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Articolo 20 Legge sulla protezione del diritto d'autore

(L. 22 aprile 1941, n. 633)

[Aggiornato al 09/10/2024]

Dispositivo dell'art. 20 Legge sulla protezione del diritto d'autore

Indipendentemente dai diritti esclusivi di utilizzazione economica dell'opera, previsti nelle disposizioni della sezione precedente, ed anche dopo la cessione dei diritti stessi, l'autore conserva il diritto di rivendicare la paternità dell'opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell'opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione.

Tuttavia nelle opere dell'architettura l'autore non può opporsi alle modificazioni che si rendessero necessarie nel corso della realizzazione. Del pari non potrà opporsi a quelle altre modificazioni che si rendesse necessario apportare all'opera già realizzata. Però se all'opera sia riconosciuta dalla competente autorità statale importante carattere artistico spetteranno all'autore lo studio e l'attuazione di tali modificazioni.

Massime relative all'art. 20 Legge sulla protezione del diritto d'autore

Cass. civ. n. 18220/2019

L'art. 20 l. n. 634 del 1941, che riconosce il diritto morale d'autore come indipendente dai diritti esclusivi di utilizzazione economica dell'opera, va interpretato nel senso che "il diritto di rivendicare la paternità dell'opera" consiste non soltanto in quello di impedire l'altrui abusiva auto o eteroattribuzione di paternità, ma anche nel diritto di essere riconosciuto come l'autore dell'opera, indipendentemente dalla parallela, ma pur solo eventuale, attribuzione ad altri, e la violazione del diritto importa l'obbligo del responsabile di risarcire il danno non patrimoniale arrecato.

Cass. civ. n. 3445/2018

Lo sfruttamento non autorizzato dell'opera non comporta l'automatica violazione anche del diritto morale dell'autore alla paternità della stessa, avendo l'illecito di cui all'art. 20 della l. n. 633 del 1941 natura e genesi diverse rispetto a quelli elencati negli artt. 12 ss. della stessa legge, sicché, ove le modalità dello sfruttamento non autorizzato non comportino l'indicazione dell'autore dell'opera, la mancata menzione di questi non può essere considerata integrante una presunzione di indebita attribuzione della paternità all'utilizzatore, presunzione che non trova riscontro nella legge.

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Consulenze legali
relative all'articolo 20 Legge sulla protezione del diritto d'autore

