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Articolo 1146 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Successione nel possesso. Accessione del possesso

Dispositivo dell'art. 1146 Codice Civile

Il possesso continua nell'erede con effetto dall'apertura della successione.

Il successore a titolo particolare può unire al proprio possesso quello del suo autore per goderne gli effetti(1).

Note

(1) Chi succede a titolo particolare può avere intenzione di unire il suo possesso a quello del proprio dante causa, al fine di godere degli effetti del possesso in buona fede di questi.

Ratio Legis

La disposizione prevede due casi del tutto specifici.
Il comma primo, dispone, infatti, che, in ipotesi, di successione a titolo universale a causa di morte, il possesso, da parte del defunto, della cosa, prosegue nella persona dell'erede se questi accettata l'eredità, intesa come l'insieme dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo al de cuius, senza che sia necessario, in questo caso, l'impossessamento della cosa medesima.
Il comma secondo prevede, invece, che, in ipotesi di successione a titolo particolare per causa di morte (si pensi al legato) o per atto tra vivi (ad esempio, un contratto di compravendita), il possessore attuale ha la possibilità di unire il possesso del proprio dante causa al proprio, purché si verifichi un reale impossessamento, in presenza, cioè, di tutti gli elementi costitutivi del possesso.

Brocardi

Accessio possessionis
Bonorum possessores sunt qui alicui succedunt
Emptori tempus venditoris ad usucapionem prodest
Heres, ignoratione sua, defuncti vitia non excludit
Possessio defuncti quasi iuncta descendit ad heredem
Possessio testatoris ita heredi procedit, si medio tempore a nullo possessa est
Successio possessionis
Traditio possessionis
Vitia possessionum a maioribus contracta perdurarti, et successorem auctoris sui culpa comitatur

Spiegazione dell'art. 1146 Codice Civile

La successione nel possesso e l'accessione del possesso

La norma non richiede un particolare commento: essa riproduce il testo dell'art. 693 codice del 1865, precisando quanto, nel silenzio della legge, la dottrina già ammetteva che il possesso continuasse nell'erede con effetto sin dall'apertura della successione, e ciò a causa dell'efficacia retroattiva dell'accettazione dell’eredità.

Tanto per il nuovo codice come per il vecchio, il possesso dell'autore e quello dell'erede si considerano come un unico possesso, laddove nel caso di successione a titolo particolare si tratta di due possessi ben distinti che il successore ha la facoltà di unire. Perciò, mentre ad es. l'erede è possessore di buona o di mala fede, a seconda che fosse di buona o mala fede il possesso del de cuius, per la congiunzione dei possessi da parte del successore a titolo particolare occorreva che ciascuno di essi avesse i requisiti necessari affinché si riproducessero quegli effetti giuridici in vista dei quali si voleva utilizzare la congiunzione, e che la sola lacuna consisteva nella durata del possesso, alla quale appunto si ovviava con la congiunzione.

Per di più, mentre, come si è visto, la successio possessionis è possibile anche se di fatto l'erede non abbia avuto possesso nel periodo intermedio tra la delazione e l'accettazione, per la accessio possessionis occorre che i due possessi si susseguano immediatamente senza che interceda il possesso di un terzo.

È infine da rilevare che, per potersi operare l'accessio, il secondo possessore deve essere avente causa del primo, ed i possessi da unire devono corrispondere allo stesso diritto: per cui non sarebbe ad es. possibile l'unione di un possesso a titolo di piena proprietà con un possesso a titolo di usufrutto, e ciò nemmeno allo scopo di valersene con riferimento al diritto minore.


L'art. 460 c.c.

La disposizione non ha nulla a che vedere con quella contenuta nell' art. 460 del c.c., in forza della quale «il chiamato alleredità può esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, anche senza bisogno di materiale apprensione».

