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Articolo 150 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Separazione personale

Dispositivo dell'art. 150 Codice Civile

È ammessa la separazione personale dei coniugi [155, 156, 156 bis, 191, 297, 548, 585; 70, 706 ss. c.p.c.].

La separazione può essere giudiziale [151] o consensuale [158] [232, 234; 708 c.p.c.].

Il diritto di chiedere la separazione giudiziale [706 c.p.c.] o la omologazione di quella consensuale [711 c.p.c.] spetta esclusivamente ai coniugi.

Ratio Legis

La separazione consiste nella legale sospensione dei doveri reciproci dei coniugi (così Bianca), intendendosi compresi quelli di collaborazione, di coabitazione e di contribuzione, mentre permangono quelli di assistenza e rispetto reciproco.
Ulteriore effetto, in ambito patrimoniale, è la cessazione della comunione legale tra coniugi.

Spiegazione dell'art. 150 Codice Civile

La separazione personale qui descritta, cosiddetta legale, prevede due forme: la separazione giudiziale, pronunciata dal tribunale su istanza di uno o entrambi i coniugi, qualora vi sia disaccordo sulle condizioni regolanti i rapporti patrimoniali, ed ancor prima i rapporti con i figli. La separazione consensuale invece presuppone l'accordo tra i coniugi, che prevedono e regolamentano le condizioni di separazione, che dovranno comunque essere omologate dal tribunale (onde non configurare una semplice separazione di fatto, che non ha valore legale e non sviluppa gli effetti giuridici della s. legale, sebbene rilevi quale impedimento all'adozione speciale).
Il diritto di chiedere la separazione non può essere, quindi, esercitato mediante un rappresentante: ad esempio non potrà essere presentata dal tutore in nome dell'interdetto (art. 414 del c.c.). Potrà ovviamente essere proposta da un procuratore speciale, all'uopo nominato ed officiato.
Il diritto de quo, inoltre, è un diritto indisponibile, pertanto subisce i limiti probatori della confessione (art. 2730 del c.c.) e del giuramento (di cui all'art. 2736 del c.c.): tali mezzi di prova sono sottratti in sede giudiziale. Vige inoltre l'inammissibilità di condizioni apponibili alla richiesta (si pensi all'impegno - che risulterebbe illegittimo - a non richiedere l'addebito nei confronti dell'altro coniuge).

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 150 Codice Civile

Cass. civ. n. 28649/2022

In materia di separazione dei coniugi, il regolamento concordato fra i coniugi mediante un atto di "puntuazione" avente ad oggetto la definizione dei loro rapporti patrimoniali in vista di una separazione consensuale, acquista efficacia giuridica solo in seguito al provvedimento di omologazione della separazione, mentre qualora i coniugi addivengano ad una separazione giudiziale, le pattuizioni convenute antecedentemente sono prive di efficacia giuridica.

Cass. civ. n. 28483/2022

Non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice d'appello che, a fronte dell'impugnazione della sentenza di divorzio sul capo relativo alla quantificazione dell'assegno di mantenimento per i figli, provveda, in mancanza di una specifica impugnazione sul punto, anche in relazione alle spese di viaggio necessarie a consentire il diritto di visita del genitore non collocatario, atteso che tali spese rientrano tra gli esborsi destinati ai bisogni ordinari dei figli e sortiscono l'effetto di integrare l'assegno di mantenimento, cosicché la questione ad esse relativa deve intendersi tacitamente proposta in necessaria connessione con la domanda espressamente formulata.

Cass. civ. n. 11793/2021

Per quanto concerne l'addebito della separazione, va osservato che il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sè sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all'impossibilità della convivenza, salvo che si provi, e l'onere incombe su chi ha posto in essere l'abbandono, che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata ed in conseguenza di tale fatto, anche se la domanda di separazione non sia stata già proposta. Tale prova è, poi, ancora più rigorosa - a carico di colui che pone in essere l'abbandono - nell'ipotesi in cui l'allontanamento riguardi pure i figli, dovendosi specificamente ed adeguatamente dimostrare, anche riguardo ad essi, la situazione d'intollerabilità.

Cass. civ. n. 16698/2020

In tema di separazione personale dei coniugi, la condizione di intollerabilità della convivenza deve essere intesa in senso soggettivo, non essendo necessario che sussista una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi i coniugi, ben potendo la frattura dipendere dalla condizione di disaffezione e distacco di una sola delle parti, che sia verificabile in base a fatti obiettivi, come la presentazione stessa del ricorso ed il successivo comportamento processuale, con particolare riferimento alle risultanze negative del tentativo di conciliazione, dovendosi ritenere venuto meno, al ricorrere di tali evenienze, quel principio del consenso che caratterizza ogni vicenda del rapporto coniugale.

