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Articolo 459 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Acquisto dell'eredità

Dispositivo dell'art. 459 Codice Civile

L'eredità si acquista con l'accettazione [470 c.c.](1). L'effetto dell'accettazione risale al momento nel quale si è aperta la successione(2).

Note

(1) Per l’acquisto della qualità di erede non è sufficiente la delazione ma è necessario che il chiamato accetti l’eredità.
L’accettazione può essere espressa o tacita (v. l'art. 475 e 476 del c.c.), semplice o beneficiata (v. l'art. 484 e ss. c.c.).
Per accettare l’eredità è necessario avere la capacità di agire, gli incapaci devono essere rappresentati o assistiti.
(2) Gli effetti dell’accettazione dell’eredità retroagiscono a partire dal momento dell’apertura della successione, benché la prima avvenga successivamente alla seconda.

Ratio Legis


La presente norma sancisce il principio in base al quale nessuno è erede contro la propria volontà, è infatti necessaria l'accettazione al fine di acquistare l'eredità.
Dalla norma si desume inoltre il principio inderogabile della retroattività degli effetti dell'accettazione all'apertura della successione.

Brocardi

Aditio
Aditio hereditatis
Delata hereditas intelligitur quam quis possit adeundo consequi
Omnis hereditas, quamvis postea adeatur, tamen cum tempore mortis continuatur

Spiegazione dell'art. 459 Codice Civile

All'apertura della successione il chiamato non è immediatamente erede, ma esclusivamente titolare di due distinte situazioni giuridiche:
  • il diritto di accettare l'eredità che ha natura di diritto potestativo;
  • i poteri di amministrare la massa ereditaria ai sensi dell'art. 460 del codice civile.
La delazione ereditaria, infatti, non determina l'acquisto dell'eredità, ma attribuisce esclusivamente il diritto di accettarla.

Il mezzo previsto dall'ordinamento al fine di acquistare l'eredità è l'accettazione che può essere espressa (art. 475 del codice civile) o tacita (art. 476 del codice civile), pura o col beneficio di inventario (art. 470 del codice civile).
La necessità della c.d. aditio al fine dell'acquisto della qualità di erede trova fondamento nel principio generale in base al quale non si può determinare l'acquisto di diritti e l'assunzione di obblighi in capo ad un soggetto senza il consenso del soggetto interessato. Si rileva al riguardo che l'erede, salvo il caso in cui accetti col beneficio d'inventario, è responsabile ultra vires (quindi anche oltre il valore dei beni facenti parte dell'asse ereditario) dei debiti dell'eredità oltre a poter avere ragioni personali di natura morale per non voler assumere tale qualifica.
Dalla norma in esame si ricava il principio secondo il quale nessuno è erede contro la propria volontà.

La regola per cui l'eredità si acquista previa sua accettazione trova le sue eccezioni nelle particolari ipotesi di possesso dei beni ereditari (art. 485 2º e 3º comma del codice civile), di sottrazione dei beni ereditari (art. 527 del codice civile) e di acquisto dei beni parte dello Stato (art. 586 del codice civile).
In tali ipotesi, in particolare, l'acquisto dell'eredità si determina automaticamente prescindendosi dalla concreta volontà del chiamato o dal suo contegno concludente.

Il legislatore se da un lato prevede la necessaria accettazione dell'eredità al fine del suo acquisto, dall'altro stabilisce l'effetto retroattivo di tale acquisto al fine di garantire la continuità nella titolarità dei rapporti giuridici facenti capo al de cuius in un'ottica di certezza dei traffici giuridici.
Ricorrendo a tale fictio iuris, l'erede diviene titolare del patrimonio ereditario con effetto dall'apertura della successione nonostante la sua accettazione non possa che essere intervenuta in un momento successivo.

Tale efficacia retroattiva è inderogabile essendo espressione del concetto di successione universale quale successione in locum et ius defunti e trova conferma nella invalidità dell'accettazione sottoposta a condizione o termine (art. 475 2º comma del codice civile) nonché nell'impossibilità di prevedere un termine iniziale da cui dipenda l'efficacia o l'inefficacia di una disposizione a titolo universale (art. 637 del codice civile).

Per acquistare l'eredità è necessaria la sussistenza in capo al chiamato di una delazione attuale. Qualora non sussista tale presupposto non è possibile accettare l'eredità, ma neanche possono verificarsi le ipotesi di acquisto senza accettazione di cui sopra.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 459 Codice Civile

Cass. civ. n. 22730/2021

L'erede che intenda esercitare un diritto riconducibile al "de cuius" deve allegare la propria legittimazione per essere subentrato nella medesima posizione di quello, fornendo la prova, mediante la produzione in giudizio di idonea documentazione, del decesso della parte originaria e della propria qualità di erede; solo successivamente acquisisce rilievo l'accettazione dell'eredità, la quale può anche avvenire tacitamente, attraverso l'esercizio di un'azione petitoria. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in un giudizio di rivendicazione, ai fini della dimostrazione del trasferimento della proprietà del bene oggetto di causa, aveva ritenuto sufficiente la tacita accettazione dell'eredità da parte degli aventi causa della parte attrice, senza dare rilievo all'imprescindibile necessità di acquisire anche la prova della loro qualità di eredi).

Cass. civ. n. 21436/2018

In tema di successioni "mortis causa", la delazione che segue l'apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è da sola sufficiente all'acquisto della qualità di erede, essendo necessaria l'accettazione da parte del chiamato, mediante "aditio" o per effetto di una "pro herede gestio", oppure la ricorrenza delle condizioni di cui all'art. 485 c.c.; nell'ipotesi di giudizio instaurato nei confronti del preteso erede per debiti del "de cuius", incombe su chi agisce, in applicazione del principio generale di cui all'art. 2697 c.c., l'onere di provare l'assunzione della qualità di erede, che non può desumersi dalla mera chiamata all'eredità, non operando alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all'accettazione dell'eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella predetta qualità. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva ritenuto provata l'assunzione della qualità di erede del convenuto in forza della mancata risposta all'invito di pagare il debito ovvero della mancata allegazione da parte di quest'ultimo della rinuncia all'eredità).

