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Articolo 2284 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Morte del socio

Dispositivo dell'art. 2284 Codice Civile

Salvo contraria disposizione del contratto sociale, in caso di morte di uno dei soci, gli altri devono liquidare la quota agli eredi [2289, 2322], a meno che preferiscano sciogliere la società [2272 n. 3] ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano [2323, 2479].

Ratio Legis

La norma fissa la regola, valevole per le società di persone, in virtù della quale la morte del socio non determina alcuna automatica successione mortis causa degli eredi nella posizione partecipativa del de cuius, ferma restando la possibilità per i soci superstiti di concordare con gli eredi la continuazione del rapporto sociale. La ragione di una simile preclusione è da ricercarsi nel carattere personalistico che contraddistingue le società di persone.

Spiegazione dell'art. 2284 Codice Civile

La morte del socio non determina lo scioglimento del contratto di società, bensì lo scioglimento del singolo rapporto partecipativo.
In tal caso, non si verifica dunque una successionedell’erede nella posizione contrattuale del de cuius, posto che le società di persone risultano fondate sull’intuitus personae. Gli eredi maturano piuttosto il diritto alla liquidazione della partecipazione sociale, cui dovranno provvedere gli amministratori.

Il principio ammette tuttavia una deroga nei seguenti casi:
  1. Nel caso in cui i soci deliberino lo scioglimento della società, il diritto degli eredi potrà essere soddisfatto solamente all’esito della liquidazione, al pari degli altri soci.
  2. Nel caso in cui i soci decidano di continuare l’attività con l’erede e quest’ultimo accetti.
La norma detta un regime di default che risulta tuttavia ampiamente derogabile dal contratto sociale.
Il contratto sociale può contenere a tal proposito delle clausole dirette a regolare a monte gli effetti della morte del socio, tra cui vanno ricordate:
  1. Le clausole di continuazione: prevedono l'obbligo dei soci superstiti di continuare l'attività con gli eredi del defunto
  2. Le clausole di consolidazione: prevedono che la quota del defunto vada ad accrescere proporzionalmente la partecipazione dei soci superstiti, i quali sono tenuti a liquidare l’erede pro quota

Massime relative all'art. 2284 Codice Civile

Cass. civ. n. 13265/2022

In tema di società di persone, la costituzione per testamento dell'usufrutto sulla quota del socio defunto incontra i limiti previsti dall'art. 2284 c.c., che attribuisce agli eredi del socio il diritto alla liquidazione della quota salvo che i soci superstiti non preferiscano sciogliere la società o continuarla con gli eredi stessi, qualora vi acconsentano; pertanto, la costituzione dell'usufrutto sulla quota del socio defunto si avrà soltanto in caso di continuazione della società con gli eredi, mentre in caso di liquidazione della quota, il diritto si realizza sulle somme ricavate dalla liquidazione della partecipazione del socio defunto.

C. giust. UE n. 16556/2020

In tema di società in nome collettivo, con riferimento alla domanda di liquidazione della quota da parte degli eredi del socio defunto ai sensi dell'art. 2284 c.c., il necessario contraddittorio nei confronti della società, titolare esclusiva della legittimazione passiva, può ritenersi regolarmente instaurato anche nel caso in cui sia convenuta in giudizio non la società, ma tutti i suoi soci, ove risulti accertato, attraverso l'interpretazione della domanda e con apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, che l'attore abbia proposto l'azione nei confronti della società per far valere il proprio credito vantato contro di essa.

Cass. civ. n. 9346/2018

In tema di società di persone composta da due soli soci, per effetto del coordinamento tra l'art. 2284 c.c. e 2272 n. 4 c.c., in caso di morte di un socio, la mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi va considerata come condicio iuris priva di efficacia retroattiva, sicché in difetto di detta ricostituzione lo scioglimento della società si verifica alla scadenza del semestre in pendenza del quale il socio superstite, oltre ad optare per la ricostituzione, può scegliere tra le diverse alternative di cui all'art. 2384 c.c.

Cass. civ. n. 14449/2014

In tema di società di persone (nella specie, società in nome collettivo), nel caso in cui, venuta meno la pluralità dei soci, sopravvenga il decesso dell'unico socio superstite che non abbia provveduto ai sensi dell'art. 2272, primo comma, n. 4), cod. civ., i suoi eredi, sebbene subentranti nel solo diritto alla quota di liquidazione e non già nella società, sono, comunque, legittimati a chiedere la messa in liquidazione di quest'ultima al fine di realizzare il menzionato loro diritto, che non può attuarsi se non attraverso tale procedura, e provvedere, altresì, a regolare la posizione degli altri soci.

Cass. civ. n. 15395/2013

È valida la clausola di continuazione, con la quale i soci di una società in accomandita semplice prevedano nell'atto costitutivo, in deroga all'art. 2284 c.c., l'automatica trasmissibilità all'erede del socio accomandatario defunto della predetta qualità di socio, purché non sia anche trasmesso il "munus" di amministratore, dal momento che tale funzione - a differenza di quanto previsto dall'art. 2455 c.c. per le società in accomandita per azioni - nella società in accomandita semplice non è attribuita di diritto a tutti i soci accomandatari.

Cass. civ. n. 30542/2011

Nella società personale di fatto, in caso di morte del socio l'art. 2284 c.c., richiamato dall'art. 2293 c.c., prevede che l'erede non entri, salvo diverso accordo, nella compagine sociale, ma abbia soltanto diritto alla liquidazione della quota, situazione peraltro che non lo priva dell'interesse a partecipare al giudizio volto a far accertare lo scioglimento della società, del quale il suo dante causa era parte, dal momento che l'eventuale mancanza del suo interesse attuale e concreto ad opporsi all'accertamento dello scioglimento della società, sebbene possa costituire motivo di cessazione della materia del contendere, lascia però sussistere il diritto alla verifica della soccombenza virtuale, al fine di non dover sopportare l'onere delle spese processuali.

Cass. civ. n. 10802/2009

Anche nella società di persone composta da due soli soci, ove la morte di uno di essi determini il venir meno della pluralità dei soci, lo scioglimento del rapporto particolare del socio defunto si verifica alla data del suo decesso, mentre i suoi eredi acquistano contestualmente il diritto alla liquidazione della quota secondo i criteri fissati dall'art. 2289 c.c., vale a dire un diritto di credito ad una somma di denaro equivalente al valore della quota del socio defunto in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si è verificato lo scioglimento.

Cass. civ. n. 5809/2001

L'onere di provare il valore della quota del socio defunto di una società di persone, ai fini della liquidazione della stessa in favore degli eredi, incombe ai soci superstiti e non agli eredi del socio, in quanto solo i soci rimasti in società, e non certo gli eredi del defunto, sono in grado, con la produzione di scritture contabili della società, di dimostrare quale era la situazione patrimoniale nel giorno in cui si è verificata la morte del socio e quali sono gli utili e le perdite inerenti alle operazioni in corso in quel momento. In caso di mancato o parziale assolvimento di tale onere il giudice del merito può disporre consulenza tecnica d'ufficio la quale esprima, anche sul fondamento dei documenti prodotti, una valutazione per la liquidazione della quota ed apprezzarne liberamente il parere senza necessità, quando ne faccia proprie le conclusioni, di una particolareggiata motivazione o di un'analitica confutazione delle eventuali diverse conclusioni formulate dai consulenti di parte.

Cass. civ. n. 3671/2001

Nelle società di persone (nella specie: società di fatto), gli eredi del socio defunto non acquisiscono la posizione di quest'ultimo nell'ambito della società, e non assumono perciò la qualità di soci, ma hanno soltanto il diritto alla liquidazione della quota del loro dante causa, diritto che sorge indipendentemente dal fatto che la società continui o si sciolga; pertanto, gli eredi non sono legittimati a chiedere la liquidazione della società né possono vantare un diritto a partecipare alla procedura di liquidazione, che, nella società di persone, è facoltativa, potendo i soci sostituirla con altre modalità di estinzione o chiedere al giudice nei modi ordinari di definire i rapporti di dare e avere.