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Anonimo chiede
lunedì 24/05/2021 - Abruzzo
“Salve, vi scrivo per delle domande riguardanti la professione dello scrittore. Sono domande di diritto amministrativo, solo una domanda riguarda il diritto penale. Vi chiedo la cortesia di rispondere seguendo l'ordine delle domande per evitare confusione. Spero possiate rispondermi in modo molto chiaro: sono spesso incappato in avvocati che rispondono in modo complesso lasciando il cliente pieno di dubbi. Vi chiedo un'altra cortesia: vi chiedo di pubblicare la consulenza in forma anonima, senza il mio nome e cognome. Grazie.
1) So che esistono sanzioni amministrative che impediscono di continuare a svolgere una professione e/o di continuare ad esercitare un diritto. È possibile che con sanzioni amministrative (di qualunque tipo: principali, accessorie...) si impedisca a uno scrittore (non iscritto a nessun albo) di romanzi, racconti, sceneggiature e articoli di continuare a svolgere la sua professione? Glielo chiedo perché, pur sapendo che quella dello scrittore è un'attività libera, non regolamentata (e protetta dall'art. 21 della Costituzione), in questa professione c'è un aspetto "pubblico", quello della pubblicazione. Inoltre, un altro aspetto che forse potrebbe creare un problema è l'avere o il non avere una partita IVA (io non ce l'ho).
2) Sempre dal punto di vista amministrativo, è possibile che, dopo aver commesso reati di qualsiasi tipo, illeciti civili di qualsiasi tipo e/o illeciti amministrativi di qualsiasi tipo, uno scrittore venga punito privandolo dei diritti d'autore (morali e/o patrimoniali) delle opere che ha scritto e pubblicato e delle opere che scriverà e pubblicherà in futuro (tutte opere che nulla hanno a che vedere con i reati, gli illeciti civili, gli illeciti amministrativi)?
3) Ricollegandomi a quanto dico nella domanda 1 sull'avere o il non avere la partita IVA, ho due domande. Senza partita IVA quella dello scrittore non è considerata un'attività commerciale, giusto? So che senza partita IVA uno scrittore può superare tranquillamente il limite dei 5000 euro annui, ma in questo caso, senza partita IVA, il lavoro dello scrittore può essere svolto solo in modo occasionale, non con regolarità (quindi okay la pubblicazione di libri, visto che al massimo se ne pubblica uno o due all'anno, ma non la pubblicazione di articoli in modo regolare per un quotidiano), giusto?
4) So che nell'ambito del diritto penale non si può applicare a uno scrittore "l'interdizione da una professione o da un'arte", ma esistono misure collegate a una condanna penale (o a delle condanne penali) e delle pene accessorie che possono ostacolare la professione dello scrittore (misure e pene accessorie come il divieto di comunicazione con l'esterno e l'interdizione legale), ma una volta scontata una pena principale (o delle pene principali) una persona può tornare liberamente a svolgere la professione dello scrittore?”
Consulenza legale i 03/06/2021
Per rispondere in modo chiaro al quesito è opportuna una breve premessa sulla tutela prevista nell’ordinamento italiano in tema di diritto d’autore, in quanto le risposte ai quesiti discendono sostanzialmente dall’applicazione di tali principi.

Secondo la Legge sulla protezione del diritto d'autore il contenuto del diritto di autore è costituito da un complesso di facoltà, che si distinguono in diritti morali e diritti patrimoniali.
I primi attengono alla paternità dell’opera e vengono generalmente inquadrati tra i diritti della personalità, ossia tra i diritti soggettivi assoluti, inalienabili, imprescrittibili e irrinunciabili che spettano alla persona in quanto tale (artt. 20 e 22, L. n. 633/1941).
I secondi, invece, sono definiti come i diritti di utilizzazione economica finalizzati a trarre un compenso dall’opera e –avendo contenuto patrimoniale- sono disponibili utilizzando gli ordinari strumenti contrattuali previsti in ambito privatistico per tutta la vita dell’autore e fino a 70 anni dopo la sua morte.
L’esigenza di tale distinzione nasce dal fatto che nella maggior parte dei casi il creatore di un’opera non possiede personalmente i mezzi organizzativi ed economici per diffonderla presso il pubblico ed ha dunque bisogno di rivolgersi ad un diverso soggetto che svolga tale attività a livello imprenditoriale (ad es. una casa editrice alla quale affidare la stampa e la distribuzione di un’opera letteraria).

In proposito, va specificato che secondo la legge n. 633/1941 la pubblicazione altro non è che l’atto di offrire l’opera alla conoscenza del pubblico, ossia la prima e fondamentale espressione del diritto di utilizzazione economica dell’opera (art. 12), ed è rimessa alla esclusiva volontà dell’autore.
In ogni caso, la cessione a terzi o la scadenza dei diritti di utilizzazione economica non pregiudicano l’esercizio dei diritti morali (art. 2577 cc. e art. 20, L. n. 633/1941).