Cass. civ. n. 5473/2008

La morte del debitore d'imposta comporta il trasferimento agli eredi della relativa obbligazione tributaria per effetto della mera accettazione, anche implicita, dell'eredità. Pertanto, ai fini della sussistenza di tale obbligazione in capo agli eredi, è irrilevante che gli atti di accertamento o di riscossione dell'imposta siano stati notificati non all'erede, ma al suo rappresentante legale.

Cass. civ. n. 2276/1995

Il mancato acquisto della qualità di erede, che si risolve nel difetto di legittimazione ad agire o a contraddire, può essere denunziato dalla parte avversa e comunque rilevato d'ufficio dal giudice, cui spetta di accertare la coincidenza del soggetto che esercita o contrasta l'azione con quello cui la legge riconosce il potere di agire o resistere in ordine al rapporto giuridico dedotto in giudizio.

Cass. civ. n. 8737/1993

In tema di successioni legittime, qualora sussista una pluralità di designati a succedere in ordine successivo, si realizza una delazione simultanea a favore dei primi chiamati e dei chiamati ulteriori, con la conseguenza che questi ultimi, in pendenza del termine di accettazione dell'eredità per i primi chiamati, sono abilitati ad esercitare un'accettazione (espressa o tacita) valida, ma con efficacia subordinata al venir meno, per rinuncia o prescrizione - eventi che configurano una condicio iuris - del diritto dei primi chiamati.

Cass. civ. n. 6400/1984

L'accettazione, espressa o tacita, dell'eredità, implicando l'effettivo subingresso dell'erede nella totalità o in una parte frazionaria dell'universum jus costituente l'asse ereditario, prescinde dalla specificazione di singoli beni o rapporti, la cui sorte non può che essere regolata dalla legge o dalla volontà eventualmente manifestata dall'autore della successione.

Cass. civ. n. 2575/1975

Il «titolo idoneo» a trasferire la proprietà od a costituire un diritto reale su bene immobile, richiesto per l'usucapione decennale di cui all'art. 1159 c.c., deve consistere in un atto traslativo a titolo particolare, e non può essere ravvisato in una successione universale mortis causa; quest'ultima, infatti, determinando il subentrare del successore nell'intero patrimonio del de cuius, od in una quota ideale di esso, non consente di accertare la necessaria precisa corrispondenza fra l'oggetto dell'usucapione e quello del titolo, dal quale deve risultare con esattezza l'immobile od il diritto immobiliare trasmesso.

Cass. civ. n. 714/1974

Nel nostro diritto successorio il titolo di erede non è necessariamente collegato con l'acquisto di beni; pertanto, l'istituzione è valida anche qualora nessuna attività si riscontri in concreto nella successione.

Cass. civ. n. 2161/1971

In caso di successione legittima, non è necessario altro titolo, per la vocazione ereditaria, che la qualità di erede legittimo, mentre l'accettazione anche tacita della eredità - la quale può risultare dalla stessa proposizione dell'azione in veste di erede - è titolo necessario e sufficiente per l'acquisto della proprietà dei beni relitti.

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Consulenze legali
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M. G. chiede
sabato 15/06/2024
“Buongiorno, in una situazione in cui sono erede di un parente defunto di cui non conosco nulla della sua situazione patrimoniale ( sorella deceduta 4 mesi fa ) e non ho fatto azioni di accettazione di eredità neppure in forma tacita, per cautelarmi da eventuali debiti del defunto ( debiti con Agenzia Entrate o altri debiti ), che cosa devo fare ? Una rinuncia all' eredita ?
Inoltre, non mi è chiaro il significato di retroattività della rinuncia all' eredità. Significa che se sono erede di un parente defunto e mi viene ad esempio contestato un debito da Agenzia delle Entrate PRIMA che abbia fatto rinuncia e quindi faccio la rinuncia solo successivamente, devo pagare comunque il debito che ho ereditato ?
Oppure significa che se ad esempio AE mi contesta un debito del defunto posso comunque rinunciare all' eredità successivamente a tale contestazione e l' effetto retroattivo della stessa mi consente di non essere responsabile per tale debito ? (In tale ultimo caso avrei sempre 10 anni per rinunciare ? )
Se faccio la rinuncia all' eredità che cosa succede ? L' eredità ed eventuali debiti/crediti passano ai miei figli e quindi devono anch' essi fare la rinuncia ( ne risponde eventualmente anche un nipotino di 1 anno ? )
Grazie, come vedete devo capire come comportarmi in una situazione di morte di un parente di cui non conosco nulla ( esistenza conti correnti, debiti, crediti, etc... ) e non abito neppure nelle vicinanze e accettare l' eredità non mi interessa molto, ma vorrei evitare spiacevoli conseguenze.
Grazie”
Consulenza legale i 20/06/2024
Secondo quanto disposto dall’art. 459 c.c. l’eredità si acquista con l’accettazione, la quale avrà effetto sin dal momento dell’apertura della successione (ovvero dalla data della morte del de cuius).
Due sono gli effetti che con tale norma il legislatore si è prefisso di raggiungere:
  1. evitare che qualcuno possa divenire erede senza volerlo;
  2. fare in modo, con la retroattività dell’accettazione, che non vi sia soluzione di continuità nella titolarità del patrimonio del de cuius.
Fin quando l’eredità non verrà accettata, si parlerà di c.d. “eredità giacente”, la quale si configura come un vero e proprio patrimonio separato in attesa di un titolare, del tutto distinto da quello dei chiamati e che tale potrà rimanere tale anche in caso di accettazione con beneficio di inventario (va precisato che per aversi eredità giacente è necessario che ricorrano le condizioni previste dall’art. 528 del c.c., sulle quali non si reputa opportuno soffermarsi).