Cass. civ. n. 4169/1995

La morte del socio di una società di persone non determina necessariamente lo scioglimento generale della società, né la formale liquidazione della stessa, ancorché la società sia costituita da due soli soci, in quanto anche in tale ipotesi è applicabile la disciplina dello scioglimento del rapporto sociale limitatamente a un socio (art. 2284 c.c.), dovendo il socio superstite procedere anzitutto alla liquidazione della quota spettante agli eredi dell'altro socio (salvo le eccezioni previste dallo stesso art. 2284), mentre lo scioglimento della società conseguirà solo se, in termini di cui all'art. 2272, n. 4, c.c., la pluralità dei soci non viene ricostituita.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2284 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

E. G. chiede
martedì 11/06/2024
“Mio padre(A) e suo fratello(B) erano soci alla pari di una SNC (impresa edile) con statuto societario scritto dal notaio nel 1983 (termine dell'attività sociale fissato il 31 dicembre 2010 e nessuna clausola continuità eredi).Nel 1996 scioglimento anticipato società con messa in liquidazione e nomina dei liquidatori i soci medesimi a firma congiunta.Inizia la fase di liquidazione con la vendita di immobili della società e macchinari vari ma dopo poco tempo inizia una lunga fase di stallo (dissidi famigliari) nella quale i 2 fratelli non trovano accordi su come continuare la liquidazione (manca ancora la vendita di 1 immobile) fino ad arrivare al 2010 quando muore il socio B (non conosco la posizione presa dalle eredi di B (moglie e 2 figlie) nei confronti di mio padre A poiché non ho trovato raccomandate o documenti al riguardo, ipotizzo nessuna comunicazione tra le parti). A luglio del 2023 muore mio padre (socio A). Rimane quindi la liquidazione incompleta per un immobile ancora in capo alla società (si tratta di piccola palazzina con 4 appartamenti autonomi). Siccome l'immobile societario rimasto non è entrato automaticamente in successione poichè non intestato a persona fisica, vorrei sapere in quanto erede di A qual è la mia posizione verso le altre eredi. Premetto che non ho alcun interesse nel condividere quote di immobili con altre persone.”
Consulenza legale i 02/07/2024
L’art. 2284 del c.c. prevede che, salvo contraria disposizione del contratto sociale, in caso di decesso di uno dei soci, gli altri debbano liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano.
Questo comporta che gli eredi non subentrano automaticamente nella posizione del socio defunto, salvo apposita clausola di continuazione nel contratto sociale, ma hanno solo diritto ad ottenere dalla società la liquidazione della quota del socio defunto.
Gli eredi, in sostanza, non si considerano soci, ma meri creditori della società relativamente alla quota del socio defunto ad essi spettante.
Saranno, poi, i soci superstiti che potranno decidere se liquidare la quota, sciogliere la società o proseguirla con gli eredi, sempre che questi vi acconsentano.

Ai sensi dell’2289cc, gli eredi hanno diritto soltanto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota; la liquidazione della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento (n.d.r. decesso); se vi sono operazioni in corso al momento del decesso, gli eredi partecipano agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime.

Quando un socio viene a mancare durante la fase di liquidazione della società, i suoi eredi subentrano nei diritti ad esso spettanti sulla ripartizione dell’eventuale attivo residuo a seguito del pagamento dei creditori sociali, così come risultante dal bilancio finale di liquidazione, redatto dai liquidatori ai sensi dell’art. 2311 del c.c. all’esito delle operazioni di liquidazione (si tratta, in sostanza, del valore della quota del socio defunto).
Essi, tuttavia, non assumo l’incarico di liquidatore della società precedentemente assunto dal socio defunto, né la qualità di socio.

Nel caso di specie, la delibera di scioglimento e messa in liquidazione della società, con contestuale nomina dei liquidatori, è stata assunta per consenso di tutti i soci nel 1996.
Ad oggi la società non ha soci né liquidatori, in quanto entrambi defunti.
Al decesso del socio B nel 2010, i suoi eredi sono divenuti creditori della società per il valore della quota al momento del decesso; ciò in quanto, come sopra precisato, in assenza di una clausola di continuazione della società con gli eredi all’interno del contratto sociale, questi non assumono mai la veste di socio, ma soltanto di creditori della società.
Di conseguenza, agli eredi del socio defunto a seguito dello scioglimento della società deciso dai soci superstiti non può essere riconosciuto, in quanto non soci, alcun diritto alla nomina dei liquidatori, ovvero alla partecipazione alle operazioni liquidative.

Nel 2023 viene a mancare anche il socio A, l’unico rimasto.
In tal caso, gli eredi del socio A diventano titolari, in comunione, del 100% delle quote sociali; saranno loro a doversi occupare della liquidazione della società, regolando l’eventuale posizione degli eredi del socio B, creditori della società in virtù del diritto alla liquidazione della quota del defunto socio B.

Su una questione similare si è pronunciata la Suprema Corte, statuendo che: “Nel caso in cui sia venuta meno la pluralità dei soci nella società personale e la stessa non sia stata ricostituita entro 6 mesi, quando sopravvenga la morte dell’unico socio, il quale non abbia provveduto a mettere in liquidazione la società, gli eredi del socio defunto devono mettere in liquidazione la società per poter realizzare il proprio diritto alla quota di liquidazione e provvedere a regolare la posizione degli altri soci.” (Cass. Civ., sez. I, 25/06/2014, n. 14449/14).

In definitiva, gli eredi del socio A, divenuti titolari in comunione del 100% delle quote della società, dovranno adottare i provvedimenti necessari alla liquidazione, anche mediante nomina di un liquidatore che porrà in essere le necessarie operazioni, eventualmente regolando le posizioni creditorie degli eredi del socio B.
Per fare ciò sarò necessario l’ausilio di un notaio per le necessarie formalità.
Si fa presente, infine, che il diritto alla liquidazione della quota da parte degli eredi del socio defunto si prescrive decorsi cinque anni dal decesso del socio; è soggetto, infatti, al termine quinquennale di cui all’art. 2949 del c.c..

A. S. chiede
domenica 19/05/2024
“società semplice In agricoltura 2 soci. morte 1. società ancora iscritta alla ccaa
se per vari motivi gli eredi non richiedono quota societaria dopo 6 anni hanno ancora diritto del pagamento quota? posso reintegrare con mio figlio il socio?
saluti”
Consulenza legale i 23/05/2024
L’art. 2284 del c.c. prevede che, salvo contraria disposizione del contratto sociale, in caso di decesso di uno dei soci, gli altri debbano liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano.
Questo comporta che gli eredi non subentrano automaticamente nella posizione del socio defunto, salvo apposita clausola di continuazione nel contratto sociale, ma hanno solo diritto ad ottenere dalla società la liquidazione della quota del socio defunto.
Gli eredi, in sostanza, non si considerano soci, ma meri creditori della società relativamente alla quota del socio defunto ad essi spettante.
Saranno, poi, i soci superstiti che potranno decidere se liquidare la quota, sciogliere la società o proseguirla con gli eredi, sempre che questi vi acconsentano.

Ai sensi dell’art. 2289 del c.c., gli eredi hanno diritto soltanto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota; la liquidazione della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento (n.d.r. decesso); se vi sono operazioni in corso al momento del decesso, gli eredi partecipano agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime.

L’2949, al comma 1 dispone che si prescrivono in cinque anni i diritti che derivano dai rapporti sociali, se la società è iscritta nel registro delle imprese.
Di conseguenza, i diritti che il socio matura in una società semplice agricola si prescrivono in 5 anni se la società è iscritta nel registro delle imprese; in caso contrario vige il regime prescrizionale ordinario.
In relazione al diritto alla liquidazione della quota agli eredi di un socio defunto in una società di persone, la Cassazione ha affermato il principio secondo tale diritto “ha natura analoga al diritto di credito che sarebbe spettato al socio stesso per l'ipotesi di recesso attuato prima della morte, sicché è soggetto alla prescrizione quinquennale ex art. 2949 del c.c., applicabile a tutti i diritti derivanti dal rapporto sociale, e non al più lungo termine, decennale, sancito dall'art. 2946 del c.c. (Cass. Civ., 31 luglio 2017, n. 18963; conforme Cass. Civ., 23 ottobre 2014, n. 22574).

In definitiva, nel caso di specie il diritto degli eredi alla liquidazione della quota del socio defunto appare prescritto.
Posto che gli eredi non sono soci della società (salva diversa disposizione del contratto sociale), ma meri creditori di un credito prescritto, si potrà procedere con l’ingresso in società di nuovi soci.

