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Articolo 773 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Donazione a pił donatari

Dispositivo dell'art. 773 Codice Civile

La donazione fatta congiuntamente a favore di più donatari s'intende fatta per parti uguali, salvo che dall'atto risulti una diversa volontà(1).

È valida la clausola con cui il donante dispone che, se uno dei donatari non può o non vuole accettare, la sua parte si accresca agli altri [674 c.c.](2).

Note

(1) Si parla in proposito di donazione congiuntiva.
Ove non vi sia indicazione delle quote, queste si presumono uguali per tutti.
(2) A differenza dell'accrescimento nella successione, in tema di donazione è necessaria un'espressa previsione affinchè la quota di un donatario si accresca a quella degli altri.
L'istituto opera anche laddove le parti assegnate siano determinate o non siano uguali.

Spiegazione dell'art. 773 Codice Civile

Questa disposizione risolve due questioni sulle quali si era dibattuto in dottrina all’epoca del vecchio codice del 1865.
La prima: se una donazione fatta congiuntamente a favore di più persone, senza che tra queste si sia proceduto dal donante ad attribuzioni di parti, debba ritenersi come fatta per beneficare tutti i donatari in parti uguali. Il codice stabilisce questa soluzione, che però risponde ad una mera presunzione: il che significa che è sempre salva una diversa volontà del donante.
L’altra controversia verteva sulla possibilità o meno di estendere alla donazione l’istituto dell’accrescimento - ammesso, sotto determinati presupposti, in materia successoria - per le quote che si fossero rese vacanti.
La dottrina prevalente negava il verificarsi ex lege dello ius adcrescendi tra condonatari; questa soluzione, che rispondeva a quella accolta dal diritto romano per il quale l’accrescimento non si estendeva oltre l’istituzione d’erede o di legato, veniva spiegata con varie considerazioni, tra le quali decisive erano che il presupposto su cui si fondava lo ius adcrescendi nelle successioni testamentarie non si verificava nelle donazioni e che l’istituto non era stato esteso dal codice anche alle donazioni, alle quali invece pur erano state dichiarate applicabili altre norme disciplinatrici della successione mortis causa. Ma la stessa dottrina era pressoché concorde nell’ammettere la validità di un diritto di accrescimento ex voluntate donantis, ed una conferma di ciò era desunta dall’art. #1073# del vecchio codice che consentiva l’apponibilità alle donazioni della sostituzione volgare (secondo alcuni, il diritto di accrescimento si risolverebbe, in sostanza, in una presunta sostituzione reciproca).
Oggi questa opinione è legislativamente prevista dal secondo comma dell’art. 320, il quale, però, esige, perché si verifichi l’acquisto da parte dei condonatari della quota resasi vacante: a) che esso sia stato espressamente disposto dal donante: non sarebbe, quindi, legittimato l’acquisto, in base ad una volontà presunta o tacita del donante; b) che la quota donata congiuntamente e per quote eguali - cioè non con determinazione numerica di quote - si renda vacante a causa della mancata accettazione da parte di uno dei donatari, sia che costui non voglia (rinuncia), sia che non possa (premorienza) accettare; va, perciò, escluso, pur essendovi una precisa volontà del donante, che l’accrescimento si attui dopo che la quota di un donatario sia stata accettata.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

373 Non ho apportato un emendamento suggerito in riguardo al capoverso dell'art. 770 del c.c., che esclude dal concetto di donazione «la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi». Invero la formula «a causa di servizi», che si sarebbe voluta sostituire all'altra «in occasione di servizi», avrebbe snaturato il concetto di liberalità d'uso, e avrebbe piuttosto richiamato il concetto di un atto a titolo oneroso. La distinzione ha particolare importanza agli effetti della collazione, giacché l'ultimo comma dell'art. 742 del c.c. dichiara non soggette a collazione le liberalità d'uso previste in questo capoverso. Ho invece apportato alcune modificazioni all'art. 771 del c.c., il primo comma del quale, vietando di comprendere nella donazione beni futuri, sembrava escludere la possibilità di donare i frutti non ancora raccolti, che l'art. 820 del c.c. considera appunto beni futuri. L'esclusione sarebbe stata senza dubbio illogica, dato che, per il loro valore economico attuale, tali frutti avrebbero potuto formare oggetto di disposizione, come lo stesso art. 820 chiarisce: ho pertanto in sede di coordinamento eccettuato dal divieto di donare beni futuri i frutti pendenti. Il secondo comma dello stesso articolo nella sua precedente formulazione stabiliva che, qualora oggetto della donazione fosse un'universalità di cose, delle quali il donante avesse conservato il godimento trattenendole presso di sè, si consideravano comprese nella donazione anche le cose che vi si aggiungessero posteriormente, salvo che risultasse una volontà contraria. Ho chiarito che tale volontà deve risultare dall'atto stesso. Uguale modificazione ho apportato all'art. 773 del c.c..

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