La forma di accettazione a cui più comunemente si ricorre è quella c.d. pura e semplice, la quale, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 474 del c.c., può avvenire per dichiarazione espressa o tacita.
Se nessuno dei chiamati, poi, dovesse decidere di accettare, si sarà al cospetto di una eredità c.d. vacante, la quale andrà in favore dello Stato.
Ora, il problema principale che si rende necessario affrontare, nel tempo intercorrente tra l’apertura della successione e l’eventuale accettazione o rinunzia dell’eredità, è quello di come interagire con il patrimonio del defunto, al fine essenzialmente di non incorrere in una accettazione tacita.
Punto di riferimento sotto questo profilo è l’art. 460 del c.c., il quale delinea, anche se in modo molto generico, quelli che sono i poteri spettanti al chiamato all’eredità.

In particolare, dall’analisi di tale norma se ne deduce che non possono comportare accettazione tacita le seguenti azioni:
  1. azioni possessorie: il chiamato all’eredità può, in tale veste, esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, indipendentemente dalla loro materiale apprensione;
  2. compimento di atti conservativi, cautelari, di vigilanza e di amministrazione temporanea dei beni ereditari. Al chiamato è perfino consentito, previa autorizzazione del Tribunale del luogo di apertura della successione vendere quei beni che non possono essere conservati o la cui conservazione comporta un grave dispendio in danno del patrimonio ereditario.
Qualora il chiamato dovesse essere in possesso di beni ereditari, si reputa essenziale, ai fini di una successiva rinunzia, che lo stesso rediga inventario dei beni lasciati dal de cuius entro il termine di tre mesi dall’apertura della successione.

Ebbene, la rigorosa osservanza delle cautele sopra descritte consente al chiamato all’eredità di rimanere inerte, ovvero di non manifestare alcuna volontà, né di rinunzia e neppure di accettazione, fino a quando non si sarà prescritto il relativo diritto (ciò che si verifica trascorsi dieci anni dall’apertura della successione, ex art. 480 c.c.).
Nessuna preoccupazione deve destare l’esistenza di eventuali debiti ereditari, considerato che, come si è detto, il patrimonio ereditario, in assenza di accettazione, non può confondersi con quello del defunto, con la conseguenza che nessun creditore sarà legittimato ad aggredire quello del chiamato all’eredità.
Ciò che conta è evitare di porre in essere qualunque tipo di atto che possa un domani essere qualificato come accettazione tacita di eredità, il che significa, a titolo meramente esemplificativo, che non si dovranno sottoscrivere atti e documenti che potrebbero essere firmati solo nella qualità di erede, né ritirare denaro da eventuali conti correnti intestati al defunto o chiudere gli stessi, non subentrare in eventuali giudizi in corso.
E’ anche opportuno restituire al mittente tutta la posta (specialmente quella inviata con raccomandata a.r.) e non accettare eventuali notifiche, dichiarando che trattasi di destinatario defunto.

Rispettati i predetti accorgimenti, sarà possibile in qualunque momento, prima del decorso dei dieci anni, dichiarare di voler rinunziare all’eredità, con la precisazione che chi rinunzia all’eredità è considerato dalla legge come se non fosse stato mai chiamato (in questo senso si dice che la rinunzia possiede efficacia retroattiva).
Tuttavia, se i c.d. “primi chiamati” rinunzianti sono figli e fratelli o sorelle del de cuius ed hanno discendenti in linea retta, questi ultimi assumeranno dal momento della rinunzia del loro ascendente la posizione di chiamati ulteriori, in forza della regola della rappresentazione, disciplinata dagli artt. 467 e ss. c.c..
Ciò comporta che anche loro dovranno effettuare la dichiarazione di rinuncia all’eredità e che, nel particolare caso in cui tra i chiamati ulteriori vi siano dei minori, per poter rinunciare occorre munirsi della preventiva autorizzazione del giudice tutelare ex art. 320 del c.c., autorizzazione che verrà sicuramente concessa nel caso in cui si dimostri che il patrimonio ereditario da acquisire risulta gravato da molti debiti.


Giuseppe C. chiede
martedì 28/01/2020 - Lombardia
“Gentile Avvocato, io e mio fratello rientriamo nell’asse ereditario di una nostra lontana parente venuta a mancare otto anni fa.
Gli altri eredi hanno iniziato la procedura di accettazione dell’eredità (costituita in massima parte di beni immobili e terreni per noi di scarsissimo interesse e non facilmente rivendibili, e di una piccolissima parte di liquidi depositati su un conto bancario che non bastano nemmeno a coprire le spese di successione) e richiedono urgentemente il pagamento della nostra parte delle tasse di successione, che ammonta a circa 3000 euro a persona.
Io e mio fratello desideriamo però rinunciare in toto all’eredità, e temiamo che pagando la nostra parte di tasse non sia più possibile effettuare la rinuncia.
Le chiediamo quale sia il modo corretto di agire per poter rinunciare all’eredità sia nel mio caso (coniugato con figli maggiorenni), sia nel caso di mio fratello (non coniugato con figlia minorenne).
Vorrei inoltre sapere a che conseguenze andremmo incontro se decidessimo semplicemente di non fare nulla (né accettare, né rifiutare, né soprattutto pagare).”
Consulenza legale i 04/02/2020
L’acquisto dell’eredità da parte dell’erede non avviene per il solo fatto dell’apertura della successione, determinando questa soltanto una chiamata ereditaria, tecnicamente definita “delazione”.
Occorre, infatti, un atto ulteriore, ovvero una manifestazione di volontà, espressa o tacita, che determini ex artt. 459 e 474 c.c. tale acquisto; per tale ragione si distinguono civilisticamente le figure del chiamato ancora non accettante e dell’erede chiamato che ha accettato l’eredità.