A. C. chiede
venerdì 13/01/2023 - Lazio
“in una società semplicve composta di 4 soci un è deceduto e gli eredi pur avendo dichiarato in successione il valore della quota non vogliono parteciparae allo scioglimento della società ne per qualsiasi altra ragione. (la società ha due terreni di valore zero)
Cosa possono fare gli altre tre soci per sciogliere la società?
Per mettere la società in liquidazione senza gli eredi che non vogliono essere presenti, occorre il notaio?
grazie”
Consulenza legale i 31/01/2023
Visionato l’atto costitutivo allegato al quesito, si evidenzia come si tratti di società in accomandita semplice.
L’art. 2284 del c.c., applicabile in forza del rinvio operato dall’art. 2315 del c.c. e dall’art. 2293 del c.c., prevede che, salvo contraria disposizione del contratto sociale, in caso di decesso di uno dei soci, gli altri debbano liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano.
Questo comporta che gli eredi non subentrano automaticamente nella posizione del socio defunto, salvo apposita clausola di continuazione nel contratto sociale, ma hanno solo diritto ad ottenere dalla società la liquidazione della quota del socio defunto.

Gli eredi, in sostanza, non si considerano soci, ma meri creditori della società relativamente alla quota del socio defunto ad essi spettante.
Saranno, poi, i soci superstiti che potranno decidere se liquidare la quota, sciogliere la società o proseguirla con gli eredi, sempre che questi vi acconsentano.

L’atto costitutivo non dispone nulla a riguardo, pertanto si applica la normativa codicistica.

Tanto premesso, nel caso di specie i soci superstiti potranno decidere di porre in liquidazione la società, anche senza il consenso degli eredi del socio defunto, i quali, non assumendo automaticamente la qualità di soci, non avranno il diritto di mettere in discussione tale decisione.
Nell’ambito della liquidazione, avranno diritto ad una quota sull’eventuale attivo patrimoniale risultante all’esito della procedura, in una percentuale corrispondente alla quota del socio defunto.

Per quanto riguarda la procedura di liquidazione e l’eventuale cancellazione della società senza l’ausilio di un Notaio, è necessario distinguere il caso il cui il socio deceduto sia l’accomandatario o l’accomandante.

Tra le cause di scioglimento di una sas rientra quella disposta dall’art. 2323 del c.c., il quale prevede che la società si scioglie quando rimangono soltanto soci accomandanti o soltanto soci accomandatari, sempreché nel termine di sei mesi non sia stato sostituito il socio che è venuto meno.
Nell’eventualità in cui il socio deceduto fosse l’unico accomandatario, i soci accomandanti rimasti dovranno nominare un amministratore provvisorio (che non assume la qualità di socio) che si occupi dell’ordinaria amministrazione durante il termine dei sei mesi, e sarà quest’ultimo a svolgere tutte le operazioni necessarie allo scioglimento della sas.
In detta circostanza, sarà sufficiente presentare una dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio alla Camera di Commercio competente che attesti la cessazione dell’attività della società, con le ulteriori condizioni costituite dall’assenza di crediti, di beni da liquidare e di debiti da pagare.

In caso di decesso di uno dei tre soci accomandanti, dette operazioni potranno essere svolte dal socio accomandatario, ma non si realizza la causa di scioglimento ex lege.

In entrambi i casi, comunque, stante la presenza di beni immobili da liquidare, sarà necessario rivolgersi ad un notaio, oltreché affidarsi al proprio commercialista, al fine di procedere all'instaurazione della procedura di liquidazione della società e al successivo scioglimento.

G. C. chiede
giovedì 06/10/2022 - Emilia-Romagna
“Salve, sono socio al 50 % di una snc. L'altro unico socio è deceduto, gli eredi non si decidono a formalizzare la successione.
Come mi devo comportare per mandare avanti l'ordinaria amministrazione?
È possibile acquisire la società anche se gli eredi (figli del defunto) non portano avanti la successione? Lo statuto della società dà potere ai soci restanti di liquidare gli eredi e specifica che la liquidazione va calcolata al giorno del decesso.”
Consulenza legale i 17/10/2022
L’art. 2284 del c.c. prevede che, salvo contraria disposizione del contratto sociale, in caso di decesso di uno dei soci, gli altri debbano liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano.

Questo comporta che gli eredi non subentrano automaticamente nella posizione del socio defunto, salvo apposita clausola di continuazione nel contratto sociale, bensì hanno soltanto diritto ad ottenere dalla società la liquidazione della quota del socio defunto.
Gli eredi, in sostanza, non si considerano soci, ma meri creditori della società per il valore della quota del socio defunto.
Saranno, poi, i soci superstiti che potranno decidere se liquidare la quota, sciogliere la società o proseguirla con gli eredi, sempre che questi vi acconsentano.

Ai sensi dell’art. 2289 del c.c., infatti, gli eredi hanno diritto soltanto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota; la liquidazione della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento (n.d.r. decesso); se vi sono operazioni in corso al momento del decesso, gli eredi partecipano agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime.

Le disposizioni dell’atto costitutivo in merito al decesso del socio, contenute nell'art. 11, riprendono riproducono sostanzialmente quelle del codice civile in materia.

Nel caso di specie, pertanto, il socio superstite potrà senza problemi continuare a gestire la società, a prescindere che gli eredi provvedano alla dichiarazione di successione o meno.
Lo stesso, inoltre, avrà la facoltà di scelta tra proseguire la società con gli eredi del socio defunto, sempre che questi vi consentano, ovvero liquidare la quota sulla base di un bilancio redatto al giorno del decesso, oppure, infine, sciogliere la società.

Se la volontà è quella di proseguire la società, il socio superstite, dovrà procedere ad una valutazione della quota di appartenenza dell’ex socio sulla base di un bilancio redatto, di comune accordo, al giorno del decesso, così avere un valore di riferimento per la liquidazione degli eredi, nonché liquidarla entro 6 mesi dal giorno in cui si è verificato lo scioglimento del rapporto (nello specifico il decesso); entro il medesimo termine dovrà, altresì, ricostituire la pluralità dei soci, ovvero trasformare la società.


Anonimo chiede
venerdì 17/06/2022 - Piemonte
“Salve,
avrei bisogno di esporvi tale quesito riguardante la Norma di riferimento: Articolo 2284 Codice Civile - Morte del socio.

Nel dicembre 2020 ho avviato una SNC nel campo della ristorazione con N° 2 Soci al 50%.

Purtroppo il mio socio è venuto a mancare ad agosto 2021.
Rientrando nei sei mesi come dice la legge, a cavallo del sesto mese, ho liquidato la quota agli eredi in base ad una valutazione fatta dal commercialista sull’acquisto dei beni strumentali della società.
Nello stesso momento, con lo stesso atto ho ricostituito la pluralità dei soci inserendo la mia compagna come socia al posto del mio ex socio defunto.

Ad oggi gli eredi mi chiedono una copia degli utili della società perché devono inserirla nella loro dichiarazione dei redditi. (secondo quanto dice il loro commercialista)
e mi hanno anche chiesto l’eventuale spartizione degli utili 2021 con loro.

Mi domando e vorrei capire, nel caso di utili aziendali devo spartirli con loro?
E se ci sia la necessità obbligatoria di fornirgli i documenti che portino a conoscenza la situazione patrimoniale dell’azienda.


Grazie cordiali saluti.
Gradirei essere anonimo.”
Consulenza legale i 23/06/2022
L’art. 2284 del c.c. prevede che, salvo contraria disposizione del contratto sociale, in caso di decesso di uno dei soci, gli altri debbano liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano.
Questo comporta che gli eredi non subentrano automaticamente nella posizione del socio defunto, salvo apposita clausola di continuazione nel contratto sociale, ma hanno solo diritto ad ottenere dalla società la liquidazione della quota del socio defunto.
Gli eredi, in sostanza, non si considerano soci, ma meri creditori della società relativamente alla quota del socio defunto ad essi spettante.
Saranno, poi, i soci superstiti che potranno decidere se liquidare la quota, sciogliere la società o proseguirla con gli eredi, sempre che questi vi acconsentano.

Ai sensi dell’art. 2289 del c.c., gli eredi hanno diritto soltanto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota; la liquidazione della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento (n.d.r. decesso); se vi sono operazioni in corso al momento del decesso, gli eredi partecipano agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime.

Il reddito conseguito da una società di persone in un determinato periodo d’imposta deve essere imputato per trasparenza ai soggetti che rivestono la qualità di socio alla data di chiusura del periodo di imposta stesso.
Di conseguenza, nessun reddito deve essere imputato al socio defunto; nemmeno quello relativo al periodo 1 gennaio – data di decesso.
Se tuttavia, alla data di chiusura del periodo di imposta, alcuni degli eredi del de cuius non sono ancora subentrati ad esso nella posizione di socio, come nel caso di specie, l’imputazione per trasparenza del reddito avviene solo nei confronti dei soci superstiti e degli eredi che sono già divenuti soci a tale data.
Questo principio è contenuto nella risoluzione n. 157/E del 17.4.2008.
Di conseguenza, gli eredi del socio deceduto non hanno diritto alla partecipazione agli utili dell’anno in cui si è verificato il decesso.