Cass. civ. n. 24621/2015

L'accordo transattivo concluso nelle more del giudizio d'appello della separazione, con il quale i coniugi provvedono a reciproci trasferimenti di immobili, in modo difforme rispetto a quanto statuito dal giudice di primo grado pronunciatosi su conclusioni conformi delle parti, produce effetti senza necessità di essere sottoposto al giudice per l'omologazione.

Cass. civ. n. 1144/2015

È ammissibile l'azione revocatoria ordinaria del trasferimento di immobile, effettuato da un genitore in favore della prole in ottemperanza ai patti assunti in sede di separazione consensuale omologata, poiché esso trae origine dalla libera determinazione del coniuge e diviene "dovuto" solo in conseguenza dell'impegno assunto in costanza dell'esposizione debitoria nei confronti di un terzo creditore, sicché l'accordo separativo costituisce esso stesso parte dell'operazione revocabile e non fonte di obbligo idoneo a giustificare l'applicazione dell'art. 2901, terzo comma, cod. civ.

Cass. civ. n. 19535/2014

La mera coabitazione non è sufficiente a provare la riconciliazione tra coniugi separati essendo necessario il rispristino della comunione di vita e d'intenti, materiale e spirituale, che costituisce il fondamento del vincolo coniugale (Nella specie, la corte territoriale aveva escluso la riconciliazione per la presenza di comportamenti, anche processuali - la proposizione di domanda riconvenzionale di addebito formulata dal ricorrente in primo grado - ostativi al ripristino, tanto più che la dedotta coabitazione era rimasta sfornita di allegazione di fatti probanti e di deduzione di mezzi istruttori idonei a corroborarla).

Per provare la riconciliazione tra coniugi separati, non è sufficiente che i medesimi abbiano ripristinato la convivenza, essendo invece necessaria la ripresa dei rapporti materiali e spirituali, caratteristici della vita coniugale.

Cass. civ. n. 19319/2014

L'accordo di separazione dei coniugi omologato non è impugnabile per simulazione poiché l'iniziativa processuale diretta ad acquisire l'omologazione, e quindi la condizione formale di coniugi separati, è volta ad assicurare efficacia alla separazione, così da superare il precedente accordo simulatorio, rispetto al quale si pone in antitesi dato che è logicamente insostenibile che i coniugi possano "disvolere" con detto accordo la condizione di separati ed al tempo stesso "volere" l'emissione di un provvedimento giudiziale destinato ad attribuire determinati effetti giuridici a tale condizione.

Nella situazione considerata la volontà di conseguire detto "status" è effettiva, e non simulata: l'iniziativa processuale diretta ad acquisire la condizione formale di coniugi separati, con le conseguenti implicazioni giuridiche, si risolve in una iniziativa nel senso della efficacia della separazione che vale a superare e neutralizzare il precedente accordo simulatorio, ponendosi in antitesi con esso.

Cass. civ. n. 18870/2014

Le domande di risarcimento dei danni e di separazione personale con addebito sono soggette a riti diversi e non sono cumulabili nel medesimo giudizio, atteso che, trattandosi di cause tra le stesse parti e connesse solo parzialmente per "causa petendi", sono riconducibili alla previsione di cui all'art. 33 cod. proc. civ., laddove il successivo art. 40, nel testo novellato dalla legge 26 novembre 1990, n. 353, consente il cumulo nell'unico processo di domande soggette a riti diversi esclusivamente in presenza di ipotesi qualificate di connessione "per subordinazione" o "forte" (artt. 31, 32, 34, 35 e 36, cod. proc. civ.), stabilendo che le stesse, cumulativamente proposte o successivamente riunite, devono essere trattate secondo il rito ordinario, salva l'applicazione del rito speciale qualora una di esse riguardi una controversia di lavoro o previdenziale.

Cass. civ. n. 18066/2014

In caso di separazione consensuale o divorzio congiunto (o su conclusioni conformi), la sentenza incide sul vincolo matrimoniale ma, sull'accordo tra i coniugi, realizza - in funzione di tutela dei diritti indisponibili del soggetto più debole e dei figli - un controllo solo esterno attesa la natura negoziale dello stesso, da affermarsi in ragione dell'ormai avvenuto superamento della concezione che ritiene la preminenza di un interesse, superiore e trascendente, della famiglia rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti. Ne consegue che i coniugi possono concordare, con il limite del rispetto dei diritti indisponibili, non solo gli aspetti patrimoniali, ma anche quelli personali della vita familiare, quali, in particolare, l'affidamento dei figli e le modalità di visita dei genitori.