Lo scopo di quest'ultima norma, rileva la Relazione al Re Imperatore, è soltanto quello di consentire al chiamato, nel periodo intermedio tra la delazione e l'acquisto dell’eredità, la tutela possessoria dei beni ereditari vincolata dai presupposti che la legge normalmente richiede: esso pertanto differisce dallo scopo perseguito dalla norma in esame, nella quale si dispone la continuazione di diritto del possesso, ma per l'ipotesi in cui il chiamato abbia già acquistato la qualità di erede.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

538 Per ciò che concerne la successio in possessionem e l'accessio possessionis, l'art. 1146 del c.c. riproduce, con lieve variante, la formula dell'art. 693 del codice del 1865. Il possesso continua in colui che per effetto dell'accettazione ha acquistato la qualità ereditaria: anche se di fatto non ha avuto il possesso nel periodo intermedio tra la delazione e l'accettazione dell'eredità, l'erede, data l'efficacia retroattiva dell'accettazione, continua il possesso con effetto dall'apertura della successione. Il possesso dell'autore e quello dell'erede si considerano come un unico possesso: l'erede è possessore di buona o di mala fede secondo che era di buona o di mala fede il possesso del suo autore. Nel caso invece di successione a titolo particolare si hanno due possessi distinti; salva la facoltà del successore a titolo particolare di congiungere il possesso proprio a quello del suo dante causa per goderne gli effetti.

Massime relative all'art. 1146 Codice Civile

Cass. civ. n. 19940/2022

Il divieto di cessione del diritto reale di uso su una porzione di cortile condominiale attribuito ad uno dei condomini non comporta che non sia configurabile in favore del successore a titolo particolare nella proprietà individuale dell'unità immobiliare, al cui servizio essa è destinata, anche in difetto di espressa menzione dei diritto d'uso nel contratto di alienazione, l'accessione del possesso agli effetti dell'art. 1146, comma 2, c.c. (nella specie, allo scopo di suffragare una maturata usucapione), occorrendo ai fini del cumulo dei distinti possessi del successore e del suo autore unicamente la prova di un 'titolo' astrattamente idoneo, ancorché invalido, a giustificare la "traditio" del medesimo oggetto del possesso. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto che l'accessione del possesso del diritto reale di uso dell'area di cortile antistante l'unità immobiliare di proprietà esclusiva, può realizzarsi in favore del successore a titolo particolare nella proprietà dell'immobile, unendo il proprio possesso a quello della società costruttrice, relativo all'uso esclusivo della porzione di cortile riservato dal regolamento condominiale).

Cass. civ. n. 8596/2022

In tema di accessione del possesso, di cui all'art. 1146, comma 2 c.c., affinché operi il trapasso del possesso dall'uno all'altro dei successivi possessori e il successore a titolo particolare possa unire al proprio il possesso del dante causa, è necessario che il trasferimento trovi la propria giustificazione in un titolo astrattamente idoneo, ancorché invalido o proveniente "a non domino", a giustificare la "traditio" del bene oggetto del possesso. (Nella specie, il venditore si era dichiarato proprietario del bene stesso per usucapione, pur in assenza di sentenza dichiarativa dell'intervenuta usucapione.

Cass. civ. n. 6728/2022

Il principio dell'accessione del possesso è applicabile non solo all'usucapione di cui all'art. 1158 c.c., ma anche a quella decennale di cui all'art. 1159 c.c.; in quest'ultimo caso, ai fini della maturazione dell'usucapione abbreviata in favore di chi abbia acquistato da meno di dieci anni e unisca al proprio il possesso del suo autore per goderne gli effetti, il decennio "ad usucapionem" decorre dalla data della trascrizione del titolo di acquisto del suo autore.

Cass. civ. n. 24175/2021

In tema di accessione nel possesso, mentre il comma 1 dell'art. 1146 c.c. stabilisce la continuazione del possesso del "de cuius" in capo all'erede senza alcuna interruzione per effetto dell'apertura della successione, il comma 2 della cit. norma prevede, per il successore a titolo particolare (tanto "inter vivos" quanto "mortis causa"), la facoltà di unire il proprio possesso a quello del suo autore, con la conseguenza che tale successore non subentra "ipso facto" nel possesso della cosa per effetto dell'acquisto del diritto, occorrendo, all'uopo, che si stabilisca un ulteriore rapporto di fatto tra detto acquisto e la cosa, analogo, seppur distinto, a quello fra la cosa stessa ed il suo dante causa, non essendo sufficiente, ai fini dell'"accessio possessionis", il semplice diritto a possedere.