Ebbene, ciò che qui viene chiesto di chiarire è la posizione di responsabilità del mero chiamato non ancora accettante, o meglio la sua soggettività passiva con riferimento all’imposta di successione.
Fino a qualche tempo fa costituiva consolidato orientamento della Corte di Cassazione quello secondo cui la delazione, che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non poteva ritenersi di per sé sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, poiché a tale effetto risultava anche necessaria da parte del chiamato l’accettazione mediante “”aditio” oppure a seguito di “pro herede gestio” o, ancora, per il ricorrere delle condizioni di cui all’ art. 485 del c.c. (così Cass. N. 125/1983; 4520/1984; 2489/1987; 1885/1988; 11634/1981; 6479/2002).

Da ciò se ne faceva conseguire che, al fine di escludere la responsabilità del chiamato con riferimento a debiti tributari del de cuius non era necessario che lo stesso avesse effettuato un espresso atto di rinuncia, essendo piuttosto onere dell’amministrazione finanziaria provare che il chiamato avesse compiuto un atto di accettazione; a tal fine l’amministrazione si sarebbe potuta avvalere dello strumento di cui all’art. 481 del c.c., norma che consente a chiunque vi abbia interesse di acquisire in qualsiasi momento la certezza circa l’accettazione o meno dell’eredità da parte del chiamato.
Precisava, tuttavia, la medesima Corte di Cassazione che a tale principio dovesse fare eccezione la disciplina relativa all’imposta di successione, argomentando dal disposto di cui all’art. 5 del D.P.R. 637 del 1972, norma che, ai fini della individuazione del soggetto passivo, attribuiva rilevanza alla mera chiamata all’eredità (così Cass. 11320/1995).

Tale eccezione, tuttavia, è stata superata con l’entrata in vigore del D.lgs. n. 346 del 1990 (ciò di cui si dà chiaramente atto nella recente ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. VI, n. 19030 del 17.07.2018).
Per effetto di tale nuova disciplina, infatti, nonostante all’art. 5 sia stata ripetuta la formula di cui all’art. 5 del D.P.R. 637/1972 e nonostante il comma 4 dell’art. 7 equipari esplicitamente i chiamati agli eredi, disponendo che “fino a quando l’eredità non sia stata accettata, o non sia stata accettata da tutti i chiamati, l’imposta è determinata considerando come eredi i chiamati che non vi hanno rinunziato”, il comma 3 del successivo art. 36 chiarisce una volta per tutte che il semplice chiamato all’eredità, che non abbia il possesso di beni ereditari, non può essere considerato soggetto passivo dell’imposta.

Dispone tale ultima norma che “fino a quando l’eredità non sia stata accettata, o non sia stata accettata da tutti i chiamati, i chiamati all’eredità, o quelli che non hanno ancora accettato, e gli altri soggetti obbligati alla dichiarazione di successione, esclusi i legatari, rispondono solidalmente dell’imposta nel limite del valore dei beni ereditari rispettivamente posseduti”.
Di tale cambiamento si è avuta espressa conferma anche con la successiva Circolare del Ministero delle Finanze n. 17 del 15 marzo 1991, nella quale, proprio fornendo una interpretazione chiarificatrice del suddetto art. 36, è stato espressamente affermato che “fino all’accettazione dell’eredità, chi non è in possesso dei beni ereditari non deve rispondere dell’imposta e chi ne è possessore non deve risponderne oltre il limite del valore dei beni posseduti.”

A questo punto, si ritiene che sia abbastanza chiara la risposta da dare al quesito posto: chi, come colui il quale pone il quesito, si trova nella semplice posizione di chiamato all’eredità, senza avere il possesso di alcun bene ereditario, non può essere in alcun modo considerato soggetto passivo dell’imposta di successione.
Del resto, colui o coloro i quali abbiano nel frattempo assunto, espressamente o tacitamente, la posizione di eredi, non può dirsi che siano del tutto privi di tutela, in quanto possono beneficiare di due strumenti, e precisamente:
  1. chiedere al Tribunale del luogo di apertura della successione che venga fissato un termine, ex art. 481 c.c, entro cui gli altri chiamati dovranno dichiarare se accettare o meno l’eredità (decadendo da tale diritto nel caso in cui lascino trascorrere inutilmente tale termine);
  2. in caso di accettazione successiva al pagamento dell’imposta, poiché viene a mutare la devoluzione dell’eredità, colui o coloro i quali hanno pagato avranno diritto ad essere rimborsati pro quota ex art. 47 DPR n. 637/1972.

Nessuna pretesa, dunque, possono avanzare allo stato attuale gli eredi accettanti, sempre che, si ribadisce, i chiamati all’eredità non abbiano posto in essere comportamenti dai quali desumere una accettazione implicita dell’eredità ex art. 476 del c.c., il cui onere probatorio, tuttavia, incombe su coloro che vogliono far valere la posizione di soggetto passivo dell’imposta di successione in capo a chi non ha ancora accettato esplicitamente.

Sembra più che evidente, infine, che si perderà definitivamente la posizione di potenziali soggetti passivi di tale imposta nell’ipotesi di rinuncia espressa all’eredità ex art. 519 del c.c., la quale è sufficiente che, nel caso di specie, venga posta in essere soltanto dai chiamati e non anche dai loro discendenti (figli maggiorenni o minorenni), in quanto, considerato che de cuius è una lontana parente, non potrà operare in loro favore l’istituto della rappresentazione.

Si ritiene, comunque, che, ad otto anni dall’apertura della successione, la soluzione migliore sia quella di non sprecare tempo e denaro per effettuare una rinuncia all’eredità, considerato che tra soli due anni si prescriverà il diritto di accettare, costringendosi così gli eredi accettanti, se proprio lo vogliono e ne hanno interesse, a far fissare un termine ex art. 481 c.c.


