore avrà disposto a favore della propria anima (ma può disporre anche a favore dell’anima di una terza persona: la legge non pone alcuna limitazione) i suoi parenti od amici, credenti come lui e interessati alle sorti della sua anima nell’oltretomba, avranno interesse a che la disposizione si adempia. Un
interesse indiretto, tanto che, appunto, può esistere presso i parenti come presso semplici amici, e non sarebbe da contestare alle autorità ecclesiastiche.
Rimane, dunque, senza risposta la domanda: chi è il beneficiario, e quindi il vero e diretto destinatario della disposizione? Se si nega che vi sia un soggetto beneficiario, poiché non può certo dirsi che l’anima sia soggetto giuridico, si deve concludere che non esiste alcun soggetto giuridico direttamente interessato all’adempimento dell’onere.
Stante ciò, il richiamo puro e semplice all’art.
648 non si può dire soddisfacente: infatti, è vero che, ai sensi della disposizione contenuta nel primo comma di questa norma, per l’adempimento dell’onere può agire qualsiasi interessato, ma è altrettanto vero che la citata disposizione si modella sulla normale situazione che presuppone la possibilità di identificazione di un interesse immediato: quello che può propriamente chiamarsi interesse giuridico. Perché, dunque, possa applicarsi alle disposizioni a favore dell’anima l’art.
648 primo comma,
occorre estendere la formula ivi adoperata: “qualsiasi interessato” in modo che vi si possano far rientrare anche le persone indirettamente interessate. In questo caso, non deve essere dubbio che, come si è detto, anche un semplice amico possa agire per l’adempimento delle disposizioni delle quali si tratta; ma non dovrebbe neanche essere dubbio che possa agire per l’adempimento della disposizione il competente organo dell’autorità ecclesiastica: qui non si tratta, infatti, di attribuire efficacia alle norme del diritto canonico nel campo del nostro diritto successorio (una recezione di tal genere non sarebbe concepibile senza un'espressa disposizione di legge in tale senso), ma soltanto di legittimare all’azione qualsiasi interessato, quale che sia la natura (interesse pietistico, morale, religioso) o il grado (interesse indiretto) di quell’interesse che costituisce l’oggetto della tutela giuridica.
Ma la disposizione in esame si presta ad un altro rilievo. Il legislatore ha voluto attribuire alle disposizioni a favore dell’anima la qualifica di oneri; senonché, l'onere (o
modus) è una disposizione testamentaria accessoria, che presuppone quindi una disposizione principale: esso grava l’istituzione di erede o il legato (art.
647); viceversa,
la disposizione a favore dell’anima non accede all’istituzione di erede o al legato, ma grava l’erede o il legatario. La distinzione non è arbitraria né troppo sottile: infatti, la disposizione a favore dell’anima,
anche in mancanza di altre disposizioni testamentarie, rimane in vita, e grava sui successori legittimi. Di conseguenza,
la qualifica espressa di onere, che l’art. 629 attribuisce alle disposizioni a favore dell’anima,
non corrisponde alla loro vera natura: a) perché queste disposizioni non hanno carattere accessorio, e quindi rimangono in vita anche se mancano altre disposizioni testamentarie; b) perché hanno una sfera di efficacia più estesa di quella dell’onere, dato che gravano anche sull’erede legittimo, mentre quello non può gravare se non sull’erede testamentario o sul legatario, e cade col cadere della disposizione testamentaria che designa l’erede o il legatario. In sostanza,
si tratta piuttosto di un legato, anziché di semplice onere. Certo, è facile rendersi conto che un legato del quale non sia destinatario diretto un soggetto giuridico determinato presenta una grave anomalia, ma non è meno anomalo un onere a favore di un soggetto giuridicamente inesistente. Né la presenza di tale anomalia, che fa sentire la sua influenza tanto rispetto al
modus, quanto rispetto al legato, autorizza a confondere o a scambiare questo con quello. La differenza tra l’onere e il legato permane, indipendentemente dall’incertezza o irregolarità soggettiva messa in luce.
D’altra parte, tenendosi ferma la natura di legato, attribuita alla disposizione a favore dell’anima, si sostenne che si tratti sempre di vera e propria
fondazione, dato che il vero destinatario è il fine di culto. Ma
la tesi è infondata: sia perché non può veramente dirsi destinatario di una disposizione testamentaria il fine di culto (tanto varrebbe, più semplicemente, attribuire tale qualità all’anima, per altro confessando, nell’uno o nell’altro caso, che destinatario non è un vero e proprio soggetto giuridico); sia perché il semplice onere di culto differisce visibilmente dalla fondazione: in quest’ultimo caso dev’essere chiaro l’intento del testatore di dare vita ad un autonomo soggetto giuridico. Ora, su questo punto, per quanto la giurisprudenza sia stata tendendenzialmente generosa, occorre essere assai rigorosi nell’interpretare la precisa volontà e l’intento del testatore. Nelle disposizioni legislative si deve dare prevalenza alla parte effettivamente dispositiva - all’imperativo normativo, per intenderci - su quella che può dirsi parte qualificativa, la quale è riservata all’interprete. E dunque, non sarebbe fonte di gravi inconvenienti la qualifica inesatta di onere per la disposizione dell’anima, se potesse valere incondizionatamente il
richiamo dell’art. 648, che a quella qualifica si ricollega; per quanto riguarda il primo comma di detto articolo, con le cautele sopra indicate, si può ritenere che il richiamo abbia tutto il suo valore pratico, ma non così può dirsi per la disposizione di cui al secondo comma, che disciplina gli effetti del mancato adempimento dell’onere in senso tecnico. Senza entrare in particolari, risulta all’evidenza che
la disposizione di cui si tratta può applicarsi soltanto in caso di successioni testamentarie, perché non è concepibile la perdita della qualità di erede legittimo per inadempimento di un onere. E allora i rilievi esposti sulla natura dell’onere testamentario vero e proprio, e specialmente quello relativo alla sua natura accessoria rispetto ad una disposizione testamentaria principale, mostrano immediatamente un riflesso pratico per la determinazione dei limiti entro i quali opera il richiamo dell'art.
