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Articolo 42 Testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità

[Aggiornato al 06/06/2024]

Riposi e permessi per i figli con handicap grave

Dispositivo dell'art. 42 Testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità

1. Fino al compimento del terzo anno di vita del bambino con handicap in situazione di gravità e in alternativa al prolungamento del periodo di congedo parentale, si applica l’articolo 33, comma 2, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, relativo alle due ore di riposo giornaliero retribuito.

2. Il diritto a fruire dei permessi di cui all'articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992 , n. 104, e successive modificazioni, è riconosciuto, in alternativa alle misure di cui al comma 1, ad entrambi i genitori, anche adottivi, del bambino con handicap in situazione di gravità, che possono fruirne alternativamente, anche in maniera continuativa nell'ambito del mese(5).

3. [Successivamente al raggiungimento della maggiore età del figlio con handicap in situazione di gravità, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre hanno diritto ai permessi di cui all’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104. Ai sensi dell’articolo 20 della legge 8 marzo 2000, n. 53, detti permessi, fruibili anche in maniera continuativa nell’ambito del mese, spettano a condizione che sussista convivenza con il figlio o, in assenza di convivenza, che l’assistenza al figlio sia continuativa ed esclusiva.](6)

4. I riposi e i permessi, ai sensi dell’articolo 33, comma 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, possono essere cumulati con il congedo parentale ordinario e con il congedo per la malattia del figlio.

5. Il coniuge convivente di soggetto con disabilità in situazione di gravità, accertata ai sensi dell' articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ha diritto a fruire del congedo di cui all' articolo 4, comma 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53, entro trenta giorni dalla richiesta. Al coniuge convivente sono equiparati, ai fini della presente disposizione, la parte di un'unione civile di cui all'articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, e il convivente di fatto di cui all'articolo 1, comma 36, della medesima legge. In caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente o della parte di un'unione civile o del convivente di fatto, hanno diritto a fruire del congedo il padre o la madre anche adottivi; in caso di decesso, mancanza o in presenza di patologie invalidanti del padre e della madre, anche adottivi, ha diritto a fruire del congedo uno dei figli conviventi; in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti dei figli conviventi, ha diritto a fruire del congedo uno dei fratelli o delle sorelle conviventi; in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi, ha diritto a fruire del congedo il parente o l'affine entro il terzo grado convivente. Il diritto al congedo di cui al presente comma spetta anche nel caso in cui la convivenza sia stata instaurata successivamente alla richiesta di congedo(1)(2)(3)(4)(7)(9)(10)(11).

5-bis. Il congedo fruito ai sensi del comma 5 non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell'arco della vita lavorativa. Il congedo è accordato a condizione che la persona da assistere non sia ricoverata a tempo pieno, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del soggetto che presta assistenza. Il congedo ed i permessi di cui articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 non possono essere riconosciuti a piu' di un lavoratore per l'assistenza alla stessa persona. Per l'assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, i diritti sono riconosciuti ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente, ma negli stessi giorni l'altro genitore non può fruire dei benefici di cui all'articolo 33, commi 2 e 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e 33, comma 1, del presente decreto(8).

5-ter. Durante il periodo di congedo, il richiedente ha diritto a percepire un'indennità corrispondente all'ultima retribuzione, con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento, e il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa; l'indennità e la contribuzione figurativa spettano fino a un importo complessivo massimo di euro 43.579,06 annui per il congedo di durata annuale. Detto importo è rivalutato annualmente, a decorrere dall'anno 2011, sulla base della variazione dell'indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. L'indennità è corrisposta dal datore di lavoro secondo le modalità previste per la corresponsione dei trattamenti economici di maternità. I datori di lavoro privati, nella denuncia contributiva, detraggono l'importo dell'indennità dall'ammontare dei contributi previdenziali dovuti all'ente previdenziale competente. Per i dipendenti dei predetti datori di lavoro privati, compresi quelli per i quali non è prevista l'assicurazione per le prestazioni di maternità, l'indennità di cui al presente comma è corrisposta con le modalità di cui all'articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33(8).

5-quater. I soggetti che usufruiscono dei congedi di cui al comma 5 per un periodo continuativo non superiore a sei mesi hanno diritto ad usufruire di permessi non retribuiti in misura pari al numero dei giorni di congedo ordinario che avrebbero maturato nello stesso arco di tempo lavorativo, senza riconoscimento del diritto a contribuzione figurativa(8).

5-quinquies. Il periodo di cui al comma 5 non rileva ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto. Per quanto non espressamente previsto dai commi 5, 5-bis, 5-ter e 5-quater si applicano le disposizioni dell'articolo 4, comma 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53(8).

6. I riposi, i permessi e i congedi di cui al presente articolo spettano anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto.

Note

(1) Il comma 5 è stato modificato dall'art. 3, comma 2, lettere a) e b) del D. Lgs. 23 aprile 2003, n. 115 e, successivamente, dall'art. 3, comma 106 della L. 24 dicembre 2003, n. 350. Successivamente, la Corte Costituzionale con sentenza 8 - 16 giugno 2005, n. 233 (in G.U. 1ª s.s. 22/6/2005, n. 25) ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell'art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non prevede il diritto di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi con soggetto con handicap in situazione di gravità a fruire del congedo ivi indicato, nell'ipotesi in cui i genitori siano impossibilitati a provvedere all'assistenza del figlio handicappato perché totalmente inabili".
(2) Il comma 5 è stato nuovamente modificato dall'art. 1, comma 1266 della L. 27 dicembre 2006, n. 296.
(3) La Corte costituzionale con sentenza 18 aprile - 8 maggio 2007, n. 158 (in G.U. 1ª s.s. 16/5/2007, n. 19) ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non prevede, in via prioritaria rispetto agli altri congiunti indicati dalla norma, anche per il coniuge convivente con "soggetto con handicap in situazione di gravità", il diritto a fruire del congedo ivi indicato".
(4) La Corte costituzionale con sentenza 26 - 30 gennaio 2009, n. 19 (in G.U. 1ª s.s. 4/2/2009, n. 5) ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell'art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto il figlio convivente, in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave".
(5) Il comma 2 è stato modificato dall'art. 24, comma 2, lettera a) della L. 4 novembre 2010, n. 183 e, successivamente, dall'art. 4, comma 1, lettera a) del D. Lgs. 18 luglio 2011, n. 119.
(6) Il comma 3 è stato abrogato dall'art. 24, comma 2, lettera b) della L. 4 novembre 2010, n. 183.
(7) Il comma 5 è stato successivamente modificato dall'art. 4, comma 1, lettera b) del D. Lgs. 18 luglio 2011, n. 119.
(8) I commi 5-bis, 5-ter, 5-quater, 5-quinquies sono stati introdotti dall'art. 4, comma 1, lettera b) del D. Lgs. 18 luglio 2011, n. 119.
(9) La Corte Costituzionale, con sentenza 3 - 18 luglio 2013, n. 203 (in G.U. 1ª s.s. 24/7/2013, n. 30), ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell'art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, e alle condizioni ivi stabilite, il parente o l'affine entro il terzo grado convivente, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione impugnata, idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave".
(10) La Corte Costituzionale, con sentenza 7 novembre - 7 dicembre 2018, n. 232 (in G.U. 1ª s.s. 12/12/2018, n. 49), ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, e alle condizioni stabilite dalla legge, il figlio che, al momento della presentazione della richiesta del congedo, ancora non conviva con il genitore in situazione di disabilità grave, ma che tale convivenza successivamente instauri, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, del padre e della madre, anche adottivi, dei figli conviventi, dei fratelli e delle sorelle conviventi, dei parenti o affini entro il terzo grado conviventi, legittimati a richiedere il beneficio in via prioritaria secondo l'ordine determinato dalla legge".
(11) Il comma 5 è stato nuovamente modificato dall'art. 2, comma 1, lettera n) del D. Lgs. 30 giugno 2022, n. 105.

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relative all'articolo 42 Testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità

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M. G. chiede
lunedì 18/11/2024
“Buongiorno, il 4 di marzo mi scadono i 2 anni di congedo straordinario per mia mamma invalida al 100%.. purtroppo da qualche mese anche mio padre è invalido al 100% e per me rientrare al lavoro non è possibile .. visto che non posso più richiedere un altro congedo straordinario e che i giorni di permesso non sono sufficienti nel mio caso, avrei pensato di chiedere un congedo non retribuito.. sono un operaio specializzato e lavoro in tipografia.. fino a quanto tempo posso richiedere in base al mio contratto nazionale? Se verrà rifiutato non mi resta altra soluzione che dimettermi.. in attesa di un vostro cordiale riscontro porgo distinti saluti ..”
Consulenza legale i 24/11/2024
Il D. Lgs. 151/2001 all'articolo 42, comma 5, prevede il diritto al congedo straordinario retribuito per un massimo di due anni nell'arco della vita lavorativa per assistere un familiare con grave disabilità (riconosciuta ai sensi dell'art. 3, comma 3, della stessa legge).
Secondo la normativa il limite di due anni vale complessivamente per tutti gli aventi diritto per ciascun disabile grave. Chi ha più di un familiare disabile può beneficiare del congedo per ciascuno di essi, ma non può superare i due anni complessivi. Attualmente, la legge non prevede il "raddoppio" di questo periodo.