Per quanto riguarda la questione della messa a disposizione della documentazione comprovante la situazione patrimoniale della società, gli eredi del socio defunto hanno diritto esclusivamente a conoscere quella sussistente al momento del decesso.
Di tale situazione, tuttavia, sono già stati messi al corrente, posto che hanno già ricevuto la liquidazione della quota, calcolata, appunto, in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno del decesso.
Non hanno, invece, diritto a conoscere quella successiva, proprio in quanto non assumono automaticamente la qualità di socio al momento del decesso.

PAOLO M. chiede
domenica 09/05/2021 - Marche
“Il socio di una società già in liquidazione muore, e gli eredi maturano il diritto alla liquidazione della quota pari ad 1/3 in base al valore reale (non contabile) del patrimonio alla data del decesso. Poiché tale valore è rappresentato per la quasi totalità da immobili completamente ammortizzati, e quindi con valore fiscale pari a zero, sulla plusvalenza di vendita a valore reale graveranno imposte di notevole entità, tali che il residuo netto a favore dei soci rimasti sia nettamente inferiore a quello dovuto agli eredi del socio deceduto, pur avendo il "de cuius" una partecipazione pari ad 1/3 come gli altri due soci.
Si chiede : posso determinare il valore della quota del defunto al netto delle imposte latenti sull'effettivo valore e quindi liquidare non una liquidazione di quota, ma una quota di liquidazione ?”
Consulenza legale i 21/05/2021
Lo scioglimento del rapporto limitatamente ad un socio può verificarsi per diversi motivi (morte, recesso o esclusione) e determina la liquidazione della partecipazione a favore del socio receduto o escluso, ovvero degli eredi, da attuarsi nel termine di sei mesi dalla data in cui lo scioglimento diviene efficace.
La morte del socio determina, quindi, lo scioglimento della partecipazione, che dovrà essere liquidata ai suoi successori nel termine di sei mesi.

Il diritto alla liquidazione della quota sorge in capo agli eredi indipendentemente dal fatto che la società continui la propria attività o si sciolga e, d’altra parte, questo è l’unico diritto riconosciuto agli eredi che, infatti, non acquistano, per il solo effetto della successione, la posizione di soci nell’ambito della società.
È questo ciò che prevede l’art. 2284 c.c. laddove statuisce che, esclusa l’ipotesi di una disposizione contraria del contratto sociale, in caso di morte di uno dei soci, gli altri devono liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi e questi vi acconsentano.
Anche in caso di scioglimento della società, gli eredi, infatti, non acquisiscono la qualità di soci e, pertanto, non sono titolari degli stessi diritti riconosciuti ai soci, cioè non vantano un diritto a partecipare alla procedura di liquidazione (non partecipano alla decisione di liquidazione, né nominano e revocano i liquidatori).

Il detto articolo 2284 prevede infatti che, in luogo della liquidazione della quota del socio defunto, i soci superstiti possono decidere di addivenire direttamente allo scioglimento della società e questa, invero, è la scelta che i soci tenderanno normalmente a privilegiare nel caso in cui ritengano che la partecipazione del socio deceduto era da considerarsi rilevante al fine del perseguimento dell’oggetto sociale, ovvero risulti che la società non abbia le somme sufficienti per provvedere alla liquidazione della quota nei confronti degli eredi del socio defunto senza dover incidere in modo determinante sui mezzi necessari al fine della realizzazione del programma sociale.

Di fronte alla decisione dei soci superstiti di sciogliere la società gli eredi del socio verranno a trovarsi in una posizione di totale soggezione non potendo, infatti, in alcun modo interferire con tale decisione e dovendone invece subire le relative conseguenze.
Ne deriva che, nel caso i cui i soci superstiti decidano di liquidare la società, applicando le disposizioni di cui al citato art. 2284 c.c., per vedere soddisfatto il loro diritto alla liquidazione della quota del socio defunto, gli eredi devono attendere che si compiano le operazioni di liquidazione della società per partecipare con i soci alla divisione dell’attivo che eventualmente residua dopo l’estinzione dei debiti sociali.

Le predette considerazioni valgono a maggior ragione nel caso in cui la liquidazione della società era già stata avviata, come nel caso di specie. Così come il socio defunto doveva attendere la conclusione delle operazioni di liquidazione, al fine di avere liquidato l’eventuale residuo attivo, allo stesso modo, gli eredi del socio defunto, dovranno attendere la chiusura delle operazioni di liquidazione al fine di avere liquidata la quota del de cuius.
Solo dopo il completamento di questa fase la società, non avendo più alcun patrimonio (né alcun socio per effetto della restituzione del conferimento) si estingue mediante la cancellazione dal registro delle imprese.

Va a tal proposito ricordato che, per effetto delle disposizioni di cui all’art. 2280 del c.c., i liquidatori non possono ripartire tra i soci, neppure parzialmente, i beni sociali, finché non siano pagati i creditori della società o non siano accantonate le somme necessarie per pagarli.
Se i fondi disponibili risultano insufficienti per il pagamento dei debiti sociali, i liquidatori possono chiedere ai soci i versamenti ancora dovuti sulle rispettive quote e, se occorre, le somme necessarie, nei limiti della rispettiva responsabilità e in proporzione della parte di ciascuno nelle perdite. Nella stessa proporzione si ripartisce tra i soci il debito del socio insolvente.

Non risulta, tuttavia, possibile rivolgere una siffatta richiesta all’erede del socio defunto, stante il fatto che questi, a propria volta, non diviene automaticamente socio, nell’ipotesi in cui si tratti del pagamento di debiti relativi alla attività esplicatasi quando il socio defunto era ancora in vita (Cass. Civ. Sez. I, 2669/67).
Una volta che le passività sociali siano state estinte è finalmente possibile per il liquidatore effettuare il riparto delle attività rimaste nel patrimonio della società. A questo scopo sono dettate le norme di cui agli artt. 2281, 2282 e 2283 del c.c..
Terminata la fase liquidatoria del patrimonio ed estinte tutte le passività, i liquidatori devono presentare il bilancio finale di liquidazione che contiene all’attivo l’ammontare degli elementi e delle disponibilità liquide da ripartire ed, al passivo, il valore del capitale netto finale di liquidazione.

Il bilancio finale di liquidazione costituisce poi il documento sulla base del quale viene redatto il piano di riparto con cui il capitale netto finale di liquidazione viene attribuito ai soci ed agli eredi del socio defunto.
Tanto il bilancio finale di liquidazione quanto il piano di riparto devono essere approvati dai soci e si intendono approvati nel caso in cui non vengano espressamente impugnati nel termine di due mesi (approvazione tacita); ovvero vengano approvati con il cosiddetto atto di manleva (approvazione espressa).

Per effetto delle disposizioni di cui all’art. 2289, comma 1, del c.c. gli eredi del socio defunto hanno sempre e comunque diritto soltanto ad una somma di denaro che rappresenti il valore della quota del de cuius.
Stante quanto sopra, si può tranquillamente eccepire agli eredi che non hanno diritto, essendo la società già in liquidazione, alla liquidazione della quota bensì solo ad una quota di liquidazione al termine della procedura liquidatoria, contestualmente al pagamento di tutti i soci.



Cece M. chiede
sabato 28/09/2019 - Lazio
“Un parente di una defunta dichiara di essere erede di IV grado producendo solo 3 certificati di nascita del ramo materno della defunta senza presentare lo stato di famiglia storico sia del ramo materno che del ramo paterno. Con questi solo 3 certificati di nascita, presenta denuncia di successione è si intesta anche la quota del 50% di un paio di immobili, essendo L'altro 50% intestato ad altro proprietario legittimo. Propone poi una causa contro due società snc per vantare il credito nei confronti delle stesse società per le quote della de cuius. Si chiede se è possibile per le società opporsi a tale richiesta del parente per il fatto che quest'ultimo non ha prodotto gli stati di famiglia storici completi (ramo materno e ramo paterno).”
Consulenza legale i 09/10/2019
La questione prospettata investe aspetti sia di diritto successorio che di diritto societario.
Sotto il profilo successorio le norme che vengono in rilievo sono gli artt. 459, 475 e 476 c.c.
Al di là, infatti, della presentazione della denuncia di successione, la quale ha valore prettamente fiscale, affinché un soggetto possa assumere la qualità di erede di un qualunque altro soggetto è necessario che il medesimo abbia accettato l’eredità (così art. 459 del c.c.).
Tale accettazione può avvenire sia in forma espressa (ex art. 475 del c.c.) che in forma tacita (ex art. 476 del c.c.).
In particolare, si ha accettazione tacita quando colui che è chiamato all’eredità (sia per legge che per testamento) pone in essere un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che potrebbe compiere soltanto nella sua qualità di erede.