Cass. civ. n. 9359/2021

Il coerede che, dopo la morte del "de cuius", sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso; a tal fine, però, egli, che già possiede "animo proprio" ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, godendo del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare un'inequivoca volontà di possedere "uti dominus" e non più "uti condominus", risultando a tal fine insufficiente l'astensione degli altri partecipanti dall'uso della cosa comune. (Nella specie la S.C., riformando la pronuncia di merito, ha escluso che possa costituire prova dell'usucapione di un appartamento la circostanza che il coerede, che già vi abitava con il padre, abbia continuato, dopo la morte di questi, ad essere l'unico ad averne la disponibilità). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 10/07/2015).

Cass. civ. n. 20715/2018

In tema di accessione nel possesso, di cui all'art. 1146, comma 2, c.c., affinché operi il trapasso del possesso dall'uno all'altro dei successivi possessori e il successore a titolo particolare possa unire al proprio il possesso del dante causa, è necessario che il trasferimento trovi la propria giustificazione in un titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà o altro diritto reale sul bene; ne consegue, stante la tipicità dei negozi traslativi reali, che l'oggetto del trasferimento non può essere costituito dal mero potere di fatto sulla cosa.

Cass. civ. n. 14505/2018

La continuazione del possesso in favore dell'erede opera automaticamente, ai sensi dell'art. 1146, comma 1, c.c., diversamente dalla "accessio possessionis" a vantaggio del successore a titolo particolare di cui all'art. 1146, comma 2, c.c. che, invece, rimette alla volontà dell'acquirente, manifestata anche implicitamente e senza il ricorso a forme sacramentali, la scelta di unire il proprio possesso a quello del dante causa.

Cass. civ. n. 19724/2016

In tema di accessione nel possesso ex art. 1146, comma 2, c.c., affinché operi il trapasso del possesso dall'uno all'altro dei successivi possessori ed il successore a titolo particolare possa unire al proprio quello del dante causa, è necessario che il trasferimento sia giustificato da un titolo astrattamente idoneo al passaggio della proprietà od altro diritto reale sul bene, sicché va esclusa, per difetto di forma del sottostante atto traslativo, l'operatività dell'accessione rispetto al possesso di un terreno incluso tra i beni di una azienda ceduta con contratto verbale in caso di cessione d'azienda.

Cass. civ. n. 15020/2013

Nel sistema tavolare, la mancata intavolazione della servitù comporta l'inefficacia del trasferimento successivo sotto il profilo del difetto di titolarità in capo all'autore, ma tale inefficacia rientra nella fisiologia dell'istituto dell'accessione del possesso, che presuppone un titolo (non idoneo, bensì) solo astrattamente idoneo al trasferimento. Ne consegue che, intavolato l'acquisto della proprietà, si trasferisce per accessione il possesso della servitù attiva, abbia o no già determinato l'acquisto del relativo diritto per usucapione.

Cass. civ. n. 18909/2012

L'accessione del possesso della servitù a favore del successore a titolo particolare della proprietà del fondo dominante, ferma la necessità di un titolo astrattamente idoneo a trasferire quest'ultimo, non richiede, ai sensi dell'art. 1146, comma secondo, c.c., l'espressa menzione della servitù nel titolo di acquisto.

Cass. civ. n. 17491/2012

In caso di morte dell'usuario di un immobile, con conseguente estinzione del diritto d'uso dovuta alla sua intrasferibilità "mortis causa" è inapplicabile, in favore degli eredi che siano subentrati nel godimento del bene, la successione nel possesso, agli effetti dell'art. 1146 c.c..

Cass. civ. n. 22348/2011

Chi intende avvalersi dell'accessione del possesso di cui all'art. 1146, secondo comma, c.c., per unire il proprio possesso a quello del dante causa ai fini dell'usucapione, deve fornire la prova di aver acquisito un titolo astrattamente idoneo (ancorché invalido o proveniente "a non domino") a giustificare la "traditio" del bene oggetto della signoria di fatto, operando detta accessione con riferimento e nei limiti del titolo traslativo e non oltre lo stesso. Ne consegue che il convenuto in azione di regolamento di confini che eccepisca l'intervenuta usucapione invocando l'accessione del possesso, deve fornire la prova dell'avvenuta "traditio" in virtù di un contratto comunque volto a trasferire la proprietà del bene in questione.