Tuttavia, l’ordinanza del 10 gennaio 2024 del Tribunale di Treviso ha riconosciuto a una lavoratrice il diritto al congedo straordinario retribuito per assistere il padre disabile, nonostante avesse già usufruito del congedo per assistere la madre.
La vicenda specifica riguardava il rifiuto da parte dell'INPS della richiesta di un'ulteriore periodo di congedo straordinario biennale da parte di una lavoratrice privata per assistere il padre invalido. L’Istituto sosteneva che il limite dei due anni non potesse essere raddoppiato. La difesa ha invece argomentato che il congedo straordinario rappresenta una forma di sostegno sociale, alleggerendo i costi a carico della comunità.

Questa decisione sollecita il legislatore a rivedere la normativa per adeguarla meglio alle esigenze dei lavoratori che assistono familiari disabili, garantendo loro sicurezza economica e il mantenimento del posto di lavoro.
Anche la Corte Costituzionale, in precedenti interventi, ha sottolineato la necessità di adattare le misure di assistenza alle nuove esigenze e ai cambiamenti demografici (Corte Cost. 18 luglio 2013, n. 203).
Tuttavia, come sopra specificato, la normativa non prevede tale raddoppio, anche se è possibile che l’INPS si adegui all’orientamento giurisprudenziale.

Si potrebbe, innanzitutto, tentare una simile richiesta.

In secondo luogo, ai sensi dell’art. 4, comma 2, della legge 53/2000, è possibile richiedere un aspettativa non retribuita di due anni per gravi motivi familiari. La norma prevede infatti che “I dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, fra i quali le patologie individuate ai sensi del comma 4, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni. Durante tale periodo il dipendente conserva il posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa. Il congedo non è computato nell'anzianità di servizio né ai fini previdenziali; il lavoratore può procedere al riscatto, ovvero al versamento dei relativi contributi, calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria.”

Per quanto riguarda le cause che possono dar luogo ai gravi motivi idonei a legittimare tale forma di congedo, il decreto ministeriale n. 278/2000 ha ricompreso tra di esse le necessità che derivano dal decesso di un familiare, le situazioni che impegnano il dipendente o la sua famiglia nella cura o nell'assistenza di familiari e le situazioni di grave disagio personale del lavoratore, esclusa la malattia.

Per quanto riguarda il CCNL Area Comunicazione - Artigianato e PMI, applicato nel caso di specie, l’art. 41 bis prevede che il datore di lavoro, compatibilmente con le esigenze aziendali, possa concedere un periodo di aspettativa non retribuita al lavoratore che ne faccia esplicita richiesta per un periodo massimo di 6 mesi. Si tratta di un’aspettativa per motivi personali, che prescinde da una causa specifica. Per accogliere tale richiesta, tuttavia, il datore di lavoro dovrà verificare che sia compatibile con le esigenze aziendali.

In conclusione, nel caso di specie è possibile richiedere un'ulteriore aspettativa retribuita di due anni, tenendo conto quanto sopra specificato, e un'aspettativa non retribuita per gravi motivi familiari, sempre di due anni. Sarà, inoltre, possibile richiedere un'ulteriore aspettativa per motivi personali di 6 mesi, come da CCNL.


T. A. chiede
lunedì 12/08/2024
“Sono un'insegnante residente in Toscana. Sono mamma di tre figli di cui due di 11 anni affetti da disabilità. In maniera particolare ad uno dei due è stata riconosciuta la gravità (art. 3 comma 3). A luglio di quest'anno ho superato due concorsi in Lombardia , uno per insegnare alla scuola dell'infanzia (cdc AAAA) ed uno per insegnare alla scuola primaria (EEEE). Ad oggi non so ancora se risulto vincitrice di uno dei 1800 posti messi a bando ma considerato il mio punteggio ritengo che con una elevata probabilità verrò convocata per effettuare l'anno di prova in Lombardia. Nell'eventualità mi dovessero convocare, al fine di assistere mio figlio portatore di handicap grave mi chiedevo se fosse possibile richiedere un anno di congedo straordinario retribuito e fare domanda di assegnazione provvisoria o trasferimento per il prossimo a.s. al fine di svolgere l'anno di prova nel comune di residenza di mio figlio. Inoltre volevo capire come funziona il congedo straordinario e se nel corso dello stesso posso svolgere corsi al di fuori dei giorni e degli orari lavorativi. Da ultimo volevo sapere se posso interrompere il congedo e chiedere dei giorni per eventuali concorsi e poi riprenderlo. Se ciò non fosse possibile per quali altre soluzioni potrei optare? Cordiali saluti”
Consulenza legale i 27/08/2024
L’articolo 42, comma 5, del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151, prevede la possibilità per i dipendenti di richiedere un congedo straordinario retribuito per l'assistenza a un familiare con disabilità grave, riconosciuta ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della Legge 5 febbraio 1992, n. 104.

Il congedo straordinario è fruibile in modo continuativo o frazionato. Il frazionamento può avvenire anche a giorni, ma affinché i giorni festivi, i sabati e le domeniche non vengano conteggiati nel congedo, è necessaria l'effettiva ripresa del lavoro tra un periodo e l'altro. La durata massima del congedo è di due anni nell'intero arco della vita lavorativa.
Tuttavia, il dipendente non può svolgere alcuna attività lavorativa durante il congedo, poiché ciò comprometterebbe il diritto al beneficio, essendo questo finalizzato a garantire un’assistenza continuativa al familiare disabile.
L’assistenza prestata deve, infatti, essere sistematica e continuativa, anche se non necessariamente deve essere prestata 24 ore su 24. Pertanto, è necessario abitare con il disabile, anche se è certamente consentito riposarsi e dormire.

Per quanto riguarda il periodo di prova, ai sensi dell’articolo 7, comma 3, del Decreto Trasparenza, nel caso in cui durante quest’ultimo, dovesse verificarsi il sopraggiungere di eventi, quali ad esempio malattia, infortunio, congedo obbligatorio di maternità o di paternità, il periodo di prova dovrà considerarsi “sospeso” e la sua durata dovrà essere prolungata in misura corrispondente al tempo dell’assenza.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con l’apposita Circolare n. 19, del 20 settembre 2022, al fine di fornire ulteriori indicazioni anche in materia riguardante il periodo di prova ha chiarito che gli eventi citati (malattia, infortunio, congedo obbligatorio), riguardanti eventuali sospensive del periodo di prova, non corrispondono ad un elenco tassativo delle fattispecie, ma hanno carattere squisitamente esemplificativo e non esaustivo, potendosi quindi riportare nell’ambito della disciplina di cui al comma 3, articolo 7, del Decreto Trasparenza, qualsiasi tipologia di assenza prevista dalla legge o dalla contrattazione collettiva, fra cui (tra le varie ipotesi verificabili) anche, ad esempio, i congedi e permessi di cui alla legge n. 104/1992.

Questo significa che, nel caso di specie, se si dovesse usufruire del congedo straordinario nel primo anno di immissione in ruolo, l’anno di prova verrebbe sospeso e riprenderebbe al termine del congedo.

Non esiste un elenco specifico di attività ammissibili durante il congedo straordinario ex Legge 104: il lavoratore può utilizzare le assenze anche per riposarsi dalla fatica che l’assistenza ad una persona con grave handicap comporta, in quanto la legge non prescrive che il familiare debba rimanere a contatto con la persona da assistere. Un conto, però, è un’assenza temporanea, un conto un’assenza continua che rende impossibile accudire il disabile, e che quindi stravolge la finalità della normativa.

La giurisprudenza di legittimità, sul punto, è piuttosto severa. La Corte di Cassazione (sent. n. 8784/2015), infatti, ha riconosciuto la legittimità del licenziamento disciplinare nei confronti del lavoratore che abbia utilizzato anche solo una parte delle ore di permesso per soddisfare interessi esclusivamente personali.