Ciò significa che, anche se la parente della defunta, che adesso pretende la liquidazione della quota sociale, non avesse accettato in forma espressa l’eredità (ossia con atto di notaio o dinanzi al Cancelliere del Tribunale del luogo di apertura della successione), gli atti che la medesima ha nel frattempo posto in essere possono sicuramente qualificarsi come atti di accettazione tacita dell’eredità.
Tra questi atti si ritiene che assuma particolare valenza l’aver agito in giudizio contro la società per pretendere la liquidazione della quota della defunta.
Tanto basta per dover riconoscere in chi agisce la qualità, quantomeno, di erede apparente, definendosi tale il soggetto che, pur non essendo erede, si comporta come tale.
Una situazione di questo tipo pone la società (e per essa il legale rappresentante) che dovrà provvedere alla liquidazione della quota, in una condizione di palese e incontrastabile buona fede, trovandosi di fronte un soggetto che, almeno in apparenza, riveste la posizione di erede, e come tale è legittimato a far valere ogni diritto che da quell’eredità ne può discendere.

Peraltro, e qui vengono in rilievo le norme societarie, la società, nei cui confronti si è verificata una causa di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad uno dei soci, si trova in una posizione che può definirsi di soggezione, in quanto l’art. 2284 c.c. dispone espressamente che, a meno che l’atto costitutivo o lo statuto non contengano una contraria disposizione, in caso di morte di uno dei soci, gli altri devono liquidare la quota agli eredi, salvo che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi (in quest’ultimo caso è indispensabile il loro consenso).

Pertanto, la sussistenza di tale obbligo e la richiesta avanzata da soggetto che si qualifica come erede, agendo in tale qualità perfino in giudizio, pongono inevitabilmente gli altri soci in una situazione di assoluta buona fede.
Tale stato psicologico di buona fede assumerà particolare rilievo nell’ipotesi in cui, in un successivo momento, dovesse venir fuori un erede vero, unico soggetto a cui l’ordinamento giuridico riconosce il diritto di far valere le proprie ragioni nei confronti non soltanto dell’erede apparente, ma anche dei terzi che con quest’ultimo abbiano intrattenuto rapporti giuridici (sarà costui a produrre quegli stati storici di famiglia che la società vorrebbero richiedere al presunto falso erede, avendo interesse a provare la propria qualità di erede).

A tale scopo, viene messa a disposizione dell’erede vero la c.d. azione di petizione dell’eredità, prevista dall’art. 534 del c.c., per mezzo della quale egli potrà recuperare i beni ed i diritti facenti parte dell’eredità non soltanto dall’erede apparente, ma anche dai suoi aventi causa.
In tal caso, nulla potrà essere rimproverato alla società che ha provveduto alla liquidazione della quota sociale, avendo questa agito in assoluta buona fede ed essendo stata quella quota liquidata a chi non solo si è qualificato come erede, ma ha anche agito come tale, ponendo in essere una accettazione tacita dell’eredità (presupposto indispensabile per assumere la suddetta qualità).

Per quanto concerne, infine, il profilo della presunta falsità della denuncia di successione, si ritiene possa essere utile segnalare che di tale problema si è occupata la Corte di Cassazione con sentenza n. 17206/2016, nella quale viene affermato che il privato che effettua una dichiarazione di successione ha un preciso obbligo di dichiarare il vero nelle autocertificazioni che vi si allegano (tra queste vi è quella relativa al grado di parentela ed all’assenza di altri eredi legittimi prossimi).
Poiché sotto questo profilo la dichiarazione (o denuncia) di successione assume natura di atto pubblico, qualsiasi dichiarazione avente contenuto difforme dalla realtà integrerà gli estremi del delitto di falsità ideologica in atto pubblico, che potrà esser fatto valere soltanto da chi ne ha interesse, ossia dal potenziale erede vero.


S. D. chiede
giovedì 05/07/2018 - Liguria
“Buonasera,
io , i miei fratelli, mia madre e mio padre siamo gli unici soci di una snc . A maggio è venuto a mancare mio padre, il quale negli anni ha maturato un consistente debito verso lo Stato ( di cui sono in atto rateizzazioni oramai sospese e rottamazione ancora da iniziare). Abbiamo sospeso tutto perché volevamo fare il beneficio di inventario dove i beni di mio padre sono la metà del conto cointestato( circa € 6.500 ) , un magazzino( circa 10.000) e l'azienda familiare di cui detiene il 20 % .
Con un notaio si era invece immaginato di fare una rinuncia totale dell'eredita da parte di tutti e quattro perché la parte di mio padre non è possibile mettere all'asta(?) , quindi come soci dovremmo detenere poi di nuovo il 100% e dare allo Stato il valore monetario al 20% della quota di mio padre in qualità di azienda.
L'avvocato si sente di sconsigliare questa manovra perché essendo che tutti i soci coincidono con tutti gli eredi la cosa potrebbe essere sconveniente e portare anche ad un risvolto penale per noi .
Invece potrebbe essere conveniente rinunciare all'eredità e chiudere la società di ora e aprirne una nuova con i restanti soci.
Volevo un parere sulle varie strade perché vorremmo fare un operazione si che ci convenisse ma senza creare problemi di altro genere.
Ringraziando per l'attenzione

Consulenza legale i 12/07/2018
Va premesso che per una risposta più puntuale sarebbero necessari ulteriori informazioni anche in ordine al tipo di tributi per i quali è maturato il debito verso lo Stato.
Presumendo che gli stessi siano legati all’attività di cui si parla e, quindi, che si tratti di debiti per IRAP ed IVA ed IRPEF per trasparenza, occorre considerare che, in base al disposto di cui all’art. 65 del d.P.R. n. 600/73, gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa.
Ne deriva che accettando l’eredità del padre ed assumendo, quindi, la qualifica di erede, l’Amministrazione finanziaria avrà titolo per esigere l’estinzione di tutti i debiti facenti capo al de cuius con i beni oggetti del patrimonio del de cuius ma altresì, nel caso in cui questi ultimi non siano sufficienti al loro assolvimento, con il proprio patrimonio personale.

Si tratta, per altro, di una responsabilità solidale di tutti gli eredi, cosicché l’erario ha la facoltà di richiedere a ciascuno di essi di onorare l’intero debito del de cuius.
La disposizione di cui all’art. 65 citato si pone, per altro, in deroga a quella di cui all' art. 752 del c.c. e seguenti. i quali prevedono la responsabilità dei coeredi del defunto al pagamento dei debiti e pesi ereditati, in proporzione alle loro quote ereditarie, salvo una disposizione testamentaria differente.
Per ciò che concerne, invece, i redditi che, pur prodotti dal defunto, vengono percepiti direttamente dagli eredi, essi stessi diventano i soggetti passivi dell’imposta e potranno sottoporli a tassazione separata ai sensi del comma 3 dell’art. 7 del T.U.I.R., approvato con d.P.R. n. 917/86, salvo opzione per l’imposizione ordinaria.
Fintantoché l’eredità non viene accettata non esiste alcun soggetto passivo d’imposta ovvero alcun titolare del reddito conseguito e pertanto, dell’obbligazione tributaria.
Inoltre, se tale situazione si protrae oltre il periodo d’imposta ed il chiamato all’eredità non l’ha accettata, oppure non è nel possesso dei beni ereditati, ai sensi dell’art. 528 del c.c., l’eredità si dice che diventa giacente ed occorre procedere alla nomina di un curatore del patrimonio ereditario.
In questo caso il soggetto passivo d’imposta non è individuato nel “patrimonio ereditario”, bensì, in colui al quale verrà attribuita successivamente l’eredità in via definitiva e, pertanto, le imposte verranno liquidate dal curatore, durante il periodo di eredità giacente, in via provvisoria.
In seguito, al momento dell’accettazione dell’eredità, tali redditi concorreranno a formare il reddito complessivo dell’erede con effetto retroattivo e, pertanto, quest’ultimo sarà tenuto a riliquidare le imposte versate nei periodi d’imposta precedenti.