Vittorio C. chiede
lunedì 15/07/2019 - Lazio
“Richiesta di successione.
Da Marzo una delle mie sorelle ha preso impegno di presentare la Successione tramite una associazione a ...omissis.... Una delle mie sorelle nello stesso tempo ha fatto la rinuncia che ha provocato un po di ritardo. Mia sorella avendo una figlia che ha deciso anche lei di fare la rinuncia ha causato di bloccare la pratica della successione che il termine di 12 mesi era da presentare il 14 Luglio 2019. Miei altri 4 fratelli/sorelle sono comodoni e si interessano poco e niente di cosa accade riguarda l'eredità. Sono l´unico in cui mi sono sempre occupato di tutto.
La mia sorella e sua figlia dovuto al ritardo hanno causato il blocco della pratica che causa inconvenienti economici. Io cosa posso fare o procedere con il tutto??? Che possibilità ce di prolungare il termine di presentare la pratica? Grazie”
Consulenza legale i 21/07/2019
Come ben evidenziato nel quesito, la dichiarazione di successione deve essere presentata dagli eredi, dai chiamati all'eredità, dai legatari entro 12 mesi dalla data di apertura della successione che coincide, generalmente, con la data del decesso del de cuius (art. 31 del Testo Unico sull’imposta di successione approvato con D. Lgs. n. 346 del 31.10.1990).
La dichiarazione può essere presentata direttamente dal contribuente tramite i servizi telematici, tramite un intermediario abilitato o presso l’ufficio competente dell’Agenzia delle Entrate.

Così come disposto dall’art. 28 del Testo Unico, sono obbligati a presentare la dichiarazione di successione:
Il successivo comma 4 dispone che, nel caso in cui vi siano più persone obbligate alla presentazione della dichiarazione (come nel caso di specie) è sufficiente presentarne una sola.
L’obbligo di presentazione della denuncia non sussiste se i chiamati all'eredità e i legatari, anteriormente alla scadenza del termine stabilito nell'art. 31 (12 mesi), hanno rinunziato all'eredità o al legato o, non essendo nel possesso di beni ereditari, hanno chiesto la nomina di un curatore dell'eredità a norma del primo comma dell'art. 528 del c.c. e ne hanno informato per raccomandata l'ufficio del registro, allegando copia autentica della dichiarazione di rinunzia all'eredità o copia dell'istanza di nomina autenticata dal cancelliere del Tribunale.

Si ricorda che, come stabilito dall’art. 459 c.c., il diritto di accettare l’eredità può essere esercitato nel corso del termine decennale.
Ai sensi dell’art. 476 del c.c. del codice civile, invece, si configura accettazione tacita “quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede”.
L’articolo 36 del citato Testo Unico prevede che fino a quando l’eredità non è stata accettata o non è stata accettata da tutti i chiamati all’eredità, i chiamati all’eredità, quelli che non hanno ancora accettato e gli altri soggetti obbligati alla dichiarazione, rispondono solidalmente dell’imposta nel limite del valore dei beni ereditari rispettivamente posseduti.

Pertanto, come precisato con Cir. 15 marzo 1991, n. 17, fino alla accettazione dell’eredità, chi non è in possesso dei beni ereditari, non deve corrispondere l’imposta, mentre chi ne è possessore non deve risponderne oltre il limite del valore dei beni posseduti, fermo restando, però, l’obbligo di cui si è detto, di richiedere, entro il termine di 12 mesi, la nomina di un curatore dell'eredità e di darne comunicazione all’Amministrazione finanziaria.

Non c'è, altresì, obbligo di dichiarazione se gli unici eredi sono il coniuge e i parenti in linea retta e l'attivo ereditario ha un valore non superiore a 100.000 euro e non comprende beni immobili o diritti reali su immobili.
Così come disposto dall’art. 5 del citato Testo Unico, ai fini dell'imposta di successione sono considerati parenti in linea retta anche i genitori e i figli naturali, i rispettivi ascendenti e discendenti in linea retta, gli adottanti e gli adottati, gli affilianti e gli affiliati.

Purtroppo, il termine di 12 mesi non può essere modificato, pertanto, la dichiarazione di successione non presentata si considera “omessa” mentre, quella presentata entro trenta giorni dalla scadenza del predetto termine si considera “tardiva”.
Le sanzioni relative all’imposta sulle successioni e donazioni sono stabilite dagli articoli 50 e ss. del Testo Unico.
L’omissione della presentazione della dichiarazione, ai sensi dell’articolo 50 del citato Testo Unico, è punita con la sanzione amministrativa dal 120% al 240% dell’imposta liquidata o riliquidata dall’Ufficio.
Se non è dovuta imposta si applica la sanzione amministrativa da euro 250 a euro 1.000.

Se la dichiarazione è presentata con un ritardo non superiore a 30 giorni si applica la sanzione amministrativa dal 60% al 120% dell’imposta liquidata o riliquidata dall’Ufficio. Anche in questo caso, se non è dovuta imposta, si applica comunque una sanzione amministrativa da euro 150 a euro 500.
Pertanto, se i 12 mesi giungevano a scadenza in data 14 luglio 2019, si suggerisce di presentare la denuncia di successione immediatamente e, comunque, entro il termine di 30 giorni dalla predetta data, in modo da poter usufruire della riduzione della sanzioni di cui si è detto prima.


Vittorio C. chiede
mercoledì 27/03/2019 - Lazio
“Richiesta di Successione:
Siamo 7 Fratelli in cui 6 abitiamo in Germania e 1 sorella in Italia.
Abbiamo ereditato un immobile a Cisterna d.LT. da nostra madre deceduta nel Luglio 2018.
Dobbiamo fare la successione.....come possiamo fare la successione essendo 6 in Germania e una sorella in Italia?
E possibile farla Online da un legale?”
Consulenza legale i 30/03/2019
Dal primo gennaio 2019 non è più possibile presentare la dichiarazione di successione tramite il vecchio modello cartaceo. Unica modalità per farlo è la compilazione e trasmissione online.

A tal fine l’Agenzia delle Entrate ha messo a disposizione sul proprio sito (www.agenziaentrate.gov.it) un modello che consente contestualmente di presentare la dichiarazione di successione e la domanda di voltura catastale, e ciò per il caso in cui nel patrimonio ereditario vi siano immobili (adempimento quest’ultimo fondamentale e da non trascurare per realizzare il c.d. allineamento catastale, il quale consentirà in seguito di disporre giuridicamente dei beni immobili ereditati).