Nel caso di cui alla sentenza della Corte di Cassazione n. 29062 del 5 dicembre 2017, i giudici di merito hanno accertato che il lavoratore prestava continuativa assistenza notturna alla disabile, alternandosi durante il giorno con altre persone. Pertanto, la Suprema Corte ha affermato che “L'addebito, così come contestato, è da ritenere insussistente, proprio perchè è stato smentito, secondo la ricostruzione intangibile degli stessi giudici del merito, che il figlio convivente non prestasse l'assistenza dovuta alla madre.
Nè può ritenersi che l'assistenza che legittima il beneficio del congedo straordinario possa intendersi esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, quali la cura dei propri interessi personali e familiari, oltre alle ordinarie necessità di riposo e di recupero delle energie psico-fisiche, sempre che risultino complessivamente salvaguardati i connotati essenziali di un intervento assistenziale che deve avere carattere permanente, continuativo e globale nella sfera individuale e di relazione del disabile.
In definitiva, pur risultando materialmente accaduto che il lavoratore si trovasse in talune giornate del giugno 2013 lontano dall'abitazione della madre ciò non è sufficiente a far ritenere sussistente il fatto contestato perchè, una volta accertato che, ferma la convivenza, questi comunque prestava continuativa assistenza notturna alla disabile, alternandosi durante il giorno con altre persone, con modalità da considerarsi compatibili con le finalità dell'intervento assistenziale, tanto svuota di rilievo disciplinare la condotta tenuta”.

Tenendo conto di quanto affermato dalla giurisprudenza sembrerebbe, quindi, possibile seguire corsi di formazione, purché questi non si sovrappongano agli orari dedicati all’assistenza. L’assistenza non deve essere necessariamente continuativa 24 ore su 24, ma deve essere svolta in maniera tale da garantire la presenza costante, soprattutto in casi di necessità urgenti.

Sono, peraltro, previsti permessi per il diritto allo studio (150 ore), concessi ai lavoratori dipendenti per partecipare a corsi di formazione, aggiornamento professionale, o per sostenere esami (escluso il tempo dedicato alla preparazione).
Inoltre, il CCNL del comparto scuola prevede che al personale docente siano concessi permessi non retribuiti, per la partecipazione a concorsi od esami, nel limite di otto giorni complessivi per anno scolastico, ivi compresi quelli eventualmente richiesti per il viaggio.
In linea di principio, il congedo straordinario e i permessi per il diritto allo studio, nonché quelli per concorsi, non possono essere fruiti nello stesso periodo, perché il congedo straordinario è una sospensione dell'attività lavorativa per motivi specifici (assistenza a un familiare disabile), mentre i permessi studio sono concessi per il diritto alla formazione professionale e sono collegati alla tua attività lavorativa.
Tuttavia, è possibile interrompere il congedo straordinario per riprendere l'attività lavorativa e, durante questi periodi di lavoro effettivo, utilizzare i permessi per il diritto allo studio. Questo significa che è possibile, ad esempio, prendere un periodo di congedo straordinario, interromperlo per un certo numero di giorni per frequentare un corso o sostenere esami (usando i permessi studio), e poi riprendere il congedo straordinario.
Si tenga conto che il docente dovrebbe comunicare al Dirigente Scolastico della sede di servizio il piano annuale (anche plurisettimanale) di fruizione dei permessi in funzione del calendario degli impegni previsti, fatta salva successiva motivata comunicazione per variazioni del medesimo, specificando la durata degli impegni di frequenza, eventualmente comprensiva del tempo necessario per il raggiungimento della sede.
Pertanto, bisognerà programmare attentamente la fruizione del congedo straordinario e dei permessi studio, assicurandoti di non sovrapporre i due periodi.

A parere di chi scrive, nel caso di specie, potrebbe essere ormai troppo tardi per comunicare il piano annuale di fruizione. Sarebbe opportuno consultare l'ufficio del personale dell’amministrazione per chiarimenti specifici sulle modalità di fruizione e per garantire il rispetto delle normative e delle disposizioni contrattuali applicabili.

Circa la possibilità di ottenere l’assegnazione provvisoria, si tenga conto che, durante il primo anno di immissione in ruolo non è possibile in ogni caso richiedere l’assegnazione provvisoria.
Innanzitutto, vi è una ragione meramente tecnica. Per quanto riguarda l’a.s. 2024/2025, è stato possibile presentare le domande di assegnazione provvisoria tra l’11 e il 24 luglio. Gli uffici scolastici hanno quindi già provveduto all’assegnazione dei posti disponibili. Conseguentemente non sarebbe più possibile effettuare l’assegnazione provvisoria.
In secondo luogo, il CCNI Utilizzazioni e assegnazioni provvisorie prevede all’art. 7 comma 2 che “non sono consentite le assegnazioni provvisorie nei confronti di personale scolastico assunto a tempo indeterminato con decorrenza giuridica coincidente all’inizio dell’anno scolastico”. In sostanza le assegnazioni provvisorie sono consentite solo a decorrere dall’anno scolastico successivo a quello di nomina in ruolo.
Questo vincolo è stabilito per garantire la continuità didattica e organizzativa all’interno delle istituzioni scolastiche. Tuttavia, nel caso in cui il periodo di prova venga sospeso per congedo straordinario, è possibile presentare la domanda di assegnazione provvisoria per l'anno scolastico successivo, nel rispetto dei vincoli e dei requisiti previsti.

L’articolo 13, comma 5, del D.Lgs. 59/2017 stabilisce un vincolo triennale per i docenti neoassunti, obbligandoli a rimanere nella stessa sede per almeno tre anni.
L’Articolo 34, comma 8, del CCNL 2019-2022 contiene importanti novità in merito alla mobilità e al vincolo triennale.
Infatti si prevede che: “Fermo restando quanto previsto dall’art. 42/bis del d.lgs n. 151 del 2001, i lavoratori cui si applicano gli istituti disciplinati dal citato d.lgs. n. 151 del 2001 è garantita la partecipazione alle procedure di mobilità volte al ricongiungimento con il figlio di età inferiore a 12 anni o, nei casi dei caregivers previsti dall’art. 42 del medesimo decreto, con la persona con disabilità da assistere. Analoga disciplina si applica per il personale indicato all’art. 21 della legge 104/1992”.

Proprio con riguardo alla legge 104/1992, l’articolo 33, comma 5, stabilisce che il lavoratore convivente ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.
Si deve, tuttavia tenere conto che, il diritto di scelta della sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere non è assoluto e privo di condizioni, in quanto l’inciso “ove possibile”, di cui all’art. 33, comma 5, della l. n. 104 del 1992, richiede un adeguato bilanciamento degli interessi in conflitto, con il recesso del diritto stesso ove risulti incompatibile con le esigenze economiche e organizzative del datore di lavoro, in quanto in tali casi – segnatamente per quanto attiene ai rapporti di lavoro pubblico – potrebbe determinarsi un danno per la collettività.
Di conseguenza, il trasferimento potrebbe essere negato.

Con riguardo alla possibilità di usufruire di tale diritto anche nel periodo di prova, secondo la giurisprudenza l’art. 33, comma 5, della l. n. 104 del 1992, va interpretato nel senso che il diritto al trasferimento può essere esercitato, al ricorrere delle condizioni di legge, oltre che al momento dell’assunzione, anche nel corso del rapporto di lavoro (da ultimo, tribunale Roma, sez. lav., 25/06/2020, n. 3842).
Non dovrebbero, pertanto, esserci problemi ad usufruire di tale diritto durante il periodo di prova.
Tuttavia, come per l’assegnazione provvisoria, ci sono delle tempistiche da rispettare per la mobilità, nell’ambito della quale, l’essere caregiver di un disabile costituisce titolo di precedenza e si sarebbe comunque fuori termine per l’imminente anno scolastico.

In conclusione, se si dovesse essere convocati per l'immissione in ruolo in Lombardia, sarebbe certamente possibile richiedere immediatamente il congedo straordinario retribuito per assistere i figli disabili. Questo sospenderebbe l'anno di prova, il quale riprenderebbe al termine del congedo. Durante questo periodo, potranno in linea teorica essere svolte attività personali compatibili con l’obbligo di assistenza, purché non interferiscano con l'assistenza continuativa al familiare. Sul punto si dovrà prestare particolare attenzione in quanto, se si dovesse riscontrare un abuso del diritto al congedo, si rischierebbe il licenziamento.
Dal momento che il congedo straordinario è fruibile in maniera frazionata, sempre in linea teorica, sarebbe possibile fruire anche dei permessi studio e dei permessi per concorsi con le limitazioni sopra descritte.
Dato che l'assegnazione provvisoria non è permessa durante il primo anno di immissione in ruolo, nel caso in cui l’anno di prova venga sospeso e rinviato, sarà possibile, ricorrendone i requisiti, richiedere l’assegnazione provvisoria o il trasferimento in una sede più vicina alla residenza per l’anno scolastico successivo e ivi svolgere l’anno di prova.