Ora, al fine di non incorrere nel rischio di essere chiamati a dover rispondere con i beni propri dei debiti del defunto esistono due forme di tutela da parte dell’erede, ben individuate già nel quesito:
la prima, a carattere permanente, è la rinuncia all’eredità nelle forme previste dall’art. 519 del c.c.; in questo caso non ci sarà un “erede” che, pertanto, potrebbe essere chiamato a rispondere delle obbligazioni tributarie riferibili al de cuius” (Risoluzione Ministero delle Finanze 5.11.1980, n. 7/3801);
la seconda, a carattere transitorio, si attua mediante l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario: in tale ipotesi si consegue una limitazione legale della responsabilità patrimoniale dell’erede per i debiti ereditari entro il valore massimo dell’eredità ricevuta.
Ciò sta a significare che nell’ipotesi in cui si sia in presenza di una successione onerosa (ove le passività eccedano le attività), l’erede non sarà chiamato a rispondere delle obbligazioni trasmessegli oltre i limiti del valore del patrimonio ereditario, poiché con l’accettazione dell’eredità con beneficio dell’inventario viene elusa la confusione del suo patrimonio con quello del defunto.
Il beneficio d’inventario, per il quale la legge richiede la forma solenne della dichiarazione ricevuta da un notaio o da un cancelliere del tribunale del circondario ove la successione si è aperta, è rimesso alla facoltà di ogni chiamato, che ha l’onere di specificare nell’atto di accettazione se intenda avvalersi di tale diritto.
Tale forma di tutela ben si adatta alle ipotesi in cui si è chiamati a decidere sull’accettazione di un’eredità avendo una sommaria conoscenza della situazione economico-patrimoniale del congiunto de cuius o, come nel caso di specie, in cui si ha quasi la certezza che i debiti del de cuius potrebbero essere superiori alle attività ereditate.

Va ancora precisato che, sotto il profilo sanzionatorio, per i redditi posseduti dal defunto anteriormente alla sua morte, a norma dell’art. 8 del D. Lgs. n. 472/1997, l'obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi che, pertanto, sarebbero, in ogni caso, chiamati a rispondere soltanto delle imposte e relativi interessi.
Fatte queste premesse, è chiaro che, nel caso di specie, in considerazione della prospettazione di un passivo ereditario superiore all’attivo sarebbe opportuno, quantomeno, accettare l’eredità con beneficio di inventario.

Le norme di diritto successorio devono, però, a questo punto, essere coordinate con quelle del diritto societario, in considerazione del fatto che il de cuius aveva la qualifica di socio all’interno di una società di persone e, nel caso di specie, deve altresì tenersi conto della coincidenza degli eredi con i soci rimasti.
In base all’art. 2284 c.c., in generale, nel momento in cui muore uno dei soci, sussistono tre possibili soluzioni alternative:
1) la società continua la propria attività con i soci superstiti che liquidano la quota del de cuius agli eredi;
2) i soci superstiti decidono all’unanimità di sciogliere la società liquidando la quota agli eredi ossia, nel caso di specie, sempre a loro stessi;
3) qualora gli eredi vi acconsentano, vi è la possibilità di continuare la società con questi ultimi; presupposto imprescindibile in quest'ultimo caso è il consenso tacito o espresso degli eredi ad assumere la qualifica di soci in luogo del de cuius.

Posto che la volontà dei soci restanti pare sia quella di proseguire l’attività e posto che il subentro degli eredi nella qualità di soci, comporterebbe, comunque, l’accettazione dell’eredità (che, nel caso di specie sembra preferibile evitare), l’unica soluzione praticabile appare la prima, ossia i soci restanti proseguono l’attività, liquidando la quota del de cuius.
La predetta liquidazione andrà, quindi, a confluire, unitamente al resto, nell’attivo dell’asse ereditario del de cuius.

A questo punto, si porrà il problema per gli eredi di decidere cosa fare in merito al patrimonio ereditario di cui, ovviamente, le somme ricevute in sede di liquidazione della partecipazione alla s.n.c. faranno parte.
È chiaro che, questo tipo di valutazione non può che essere rimessa agli stessi eredi che, alla luce di quanto detto prima, potranno decidere tenendo conto dell’effettiva consistenza dell’attivo e del passivo dell’asse ereditario.
Va da se che, nel caso in cui gli stessi decidano di non accettare l’eredità, le somme corrisposte in sede di liquidazione della quota del de cuius resteranno nella disponibilità del curatore dell’eredità giacente sino al momento della devoluzione del patrimonio ereditario allo Stato (a 10 anni dalla morte ex art. 586 del c.c. ).

Occorre, quindi, separare la scelta da operare, in qualità di soci e in riferimento alla quota societaria, ex art. 2284 del c.c., da quella da operare, in qualità di eredi, in riferimento all’accettazione dell’asse ereditario, tenendo conto del fatto che la decisione assunta in qualità di soci (proseguire l’attività di impresa della società, liquidando la quota del de cuius) non necessariamente implica l’accettazione dell’eredità.

Sotto il profilo penale occorre partire dal presupposto che la responsabilità penale è personale, pertanto gli eredi non potranno mai rispondere di una presunta evasione fiscale (che al momento non è possibile valutare perché non si conosce il quantum evaso, fondamentale per le soglie di rilevanza penale dei reati tributari) commessa dal padre, ormai defunto.
In un caso del genere, un eventuale procedimento penale andrebbe archiviato, in quanto la morte del reo costituisce causa di estinzione del reato.
Piuttosto, occorrerebbe usare particolare cautela nel portare avanti l’operazione di far cessare l'azienda per aprirne un'altra, perché in astratto una operazione di tal genere potrebbe anche integrare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.

Giovanni S. chiede
martedì 08/08/2017 - Toscana
“In prossimità della conclusione dell'azione di riduzione testamentaria, promossa da una legittimaria totalmente pretermessa, il convenuto erede universale dichiara con atto stragiudiziale di voler liquidare la propria quota di partecipazione in una società in nome collettivo senza informare/coinvolgere il giudice procedente ("invoca il possesso del testamento olografo"), cioè vanificando il lavoro istruttorio compiuto. E' illegittimo oppure è legittimo purché con riserva di corrispondere all'attrice il valore della quota sulla base del dividendo dell'anno in corso? Grazie. Dr. Giovanni Salvadorini”
Consulenza legale i 22/08/2017
Occorre, innanzitutto, precisare che, ai sensi dell'art. 2284 c.c., le quote di una snc non cadono in successione: in caso di morte di un socio, gli altri soci superstiti devono liquidare la quota agli eredi o, in alternativa, possono scogliere la società o continuarla con gli eredi (se questi vi acconsentono).

Di conseguenza, alla morte del socio della snc, la sua quota si estingue e ciò che cade in successione è solamente il diritto di credito degli eredi alla liquidazione della quota stessa (al valore che verrà determinato in relazione alla situazione finanziaria della società al momento della morte del socio).

Deve, pertanto, escludersi la possibilità per lei, in qualità di erede legittimario pretermesso, di opporsi alla richiesta di liquidazione della quota avanzata dall'erede universale, la quale appare, al contrario, pienamente legittima.

Va osservato, peraltro, che la quota di legittima (intesa come porzione di eredità della quale il testatore non può disporre, essendo riservata a determinati eredi, denominati "legittimari "), va intesa in senso "quantitativo" e non in senso "qualitativo", dal momento che il legittimario ha diritto ad un determinato valore del patrimonio ereditario, il quale può essere tuttavia composto da beni di qualunque natura, purché compresi nell'asse ereditario e di valore tale da reintegrare la quota di legittima lesa.

Pertanto, lei, quale legittimario pretermesso, ha certamente diritto ad una determinata porzione del patrimonio ereditario ma non può vantare un diritto sui singoli beni che compongano il patrimonio stesso, essendo necessario e sufficiente che le venga garantita la reintegrazione del valore della quota di legittima che le spetta.

Conclusivamente, si ritiene che lei non possa opporsi alla richiesta di liquidazione delle quote sociali avanzata dall'erede universale.

All'esito dell'azione di riduzione, il Giudice le riconoscerà la propria quota di legittima prevista dalla legge, che comprenderà la parte corrispondente del credito relativo alla liquidazione delle quote sociali.



Anonimo chiede
lunedì 01/08/2016 - Lombardia
“Buongiorno,
Siamo due soci (fratelli) al 50%+50% e abbiamo una società immobiliare SPA con un immobile affittato, è previsto che se uno dei due soci volesse vendere è prevista la prelazione all'altro socio.-
L'altro socio vorrebbe creare una Società Semplice i cui soci sarebbero: Lui al 95%+moglie 2,5%+figlio 2,5%, per poi fare un aumento di capitale portando in dote la sua parte di SPA.
Pertanto diventerebbe una SPA con il 50% di proprietà di una persona fisica e il 50% di una Società Semplice
La motivazione sarebbe che con la Società Semplice la tassa di successione sarebbe inferiore rispetto la tassa di successione della SPA.
domanda
è legittimo fare questo ? quanto paga di tassa di successione la SPA e quanto paga di tassa di successione la Società Semplice?
Grazie”
Consulenza legale i 05/08/2016
Per quanto riguarda la prima questione, trattasi di operazione del tutto legittima.

