Si definisce
processo verbale quell’atto che viene compilato da un
pubblico ufficiale e volto a fare fede delle operazioni compiute e delle dichiarazioni ricevute da lui o da un altro pubblico ufficiale.
L’art. 4 del D.P.R. 13.02.2001 dispone che tutti gli atti e i provvedimenti del processo possono essere compiuti con documenti informatici sottoscritti con firma digitale dalle parti o dal
giudice ovvero, nel caso di processi verbali, dal
cancelliere; il documento informatico, infatti, costituisce una variante del documento scritto.
In quanto vero e proprio atto processuale, la sua disciplina è espressamente prevista dal codice di rito.
Dispone il primo comma della norma che il cancelliere redige il processo verbale di udienza sotto la direzione del giudice; egli deve sottoscriverlo e darne lettura agli intervenuti, salvo che la legge disponga diversamente.
Anche gli intervenuti devono sottoscriverlo e la mancanza della loro sottoscrizione, nel caso in cui non abbiano voluto o potuto provvedervi, deve risultare dallo stesso verbale.
Deve farsi tuttavia constatare che nella pratica forense raramente il processo verbale viene redatto dal cancelliere, in quanto vi provvede direttamente il giudice o i procuratori delle parti dietro dettatura sempre del giudice.
La lettura del processo verbale di udienza, secondo quanto previsto dal secondo comma della norma in esame, è prevista solo in caso di espressa istanza di parte, mentre negli altri casi essa è obbligatoria e deve essere svolta dal cancelliere se vi sono altri intervenuti (ciò che si legge all’
art. 126 del c.p.c.).
In ordine al contenuto che il processo verbale deve avere, occorre fare riferimento al primo comma dell’art. 126 c.p.c., secondo cui esso deve contenere l’indicazione delle persone intervenute e delle circostanze di luogo e di tempo nelle quali gli atti che documenta sono compiute, oltre che la descrizione delle attività svolte, delle rilevazioni fatte e delle dichiarazioni ricevute.
Al contenuto del processo verbale fanno anche riferimento l’
art. 44 delle disp. att. c.p.c., il quale precisa che alla sua redazione vi provvede il cancelliere indicando tutti gli atti che compie con l’intervento di terzi interessati, ed il secondo comma dell’
art. 180 del c.p.c., in cui è detto che “
della trattazione della causa si redige processo verbale, nel quale si inseriscono le conclusioni delle parti e i provvedimenti che il giudice pronuncia in udienza”.
Oltre che redatti in lingua italiana (così
art. 122 del c.p.c.), i verbali devono essere scritti in carattere chiaro e facilmente intellegibile, in continuazione, senza spazi bianchi e senza alterazioni o abrasioni (così
art. 46 delle disp. att. c.p.c.). Precisa quest’ultima norma che “
le aggiunte, soppressioni o modificazioni eventuali debbono essere fatte in calce all’atto, con nota di richiamo, senza cancellare la parte soppressa o modificata”.
Ai sensi del secondo comma dell’
art. 168 del c.p.c. i verbali di udienza devono essere conservati dal cancelliere nel fascicolo d’ufficio.
Secondo parte della dottrina, fatta eccezione per i casi in cui il processo verbale è requisito essenziale dell’atto (es. la conciliazione giudiziale), in caso di omessa redazione del processo verbale, per il principio della oralità del processo e della liberta delle forme, non si avrà inesistenza giuridica dell’attività processuale non documentata, purchè sia possibile ottenere
aliunde la prova dell’attività che è stata posta in essere e non documentata.
Un diverso e contrastante orientamento, invece, ritiene che la mancata redazione del processo verbale o la sua redazione in forma incompleta, costituisca causa dell’inesistenza giuridica dell’atto, partendo dal presupposto che la sua redazione non sarebbe richiesta
ad probationem, bensì
ad substantiam.
Dottrina e giurisprudenza, inoltre, sono state chiamate ad affrontare il problema della falsità del processo verbale, giungendo a tesi contrapposte.
I contrasti interpretativi nascono dal fatto che il verbale di udienza è un
atto pubblico, il quale, come tale, fa piena prova fino a
querela di falso; di contro, però, si fa osservare che la disciplina della querela di falso, dettata dalla legge processuale, è tale da non potersi applicare all’
impugnazione di un verbale, in quanto presuppone che il documento impugnato sia prodotta dalla parte e che questa possa disporre della sua utilizzazione.