R. C. chiede
mercoledì 03/07/2024
“Spett.le Studio Legale Brocardi,

sono un dipendente full time a tempo indeterminato dal Febbraio 2010. Sono l'unico figlio di Tizio e Caia e da sempre sono residente con essi. Sono celibe e non ho figli. I genitori dei miei genitori sono tutti morti.

Mio padre è affetto da cecità totale dal 1982 ed è in possesso di accompagnamento e riconoscimento dell'articolo 3 comma 3 della legge 104/92. Mia madre è affetta da Parkinson dal 2001 ed ha avuto anch'essa il riconoscimento dell'accompagnamento e dell'articolo 3 comma 3 della legge 104/92.

In data 17.04.2023 ho richiesto il congedo legge 104/92 per assistere mia madre per il periodo che va dal 01.05.23 al 30.04.25 (731 gg - due anni), la mia domanda è stata accolta e pertanto attualmente sono in congedo straordinario legge 104/92 fino al 30.04.2025

Vorrei sapere se alla luce delle sentenze da voi citate (ordinanza del 10 gennaio 2024 la sezione lavoro del Tribunale di Treviso o altro) posso una volta terminato il congedo per assistere mia madre (30.04.25) riproporre domanda all'Inps per assistere mio padre dal 01/06/2025 al 31/05/2027 e nel caso in cui la mia domanda fosse dall'Inps respinta che possibilità avrei di vedermi riconosciuta (in contenzioso) la possibilità di fruire di altri due anni di congedo straordinario legge 104/92 retribuito.”
Consulenza legale i 10/07/2024
La Legge 104/92, all'articolo 42, comma 5, prevede il diritto al congedo straordinario retribuito per un massimo di due anni nell'arco della vita lavorativa per assistere un familiare con grave disabilità (riconosciuta ai sensi dell'art. 3, comma 3, della stessa legge).

Secondo la normativa il limite di due anni vale complessivamente per tutti gli aventi diritto per ciascun disabile grave. Chi ha più di un familiare disabile può beneficiare del congedo per ciascuno di essi, ma non può superare i due anni complessivi. Attualmente, la legge non prevede il "raddoppio" di questo periodo.

Tuttavia, l’ordinanza del 10 gennaio 2024 del Tribunale di Treviso ha riconosciuto a una lavoratrice il diritto al congedo straordinario retribuito per assistere il padre disabile, nonostante avesse già usufruito del congedo per assistere la madre.

La vicenda specifica riguardava il rifiuto da parte dell'INPS della richiesta di un'ulteriore periodo di congedo straordinario biennale da parte di una lavoratrice privata per assistere il padre invalido. L’Istituto sosteneva che il limite dei due anni non potesse essere raddoppiato. La difesa ha invece argomentato che il congedo straordinario rappresenta una forma di sostegno sociale, alleggerendo i costi a carico della comunità.

Questa decisione sollecita il legislatore a rivedere la normativa per adeguarla meglio alle esigenze dei lavoratori che assistono familiari disabili, garantendo loro sicurezza economica e il mantenimento del posto di lavoro.
Anche la Corte Costituzionale, in precedenti interventi, ha sottolineato la necessità di adattare le misure di assistenza alle nuove esigenze e ai cambiamenti demografici (Corte Cost. 18 luglio 2013, n. 203).

Tuttavia, come sopra specificato, la normativa non prevede tale raddoppio, anche se è possibile che l’INPS si adegui all’orientamento giurisprudenziale.

Inoltre, in caso di diniego da parte dell’INPS, ci sono buone probabilità che il giudice interpellato dia seguito all’orientamento giurisprudenziale richiamato, soprattutto alla luce delle indicazioni date dalla Corte Costituzionale.


A. S. chiede
sabato 22/06/2024
“Volevo chiedere una cosa in merito al diritto di poter fare la cargiver del mio ex marito perché in quanto divorziati, ma ancora conviventi, il patronato a cui mi sono rivolta per fare la 104 del mio ex marito mi ha detto che non posso avere nessun tipo di congedo straordinario, ne i tre giorni di permesso al mese per poterlo portare a fare visite. Premetto che sono l'unica persona che posso dargli assistenza e mi mancano ancora tre anni per andare in pensione, chiedo se possibile un chiarimento in merito a ciò che vi ho scritto. Attendo una vs. risposta e porgo cordiali saluti.”
Consulenza legale i 26/06/2024
Con il divorzio e quindi la fine definitiva del vincolo matrimoniale, non solo il coniuge, ma anche gli affini perdono il diritto ai permessi di cui all’art. 33, comma 3, Legge 104/1992 e al congedo straordinario di cui all’art. 42, comma 5, D. Lgs. 151/2001. I permessi rimangono validi solo per i parenti della persona con disabilità grave.

Tuttavia, sia ai sensi dell’art. 33, comma 3, cit., sia ai sensi dell’art. 42, comma 5, cit., al coniuge convivente è equiparato il convivente di fatto di cui all’art. 1, comma 36, della legge 20 maggio 2016, n. 76. È stata, quindi, aperta la possibilità di fruire dei permessi e del congedo straordinario ex legge 104 anche ai conviventi di fatto.

Pertanto, due coniugi divorziati che continuino a convivere potrebbero, in linea teorica, ottenere i permessi e il congedo legge 104.

La legge stabilisce chiaramente quali requisiti sono necessari per essere considerati conviventi di fatto:
  1. essere maggiorenni;
  2. convivere stabilmente con iscrizione anagrafica comune;
  3. avere un legame affettivo stabile;
  4. prestarsi reciproca assistenza sia materiale che morale;
  5. non essere coniugati né uniti civilmente tra di loro o con altre persone;
  6. Non essere parenti né affini o adottati tra di loro.
Soddisfatti tali requisiti, sempre in linea teorica, due ex coniugi che convivono potrebbero fruire del congedo legge 104.

Tuttavia, non vi è ancora un’interpretazione sul punto da parte dell’INPS e, quindi, non si può avere la certezza di ottenere il beneficio.

M. G. chiede
giovedì 20/06/2024
“Buongiorno, sono figlio unico e mi occupo di mia mamma 90 enne che è disabile al100% con legge 104. Ho chiesto i 2 anni di congedo straordinario che scadranno a marzo 2025.. in questo periodo anche per mio padre 92 enne, ho fatto richiesta di invalidità e 104 per demenza. Qualora venisse accettata potrei usufruire di altri 2 anni, una volta esaurito il periodo per mia mamma? Grazie per la cortese risposta.. distinti saluti”
Consulenza legale i 26/06/2024
Il congedo straordinario è un periodo di assenza dal lavoro retribuito che viene concesso ai lavoratori dipendenti per assistere familiari con disabilità grave accertata. Il congedo straordinario è regolamentato dall’art. 42 del decreto legislativo 151/2001.

Secondo la normativa, è possibile richiedere fino a un massimo di due anni di congedo nell'arco della vita lavorativa, un limite che vale complessivamente per tutti gli aventi diritto per ciascun disabile grave. Pertanto, chi ha più di un familiare disabile può beneficiare del congedo per ciascuno di essi, ma non può superare i due anni complessivi. Attualmente, la legge non prevede il "raddoppio" di questo periodo.

Tuttavia, l’ordinanza del 10 gennaio 2024 del Tribunale di Treviso ha riconosciuto a una lavoratrice il diritto al congedo straordinario retribuito per assistere il padre disabile, nonostante avesse già usufruito del congedo per assistere la madre.

La vicenda specifica riguardava il rifiuto da parte dell'INPS della richiesta di un'ulteriore periodo di congedo straordinario biennale da parte di una lavoratrice privata per assistere il padre invalido. L’Istituto sosteneva che il limite dei due anni non potesse essere raddoppiato. La difesa ha invece argomentato che il congedo straordinario rappresenta una forma di sostegno sociale, alleggerendo i costi a carico della comunità.

Questa decisione sollecita il legislatore a rivedere la normativa per adeguarla meglio alle esigenze dei lavoratori che assistono familiari disabili, garantendo loro sicurezza economica e il mantenimento del posto di lavoro.
Anche la Corte Costituzionale, in precedenti interventi, ha sottolineato la necessità di adattare le misure di assistenza alle nuove esigenze e ai cambiamenti demografici (Corte Cost. 18 luglio 2013, n. 203).

In conclusione, nel caso di specie, sulla base dell’orientamento giurisprudenziale richiamato si potrebbe tentare di chiedere ulteriori due anni per assistere il padre, tenendo tuttavia in considerazione che non si tratta di un diritto previsto dalla normativa e ci si potrebbe trovare di fronte al diniego dell’INPS, come successo nel caso portato all’attenzione del Tribunale di Treviso.