Inoltre, al preciso fine di agevolare coloro che possono trovarsi nella condizione di chi pone il quesito, sempre sul sito dell’Agenzia delle entrate è possibile reperire, insieme al modello “Dichiarazione di successione e domanda di voltura catastale”, uno specifico software da utilizzare per la compilazione, il calcolo ed il pagamento telematico delle imposte dovute, nonché per l’invio e la stampa del modello (i tributi in questo caso vanno autoliquidati).

Indubbiamente sotto un profilo pratico può non risultare così semplice avvalersi personalmente di tale sistema, soprattutto per chi non ha le necessarie competenze tecniche per utilizzare in autonomia il servizio.
Ebbene, ciò non deve costituire motivo di preoccupazione, in quanto per la compilazione del modello online ci si può tranquillamente avvalere anche di intermediari abilitati, quali sono professionisti (commercialista o ragioniere) e Caf.

Neppure può costituire motivo di preoccupazione il fatto che di tutti coloro che si trovano nella posizione di chiamati all’eredità, sei si trovano in Germania ed uno solo in Italia, in quanto, qualora vi siano più soggetti obbligati alla presentazione della medesima dichiarazione, è sufficiente che la presenti uno solo di essi.

Pertanto, in questo caso sarà ben possibile che soltanto il chiamato all’eredità residente in Italia si rechi presso un Caf o un professionista abilitato e lo incarichi di presentare online la denuncia di successione con contestuale domanda di voltura catastale.
Si ricorda che la dichiarazione deve essere presentata entro 12 mesi dalla data del decesso e che all’intermediario occorre fornire:
  • il certificato di morte del defunto;
  • i dati anagrafici dei chiamati all’eredità, con copia dei relativi documenti di identità;
  • solo per il caso di successione testamentaria, copia degli atti di ultima volontà del defunto, nonché copia del verbale di pubblicazione del testamento;
  • certificato catastale degli immobili caduti in successione, da cui poter ricavare la relativa rendita (è sulla base di quest’ultima che vanno autoliquidate le imposte).

La dichiarazione andrà sottoscritta soltanto da colui che ne richiede la presentazione ed avrà valore per tutti gli obbligati.

Solo per completezza, si ricorda che è consigliabile (ma non obbligatorio) indicare in dichiarazione:
  1. i titoli del debito pubblico, compresi BOT e CCT;
  2. gli altri titoli di Stato, ma anche eventuali beni o diritti dichiarati esenti dall’imposta sulle successioni.

Infine va anche detto che, in via eccezionale ed unicamente per coloro che risiedono all’estero e sono impossibilitati ad avvalersi del servizio telematico, è consentita la presentazione cartacea della dichiarazione, da inviare al competente ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate (quello del luogo di ultima residenza del defunto) a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno o altro mezzo equivalente, purché in grado di documentare con certezza la data di spedizione (soluzione questa che potrebbe presentarsi come residuale per il solo caso in cui l’erede che si trova in Italia non voglia occuparsi di tale adempimento).

Felice S. chiede
lunedì 05/02/2018 - Sardegna
“Buongiorno,sono l'erede legittimo di 1/3 di un immobile di cui ho accettato eredità dopo la morte di mia mamma,avvenuta il 20/10/2012,insieme a mie due sorelle con una dichiarazione di successione regolarmente registrata il 14/02/2013.Questo immobile è di 2 piani in cui,in uno,adibito a prima casa da me medesimo(specificato in "osservazioni" nella dichiarazione di successione).Nel 2015 ho avuto ipoteca legale da parte dell'Equitalia per 1/3 dell'immobile e vorrei sapere se per cancellare l'ipoteca posso rinunciare all'eredità tramite atto notarile o con dichiarazione in cancelleria del tribunale.Inoltre avrei bisogno di sapere quanto tempo avevo a disposizione prima di effettuare la successione dal notaio dopo la morte della mamma.
grazie.”
Consulenza legale i 06/02/2018
Ai sensi dell’art. 459 c.c. l’eredità si acquista con l’accettazione che, se esercitata, produce i suoi effetti sin dal momento in cui si è aperta la successione.

L’accettazione viene qualificata come un negozio unilaterale e non recettizio attraverso il quale il chiamato all’eredità esercita il suo diritto di acquistare l’eredità.

Una volta esercitata l’accettazione, non sarà più possibile revocarla.

Nel nostro ordinamento vige, infatti, il principio secondo cui “semel heres, semper heres” (una volta eredi si è sempre eredi) in virtù del quale una volta che si sia divenuti erede non è più possibile perdere questa qualità per rinuncia.

La rinuncia può essere fatta dal chiamato all’eredità solo fino al momento dell’accettazione.

Una volta accettata l’eredità, si diventa eredi e la qualifica di erede segue per sempre il soggetto che ne è stato investito in quanto egli rappresenta la continuità della persona del defunto.

Alla luce di tale principio dettato in materia di successioni, poiché Lei ha già accettato l’eredità a seguito della morte di Sua mamma, non vi potrà più rinunciare.

Una volta acquisito il titolo di erede, come è avvenuto nel Suo caso, lo si conserva per sempre.

In merito all’ulteriore domanda formulata, ossia quanto tempo aveva prima di effettuare la successione dal Notaio, se si riferisce ai termini per presentare la dichiarazione di successione, quest’ultima doveva essere presentata entro 12 mesi dalla data del decesso, che coincide con l’apertura della successione.

Se invece si riferisce al termine entro il quale andava accettata l’eredità, il detto termine era di 10 anni decorrenti dalla data di morte di Sua mamma.

Il diritto di accettare l’eredità si prescrive, infatti, in 10 anni che decorrono dall’apertura della successione e cioè dalla data di morte del de cuius.