Cass. civ. n. 399/2010

Il passaggio in giudicato, in pendenza del giudizio di separazione dei coniugi, della sentenza che rende esecutiva nello Stato la sentenza ecclesiastica di nullità canonica del matrimonio concordatario contratto dalle parti, fa venir meno il vincolo coniugale, e quindi anche il potere-dovere del giudice di statuire in ordine all'assegno di mantenimento, trovando applicazione la disciplina del matrimonio putativo di cui agli artt. 128, 129 e 129 - bis cod. civ. (richiamati dall'art. 18 della legge 27 maggio 1929, n. 847) con la conseguenza che, qualora il giudicato sia intervenuto dopo la pubblicazione della sentenza d'appello, è inammissibile il ricorso per cassazione, restando travolte le decisioni adottate in argomento nei precedenti gradi di giudizio. (Dichiara inammissibile, App. Ancona, 28/02/2005)

Cass. civ. n. 21053/2009

In tema di obbligazioni alimentari, il criterio di collegamento previsto dall'art. 5 della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, resa esecutiva con legge 21 giugno 1971, n. 804, ai sensi del quale il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato contraente può essere citato davanti al giudice del luogo in cui il creditore ha il domicilio o la residenza abituale, trova applicazione anche in riferimento alla domanda di pagamento dell'assegno di mantenimento dovuto al coniuge separato, avuto riguardo alla nozione di alimenti emergente dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia CE (cfr. sent. 17 marzo 1979, in causa 143/78; 6 marzo 1980, in causa 120/79; 27 febbraio 1997, in causa 220/95), la quale, sostanziandosi in una formulazione sopranazionale ed autonoma rispetto alle categorie proprie delle legislazioni nazionali, va interpretata in senso ampio, e quindi comprensivo dei diversi istituti dell'obbligazione di mantenimento e di quella di alimenti previste dall'ordinamento italiano. (Regola giurisdizione)

Cass. civ. n. 5441/2008

La morte di uno dei coniugi sopravvenuta nel corso del giudizio di separazione personale comporta non l'estinzione del processo, bensì il venir meno della materia del contendere, travolgendo tutte le pronunce, emesse nel corso del procedimento, e non ancora passate in giudicato, comprese quelle relative alle istanze accessorie, comunque connesse alla separazione. (La Corte, nella specie, ha ritenuto non ostativa all'applicazione del principio di cui alla massima, l'istanza del coniuge volta al conseguimento della pensione di reversibilità di quello defunto).

Cass. civ. n. 11654/2007

Non sussiste un rapporto di necessaria pregiudizialità tra il processo di nullità del matrimonio e quello di separazione personale, che sono autonomi l'uno dall'altro; infatti, prima della pronuncia di nullità, e anche in pendenza del relativo processo, i coniugi continuano ad essere trattati come tali, con reciproci diritti e doveri, mentre la sentenza di separazione non spiega efficacia di giudicato sul punto dell'esistenza e validità del vincolo matrimoniale (salvo che sulla relativa questione le parti abbiano chiesto una decisione con efficacia di giudicato ex art. 34 c.p.c.) e non preclude la dichiarazione di efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio. (Rigetta, App. Lecce, 26 Luglio 2003)

Cass. civ. n. 9863/2007

La pattuizione intervenuta tra due coniugi, che abbiano in corso una separazione consensuale, con la quale, al fine di disciplinare i reciproci rapporti economici, uno di essi s'impegni a trasferire gratuitamente all'altro determinati beni, non configura una convenzione matrimoniale ex art. 162 cod. civ., postulante lo svolgimento della convivenza coniugale e il riferimento ad una generalità di beni, anche di futura acquisizione, ma un contratto atipico, con propri presupposti e finalità, soggetto, per la forma, alla comune disciplina e, quindi, se relativo a beni immobili, validamente stipulabile con scrittura privata senza necessità di atto pubblico. (Rigetta, App. Firenze, 7 Giugno 2002)

Cass. civ. n. 2944/1997

La morte di uno dei coniugi determina, ai sensi dell'art. 149 c.c., lo scioglimento del matrimonio e, pertanto, la cessazione della materia del contendere del giudizio di separazione personale, anche se sopravvenuta in pendenza del procedimento di cassazione e comporta la cassazione senza rinvio delle sentenze di primo e secondo grado.

Cass. civ. n. 364/1996

Nel giudizio di separazione, che ha ad oggetto l'accertamento della sussistenza dei presupposti dell'autorizzazione a cessare la convivenza coniugale e la determinazione degli effetti che da tale cessazione derivano nei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi e con i figli, la qualità di parte spetta esclusivamente ai coniugi e non può essere riconosciuta ai parenti di questi, neppure al limitato fine di meglio tutelare gli interessi dei figli minori; ai parenti, infatti, la legge espressamente riconosce soltanto la legittimazione a sollecitare, in diversa sede, il controllo giudiziario sull'esercizio della potestà dei genitori (art. 336 c.c.) al fine di conseguire la tutela degli oggettivi interessi dei minori.