R. G. chiede
venerdì 12/04/2024
“Salve,
sono l'unico familiare convivente (solo di giorno) da circa 1 anno con mia nonna (malata di Alzheimer) e usufruisco da diverso tempo dei permessi 104 ma ultimamente a causa dell'aggravarsi della malattia, sono stato costretto a chiedere il congedo straordinario come da art. 42 comma 5 D.lgs 104/92.
Ho letto diverse risposte in cui dite che è necessario dormire nella stessa abitazione o eventualmente nello stesso stabile per garantire il requisito della convivenza ma avrei bisogno di un chiarimento proprio su questo punto.
Mia Nonna, da quando è deceduto mio nonno, non accetta che qualcuno dorma in casa con lei ne di dormire in una abitazione diversa dalla sua, rendendo così impossibile il requisito della convivenza.
Vista la sentenza della Corte di Cassazione n. 29062 del 5 dicembre 2017 e vista la medesima patologia ma in assenza di fughe notturne, sarebbe possibile, prestando assistenza per l'intera giornata dalla mattina alla sera, dormire in una diversa abitazione?”
Consulenza legale i 22/04/2024
Il congedo straordinario prevede un’assistenza continuativa e a tempo pieno del disabile da parte del familiare.

Tale cura può essere garantita solo dalla coabitazione del disabile con chi se ne occupa.

L’articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, stabilisce la concessione del congedo straordinario per l’assistenza a familiari con disabilità grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, fissando un ordine di priorità dei soggetti aventi diritto al beneficio che, partendo dal coniuge, degrada fino ai parenti e affini di terzo grado.
Nella determinazione di tale ordine di priorità, la normativa specifica chiaramente anche le categorie di individui, inclusi i parenti entro il terzo grado, per i quali la convivenza con il disabile costituisce un requisito fondamentale per essere considerati potenziali beneficiari del congedo in questione.

Per soddisfare il requisito della coabitazione, quindi, è richiesto che disabile e familiare che lo assiste abbiano la stessa residenza e che abitino nello stesso luogo. Per poter fruire del beneficio in linea generale è richiesto il cambio di residenza. Solo in alcuni casi specifici, poi, il cambio di residenza non è richiesto.

Non serve cambiare la residenza quando è un genitore che assiste il proprio figlio disabile. Non è inoltre richiesto quando il caregiver ed il disabile vivono allo stesso indirizzo, stessa via, stesso stabile, stesso numero civico ma interni diversi. In questo caso l’assistenza è garantita proprio dalla vicinanza delle due abitazioni.

In tutti gli altri casi è necessario spostare la propria residenza se non si convive già con il disabile. Se, però, caregiver ed invalido vivono in due comuni differenti è possibile evitare il cambio di residenza richiedendo l’iscrizione al registro temporaneo della popolazione all’ufficio anagrafe del comune del disabile: in questo modo si ottiene la dimora temporanea con l’invalido soddisfacendo il requisito della coabitazione.

L’assistenza prestata deve essere sistematica e continuativa, anche se non necessariamente deve essere prestata 24 ore su 24. Pertanto, è necessario abitare con il disabile, anche se è certamente consentito riposarsi e dormire. Andare a dormire in un'altra abitazione, invece, non è consentito, proprio perché verrebbe meno la continuità dell’assistenza per la quale si rende necessario il requisito della convivenza.

Non esiste un elenco specifico di attività ammissibili durante i permessi Legge 104: il lavoratore può utilizzare le assenze anche per riposarsi dalla fatica che l’assistenza ad una persona con grave handicap comporta, in quanto la legge non prescrive che il familiare debba rimanere a contatto con la persona da assistere. Un conto, però, è un’assenza temporanea, un conto un’assenza continua che rende impossibile accudire il disabile, e che quindi stravolge la finalità della normativa.

La giurisprudenza di legittimità, sul punto, è piuttosto severa. La Corte di Cassazione (sent. n. 8784/2015), infatti, ha riconosciuto la legittimità del licenziamento disciplinare nei confronti del lavoratore che abbia utilizzato anche solo una parte delle ore di permesso per soddisfare interessi esclusivamente personali.

Nel caso di cui alla sentenza della Corte di Cassazione n. 29062 del 5 dicembre 2017, i giudici di merito hanno accertato che il lavoratore prestava continuativa assistenza notturna alla disabile, alternandosi durante il giorno con altre persone. Pertanto, la Suprema Corte ha affermato che “L'addebito, così come contestato, è da ritenere insussistente, proprio perchè è stato smentito, secondo la ricostruzione intangibile degli stessi giudici del merito, che il figlio convivente non prestasse l'assistenza dovuta alla madre.

Nè può ritenersi che l'assistenza che legittima il beneficio del congedo straordinario possa intendersi esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, quali la cura dei propri interessi personali e familiari, oltre alle ordinarie necessità di riposo e di recupero delle energie psico-fisiche, sempre che risultino complessivamente salvaguardati i connotati essenziali di un intervento assistenziale che deve avere carattere permanente, continuativo e globale nella sfera individuale e di relazione del disabile.

In definitiva, pur risultando materialmente accaduto che il lavoratore si trovasse in talune giornate del giugno 2013 lontano dall'abitazione della madre ciò non è sufficiente a far ritenere sussistente il fatto contestato perchè, una volta accertato che, ferma la convivenza, questi comunque prestava continuativa assistenza notturna alla disabile, alternandosi durante il giorno con altre persone, con modalità da considerarsi compatibili con le finalità dell'intervento assistenziale, tanto svuota di rilievo disciplinare la condotta tenuta”.

Si consiglia pertanto di cercare di pernottare presso l’abitazione della nonna, se non sempre, almeno la maggior parte delle volte: il rischio è che, rientrando ogni sera presso la propria abitazione per pernottare lì, venga minato, da un lato, il requisito della convivenza, necessario per beneficiare del congedo straordinario, dall’altro dell’assistenza continuativa al disabile che verrebbe interrotta in quanto durante la notte la nonna rimarrebbe da sola.


M.U. chiede
mercoledì 03/04/2024
“Buon giorno, ho la mamma (81 anni) disabile grave (art.3 comma 3 della legge 104/92 da novembre 2020), sto già usufruendo dei permessi mensili retribuiti ma, ora, visto l'avanzare dell'età e del peggioramento del quadro clinico vorrei chiedere il congedo retribuito per 24 mesi. Sono un dipendente del settore privato (ho già chiesto ed ottenuto il consenso da parte dell'Azienda in cui lavoro ad assentarmi per 24 mesi)
Ho però qualche dubbio :
1) abito nella stessa casa (stesso indirizzo) ma fisicamente in due appartamenti diversi ( mamma al piano terra , io e famiglia al 1° piano). Devo trasferirmi fisicamente al piano terra per usufruire del permesso?
2) la mamma è coniugata ma, il papà per ovvie ragioni anagrafiche (82 anni) non riesce ad assistere la mamma pur non avendo patologie invalidanti. Posso comunque chiedere il congedo, visto che al patronato avevano qualche dubbio in merito.
3) posso chiedere il permesso subito per i complessivi 24 mesi o debbo chiederlo frazionato in più periodi ?
Grazie e cordiali Saluti

Consulenza legale i 11/04/2024
Per soddisfare il requisito della coabitazione è richiesto che disabile e familiare che lo assiste abbiano la stessa residenza e che abitino nello stesso luogo. Per poter fruire del beneficio in linea generale è richiesto il cambio di residenza. In alcuni casi specifici, però, il cambio di residenza non è richiesto.

In particolare, non è necessario quando il caregiver ed il disabile vivono allo stesso indirizzo, stessa via, stesso stabile, stesso numero civico ma interni diversi. In questo caso l’assistenza è garantita proprio dalla vicinanza delle due abitazioni.

Il comma 5 dell’articolo 42 del decreto legislativo n. 151/2001 prevede che il congedo straordinario spetti ai lavoratori dipendenti secondo un tassativo ordine di priorità.

In particolare, il figlio convivente della persona disabile in situazione di gravità ha diritto al congedo nel caso in cui il coniuge convivente o la parte dell’unione civile convivente o il convivente di fatto ed entrambi i genitori del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti.

Tale ordine non è derogabile.

Non è possibile accogliere dichiarazioni di rinuncia alla fruizione al fine di far “scattare” la legittimazione del soggetto successivo, né dare rilievo a situazioni di fatto o di diritto che non siano state esplicitamente considerate nella norma.

L’età avanzata di uno dei familiari non permette da sola lo “scorrimento” di parentela. La legge consente l’ampliamento della platea dei familiari legittimati a fruire del congedo di cui all’art. 42, comma 5, solo in presenza di una delle situazioni individuate dal medesimo decreto, comprovate da idonea documentazione medica. Ciò in quanto si ritiene che i soggetti affetti da tali patologie non siano in grado di prestare un’adeguata assistenza alla persona in condizioni di handicap grave.