648. Da quanto si è detto a questo proposito, pare si possa dedurre la seguente regola: l’art.
648 è applicabile alle disposizioni a favore dell’anima, per un verso, finché non si opponga la particolare natura di tali disposizioni e non emerga l’elemento di differenza che le distingue dagli oneri in senso tecnico; per altro verso, quando esista più stretta analogia (mai identità) fra la disposizione a favore dell’anima e l’onere in senso tecnico, e cioè quando l’adempimento del peso è imposto all’erede istituito nel testamento o ad un legatario. Non si vuol dare a questa regola valore assoluto, ma soltanto una funzione indicativa: l’esatta applicazione delle norme alle quali ci si riferisce richiede, nei singoli casi, una conveniente analisi.
Ma, per quanto attiene ai
rapporti fra successione testamentaria e successione legittima (o, in seno alla successione testamentaria, fra erede e legatario), si offre lo spunto per ulteriori riflessioni. Si faccia l’ipotesi che l’onere nascente dalla disposizione a favore dell’anima gravi sull’erede istituito, e che esso sia presidiato dalla clausola di risoluzione prevista dal testatore. In tal caso,
si riconoscerà all’erede legittimo l’interesse a far accertare l’inadempimento della disposizione? Non pare dubbio, perché all’erede legittimo deve riconoscersi il diritto di far valere l’azione per la risoluzione della disposizione testamentaria che lo priva dell’eredità. Ma
il peso non adempiuto è trasmesso all’erede legittimo? Anche a questa domanda si deve rispondere affermativamente, non tanto per il fatto che sarebbe iniquo che egli potesse profittare dell’inadempimento di un peso e sottrarsi, nel tempo stesso, all’obbligo di adempiere quel peso, quanto per il fatto che
il peso derivante dalle disposizioni a favore dell’anima è posto dalla legge a carico anche dell’erede legittimo. Si tratta sempre degli effetti della fondamentale differenza fra le disposizioni a favore dell’anima e
gli oneri in senso tecnico; questi ultimi, infatti, sono voluti dal testatore, e gravano unicamente sulle persone beneficiate da lui (erede testamentario, legatario), ma
non possono trasferirsi su altre persone: sicché, se l’istituzione di erede si risolve, per mancato adempimento dell’onere, l’erede legittimo non è tenuto a sopportare l’onere medesimo. Così, se l’onere gravi sul legatario, e il legato si risolva per mancato adempimento dell’onere stesso, l’erede testamentario o legittimo ne sono liberati. Trattandosi invece di
disposizioni a favore dell’anima,
se si estingue il legato, il peso derivante da tali disposizioni si trasferisce sull'erede testamentario o sull’erede legittimo.
Da quanto precede si deduce ancora che, se manca un soggetto giuridico direttamente interessato all’adempimento delle disposizioni a favore dell’anima, spesso (quando, ai sensi dell’art.
648 primo comma, si può pervenire alla risoluzione dell’istituzione di erede o del legato) non manca un soggetto giuridico direttamente interessato all’ (a far valere l’) inadempimento.
Nel primo comma dell’art. 629, per riparare all’inconveniente che era derivato dalla vaga formulazione dell’art. #831# codice 1865, il legislatore ha segnato i limiti per la validità delle disposizioni a favore dell’anima. L’art. #831# adottava una formula negativa, poiché si preoccupava di sancire la nullità delle disposizioni a favore dell’anima; e sanciva tale nullità per quelle disposizioni che risultassero “espresse genericamente”. La determinazione del preciso significato di tale espressione affaticò la dottrina e la giurisprudenza.
L’art. 629 adotta, più opportunamente, una formula positiva, determinando i requisiti necessari per la validità delle disposizioni in oggetto. E richiede che “siano determinati i beni o possa essere determinata la somma” da impiegarsi al fine perseguito dalle disposizioni medesime. Opera dunque soltanto il criterio della determinatezza del mezzo, ovvero, può dirsi, della sua determinabilità. In realtà, la legge enuncia il criterio della determinabilità solo rispetto all’ipotesi che si tratti di somma di denaro; ma è lecito ritenere che tale criterio sia da estendere anche all’ipotesi che si tratti di beni diversi dal denaro, per l’identità di ragione, che risulta all’evidenza.
Nell’ultimo alinea si dà
facoltà al testatore di designare una persona che curi l’esecuzione della disposizione a favore dell’anima. Tale norma, nella pratica opportuna, accentua ancora più la differenza tra queste disposizioni delle quali si tratta e gli oneri in senso tecnico; infatti, la possibilità di designazione di una persona che curi l’adempimento del
modus non è prevista dagli art.
647 e
648. In sostanza si tratta di
una specie di esecutore testamentario, la cui presenza è qui giustificata in modo particolare, specialmente per il fatto che manca un soggetto giuridico direttamente interessato a chiedere l’esecuzione della disposizione. Si capisce che l’esecutore testamentario potrebbe, in ogni caso, chiedere l’adempimento delle disposizioni a favore dell’anima.