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Consulenze legali
relative all'articolo 150 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

M. S. chiede
venerdì 23/09/2022 - Liguria
“Salve,
sono una donna, vorrei separarmi/divorziare. Siamo in separazione dei beni, non abbiamo figli, non abbiamo casa cointestata, non abbiamo nessuna proprietà da dividere se non un fondo investimento su "moneyfarm", intestato a me, ma a cui ha accesso anche lui. Non sono interessata a mantenimento o cose del genere, anche perchè lui potrebbe dimostrare di non percepire bustapaga anche se è amm. di una srl. Mi interessa chiudere (possibilmente consensualmente) senza lasciare legami sospesi.
Quali passi devo compiere? ma soprattutto: posso andare via di casa senza che questo possa rivoltarsi a mio sfavore in sede di separazione? Ancora non ho comunicato la mia volontà all'altra parte, vorrei farlo a distanza, non mi fido della possibile reazione emotiva.

Grazie”
Consulenza legale i 30/09/2022
L’art. 12 del D.L. 12 settembre 2014, n. 132 (convertito, con modificazioni, in L. 10 novembre 2014, n. 162) ha introdotto la possibilità per i coniugi di separarsi consensualmente (nonché di divorziare, o modificare le condizioni di separazione o divorzio precedentemente stabilite) dinanzi al Sindaco quale ufficiale di Stato civile, a condizione che la coppia non abbia figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti.
In questo tipo di procedimento - a cui, almeno in astratto, si potrebbe ricorrere nel nostro caso, data l’assenza di prole comune alla coppia - l’assistenza di un avvocato è facoltativa. Sono però previste delle limitazioni relative al contenuto dell’accordo: infatti la norma citata stabilisce che esso “non può contenere patti di trasferimento patrimoniale”.
Tuttavia, sia il Ministero dell’Interno, con una propria circolare, sia la giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. III, 26/10/2016, n. 4478; Cons. Stato, Sez. III, 26/10/2016, n. 4478) hanno chiarito che “nell'ambito del procedimento semplificato di separazione e di divorzio innanzi all'ufficiale di stato civile, ai sensi dell'art. 12 del D.L. n. 132/14, convertito in L. n. 162/14, il divieto dei patti di trasferimento patrimoniale deve ritenersi limitato ai soli accordi traslativi della proprietà o di altro diritto reale su un bene determinato o di altri diritti, mediante la previsione di un assegno una tantum; pertanto sono legittimi i provvedimenti amministrativi interpretativi secondo cui le parti possono prevedere, nell'ambito dei loro accordi, il riconoscimento di un assegno di mantenimento o divorzile”.
Ad ogni modo, chi pone il quesito riferisce di non avere intenzione di chiedere la corresponsione dell’assegno di mantenimento, e che non vi sarebbero beni da dividere.
Un’altra alternativa al giudizio di separazione in Tribunale, che si affianca alla procedura davanti al Sindaco, è costituita dalla negoziazione assistita prevista dall’art. 6 dello stesso D.L. 132/2014, in cui però ciascun coniuge deve essere assistito da un proprio avvocato.
Nel caso che ci occupa, tuttavia, viene sollevato il problema di un eventuale allontanamento dalla casa familiare prima della separazione, e dei timori legati alla comunicazione all’altro coniuge della propria intenzione di separarsi (“vorrei farlo a distanza, non mi fido della possibile reazione emotiva”). Ora, non è chiaro se chi pone il quesito paventi una reazione inconsulta del coniuge o, peggio, abbia motivo di temere per la propria incolumità fisica. Se così fosse, il consiglio sarebbe, naturalmente, quello di rivolgersi a un avvocato con cui concordare tutti i passi da compiere.
Ora, l’allontanamento dalla residenza familiare, se ingiustificato, e anche in assenza di figli, potrebbe certo costituire una violazione dei diritti e doveri previsti dall’art. 143 del c.c. ed essere valutato negativamente in una eventuale separazione giudiziale (non consensuale, dunque), oltre a potenziali conseguenze di carattere penale ex art. 570 del c.p., sempre che ne sussistano i presupposti. Per tale motivo, è buona norma in tali casi che i coniugi - onde evitare riflessi giudiziari di quello che un tempo veniva definito “abbandono del tetto coniugale” - redigano un accordo scritto, con cui si dà atto, ad esempio, della impossibilità di proseguire serenamente la convivenza e del conseguente allontanamento di un coniuge da casa.
Naturalmente, la decisione di un coniuge di allontanarsi dalla casa coniugale sarebbe legittima in presenza di una “giusta causa”, come affermato anche da Cass. Pen., Sez. VI, 12/02/2008, n. 11327: “l'abbandono del domicilio domestico acquista rilevanza penale, ai sensi dell'art. 570, comma 1, c.p., solo in assenza di una giusta causa, la quale potrà dirsi integrata anche da motivazioni attinenti ai rapporti interpersonali fra i coniugi, tali da non consentire la prosecuzione della convivenza”.
In tal caso, il coniuge potrebbe allontanarsi dall’abitazione familiare, comunicando per iscritto, prima possibile, che tale allontanamento è dovuto a una situazione di intollerabilità della convivenza: si consiglia comunque, prima di compiere un passo di questo tipo, considerata la delicatezza della questione, di rivolgersi a un avvocato esperto in diritto di famiglia, informandolo in maniera completa circa la situazione familiare, in modo tale che il legale possa illustrare tutti i passi da compiere e anche i diritti dell’interessata (ad esempio, non è scontato che si debba rinunciare al mantenimento, ricorrendone i presupposti).