In base a quanto sopra il diritto a fruire dei congedi in questione può essere goduto da un soggetto diverso dal precedente “titolare” solo in ragione delle ipotesi tassativamente indicate dal Legislatore, fra le quali rientra quella legata alla presenza di “patologie invalidanti”.

In tal senso, pertanto, l’età avanzata del titolare del diritto non costituisce di per sé un requisito sufficiente per legittimare il godimento del congedo da parte di altri soggetti titolati.

Ai fini dell’individuazione delle “patologie invalidanti”, in assenza di un’esplicita definizione di legge, bisognerà prendere a riferimento soltanto quelle, a carattere permanente, indicate dall’art. 2, comma 1, lettera d), numeri 1, 2 e 3 del Decreto Interministeriale n. 278 del 21 luglio 2000 (Regolamento recante disposizioni di attuazione dell'articolo 4 della L. 8 marzo 2000, n. 53, concernente congedi per eventi e cause particolari), che individua le ipotesi in cui è possibile accordare il congedo per gravi motivi di cui all’art. 4, comma 2, della legge n. 53 del 2000.

Nel caso di specie, il coniuge convivente del disabile è ancora in vita e, a meno che non sia affetto da patologie invalidanti, come sopra descritto, non può essere “scavalcato” da un figlio per la fruizione del congedo.

Il beneficio è frazionabile anche a giorni ma ciò non vieta di richiederlo per due anni consecutivi. Perché non siano conteggiati i giorni festivi, i sabati e le domeniche è necessaria l'effettiva ripresa del lavoro tra un periodo e l'altro di fruizione.


R. S. chiede
mercoledì 14/02/2024
“Buonasera,
sono caregiver di mia madre beneficiaria di agevolazioni da c 3, art.3 Lg 104 e convivente con mio padre, dal quale è Separata Legalmente dal giugno 2022 (con querela per maltrattamenti, presentata nel 2021- causa 'eccessi caratteriali' e atteggiamenti vessatori di lui, nonostante l'invalidità di mia madre - da pregresso
Ictus.
Esiste tuttora e ancora maggiormente (Mio padre ha ormai 87 anni) l'esigenza di 'vigilare' costantemente, sia per problemi di salute che di incompatibilità
E non accettando nessun estraneo a casa loro,mi pongono in costante stato d'ansia durante le ore di lavoro da dipendente che ancora mi occupa. Cosa potrei fare, anche usando la Sentenza di Separazione, oltre che trasferire da me, la residenza di mia madre - ormai in demenza e perciò molto fragile - per ottenere il beneficio del congedo Straordinario retribuito?
Grazie, cordiali saluti

Consulenza legale i 22/02/2024
Il congedo straordinario prevede un’assistenza continuativa e a tempo pieno del disabile da parte del familiare.

Tale cura può essere garantita solo dalla coabitazione del disabile con chi se ne occupa.

L’articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, stabilisce la concessione del congedo straordinario per l’assistenza a familiari con disabilità grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, fissando un ordine di priorità dei soggetti aventi diritto al beneficio che, partendo dal coniuge, degrada fino ai parenti e affini di terzo grado.

Nella determinazione di tale ordine di priorità, la normativa specifica chiaramente anche le categorie di individui, inclusi i figli del familiare da assistere, per i quali la convivenza con il disabile costituisce un requisito fondamentale per essere considerati potenziali beneficiari del congedo in questione.

Per soddisfare il requisito della coabitazione, quindi, è richiesto che disabile e familiare che lo assiste abbiano la stessa residenza e che abitino nello stesso luogo. Per poter fruire del beneficio in linea generale è richiesto il cambio di residenza. Solo in alcuni casi specifici, poi, il cambio di residenza non è richiesto.

Non serve cambiare la residenza quando è un genitore che assiste il proprio figlio disabile. Non è inoltre richiesto quando il caregiver ed il disabile vivono allo stesso indirizzo, stessa via, stesso stabile, stesso numero civico ma interni diversi. In questo caso l’assistenza è garantita proprio dalla vicinanza delle due abitazioni.

In tutti gli altri casi è necessario spostare la propria residenza se non si convive già con il disabile. Se, però, caregiver ed invalido vivono in due comuni differenti è possibile evitare il cambio di residenza richiedendo l’iscrizione al registro temporaneo della popolazione all’ufficio anagrafe del comune del disabile: in questo modo si ottiene la dimora temporanea con l’invalido soddisfacendo il requisito della coabitazione.

L’assistenza prestata deve essere sistematica e continuativa, anche se non necessariamente deve essere prestata 24 ore su 24. Pertanto, è necessario abitare con il disabile, anche se è certamente consentito riposarsi e dormire. Andare a dormire in un'altra abitazione, invece, non è consentito, proprio perché verrebbe meno la continuità dell’assistenza per la quale si rende necessario il requisito della convivenza.

Nel caso di specie, potrebbe essere una soluzione trovare due abitazioni nello stesso stabile.


A. B. chiede
domenica 14/01/2024
“Buongiorno, dal febbraio 2022 usufruisco del congedo straordinario per assistenza della propria madre non autosufficiente di cui alla legge 104. Sarò in congedo fino al prossimo maggio 2024 (perchè sono part time). Sono andata in Comune a richiedere la dimora temporanea ma mi è stato risposto che dovevo fare il cambio residenza per poter usufruire delle agevolazioni della Legge 104. Così ho fatto il cambio residenza e il Comune mi addebita ogni anno il 50% di IMU della casa di prima abitazione dove vive mio marito con i figli perchè il 50% da me lasciato libero viene considerato seconda casa. La scorsa settimana mi sono recata in Comune all'Ufficio Imu con il Vs. parere riguardo la Legge 104 e la dimora temporanea. Il funzionario mi ha detto e ribadito che non è possibile avere la dimora temporanea ed usufruire del congedo di cui alla legge 104 e che l'IMU va pagata. Chiedo un vs. parere in merito e se posso almeno recuperare un anno di IMU già versata. In attesa di riscontro saluto cordialmente.”
Consulenza legale i 18/01/2024
I requisiti per poter usufruire del congedo straordinario sono definiti dall’articolo 42 comma 5-bis del D.Lgs.151/2001. Tra le condizioni necessarie per averne diritto, con riferimento al rapporto di parentela genitore con disabilità-figlio, è la convivenza con il soggetto in difficoltà. Come da articolo da noi pubblicato in precedenza a cui lei fa riferimento “Legge 104 e dimora temporanea, ecco il metodo per non perdere permessi e congedo, senza dover spostare la residenza”, si conferma la possibilità di richiedere il congedo straordinario senza effettuare il cambio di residenza, inoltrando al Comune in cui è residente sua madre (dove lei vive temporaneamente) la richiesta di iscrizione nei registri della popolazione temporanea. Questo è anche confermato dalla Circolare INPS n.159 del 15.11.2013 dove, nell’elencare i requisiti soggettivi per il riconoscimento del congedo straordinario, viene ribadito il concetto di convivenza specificando che “il requisito della “convivenza” sarà accertato d’ufficio previa indicazione da parte dell’interessato degli elementi indispensabili per il reperimento dei dati inerenti la residenza anagrafica, ovvero l’eventuale dimora temporanea (vedi iscrizione nello schedario della popolazione temporanea di cui all’art.32 D.P.R. n. 223/89), ove diversa dalla dimora abituale (residenza) del dipendente o del disabile.” In questo caso si ricorda che il diritto al congedo spetta per solo 1 anno, contro i 2 anni massimi ordinari.
Ai fini Imu si ricorda che è soggetto passivo il proprietario dell’immobile o il titolare di altri diritti reali di godimento. Sono esenti dall’imposizione le abitazioni principali e le relative pertinenze, purchè non accatastate nelle categorie A/1, A/8 e A/9, a condizione che si sia residenti nell’immobile. Ai sensi dell’art.1 comma 741 della L.160/2019 viene definita abitazione principale ai fini Imu come "l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente".
Avendo proceduto al trasferimento di residenza in altro immobile, l’Imu è dovuta fintanto che non sposterà nuovamente la sua residenza nell’abitazione che ha in comproprietà con suo marito.