Cass. civ. n. 15967/2011

Per effetto di una "fictio iuris", il possesso del "de cuius" si trasferisce agli eredi i quali subentrano nel possesso del bene senza necessità di una materiale apprensione, occorrendo solo la prova della qualità di eredi; detta continuità nel possesso tra il "de cuius" e l'erede consente a quest'ultimo, pur in assenza della materiale apprensione dei beni ereditari, il legittimo esercizio delle azioni possessorie.

Cass. civ. n. 4428/2009

Il compossessore "pro indiviso" di un immobile, che poi consegua il possesso esclusivo di una porzione di esso in esito a divisione, può invocare, ai fini dell'usucapione di tale porzione, anche il precedente compossesso, in virtù della sopravvenuta qualità di successore nel compossesso degli altri condividenti e della possibilità, prevista dall'art. 1146, comma secondo, cod. civ., di accessione del proprio possesso a quello esercitato dai condividenti medesimi.

Cass. civ. n. 20303/2008

Il regime successorio dei masi chiusi si distingue da quello ordinario solo in virtù della tutela dell'indivisibilità dell'unità immobiliare, non escludendo, conseguentemente, che l'assuntore del maso possa cumulare, ai fini dell'usucapione, il possesso esclusivo conseguito per effetto della divisione a quello esercitato di fatto in qualità di compossessore prima della divisione stessa.

Cass. civ. n. 20287/2008

L'accessione del possesso della servitù, ai sensi dell'art. 1146, secondo comma, cod. civ., si verifica, a favore del successore a titolo particolare nella proprietà del fondo dominante, anche in difetto di espressa menzione della servitù nel titolo traslativo della proprietà del fondo dominante e anche in mancanza di un diritto di servitù già costituito a favore del dante causa.

Nelle province in cui vige il sistema tavolare, il principio dell'accessione del possesso, disciplinato dall'art. 1146 cod. civ., non opera in caso di omissione dell'intavolazione del diritto acquistato, per atto tra vivi, dal successore a titolo particolare, mentre, nel caso in cui l'accessione del possesso riguardi un diritto di servitù, non solo non occorre l'espressa menzione, nel titolo di trasferimento dell'avente causa, dell'esistenza della servitù, ma non è neanche necessaria l'intavolazione del diritto del dante causa, essendo un elemento tipico dell'accessione l'inefficacia o l'inidoneità dell'atto formale di cessione.

Cass. civ. n. 11131/2006

Nell'ipotesi di alienazione di un immobile realizzato in violazione delle prescrizioni di cui all'art. 873 c.c., il successore a titolo particolare che invochi l'acquisto per usucapione del diritto (servitù) di mantenerlo a distanza inferiore a quella legale può, in virtù del principio dell'accessione di cui al secondo comma dell'art. 1146 c.c., unire al proprio possesso quello del suo dante causa, giacché in materia di servitù — trattandosi di un diritto di natura reale — occorre fare riferimento al dato obiettivo del rapporto tra i fondi, non assumendo rilievo le persone che la esercitano e coloro che hanno un interesse contrario; d'altra parte, ai fini dell'acquisto per usucapione di una servitù continua (come appunto quella in oggetto), è sufficiente l'esistenza della prescritta durata ventennale di opere visibili e permanenti destinate al suo esercizio.

Cass. civ. n. 18750/2005

In tema di usucapione, colui che — ai fini dell'accessione prevista dall'art. 1146 comma secondo c.c. — intende unire il proprio possesso a quello del dante causa deve fornire la prova di avere acquistato con un titolo astrattamente idoneo al trasferimento (ancorché invalido o proveniente a non domino) il medesimo diritto oggetto del possesso;. pertanto, con riferimento all'usucapione di un diritto reale limitato come quello di servitù, il titolo idoneo non può essere costituito dal contratto di vendita del fondo (preteso) dominante nel quale non sia specificamente menzionata la servitù, atteso che l'accessione nel possesso opera nei soli limiti del titolo traslativo, sicché il trasferimento del fondo dominante può essere sufficiente a trasferire la servitù esclusivamente nel caso in cui questa sia già sussistente a favore del fondo alienato ma non nell'ipotesi in cui sia in corso il possesso ad usucapionem da parte del cedente. (Nella specie, è stato escluso che, in relazione all'acquisto per usucapione di una servitù di veduta, ricorressero le condizioni per l'accessione del possesso invocata dall'acquirente della proprietà del fondo preteso dominante, atteso che nel contratto di compravendita non si faceva alcuna menzione dell'esistenza di un diritto di servitù a favore del fondo medesimo).