Il detto termine per accettare l’eredità può ridursi nel caso in cui qualunque interessato chieda al Tribunale che venga fissato un termine entro il quale il chiamato deve dichiarare se accetta o meno l’eredità (c.d. azione interrogatoria).


Riccardo D. chiede
sabato 10/01/2015 - Lazio
“In riferimento al quesito n.12087/15 ed alla risposta da Voi data in merito al pagamento delle imposte che dovranno seguire quanto stabilito nella transazione circa la qualifica ereditaria , si precisa quanto previsto nella transazione stessa :
“……….l’ erede legittimo , previa presentazione della dichiarazione di successione,trasferisce transattivamente all’ erede testamentario la proprietà dell’ immobile, senza corrispettivo ma verso rinuncia all’ appello da parte di quest’ ultimo……..
………l’erede legittimo tratterrà per se’ le somme liquide……..”

Le imposte arretrate e non versate (ICI-IMU-TARSU-TARI), nella situazione rappresentata, a chi faranno
carico?
Per evitare che il Comune, come giustamente da Voi affermato, si rivolga in prima battuta all’ erede legittimo in qualità sottoscrittore della dichiarazione di successione, chiedo se la dichiarazione di successione può essere presentata e sottoscritta contestualmente dall’ erede legittimo e dall’ erede testamentario.”
Consulenza legale i 12/01/2015
Dalla clausola riportata nel quesito si evince che le parti non hanno indicato, circa la controversia relativa alla qualifica di erede, una soluzione alternativa a quella individuata dal giudice di primo grado, posto che i presunti eredi testamentari (che a questo punto non potrebbero essere legittimamente chiamati "eredi") hanno semplicemente rinunciato a proseguire l'appello contro la sentenza che li ha visti soccombenti.

Per questo motivo, appare ragionevole ritenere che, formalmente, una volta che il giudizio di impugnativa sia definitivamente estinto (si suppone per inattività delle parti, che lo abbandoneranno), il giudicato si formi sulla sentenza che dichiara gli eredi legittimi quali veri eredi del de cuius. Ciò è confermato dal fatto che nella transazione si stabilisce che gli eredi legittimi trasferiscano agli eredi testamentari l'immobile, sul presupposto - condiviso da tutte le parti - che esso appartenesse a loro in quanto unici aventi causa dal de cuius.
Quindi, dal momento della morte del de cuius sono tenuti al pagamento delle imposte sugli immobili gli eredi legittimi.

Tuttavia, questi hanno ceduto il bene agli eredi testamentari con accordo transattivo: l'efficacia reale dell'accordo (cioè il trasferimento della proprietà) non può aversi retroattivamente e quindi si ritiene che gli eredi testamentari siano tenuti al pagamento delle imposte solo a far data dal perfezionamento dell'atto transattivo con rogito notarile (e relativa voltura catastale).
Di fatto, quindi, la titolarità dei beni, rispecchiata a livello catastale, subirebbe due passaggi: dal de cuius agli eredi legittimi e da questi agli eredi testamentari.

Per ciascuna imposta si dovrà poi verificare la normativa di riferimento. Ad esempio, l'IMU si paga in base al periodo di possesso, cioè il periodo per il quale il soggetto è in possesso del fabbricato all'interno dell'anno d'imposta. Se l'immobile è ceduto nel corso dell'anno (es. il 20 gennaio 2015), vengono conteggiati nel periodo di possesso tutti i mesi in cui si sia posseduto per almeno 15 giorni nell'arco del mese.
Si consiglia di rivolgersi al comune di competenza per ottenere chiarimenti circa il pagamento delle imposte frazionato nel corso dell'anno, in quanto potrebbero essere in vigore prassi particolari.

Naturalmente, è possibile che le parti si accordino diversamente, decidendo che il pagamento delle imposte gravi, per il periodo precedente al rogito, anche sugli eredi testamentari. Ci si chiede quindi se gli eredi legittimi (i "veri" eredi) e i chiamati nel testamento (presunti eredi testamentari) possano, a tal scopo, presentare insieme la dichiarazione di successione.
Per legge, la dichiarazione di successione può essere presentata dai chiamati all'eredità sia per legge che per testamento, anche se non hanno ancora accettato l’eredità, ma non da coloro che vi abbiano espressamente rinunziato. La dichiarazione può essere presentata anche da un solo erede, in quanto essa ha fini meramente fiscali e non ha lo scopo di individuare i successori del de cuius. Nel caso di specie, quindi, in linea teorica la successione potrebbe essere presentata da tutti i chiamati, ma si creerebbero poi delle incongruenze nel momento in cui dovrà essere presentata la domanda di voltura degli immobili (dopo aver registrato la dichiarazione di successione presso un ufficio delle Entrate, infatti, il contribuente ha trenta giorni di tempo per presentare la richiesta di voltura all’ufficio provinciale - Territorio dell’Agenzia competente).
La domanda di voltura è obbligatoria per i privati, in caso di successioni ereditarie. Quindi, nel nostro caso, gli eredi legittimi dovrebbero domandare la voltura dell'immobile a proprio favore (e di conseguenza ne diventeranno fiscalmente responsabili dalla morte del de cuius) e, solo successivamente, il notaio che si occuperà del trasferimento dagli eredi legittimi a quelli testamentari dovrà curare la voltura in favore di questi ultimi.
Ad onor del vero, comunque, nella transazione si legge che l'erede legittimo si impegna a presentare la dichiarazione di successione, quindi egli dovrebbe adempiere all'obbligazione assunta.

Chiariti questi passaggi, si deve quindi concludere che le imposte relative all'immobile gravano sugli eredi legittimi sino al momento del trasferimento dell'immobile agli eredi testamentari con atto notarile. Ciò non impedisce che le parti si accordino tra loro affinché gli eredi testamentari contribuiscano alle imposte relative al periodo precedente al loro acquisto, sotto forma però di rimborso di quanto gli eredi legittimi pagheranno al competente ente impositore.