Giuseppe S. chiede
venerdì 25/09/2020 - Sicilia
“Nel 2007 mi sono di fatto separato da mia moglie stabilendo la mia residenza in altro comune infatti non abbiamo ritenuto di formalizzare tale stato. Gli stati di famiglia rilasciati dai rispettivi comuni di residenza registrano tale situazione. Formalmente come può essere identificato tale stato del rapporto?
Grazie, cordiali saluti
giuseppe s.”
Consulenza legale i 02/10/2020
La separazione di fatto tra i coniugi, che non sia stata formalizzata attraverso una procedura di separazione personale (giudiziale, consensuale, tramite negoziazione assistita o dinanzi all’ufficiale di stato civile), non ha rilevanza giuridica ai fini della perdurante sussistenza del vincolo matrimoniale.
Lo ha affermato anche la giurisprudenza; così, ad esempio (sia pure in tema di accertamento del reddito) T.A.R. Lazio Roma, Sez. III quater, 26/02/2020, n. 2525: “la separazione di fatto dei coniugi non ha effetti giuridici [...], costituendo i coniugi, fintanto che non intervenga la separazione legale, un unico nucleo familiare, con riferimento al quale va individuato il complessivo reddito”.
La situazione non cambia neppure quando, come nel nostro caso, i coniugi abbiano stabilito residenze anagrafiche diverse, e ciò ovviamente si ripercuota sui rispettivi stati di famiglia. Infatti il nostro ordinamento, pur imponendo ai coniugi l’obbligo della coabitazione (art. 143 del c.c.), e pur stabilendo che essi debbano fissare la residenza della famiglia (art. 144 del c.c.), non vieta comunque loro di avere residenze distinte (che possono essere scelte per motivi di opportunità, o lavorativi, ecc.).

Va fatta una valutazione anche in riferimento alla possibile violazione dei doveri di coabitazione e di assistenza, che può rilevare sia ai fini dell’addebito della separazione (ma in questo caso, se si tratta di una scelta concordata e condivisa, è difficile che possa accadere), sia a fini penalistici, per la configurabilità - in astratto - del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 del c.p.).