Tanto premesso e ricordando che, come correttamente rilevato nel quesito, l’esercizio della professione di scrittore non è subordinato ad alcuna autorizzazione o all’iscrizione ad un albo professionale, si chiarisce che la risposta alle prime due domande è negativa.
Infatti, la previsione di sanzioni a qualunque titolo dirette ad impedire ad uno scrittore di svolgere la propria professione sarebbe del tutto incompatibile sia con la normativa suddetta, sia con la libertà di manifestazione del pensiero protetta dall’art. 21 della Costituzione, che non ammette alcun tipo di censura.
Del resto, l’obiettivo della legislazione in materia è quello di tutelare l’autore dal plagio, dalle modificazioni o dalla diffusione non autorizzata dell’opera, come confermano le sanzioni previste dagli artt. 156 e ss., L. n. 633/1941.
Lo stesso principio vale a maggior ragione per il dubbio prospettato nel secondo quesito circa la possibilità per lo Stato di privare un autore della paternità dell’opera, trattandosi di un diritto assoluto, nonché degli altri diritti connessi, il cui esercizio è rimesso in definitiva alla sola volontà dell'autore.
La questione della partita IVA, invece, rileva solo a fini fiscali ed eventuali sanzioni relative a tale aspetto non pare possano interferire in alcun modo con la possibilità di scrivere e pubblicare un’opera letteraria.

Quanto al terzo quesito, fermo restando che non è possibile in questa sede esplorare tutti gli aspetti fiscali relativi al diritto d’autore, si nota che l’art. 53, D.P.R. n. 917/1986, comprende tra i redditi da lavoro autonomo “i redditi derivanti dalla utilizzazione economica, da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule o informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico, se non sono conseguiti nell'esercizio di imprese commerciali”.
Pertanto, non sembra strettamente necessaria ai fini della tassazione dei proventi dell’attività di scrittore l’apposita apertura di una partita IVA, in quanto essi dovranno essere comunque dichiarati sotto la voce dei redditi da lavoro autonomo.
È consigliabile comunque rivolgersi ad un commercialista per la valutazione della propria specifica situazione fiscale e sul migliore regime da applicare nel caso concreto.

In merito alla domanda di cui al punto 4, si consideri infine quanto segue.

Per essere chiari, è necessario prima di tutto dividere concettualmente gli oggetti d’indagine:

1. Il primo è relativo all’esistenza di eventuali disposizioni di natura penale che divietino, in tutto e per tutto e in modo diretto, l’esercizio della professione di scrittore.

2. Il secondo è relativo alla possibilità che talune disposizioni di natura penale possano ostacolare, in via indiretta, la professione dello scrittore.

3. Il terzo profilo attiene, invece, alla durata.

Procediamo con ordine.

1. Nel nostro sistema penale non esiste alcuna previsione che divieti, in via diretta, lo svolgimento della professione dello scrittore. Nel nostro ordinamento, invero, le disposizioni in grado di sospendere o vietare l’esecuzione di una professione sono strettamente connesse solo ai casi in cui, per esercitare detta professione, occorra una speciale abilitazione/iscrizione/altro.

Ciò per il semplice fatto che solo tali professioni, nell’ottica del legislatore, sono idonee, in presenza di abusi vari, a cagionare un danno a interessi giuridici di rilevante entità.

Non essendo, lo scrittore, assoggettato ad alcuna iscrizione/autorizzazione e/o altro, non è possibile che allo stesso possano essere applicate le disposizioni sopra illustrate del codice penale e, in particolare, la pena accessoria di cui all’art. 30 c.p.

2. Al contrario, esistono numerosissime disposizioni che possono ostacolare, ma in modo indiretto, la professione dello scrittore. Si tratta, né più né meno, di tutte quelle disposizioni penali che, a prescindere dal fatto che vengano comminate in via cautelare o a seguito alla condanna per un reato, sono fortemente limitative della libertà personale di una persona.

Sul fronte delle pene accessorie si pensi, ad esempio, all’ interdizione legale (art. 32 c.p. ) che, in buona sostanza, annulla la capacità giuridica del condannato che non è più in grado di porre in essere alcun atto patrimoniale.