Ciò non può valere per i verbali di udienza, che sono atti d’ufficio, sottratti alla disponibilità delle parti.
Per tale ragione, la prevalente dottrina ritiene che il verbale, in quanto atto pubblico, sia contrastabile con la querela di falso, a cui non sarebbe applicabile la relativa disciplina processuale. Se la sua falsità influenza la decisione del giudice, la medesima dovrà farsi valere con l’impugnazione della sentenza, poiché si traduce in motivo di
nullità della sentenza.
Ciò comporta che la querela di falso dovrebbe essere proposta con lo stesso atto di impugnazione, sottoscritto anche dalla parte personalmente ex art. 221 comma 2 c.p.c.; il relativo giudizio, poi, sarebbe rimesso al tribunale competente ex
art. 9 del c.p.c. e, considerato il suo carattere pregiudiziale rispetto a quello di impugnazione della sentenza per nullità, quest’ultimo dovrebbe essere sospeso fino alla formazione del giudicato ex
art. 227 del c.p.c..
L’omessa sottoscrizione da parte del giudice e del cancelliere determinano la mancanza di un requisito previsto dalla legge come costitutivo del processo verbale.
Tuttavia, tale sottoscrizione non rileva per la sua esistenza materiale come nel caso della sentenza, ma solo come fatto volto a provare la provenienza del verbale dal pubblico ufficiale abilitato alla sua documentazione; ciò comporta che, qualora si riesca in qualunque modo a dimostrare la regolare provenienza del processo verbale dall’organo abilitato alla documentazione, il medesimo dovrà considerarsi esistente ed in grado di produrre i suoi effetti tipici.
Nessuna conseguenza, invece, può attribuirsi al difetto di sottoscrizione delle parti intervenute allorquando il processo verbale risulti comunque regolare.
Non determina nullità del verbale la mancata indicazione della data, in quanto la stessa può sempre desumersi dal
ruolo; nel caso di contrasto tra data risultante dal verbale e quella risultante dal ruolo, viene preferita la prima (l’altra ha efficacia meramente ricognitiva).
La mancata sottoscrizione dei testimoni, invece, costituisce mera irregolarità della prova testimoniale e non nullità della stessa.
I processi verbali devono essere conservati in originale dal cancelliere e ad essi si applicano le norme dettate per la conservazione ed il rilascio degli atti processuali (in particolare, per il rilascio di copie autentiche si applicano gli artt. 743 e ss. c.p.c., mentre per la collazione l’
art. 746 del c.p.c.).
Esso costituisce valido titolo ai fini della
trascrizione, dovendosi ciò desumere dal disposto dell’
art. 2657 del c.c. e dalla circostanza che ha natura di atto pubblico; non può essere utilizzato, invece, ai fini dell’iscrizione dell’
ipoteca giudiziale, possibile solo in forza di
sentenza e di altri provvedimenti giudiziali ai quali la legge attribuisce espressamente tale effetto (sarà, dunque, necessario che il creditore, sulla base del processo verbale, ottenga un
decreto ingiuntivo, in forza del quale potrà iscrivere l’ipoteca giudiziale).
Alcuni processi verbali, inoltre, possono legittimare una esecuzione per consegna o rilascio o il soddisfacimento forzato di un credito pecuniario, e ciò nel caso in cui tale efficacia sia ad essi attribuita direttamente dalla legge o con provvedimento del giudice.
Costituisce
titolo esecutivo anche il verbale di conciliazione che si conclude dinanzi al consulente tecnico d’ufficio (nel momento in cui viene inserito nel fascicolo d’ufficio).
In tutti questi casi sarà comunque necessaria la spedizione in forma esecutiva ex artt. 475 e ss. c.p.c.
Se un processo verbale viene smarrito o distrutto, si ricorre alla sua surrogazione con una
copia autentica; in mancanza di questa, sarà necessario procedere ad una sua ricostruzione.
Dopo la loro formazione e chiusura non è consentito correggere i processi verbali, mentre ne è consentita la loro rinnovazione.
Per quanto concerne i verbali degli
ausiliari del giudice, occorre dire che il consulente tecnico è chiamato a redigere processo verbale delle sue indagini solo quando alle stesse abbia partecipato anche il giudice, mentre l’
ufficiale giudiziario deve sempre redigere verbale delle operazioni di
pignoramento che compie (non costituiscono verbale le
relate di notifica).