R. R. chiede
giovedì 04/04/2019 - Lombardia
“Buon giorno , ho 58 anni sposato da 25 anni, con due figli maggiorenni studenti universitari.
Mia figlia negli ultimi 6 mesi causa infezione ha subito 15 trasfusioni di sangue e due prelievi di midollo osseo, Mia madre 92 anni che vive nel suo appartamento al piano sotto il mio è finita su sedia a rotelle causa caduta, è comunque assistita da sua badante anche se qualcosina dobbiamo fare pure noi.
Mia moglie dalla sera alla mattina , nel vero senso della parola, alla sera ha detto che la casa non la sentiva più sua e per lei il matrimonio era finito, e la mattina seguente ha preso una valigia ed è tornata da suo padre. Mia moglie non ha un reddito fisso, esegue consulenze e seminari di floriterapia, se nè andata a 10 giorni dall'operazione programmata di mia figlia presso l'ospedale , non andando neanche alle visite preoperatorie, presentandosi solo il giorno dell'operazione forse per ..... Ultimamente mi ha fatto pervenire lettera da Avvocato in cui manifesta volontà di separazione.
Premetto che il giorno seguente alla sua uscita da casa io ho presentato Denuncia presso i Carabinieri per abbandono volontario tetto coniugale e soprattutto mancanza di assistenza materiale e morale.
negli ultimi periodi rifiutava anche il contatto ed i rapporti sessuali con scuse " ho mal di testa, piccole perdite, non ho voglia, .."
Ora sono riuscito a coinvolgerla a venire ad un percorso di coppia con psicoterapeuta per vedere se vi è la possibilità di salvare il matrimonio ma la partenza è stata alquanto brusca.
Lei continua a dirmi che in caso di separazione a me converrebbe una consensuale ma io non sono dello stesso parere, io non me ne sono andato da casa e non ho invitato nessuno ad andarsene, anzi il contrario, i figli pure l'hanno invitata nello stesso modo e sono restati nella casa familiare. Casa che è intestata a me. In più messaggia seguenti alla sua uscita mi ha scritto che è uscita non perchè non mi ama più ma perchè non ce la faceva più per salute e stanchezza. A parte la domanda se esci per salute .... i sintomi ? un certificato ? poi tutti quelli che stanno male ....devono per forza separarsi ?
Per ultimo ..... è uscita il giovedi ed il venerdì era al supermercato con suo padre a fare la spesa e nel pomeriggio a fare shopping in centro città, incontrata da amici comuni pronti a testimoniare.
Sia io che i miei figli siamo ora seguiti da una psicologa perchè l'abbandono così improvviso da parte della moglie/madre l'abbiamo sinceramente vissuto male, mio figlio tutto quello che gli ricorda la mamma o l'ha regalato oppure l'ha buttato. Con sommo mia dispiacere in quanto più volte ho detto ai figli che la mamma resta sempre la mamma.
Come mi dovrei comportare ? Consensuale o giudiziale ? Pregi e difetti ? Rischi ?
Grazie per Vostra cortese risposta.”
Consulenza legale i 10/04/2019
La separazione tra i coniugi può essere, ai sensi degli artt. 150 ss. c.c., consensuale o giudiziale.
La separazione consensuale (art. 158 del c.c.) è quella che si verifica sulla base dell’accordo dei coniugi, i quali decidono concordemente di porre fine alla convivenza matrimoniale. Tale accordo, per essere produttivo di effetti, deve essere omologato dal Tribunale.
La separazione giudiziale (art. 151 del c.c.), invece, viene chiesta da uno dei coniugi nei confronti dell’altro. Essa presuppone il verificarsi di “fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole”.
Tali fatti possono anche essere indipendenti dalla volontà di uno o entrambi i coniugi; tuttavia, nella separazione giudiziale esiste anche la possibilità per il giudice di pronunciare (quando ne abbia fatto richiesta uno dei coniugi) l’addebito della separazione.
Con la pronuncia di addebito, in sostanza, si dichiara che la rottura dell’unità coniugale è stata causata dal comportamento di uno dei coniugi, per avere quest’ultimo violato uno o più doveri nascenti dal matrimonio.
Infatti, com’è noto, il matrimonio fa sorgere in capo ai coniugi una serie di diritti e doveri reciproci, che sono ovviamente gli stessi per il marito e per la moglie.
Tali diritti-doveri sono elencati dall’art. 143 del c.c.; si tratta dell'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia, alla coabitazione, alla contribuzione ai bisogni della famiglia (parametrata in relazione alle rispettive sostanze e capacità di lavoro professionale o casalingo).
Stando a quanto riferito nel quesito, la moglie sembra effettivamente aver trasgredito ai doveri nascenti dal matrimonio e sanciti dall’art. 143 c.c.
In particolare, il comportamento contrario agli obblighi coniugali consisterebbe, nel nostro caso, non solo e non tanto nella violazione del dovere di coabitazione - concretizzatasi nel c.d. abbandono del tetto coniugale - quanto, soprattutto, nel far mancare la necessaria assistenza morale e materiale, da prestarsi in favore sia della figlia gravemente ammalata, sia dell’altro figlio, sia dello stesso coniuge,
Anche il rifiuto di avere rapporti sessuali può, in presenza di alcuni presupposti, costituire causa di addebito della separazione (naturalmente si tratta di questione assai delicata, che va esaminata caso per caso).
Sembrerebbero dunque sussistere tutti i presupposti per domandare la separazione giudiziale con contestuale richiesta di addebito alla moglie.
Attenzione, però: non va dimenticato che la violazione dei doveri coniugali, anche quando provata, non determina automaticamente l’addebito della separazione, ma occorre altresì dimostrare che il comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio sia stato, esso stesso, causa della crisi coniugale (e non conseguenza).
Il relativo onere della prova, naturalmente, secondo le regole generali (art. 2697 del c.c.), è a carico del coniuge che chiede l’addebito nei confronti dell’altro.
Non potrà, invece, farsi luogo alla pronuncia di addebito qualora risulti che la rottura del rapporto coniugale era già in atto, e non sia stata quindi determinata dalla condotta di uno dei coniugi.
Nella pratica non è sempre facile dimostrare l’esistenza dei presupposti per l’addebito, dal momento che, spesso, anche comportamenti di per sé biasimevoli del coniuge (quali l’abbandono della casa coniugale, o l’infedeltà, ad esempio) possono innestarsi in una crisi già in atto e non essere la causa bensì la conseguenza di quest’ultima.
Proprio alla luce di tali considerazioni, si invita a valutare attentamente la scelta tra separazione giudiziale con richiesta di addebito e separazione consensuale.
Da un lato, infatti, vi è la comprensibile volontà di vedere riconosciuta in un provvedimento del giudice la “colpa” dell’altro coniuge: inoltre, la pronuncia di addebito comporta anche conseguenze pratiche tutt’altro che trascurabili, dal momento che il coniuge cui è stata addebitata la separazione non ha diritto all’assegno di mantenimento (art. 156 del c.c.) e perde altresì i diritti successori connessi alla qualità di coniuge (si vedano gli artt. 548 e 585 del c.c.).
Tuttavia, occorre tenere presente che la separazione giudiziale può essere un procedimento lungo e “doloroso”, e che la prova dell’addebito può non rivelarsi agevole.
Rimane sempre, infatti, quella che viene definita “alea” del giudizio, ossia il rischio insito in ogni processo e legato all’incertezza del suo esito. Esito che dipende da vari fattori, quali le difficoltà nel provare le proprie tesi o il fatto che la decisione è rimessa al libero apprezzamento del giudice il quale potrebbe valutare determinate circostanze in maniera diversa da quella sperata dalla parte.
A fronte di ciò la separazione consensuale permette di porre legalmente fine alla convivenza matrimoniale in tempi più brevi, con minori costi e con un risultato “predeterminato” perché contenuto nell’accordo sostanzialmente deciso dalle parti (il Tribunale infatti ne valuterà la congruità limitatamente ai profili riguardanti i figli minori o non autosufficienti).
A ciò si aggiunga anche che, oggi, è possibile giungere ad una separazione consensuale senza entrare in un’aula di tribunale, mediante l’istituto della negoziazione assistita, applicabile anche in materia familiare, e previsto dal D.L. N. 132/2014, conv. in L. n. 162/2014).
Nel nostro caso entrambe le vie (consensuale e giudiziale) presentano rispettivi pregi e difetti ed è difficile fornire una risposta di tipo generale, proprio perché ogni caso è a sé.
Il consiglio, pertanto, è quello di rivolgersi ad un legale che si occupi di diritto di famiglia, il quale, esaminati i fatti, gli eventuali documenti e anche le possibilità di prova, potrà “guidare” l’interessato nella scelta della strada da seguire (scelta che rimane, in ultima analisi, assolutamente personale).