O ancora, e qui andiamo sul fronte cautelare, si pensi a tutte le misure che limitano la libertà di movimento del soggetto sottopostovi (arresti domiciliari, art. 284 c.p.p., obbligo di dimora, art. 283 c.p.p.) .
Tali misure, come anzidetto, sebbene non direttamente connesse alla professione dello scrittore e/o alla sua attività (essendo, appunto, comminabili a chiunque abbia commesso determinati delitti e a seguito dell’esecuzione delle più svariate condotte), di certo possono limitare in modo esponenziale la professione e l’attività predetta che, come noto, spesso necessita di spostamenti, viaggi, l’interlocuzione diretta con le persone etc.

3. Quanto alla durata, vanno fatte le opportune distinzioni.

Se si tratta di una pena accessoria, gli effetti della stessa cesseranno dopo il decorso del termine fissato dal giudice.

Se, invece, si tratta di una misura cautelare, allora gli effetti cesseranno quando verranno meno le ragioni che hanno indotto il giudice e il Pubblico Ministero a comminare e chiedere la misura cautelare in questione.

Decorso il termine di cui sopra e venuta meno la cautelare, allora non residueranno effetti pregiudizievoli per il soggetto.

Antonio C. chiede
lunedì 22/05/2017 - Calabria
“La mia Società Srl di Cosenza ( che chiameremo per semplicità socio di Cosenza) nel 2015 ha costituito con una Srl di Pordenone (che chiameremo per semplicità socio di Pordenone) una società Srl con sede a Padova ( che chiameremo per semplicità socio in comune), capitale sociale 100.000 ripartito al 50% ciascuno, da statuto si nomina come Amministratore Unico, una persona strettamente legata al socio di Pordenone.
Successivamente Il socio di Cosenza vende al socio in comune (di cui ricordo è socio al 50%) tutti i diritti di proprietà dei software da essa stessa sviluppati e si impegna per 5 anni a non porsi in concorrenza con i programmi e domini alla stessa ceduti.
Una Cooperativa di Cosenza, riprende il software acquistato dalla società in comune, per ampliarlo modificarlo e migliorarlo , il software viene quasi rifatto ex novo, tutto questo senza contratto tra la Cooperativa e la società in comune . La Cooperativa emette fatture alla società in comune , dall'ottobre 2015 al febbraio 2017, per sviluppo software e applicativi, e giustifica l'importo della fattura con il costo di 4 dipendenti della cooperativa impegnati in questo servizio. I sorgenti allo scopo vengono depositati sia nella sede della Cooperativa di Cosenza che nella sede della società in comune a Padova. In questo periodo l'analisi del software è stata eseguita al 100% dalla Cooperativa, di tanto in tanto si sono tenute (nella sede del socio in comune) delle riunioni in cui la cooperativa ha illustrato l'avanzamento dei lavori e ricevuto eventuali consigli . Allo sviluppo del software ha partecipato, dalla sua sede di Pordenone, una persona legata al socio di Pordenone dopo che lo stesso è stato istruito dalla Cooperativa..
Il 2 Marzo 2017 la società in comune ha disdetto senza motivo l'incarico alla Cooperativa.
La mia domanda è :
la Cooperativa ha il diritto di sfruttare economicamente il software?

Puntualizzo che nell’assemblea del 12 Aprile del 2017 l’Amministratore della società in comune conferma (sottoscrivendolo )che la Cooperativa ha collaborato senza contratto e che è stata sostituita per giusta causa, così motivando :‘visto il mancato raggiungimento delle performances prefissate per il software’.
Dichiara inoltre che sono stati affidati ad altri, di nuovo senza contratto, la manutenzione ordinaria del software, il completamento delle funzionalità mancanti e l’aggiornamento alle prossime scadenze fiscali.