M. G. chiede
giovedì 11/01/2024
“Buongiorno, sono un dirigente medico ospedaliero a tempo indeterminato e a rapporto esclusivo; a causa dell' aggravamento delle condizioni di salute di mia madre ho intenzione di richiedere a partire dal 16 di febbraio tre mesi di congedo straordinario retribuito ai sensi della legge 104 comma 3 art 3. Attualmente ho un contratto di docenza con l' università per 15 ore(tenute al di fuori dell' orario di servizio come previsto dalla legge) (ultima lezione da me tenuta sarà in data 6 febbraio); poichè in data 27 febbraio e 5 marzo sono previste le date d' esame di scrutinio degli studenti alle quali dovrò presiedere in qualità di docente della commissione d' esame; la mia domanda è posso farlo? Devo astenermi e rinunciare all' incarico? Posso farlo di pomeriggio (al di fuori dell' orario di servizio)?. Preciso che il mio orario di lavoro è 8-15:36 dal lunedì al venerdì e l' università mi pagherà solo le 15 ore di lezione effettuate. In attesa di Vs riscontro cordiali saluti.”
Consulenza legale i 20/01/2024
L’articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nello stabilire la concessione del congedo straordinario per l’assistenza a familiari con disabilità grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, fa riferimento all’art. 4, c. 2, legge n. 53/2000.
Secondo tale norma, durante la fruizione del congedo, il dipendente “non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa”.
Pertanto, stando alla lettera della legge non è possibile presenziare agli esami per l’Università.


A. D. F. chiede
lunedì 20/11/2023
“Gentilissimi,
ho due genitori disabili che ho dovuto trasferire dall’Abruzzo per gravi motivi di salute, essendo noi figlie residenti in Emilia-Romagna. La situazione è molto grave. Dopo due anni, avrei quindi la necessità di richiedere periodi di congedo ex legge 104 (a giorni o a mesi).
Per chiedere il permesso 104, però, ho necessità di chiedere quantomeno una residenza temporanea con mia madre, attualmente residente in comune diverso dal mio.
Con la residenza temporanea potrò poi avere il permesso straordinario ex legge 104.
Il mio preciso quesito, quindi, è capire esattamente quali siano i limiti che comportano sia la residenza temporanea che il permesso straordinario ex 104 (non i 3 giorni) quale caregiver.
In particolare, dovendo cercare casa per loro costantemente (essendo qui a Bologna un periodo molto difficile da questo punto di vista, per cui lo sto facendo incessantemente, essendo la mancanza di una loro casa una condizione da superare urgentissimamente) e ho quindi bisogno di andare ad appuntamenti a Bologna (quindi lontana da loro) Essendo poi convivente, vorrei poter dormire a casa mia.
Senza spiegarvi troppo in dettaglio la situazione - e se non trovassi casa qui -, quando avrò il permesso 104 potrei aver necessità di spostarmi (forse a volte anche di regione) oltre alla esigenza di fare ferie o riposarmi. Anche per questo congedo chiedo quali siano i limiti (quelli di massima già li conosco).

Grazie mille”
Consulenza legale i 01/12/2023
Il congedo straordinario prevede un’assistenza continuativa e a tempo pieno del disabile da parte del familiare. Tale cura può essere garantita solo dalla coabitazione del disabile con chi se ne occupa.

L’articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, stabilisce la concessione del congedo straordinario per l’assistenza a familiari con disabilità grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, fissando un ordine di priorità dei soggetti aventi diritto al beneficio che, partendo dal coniuge, degrada fino ai parenti e affini di terzo grado.

Nella determinazione di tale ordine di priorità, la normativa specifica chiaramente anche le categorie di individui, inclusi i figli del familiare da assistere, per i quali la convivenza con il disabile costituisce un requisito fondamentale per essere considerati potenziali beneficiari del congedo in questione.

Per soddisfare il requisito della coabitazione, quindi, è richiesto che disabile e familiare che lo assiste abbiano la stessa residenza e che abitino nello stesso luogo. Per poter fruire del beneficio in linea generale è richiesto il cambio di residenza. Solo in alcuni casi specifici, poi, il cambio di residenza non è richiesto.

Non serve cambiare la residenza quando è un genitore che assiste il proprio figlio disabile. Non è inoltre richiesto quando il caregiver ed il disabile vivono allo stesso indirizzo, stessa via, stesso stabile, stesso numero civico ma interni diversi. In questo caso l’assistenza è garantita proprio dalla vicinanza delle due abitazioni.

In tutti gli altri casi è necessario spostare la propria residenza se non si convive già con il disabile. Se, però, caregiver ed invalido vivono in due comuni differenti è possibile evitare il cambio di residenza richiedendo l’iscrizione al registro temporaneo della popolazione all’ufficio anagrafe del comune del disabile: in questo modo si ottiene la dimora temporanea con l’invalido soddisfacendo il requisito della coabitazione.

L’assistenza prestata deve essere sistematica e continuativa, anche se non necessariamente deve essere prestata 24 ore su 24. Pertanto, è necessario abitare con il disabile, anche se è certamente consentito riposarsi e dormire. Andare a dormire in un'altra abitazione, invece, non è consentito, proprio perché verrebbe meno la continuità dell’assistenza per la quale si rende necessario il requisito della convivenza.

Nel caso di specie, per mantenere la convivenza, potrebbe essere una soluzione trovare due abitazioni nello stesso stabile.

Abbandonare il disabile, o lasciarlo comunque in mani altrui, per andare in ferie, non è certamente un comportamento conforme alle finalità della normativa.

Anzi, partire per una vacanza utilizzando il congedo straordinario Legge 104 è considerato una vera e propria truffa aggravata: le assenze per congedo straordinario, infatti, sono retribuite dall’Inps, quindi dalla collettività, che sopporta questi costi per garantire l’assistenza ai disabili gravi, non per far godere al lavoratore delle giornate libere in più oltre alle ferie.

Le cose cambiano se, invece, è il disabile che deve essere accompagnato in vacanza.

In tal caso bisogna tener conto che la finalità dei permessi e del congedo retribuito è quella di assicurare l’assistenza del disabile, e che il lavoratore che accompagna il disabile in vacanza dovrebbe comunque continuare ad assisterlo.

Pertanto, durante il congedo è possibile andare in vacanza soltanto per accompagnarvi il disabile.

È comunque necessario assicurare un’assistenza continuativa ed effettiva al familiare disabile, anche in vacanza: non sarebbe corretto, ad esempio, partire col familiare portatore di handicap, per poi delegare la sua assistenza a terzi.

Non esiste un elenco specifico di attività ammissibili durante i permessi Legge 104: il lavoratore può utilizzare le assenze anche per riposarsi dalla fatica che l’assistenza ad una persona con grave handicap comporta, in quanto la legge non prescrive che il familiare debba rimanere a contatto con la persona da assistere. Un conto, però, è un’assenza temporanea, un conto un’assenza continua che rende impossibile accudire il disabile, e che quindi stravolge la finalità della normativa.

L’assistenza non consiste soltanto nell’accudire fisicamente la persona, ma può esplicitarsi anche in attività che sono di aiuto o di supporto al disabile.

Nel caso di specie, pertanto, recarsi a Bologna per gli appuntamenti relativi alla ricerca della casa potrebbe essere considerata un’attività di supporto al disabile e, quindi, potrebbe essere considerato lecito l’allontanamento temporaneo dal disabile. Tuttavia, l’assenza dovrebbe essere strettamente limitata al tempo necessario all’appuntamento e non prolungarsi oltre, approfittando dello spostamento per svolgere altre attività. La Corte di Cassazione (sentenza n. 8784/2015), infatti, ha riconosciuto la legittimità del licenziamento disciplinare nei confronti del lavoratore che abbia utilizzato anche solo una parte delle ore di permesso per soddisfare interessi esclusivamente personali.

Allo stesso modo è consentito allontanarsi dall’abitazione del disabile per commissioni legate all’assistenza del disabile: per esempio, fare la spesa e/o acquistare medicinali per il disabile.
Il Ministero del Lavoro, nell’Interpello n. 30/2010 ha affermato che “l’assistenza si può sostanziare in attività collaterali ed ausiliarie rispetto al concreto svolgimento dell’attività lavorativa da parte del disabile, quali l’accompagnamento da e verso il luogo di lavoro, ovvero attività di assistenza che non necessariamente richiede la presenza del disabile, ma che risulta di supporto per il medesimo (ad esempio prenotazione e ritiro di esami clinici)”.

La Corte di Cassazione ha però sottolineato che “il comportamento del lavoratore subordinato che si avvalga dei permessi di cui all’art. 33, L. n. 104 del 1992 non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività, integra l’ipotesi di abuso di diritto, giacché tale condotta si palesa nei confronti del datore di lavoro come lesiva della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendete ed integra, nei confronti dell’Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale” (Corte di Cassazione, sentenza n. 23891/2018).

Si tenga anche conto che il beneficio è frazionabile a giorni.

Affinché non siano conteggiati i giorni festivi, i sabati e le domeniche è necessaria l'effettiva ripresa del lavoro tra un periodo e l'altro di fruizione.