Luigi M. chiede
martedì 18/08/2015 - Lazio
“Si è conclusa da poco la separazione giudiziale tra me e mia moglie. Abbiamo due figli maggiorenni, uno era minorenne quando iniziò il processo.
La sentenza di separazione giudiziale ha previsto che devo pagare l'assegno di mantenimento a uno solo dei figli, pari ad € 700,00 mensili, oltre istat, A FAR DATA DALLA PRESENTE SENTENZA, etc. etc.
La mia domanda è: poiché io sono obbligato a versare 700,00€ mensili entro il 5 di ogni mese a favore di mio figlio maggiorenne a far data dalla presente sentenza, il mio obbligo di versamento decorre dal 21/05/2015 o dalla data di deposito in cancelleria del 27/07/2015, che tra l'altro, coincide anche con la data di pubblicazione della sentenza?
Perché se il mio obbligo iniziasse a decorrere dal 21/05/2015' dovrei fare un certo conteggio per il calcolo del l'assegno di mantenimento a suo favore in quanto io già dal mese di maggio fino a tutto luglio gli ho versato i 400,00€ mensili, così come disposto nella prima udienza presidenziale del 26/03/2013; se invece l'obbligo decorresse dal 27/07/2015 già dal 05/08/2015 avrei dovuto versargli solo € 700,00 e quindi sarei a tutt'oggi anche in ritardo.
Inoltre la data di decorrenza del mio obbligo se fosse relativa al 21/05/2015 prenderei in considerazione anche le somme già versate a favore della mia ex e dell'altro figlio, sempre maggiorenne, pari ad € 800,00 mensili - così suddivise 400,00 a favore della mia ex e 400,00 a favore di mio figlio, a far data dal 05/05/2015 fino al 31/07/2015, ciò determinerebbe un saldo a mio favore pur tenendo conto dei 700,00€ mensili che dovrei versare a fav. dell'altro figlio per lo stesso lasso di tempo.