Se si è ben compresa la situazione sinteticamente descritta nel quesito, uno dei soci intende costituire una società semplice, assieme a moglie e figlio e – trascorso un determinato lasso di tempo – deliberare un aumento di capitale da coprire mediante conferimento della quota già da egli detenuta nella s.p.a..
Si tratta di ordinaria ipotesi di aumento di capitale cosiddetto “a pagamento”, che si configura quando i soci incrementano il capitale sociale facendo entrare nuovi soci oppure – come nel caso di specie – raccogliendo nuovi conferimenti dai soci preesistenti.

Per quel che concerne, invece, la seconda domanda, relativa alle imposte di successione, il socio che intende costituire la società semplice si è correttamente posto il problema dell’imposizione fiscale.

Le norma di riferimento è l’art. 3, comma 4-ter, D.Lgs. 31/10/1990, n. 346, il quale – al fine di favorire il passaggio generazionale delle imprese, esclude dall’imposizione fiscale il trasferimento di azioni e quote sociali.
Tuttavia, la disciplina di esclusione è differente a seconda che le partecipazioni sociali riguardino società di persone ovvero società di capitali.

Nel primo caso, infatti, la norma non pone alcun limite, nel senso che il trasferimento a titolo gratuito di quote di società di persone (società semplici, S.n.c. e S.a.s.) non è mai assoggettato ad imposta, purché vengano comunque rispettate le ulteriori condizioni previste dall’art. 3, co. 4-ter, D.Lgs. 346/1990 (ovvero: “Il beneficio si applica a condizione che gli aventi causa proseguano l'esercizio dell'attività d'impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all'atto di donazione, apposita dichiarazione in tal senso”).

Diversa, invece, è la previsione per la successione o donazione di quote o azioni di società di capitali, quali S.p.a., S.r.l., S.a.p.a., società cooperative e di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato (art. 73, co.1, lett. a), D.P.R. 22.12.1986, n. 917). In tale ipotesi, infatti, l’esclusione è subordinata alla circostanza che le partecipazioni ereditate o donate consentano o integrino il controllo della società ai sensi dell’art. 2359, comma 1, n. 1), c.c, vale a dire conferiscano la maggioranza (più del 50%) dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria. Qualora tale requisito non sia rispettato, il beneficio non spetta.

A tale ultimo proposito, in particolare, in merito alla percentuale di azioni o quote di società di capitali idonea a realizzare l’esercizio del controllo di diritto, sono state fornite alcune precisazioni a mezzo di circolare ministeriale (C.M. 3/E/2008). In particolare:

- percentuale di azioni suddivisa fra più eredi: nell’ipotesi in cui una partecipazione societaria che consente l’esercizio del controllo di diritto venga trasferita singolarmente a più eredi ed ognuno di essi risulti in possesso di una partecipazione che non integra il controllo di diritto, l’esclusione non si applica. E’ il caso della partecipazione societaria pari al 60% che viene suddivisa in parti uguali fra tre eredi (20% ad ognuno). In tal caso il 20% non è sufficiente a consentire il controllo di diritto e, dunque, il trasferimento è assoggettato ad imposta in capo agli eredi;

- comproprietà: nell’ipotesi sopra esposta, al contrario, l’esclusione si applica qualora la partecipazione venga trasferita agli eredi in comproprietà, di modo che i relativi diritti vengano esercitati per mezzo di un rappresentante comune; in questo caso la percentuale di possesso resta inalterata e il pacchetto azionario possiede i requisiti per consentire il controllo di diritto (C.M. 16.2.2007, n. 11/E);

- quote di società di persone: non vi sono limitazioni quantitative di nessun tipo, poiché, indipendentemente dalla percentuale oggetto di successione o donazione ed in presenza degli altri requisiti richiesti, l’esclusione dall’imposta spetta in ogni caso.

Nella fattispecie in esame, non pare a chi scrive – in ragione di quanto sopra esposto - che si possa correre il rischio dell’imposta nella successione di quota della s.p.a., detenendo il socio il 50% della partecipazione, ovvero una quota che non gli consente (né consentirebbe agli eredi) di esercitare un controllo sulla società. Tuttavia, per eliminare ogni rischio, può essere una via fare in modo che la successione abbia ad oggetto la partecipazione in una società di persone.

FILIPPO G. chiede
giovedì 16/10/2014 - Sicilia
“Buongiorno.
Potreste dirmi che fondamento giuridico hanno le note all'art. 2284 cc (morte del socio).”
Consulenza legale i 20/10/2014
L'articolo in esame disciplina uno dei casi in cui si verifica lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, in particolare l'ipotesi di morte (cui è equiparata la morte presunta) del socio.
In assenza di una diversa convenzione tra le parti, la norma prevede in sostanza tre ipotesi:
1. liquidazione della quota del socio defunto;
2. scioglimento della società;
3. continuazione della società con gli eredi.
Le prime due possibili soluzioni sono lasciate alla decisione autonoma dei soci superstiti, mentre per la terza è necessario anche il consenso degli eredi.

L'art. 2284 non prevede un termine, successivo alla morte del socio, entro il quale si deve optare per una delle scelte previste.
Secondo alcuni studiosi, tra liquidazione della quota agli eredi e scioglimento della società si instaurerebbe un rapporto di alternatività (si tratterebbe di una obbligazione alternativa ex art. 1285 del c.c.), tanto che gli eredi potrebbero richiedere al giudice di fissare un termine entro il quale i soci superstiti dovranno effettuare la scelta.
Per altri, si tratterebbe invece di una obbligazione con facoltà alternativa, che consiste in un rapporto obbligatorio in cui viene dedotta una sola obbligazione, ma è in facoltà del debitore di adempiere eseguendo un'altra obbligazione.
La giurisprudenza ha sottolineato che il diritto degli eredi alla liquidazione è soggetto alla prescrizione ordinaria decennale, poiché le norme societarie non possono derogare al termine legale previsto per l'accettazione dell'eredità, e il diritto alla liquidazione può essere fatto valere solo dall'erede (accettante dell'eredità) del socio (v. Trib. Monza, 2 giugno 1989).
Se i soci superstiti optano per lo scioglimento della società, la quota del socio defunto verrà liquidata all'intero del complessivo procedimento di liquidazione della società.
I criteri per la liquidazione della quota sono previsti dall'art. 2289 del c.c..
Interessante è il caso, molto frequente, di pluralità di eredi. L'opinione prevalente richiede il consenso unanime degli eredi affinché essi possano subentrare come soci, ma per alcuni studiosi ogni erede potrebbe subentrare e divenire socio nei limiti della propria quota, mentre nei confronti degli altri la società resta obbligata alla liquidazione delle rispettive quote.

Quanto all'ultima ipotesi, quella della continuazione con gli eredi, va innanzitutto premesso che la morte del socio scioglie immediatamente il rapporto sociale: di conseguenza, l'erede non assume mai automaticamente la qualità di socio, nemmeno se la società era composta di due soli soci.
Affinché l'erede diventi socio, risulta necessario un atto inter vivos, un contratto, che non richiede necessariamente la forma scritta ma può risultare anche da fatti concludenti (Trib. Roma, 19 giugno 1984).
Secondo la dottrina del tutto prevalente, la decisione di continuare la società con gli eredi del socio defunto richiede il consenso unanime dei soci superstiti; al contrario, alcuni autori ritengono sufficiente la maggioranza dei consensi, laddove essa sia prevista per le modificazioni del contratto sociale.

Il fondamento giuridico della previsione per cui è richiesto il consenso degli eredi affinché la società possa continuare con loro è dato, da un lato, dal rapporto di fiducia che lega i soci di una società di persone; dall'altro, dal principio incontestabile dell'intrasmissibilità mortis causa della qualità di socio. Ciò implica che, affinché nuovi soci subentrino nella società, si deve instaurare un nuovo vincolo fiduciario con i sopravvenuti e tutte le parti debbono essere consenzienti. Anche per questa ragione, una eventuale clausola di continuazione della società alla morte del socio potrebbe vincolare solo i soci superstiti e non gli eredi, in quanto ciò contrasterebbe non solo con il principio della fiducia sopra menzionato ma anche con i principi sull'accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario: l'erede, in quanto nuovo socio, dovrebbe rispondere senza limiti anche dei debiti sociali anteriori all'acquisto della qualità di socio, trovandosi così nell'impossibilità di effettuare un'accettazione beneficiata. Inoltre, si palesa anche un contrasto con le norme del diritto societario che presuppongono che un soggetto, senza una dichiarazione di volontà, non potrebbe divenire socio a responsabilità illimitata.