Riccardo D. chiede
mercoledì 07/01/2015 - Lazio
“Nel caso di contenzioso in atto su una eredità, nel caso di transazione sulla stessa che nulla dispone in merito alla debenza dell'ICI-IMU e TARSU-TARI da parte dei sottoscrittori la transazione(eredi testamentari ed eredi legittimi), chi deve versare le suddette imposte arretrate? Si precisa che al momento della sottoscrizione della transazione gli eredi legittimi erano risultati vittoriosi nel primo grado di giudizio anche se la sentenza era stata sospesa dopo circa un anno dalla decisione di primo grado. Grazie”
Consulenza legale i 07/01/2015
Quando il proprietario di un immobile decede, per effetto dell'art. 459 del c.c. gli eredi acquisiscono la soggettività passiva a fini fiscali sin dal giorno della morte. Difatti, l'art. 459 dice esplicitamente che, per effetto dell'accettazione, l'eredità si acquista dal momento in cui si è aperta la successione: l'efficacia retroattiva dell'accettazione è inderogabile.

Nel nostro caso, tuttavia, la situazione è complicata dal fatto che vi è stata una causa tra presunti eredi testamentari ed eredi legittimi, da cui questi ultimi sono usciti vittoriosi. L'appello pende e la sentenza non è quindi passata in giudicato: tuttavia, le parti hanno raggiunto un accordo transattivo.

Innanzitutto, va premesso che l'azione di petizione di eredità (artt. 533 ss. c.c.), cioè l'azione con cui l'erede chiede il riconoscimento della sua qualità ereditaria contro chiunque possieda tutti o parte dei beni ereditari a titolo di erede o senza titolo, ha un duplice contenuto: da un lato con essa si chiede l'accertamento della qualifica ereditaria (azione di mero accertamento); dall'altro, si domanda la restituzione dei beni facenti parte dell'eredità (azione di condanna). Si ammette generalmente anche l'esperimento della sola domanda di accertamento della qualifica di erede, quando il convenuto non sia in possesso di beni ereditari.
Ciò chiarito, va quindi precisato che, secondo l'orientamento giurisprudenziale maggioritario, l'esecutività della sentenza di primo grado può riguardare solo i capi di condanna della sentenza (nel nostro caso, quello in cui si dispone la restituzione dei beni ereditari agli eredi legittimi.) Per quanto concerne la parte di accertamento della qualifica ereditaria, la sentenza non potrebbe essere già produttiva di effetti, in quanto il riconoscimento della qualità di erede in via definitiva si potrebbe ottenere solo con il passaggio in giudicato della sentenza ex art. 2909 del c.c. ("Al di fuori delle statuizioni di condanna consequenziali, le sentenze di accertamento (così come quelle costitutive) non hanno l'idoneità, con riferimento all'art. 282 cod. proc. civ., ad avere efficacia anticipata rispetto al momento del passaggio in giudicato, atteso che la citata norma, nel prevedere la provvisoria esecuzione delle sentenze di primo grado, intende necessariamente riferirsi soltanto a quelle aventi contenuto di condanna suscettibili dei procedimenti di esecuzione disciplinati dal terzo libro del codice di rito civile", Cass. civ., sez. II, 26.3.2009).

La soluzione di segno restrittivo, che appare prevalente nella giurisprudenza di legittimità, ci dice quindi che gli eredi legittimi, anche se vittoriosi in primo grado, non possono essere giuridicamente considerati "eredi" a tutti gli effetti, se non dal momento della formazione del giudicato formale, in quanto non esiste una specifica previsione normativa che preveda il contrario, come avviene per esempio in materia di interdizione e inabilitazione (art. 421 del c.c., le sentenze costitutive di interdizione e di inabilitazione sono efficaci fin dalla loro pubblicazione).

Quindi, in applicazione dei principi generali in materia di successione e di processo civile, si ritiene che, in mancanza del passaggio in giudicato della sentenza, la situazione di incertezza circa la debenza delle imposte relative all'immobile facente parte del compendio ereditario di fatto perduri. Non è possibile, da un punto di vista strettamente giuridico, asserire che gli eredi legittimi siano tenuti a corrispondere le imposte relative all'immobile caduto in successione, solo in quanto vittoriosi nel primo grado di giudizio: ciò perché essi sarebbero divenuti "eredi" solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza a loro favorevole.

Chiaramente, in difetto di pagamento delle imposte, il comune si rivolgerà ai soggetti che ai suoi occhi sono gli eredi (ad esempio, se ha ricevuto una dichiarazione di successione degli eredi testamentari, si rivolgerà ad essi). Ciò però non indica che quei soggetti siano davvero gli eredi.

Pertanto, si ritiene che l'aspetto del pagamento delle imposte dovrà seguire quanto stabilito nella transazione circa la qualifica ereditaria: cioè, saranno tenuti a pagarle coloro che in base alla transazione sono stati qualificati come eredi del de cuius. Gli eredi individuati come tali nell'accordo transattivo saranno tenuti al pagamento delle imposte in proporzione alle quote di possesso e sin dal momento della morte del loro dante causa.

Marina chiede
martedì 24/05/2011 - Lombardia

“Mia zia è l’unica erede del marito ed in quanto tale ha ereditato tutto (la casa e il patrimonio in soldi). Il notaio ha fatto la denuncia di successione, cioè è andato all'ufficio del registro e al catasto e ora mia zia ha tutti i documenti intestati a lei.

Il notaio ha parlato di un “atto di accettazione di eredità” che, se viene fatto, ora, ha un prezzo pari a 600 euro, mentre se viene fatto in caso di vendita della casa da parte di mia zia, ha un prezzo di 200 euro.

In questo momento non c'è nessuna intenzione di vendere la casa, ma legalmente senza l'atto di accettazione dell'eredità, mia zia è proprietaria della casa o non lo è senza quell'atto? Che cosa potrebbe succederle senza l'atto di accettazione?

Grazie”

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