L'effettiva ripresa del lavoro non è rinvenibile né nel caso di domanda di fruizione del congedo dal lunedì al venerdì (in caso di settimana corta) senza ripresa del lavoro il lunedì della settimana successiva a quella di fruizione del congedo, né nel caso di fruizione di ferie. Non si conteggiano le giornate di ferie, la malattia, le festività e i sabati che cadono tra il periodo di congedo straordinario e la ripresa del lavoro.

Si tenga conto, tuttavia, che ai sensi del comma 5-quinquies dell’art. 42 cit., “Il periodo di cui al comma 5 non rileva ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto”.
Pertanto, sarà possibile fruire delle ferie maturate, richiedendole al datore di lavoro, e queste non verranno conteggiate nel periodo di congedo straordinario. Tuttavia, durante il congedo non verranno maturate ulteriori giornate di ferie.



V. G. chiede
venerdì 21/06/2024
“Siamo un gruppo di dipendenti di un ente locale sia full time che part time (verticale), secondo quanto a nostra conoscenza, un dipendente (avendone i requisiti) nel corso dello stesso mese può usufruire, anche in maniera frazionata, del congedo straordinario, ai sensi dell'art. 42 comma 5 del d.lgs. n. 151/2001 e dei 3 giorni di permesso di cui alla legge n.104/92.
Es. un dipendente dal 1 gennaio al 28 usufruisce del congedo straordinario, ai sensi dell'art. 42 comma 5 del d.lgs. n. 151/2001, e dal 29 al gennaio al 31 dei 3 giorni di cui alla L. n.104/92.
Con riferimento alle sentenze n.22095 del 29/09/2017 e n.4069 del 20/02/2018 ed all'orientamento ARAN cfc34, il dirigente ritiene che “nel caso di fruizione in modo frazionato del congedo straordinario, ex art. 42 comma 5 del d.lgs. n.151/2001, che determini un part time verticale con una prestazione lavorativa superiore al 50% rispetto all'ordinario orario lavorativo in regime di full time non avrà un riproporzionamento dei 3 giorni di permesso ex art. 33 della L. n.104/92. Viceversa, ovviamente, si procederà al riproporzionamento nel caso di part time verticale, scaturente dalla richiesta di congedo straordinario in modo frazionato, ai sensi dell'art. 42 comma 5 del d.lgs. n. 151/2001, che comporti una prestazione lavorativa mensile inferiore al 50% rispetto all'orario ordinario lavorativo in regime di full time”.
In sintesi, per il dirigente la fruizione del congedo straordinario in modo frazionato, ai sensi dell'art. 42 comma 5 del d.lgs. n. 151/2001, (es. 22 gg. in un mese) determina un part time verticale, (anche se il dipendente è Full time) con conseguente riproporzionamento dei 3 giorni di permesso della l.104/92 che si voglio godere nello stesso mese.
Abbiamo fatto degli approfondimenti ma non troviamo norme e/o circolari che avvalorino questa tesi, anzi al contrario.
Il dirigente è super convinto.
Ci sono i presupposti per un contenzioso da presentare al Giudice del Lavoro?
Ed, inoltre, può essere presentato unico ricorso cumulativo avvalendosi della cosiddetta “class action”, oppure deve essere proposto per singolo dipendente?
Infine la richiesta del congedo ai sensi dell'art. 42 comma 5 del d.lgs. n. 151/2001 può essere negato per esigenze di servizio?”
Consulenza legale i 01/07/2024
Secondo l'orientamento ARAN cfc34 e le sentenze della Cassazione (n. 22095 del 29/09/2017 e n. 4069 del 20/02/2018), il riproporzionamento dei 3 giorni di permesso ex art. 33 della L. 104/92 è applicabile solo in caso di un part-time verticale con una prestazione lavorativa inferiore al 50% rispetto all'orario full-time.

A parere di chi scrive, non si può condividere l’opinione del dirigente.

Non si rinvengono riferimenti normativi o giurisprudenziali secondo i quali, in caso di congedo straordinario frazionato comportante una riduzione dell'orario lavorativo superiore al 50%, si debba procedere al riproporzionamento.

Anzi, la Circolare n. 1 del 2012 del Dipartimento della Funzione Pubblica chiarisce che “nel caso di fruizione cumulata nello stesso mese del congedo (ovvero di ferie, aspettative o altre tipologie di permesso) e dei citati permessi di cui all'art. 33, comma 3, da parte del dipendente a tempo pieno, questi ultimi spettano sempre nella misura intera stabilita dalla legge (3 giorni) e non è previsto un riproporzionamento”.

Pertanto, nel caso di specie potrebbero esserci i presupposti per un ricorso al giudice del lavoro.

Per quanto riguarda la Class Action, trattasi di uno strumento originariamente regolato dall’art. 140-bis del Codice del Consumo.

A seguito delle modifiche introdotte dalla Legge n. 31/2019, l'istituto della class action è stato trasferito dal Codice del Consumo al Codice di Procedura Civile, con l'introduzione di un apposito Titolo (VIII-bis) alla fine del Libro IV, dedicato ai procedimenti collettivi.

La riforma ha esteso il campo di applicazione della class action, rendendola un rimedio di carattere generale e non più limitato ai consumatori. Ora, l'azione di classe può essere utilizzata per tutelare una più ampia gamma di diritti, specialmente quelli che potrebbero non essere adeguatamente difesi tramite azioni individuali. L'azione di classe può essere promossa non solo dai consumatori, ma anche da qualsiasi componente della classe o da associazioni e organizzazioni i cui obiettivi statutari comprendano la tutela dei diritti individuali omogenei.
La riforma prevede che l'azione di classe possa essere esercitata per l’accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni.

Non sono ammissibili le azioni di mero accertamento o quelle che non abbiano per oggetto una somma di denaro, come risarcimenti in forma specifica o obblighi di fare o non fare. L'azione di classe deve quindi riguardare diritti omogenei e avere come obiettivo una condanna risarcitoria.

Considerando che nel caso di specie si tratterebbe di chiedere al datore di lavoro la concessione dei permessi e che la vertenza, seppur riguardante un gruppo di lavori, non riguarda una vera e propria “classe”, sembra opportuno utilizzare altri mezzi offerti dall’ordinamento.

Infatti, l’articolo 103 del Codice di Procedura Civile prevede già la possibilità di azioni collettive coordinate:
"Più parti possono agire o essere convenute nello stesso processo, quando, tra le cause che si propongono, esiste una connessione per l’oggetto o per il titolo dal quale dipendono, oppure quando la decisione dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni."

Il congedo straordinario ai sensi dell'art. 42 comma 5 del D.Lgs. 151/2001 non può essere negato per esigenze di servizio. Infatti, tale congedo è un diritto soggettivo per il dipendente che ne ha i requisiti, quindi il datore di lavoro non può rifiutare la concessione del congedo per ragioni organizzative o di servizio.

Il datore di lavoro può negare i permessi solo se non ricorrono tutti i requisiti previsti dalla normativa. Il datore deve verificare l’adeguatezza della documentazione e la ricorrenza dei presupposti per la concessione e, se tutto è regolare, deve concedere i permessi lavorativi previsti. Se tutti i requisiti richiesti sono soddisfatti, il beneficio dei permessi non è soggetto ad autorizzazione perché è un diritto soggettivo del disabile o del familiare che lo assiste.

Nel comparto pubblico, il Parere del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 13/2008 e la Circolare n. 13/2010 prevedono la programmazione dei permessi con congruo anticipo per consentire la migliore organizzazione dell’attività amministrativa. Anche il Ministero del Lavoro, nell’interpello n. 31 del 6/07/2010, ha chiarito che è possibile richiedere una programmazione dei permessi settimanale o mensile, purché:
  • Il lavoratore possa individuare preventivamente le giornate di assenza.
  • La programmazione non comprometta il diritto del disabile a un’effettiva assistenza.
  • La programmazione segua criteri condivisi con i lavoratori o le loro rappresentanze.
  • La programmazione garantisca il mantenimento della capacità produttiva dell’impresa senza compromettere il buon andamento.
Se il dipendente comunica con congruo anticipo, il dirigente non può negare la fruizione del permesso né entrare nel merito delle motivazioni. In caso di necessità urgente di variazione della giornata di fruizione, il dirigente deve accettare la variazione, poiché il diritto del disabile o del familiare prevale su qualunque esigenza lavorativa.

Il dipendente non è tenuto a presentare documentazione per giustificare la fruizione dei singoli permessi. Il diniego alla fruizione del permesso mensile può configurare “danno esistenziale” e il reato di abuso di ufficio. Se la mancata assistenza provoca danni fisici alla persona disabile, può configurarsi anche il “danno biologico”, risarcibile in sede giudiziaria.


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