A. B. chiede
lunedì 24/06/2024
“Società Snc, costituita da mio fratello nel 1990 inizia attività nel 1995, capitale 1549€.
Aprile 2003 subentra quale unico socio accomandatario la moglie con capitale 929,62€
Successivamente mio fratello, nel giugno 2003 acquista quale legale rappresentante ed amministratore della società un immobile per uso ufficio, valutato all’epoca 32.000€ oggi 120.000€, pagato dalla società acquirente con dichiarazione nell’atto di compravendita che il prezzo è stato interamente pagato. In aggiunta risulta in capo alla società in autovettura dal valore attuale di 5000€ della quale sta facendo uso esclusivo la moglie.
Venuto a mancare mio fratello nel dicembre 2023( senza figli) rimaniamo eredi tre fratelli e la moglie.

Si può ritenere l’acquisto dell’immobile ad uso ufficio come donazione indiretta alla moglie?

Nel 2013 mio fratello ha fatto a me donazione della casa dove abitava, che era di mia madre( valore odierno 200.000€) e che noi fratelli per rispettare la sua volontà abbiamo simulato la vendita senza ricevere nulla pur avendo dichiarato di aver ricevuto la somma.

Oggi la moglie rivendica la legittima e pure abitando altrove, non vuole lascisre la casa ove risulta ancora residente.

Vi sono debiti per quasi 38.000€

Quali sono i diritti spettanti agli eredi e quali le quote?

Ps: I fratelli non possono rinunciare per la presenza di minori.

In caso di accettazione dell’eredità, come si suddividono i debiti, e le spese di chiusura della società?

Ringraziandovi per la disponibilità, attendo riscontro.”
Consulenza legale i 04/07/2024
La prima domanda alla quale si chiede di dare risposta è quella relativa alla configurabilità o meno di una donazione indiretta con riguardo all’acquisto di un immobile uso ufficio effettuato nel mese di giugno 2013 dal fratello adesso deceduto.
Sulla base di ciò che viene riferito nel quesito la risposta è negativa.
A prescindere dal fatto che nel rogito notarile le parti dichiarano che il prezzo è stato interamente versato in data antecedente, ciò che assume rilevanza, al fine di escludere la sussistenza di una donazione indiretta in favore della moglie, è la circostanza che a quell’atto di compravendita il fratello ha preso parte nella qualità di amministratore e legale rappresentante della società.
Ciò vale ad escludere ogni trasferimento, seppure indiretto, in favore del coniuge superstite, in quanto la proprietà di quel bene non può che ricondursi in capo alla società, in nome e per conto della quale il legale rappresentante ha dichiarato di agire.

Si ritiene utile precisare, a tale riguardo, che ricorre donazione indiretta ogni qual volta dal punto di vista economico, si raggiunge il medesimo risultato della donazione diretta, ovvero l’impoverimento della parte donante e l’arricchimento della parte donataria.
Classico esempio è quello dell’acquisto effettuato dal figlio con denaro dei genitori, ove, in un unico passaggio, si vengono a realizzare due distinti risultati, e precisamente:
  1. il venditore riceve l’intero pagamento del prezzo;
  2. il figlio non esborserà il denaro necessario per l’acquisto (o almeno parte di esso), in quanto sono i genitori a provvedere al pagamento del prezzo, senza ricevere nulla in cambio (per questo si assiste ad un loro impoverimento e ad un incremento del patrimonio del figlio).

Nel caso in esame non si vede come la moglie del legale rappresentante possa essersi arricchita, tenuto conto che l’acquisto dell’immobile, almeno secondo ciò che viene detto nel quesito, avviene in capo alla società di cui il defunto era legale rappresentante.

Diverso è il discorso, invece, per la donazione della casa dal de cuius ad uno dei fratelli, in quanto ai fini del calcolo della quota di riserva a cui il coniuge superstite ha diritto, occorre rispettare il disposto di cui all’art. 556 del c.c., ovvero sommare al relictun il donatum e detrarre i debiti (che sembrano sussistere ed essere pari a circa 38.000 euro)
Ciò significa che del valore di tale immobile, determinato con riferimento al momento dell’apertura della successione, si dovrà tener conto per stabilire se la quota di riserva del coniuge sia stata lesa o meno, con diritto, in caso di lesione, ad esperire l’azione di riduzione.

Il coniuge superstite, a sua volta, non potrà opporsi, se richiesto da parte del fratello del de cuius nonché legittimo proprietario, al rilascio di quell’abitazione, in quanto anche se trattasi dell’immobile ove veniva condotta la vita familiare, non può vantare in suo favore il diritto di abitazione e di uso dei mobili di cui all’art. 540 del c.c., diritti che il legislatore riconosce soltanto in caso di immobile di proprietà del defunto o comune con il coniuge superstite.

Per quanto concerne la determinazione dei diritti e delle quote spettanti agli eredi, escluso come si è appena detto il diritto di abitazione e di uso di cui all’art. 540 c.c., in assenza di testamento non potranno che trovare applicazione le norme dettate in tema di successione legittima, ed in particolare l’art.582 c.c., norma che disciplina l’ipotesi di concorso del coniuge superstite con ascendenti, fratelli e sorelle del de cuius.
In forza di tale norma, il coniuge superstite ha diritto a 2/3 del patrimonio ereditario, mentre i fratelli e le sorelle al restante terzo.
In ogni caso, il coniuge superstite, in assenza di altri legittimari (sono tali i figli e gli ascendenti) ha diritto ad una quota di riserva pari alla metà del patrimonio ereditario, per la cui determinazione, come si è visto prima, deve farsi applicazione dell’art. 556 c.c.

Qualora i fratelli avessero intenzione di rinunziare all’eredità del de cuius, tale loro volontà non può di certo essere preclusa dalla presenza di loro figli minori, in quanto anche questi possono manifestare la volontà di rinunciare.
E’ pur vero che per la rinunzia all’eredità da parte dei minori occorre munirsi della preventiva autorizzazione giudiziaria ex art. 320 del c.c., ma non si vede alcuna difficoltà nel poter conseguire tale autorizzazione, considerato che si tratterebbe di un acquisto sicuramente non vantaggioso per i minori in considerazione della presenza di debiti e, soprattutto, di una società su base personale da liquidare.

Infine, l’ultimo quesito concerne le corrette modalità di suddivisione dei debiti sociali e delle spese per la chiusura della società di persone.
In questo caso si ritiene che debba farsi applicazione dell’art. 2284 del c.c., il quale dispone che, in assenza di diverso patto sociale, gli altri soci possono decide di:
  1. liquidare la quota agli eredi;
  2. continuare la società con gli eredi;
  3. sciogliere la società.

Se i soci superstiti (che poi coincidono con gli stessi eredi del socio deceduto) preferiscono sciogliere la società, sembra evidente che le spese a tal fine occorrenti (ed in particolare quelle notarili) dovranno essere dagli stessi soci sostenute in misura proporzionale alle quote possedute (salvo sempre contraria previsione del contratto sociale).
Una volta deliberato lo scioglimento della società, si dovrà procedere alle conseguenziali operazioni di liquidazione del patrimonio sociale e pagamento di tutti i debiti sociali, con redazione del bilancio finale di liquidazione e relativo piano di riparto.
Nel corso della liquidazione trova applicazione l’art. 2304 del c.c., norma che sancisce il c.d. beneficio della preventiva escussione, imponendo ai creditori sociali di non poter pretendere il pagamento da parte dei singoli soci se non dopo aver escusso il patrimonio sociale.

Qualora, invece, dovesse essere decisa la continuazione della società e la liquidazione della quota del socio defunto agli eredi, si applica il secondo comma dell’art. 2289 del c.c., il quale dispone che tale liquidazione va fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto sociale.
Per la suddivisione della eventuale somma da liquidare si dovrà fare riferimento alle quote a ciascuno degli eredi spettanti ex art. 582 c.c., mentre per eventuali debiti sociali troverà applicazione l’art. 2290 del c.c., norma che disciplina appunto la responsabilità del socio uscente o dei suoi eredi.


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