Inoltre chiedo, nella sentenza il collegio decide: "deve inoltre, essere disposta la revoca del l'assegnazione della casa coniugale, non chiesta da alcuno, di proprietà della moglie".
Alla fine della sentenza viene scritto: "il collegio, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza rigettata o dichiarata inammissibile, così provvede:
revoca l'assegnazione della casa coniugale, l'assegno di mantenimento alla moglie e al figlio ...". ( tutto scritto manualmente )
La mia domanda è:
Il collegio precisa per ben due (2) volte la revoca del l'assegnazione della casa coniugale alla mia ex moglie, ma NON precisa MAI in favore di chi viene assegnata la relativa casa famigliare; infatti se la mia ex moglie, come vorrebbe farmi capire, non volesse rilasciarmela per il mio godimento e volessi obbligarla tramite l'atto di PRECETTO o QUERELA per violazione di domicilio, la mia richiesta potrebbe essere rigettata dal giudice, in quanto l'assegnazione della casa in questione non è stata mai precisata in sentenza e in mio favore? O eventualmente dovrei chiedere tramite un mio legale la modifica della sentenza al giudice per meglio farlo precisare nominativamente?
Nel caso che l'assegnazione della casa coniugale fosse stata disposta a mio favore, e' preferibile spedire una lettera Raccom. con ricevuta di ritorno alla mia ex, intimandole di lasciare l'abitazione coniugale a far data dal......per consentirmi di abitarla? In caso affermativo, entro quanti giorni devo spedirgliela dalla data della sentenza? Se non la preavviso formalmente con lettera, posso correre il rischio di perdere il diritto al l'abitazione della casa famigliare già acquisito?”
Consulenza legale i 26/08/2015
Il quesito riguarda due problemi distinti: la decorrenza del pagamento del mantenimento al figlio; l'assegnazione della casa coniugale.

Per quanto concerne il primo problema, va osservato che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la decorrenza dell’assegno di mantenimento in favore dei figli va fatta risalire di regola alla data della domanda.
Nel caso di specie, tuttavia, la sentenza specifica che l'importo di euro 700,00 va corrisposto "a far data dalla presente sentenza".
Gli effetti giuridici di una sentenza si producono verso l'esterno di norma quando la stessa viene pubblicata. L'art. 133 del c.p.c. stabilisce che la sentenza è "resa pubblica" mediante deposito nella cancelleria del giudice che l'ha pronunciata: da tale momento, la sentenza acquista esistenza come atto giuridico e diventa immodificabile ed irrevocabile da parte del giudice che l'ha pronunciata.

Fino a quando la sentenza non sia esternata, cioè resa pubblica, essa ha solo rilevanza interna e il giudice ben potrebbe rivederla o rimaneggiarla. Inoltre, solo al momento della sua pubblicazione, la sentenza assume una connotazione giuridica autonoma, tanto che essa viene numerata solo una volta depositata.
Ne consegue che appare assolutamente coerente ai principi processualistici ritenere che la decorrenza dell'assegno di mantenimento al figlio di euro 700,00 debba collocarsi al momento della pubblicazione della sentenza e non in quello precedente, cioè la data in cui è stata scritta materialmente la sentenza.

In riferimento al secondo quesito, va precisato che l'assegnazione della casa coniugale con provvedimento del giudice contempla quali presupposti la presenza di figli minori o maggiorenni non economicamente indipendenti, in quanto la finalità dell'istituto è tutelare l'esclusivo interesse morale o materiale della prole alla conservazione della comunità domestica.
La tesi prevalente in dottrina e giurisprudenza inquadra la posizione del coniuge assegnatario nell'ambito dei diritti personali di godimento, con alcuni caratteri di atipicità. In parole povere, quindi, il giudice può costituire con un suo provvedimento un diritto personale di godere della casa coniugale, e allo stesso modo può revocare quel diritto: sia l'assegnazione che la revoca vanno indicati espressamente nella sentenza, e sono di regola conseguenti ad una specifica domanda di assegnazione da parte del coniuge.

Nel caso di specie, in sede presidenziale venne prevista l'assegnazione della casa coniugale alla moglie, che l'aveva chiesta: in sentenza, invece, il diritto viene espressamente revocato dal collegio.
Ne consegue che ora nessuno dei due coniugi ha un diritto di assegnazione della casa.
L'immobile torna, quindi, nella piena disponibilità del suo proprietario, che, stando ai dati esposti nel quesito e nella sentenza, è la moglie. Pertanto, il marito non può vantare sull'immobile alcun diritto in base alla sentenza di separazione.

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