Il mio problema sorge dal fatto che io socio al 50% dal momento in cui è stata effettuata la disdetta della Cooperativa da parte della società in comune sono stato escluso completamente dalla gestione e dal controllo della stessa, ciò è accaduto purtroppo grazie alla complicità dell’amministratore di questa società con l’altro socio al 50%. A questo punto, per non perdere tutto l’investimento vorrei cominciare a vendere il servizio che si può dare con questo software e onde evitare problemi lo vorrei fare con la Cooperativa che ha sviluppato il software negli ultimi anni … ma La società in comune , già insospettita per il plagio del software, quali azioni può intraprendere contro di noi soci e contro la Cooperativa?”
Consulenza legale i 29/05/2017
Preliminarmente va precisato che se le parti, la Cooperativa e la società “comune”, non hanno redatto per iscritto un accordo, ciò non significa che la collaborazione si è svolta senza un contratto.

Il contratto è un accordo tra due o più parti per costitutire un rapporto, oppure regolarlo od estinguerlo, incontro di volontà che non necessita sempre di una forma scritta bastando all’uopo anche una semplice stretta di mano, ovvero un comportamento inequivocabilmente concludente.

Il contratto di sviluppo software, che deve ritenersi sussistente tra le parti in discorso, viene ricondotto dalla giurisprudenza al contratto d’appalto, contratto per il quale non è necessaria la forma scritta (artt. da 1655 a 1677 c.c.).

L’appaltatore (software house) si impegna a sviluppare un software, già esistente e già di proprietà della società “comune”, al fine di migliorarlo e condurlo al risultato ed alle performances desiderate, a fronte del pagamento di un corrispettivo da parte della società committente (vendor).

Con il pagamento del servizio, la committente acquista anche la proprietà intellettuale sugli sviluppi ed i miglioramenti conseguiti dal software nell’esecuzione del contratto d’appalto e di conseguenza anche i diritti di utilizzazione economica dello stesso.

La cooperativa dunque non ha alcun diritto di utilizzazione del software, non può avanzare alcuna pretesa economica, può solamente rivendicarne la paternità degli sviluppi e richiedere che venga riconosciuta come autrice dell’opera.

Nel nostro ordinamento infatti, il software viene tutelato come opera dell’ingegno dalla Legge 633/1941 sul diritto d’autore, istituto che tiene nettamente distinte la paternità dell’opera e la titolarità del diritto di far fruttare l'opera e/o il servizio per trarne un vantaggio economico (art. 20).

Il titolare dei diritti di sfruttamento economico dell’opera può impedire che altri ne facciano uso, pubblicazione e distribuzione senza il suo consenso.
L’art 156 prevede che “ chi ha ragione di temere la violazione di un diritto di utilizzazione economica a lui spettante in virtù di questa legge oppure intende impedire la continuazione o la ripetizione di una violazione già avvenuta sia da parte dell'autore della violazione che di un intermediario i cui servizi sono utilizzati per tale violazione può agire in giudizio per ottenere che il suo diritto sia accertato e sia vietato il proseguimento della violazione.
Pronunciando l'inibitoria, il giudice può fissare una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata o per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento".

Ma il titolare del diritto di utilizzazione dell’opera non ha solo il diritto di impedire l’attività di plagio, potendo altresì far ordinare il sequestro e la distruzione delle opere che vìolino i suoi diritti e chiedere il risarcimento del danno che dall’attività di plagio ne è derivato.

Inoltre il comportamento tenuto dal socio di Cosenza potrebbe configurare una causa di esclusione dalla Srl “comune”, qualora lo statuto attribuisca espressa rilevanza al conflitto d’interessi ovvero a comportamenti sleali di tal fatta da parte del socio.

Del resto la società comune ha già pagato il prezzo per l’acquisto del software così come ha pagato il prezzo per lo sviluppo del medesimo.

L’unica possibilità per vendere il software senza subire conseguenze economiche più sfavorevoli rispetto agli utili che potrebbero ricavarsi, è quella di realizzare un nuovo software, dotato di autonoma originalità, che abbia le medesime funzionalità.
In questo caso si tratterebbe di una nuova opera, sebbene utile al raggiungimento dei medesimi risultati funzionali del vecchio software.