Cass. civ. n. 8502/2005

In tema di accessione nel possesso, di cui all'art. 1146, secondo comma, c.c., affinché operi il trapasso del possesso dall'uno all'altro dei successivi possessori e il successore a titolo particolare possa unire al proprio il possesso del dante causa è necessario che il trasferimento trovi la propria giustificazione in un titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà o altro diritto reale sul bene; ne consegue, stante la tipicità dei negozi traslativi reali, che l'oggetto del trasferimento non può essere costituito dal trasferimento del mero potere di fatto sulla cosa.

Cass. civ. n. 13695/2003

In tema di acquisto del diritto di proprietà o di altro diritto reale per effetto di usucapione, l'accessione al possesso del dante causa, prevista dall'art. 1146 c.c. presuppone l'identità del contenuto e del tipo di possesso esercitato dal successore a titolo particolare. (La S.C., nel cassare la sentenza di appello che aveva riconosciuto l'usucapione della servitù di passaggio a favore delle parti comuni dell'edificio, ha ritenuto che non era stato dai giudici compiuto, ai fini dell'accessione di cui all'art. 1146 c.c., l'accertamento in ordine al contenuto del possesso, posto che dagli elementi desumibili dalla sentenza impugnata andava anzi esclusa la coincidenza fra il possesso esercitato per le esigenze del cantiere durante la realizzazione del fabbricato dall'impresa costruttrice, oltretutto proprietaria all'epoca anche dell'immobile che dovrebbe essere gravato dalla servitù, e quello degli acquirenti delle singole unità immobiliari praticato per l'accesso veicolare alla pubblica via).

Cass. civ. n. 6965/2001

L'erede non convivente del conduttore di immobile adibito ad abitazione non gli succede nella detenzione qualificata e poiché il titolo si estingue con la morte del titolare del rapporto — analogamente al caso di morte del titolare dei diritti di usufrutto, uso o abitazione - quegli è un detentore precario della res locata al de cuius, sì che nei suoi confronti sono esperibili le azioni di rilascio per occupazione senza titolo e di responsabilità extracontrattuale.

Cass. civ. n. 6852/2001

Per effetto di una fictio iuris, il possesso del de cuius si trasferisce agli eredi i quali subentrano nel possesso del bene senza necessità di una materiale apprensione, occorrendo solo la prova della qualità di eredi. Il principio della continuità nel possesso tra il de cuius e l'erede consente a quest'ultimo, pur in assenza della materiale apprensione dei beni ereditari, il legittimo esercizio delle azioni possessorie.

Cass. civ. n. 4630/2001

L'operatività della successione nel possesso (di cui all'art. 1146, primo comma, c.c.) presuppone l'esistenza in capo al de cuius del possesso della res, il quale, secondo la nozione fornitane dall'art. 1140 c.c., si identifica nella manifestazione di un potere di fatto sulla cosa corrispondente all'esercizio di un diritto reale. Ne consegue che ove la successio possessionis sia negata da colui nei cui confronti essa sia fatta valere è onere dell'erede dimostrare l'esistenza in capo al de cuius del suddetto rapporto di fatto con il bene in contestazione. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto inidonee a fornire la necessaria prova del possesso del de cuius le cartelle esattoriali a questo intestate concernenti il pagamento di un tributo immobiliare sul bene in contestazione, sul principale rilievo che tali documenti potevano al più costituire elementi indiziari della situazione possessoria apprezzabili ai fini della positiva valutazione di altre e più qualificanti risultanze probatorie).

Cass. civ. n. 6382/1999

L'accessione del possesso di cui all'art. 1146, secondo comma c.c. opera con riferimento e nei limiti del titolo traslativo e non oltre lo stesso.

Cass. civ. n. 5221/1998

II principio della continuità nel possesso tra il de cuius e l'erede (art. 1146, primo comma, c.c.) consente a quest'ultimo, pur in assenza della materiale apprensione dei beni ereditari, il legittimo esercizio delle azioni possessorie, a fondamento delle quali è sufficiente la dimostrazione, da parte di chi invochi la successio possessionis, dell'esistenza di un titolo, anche invalido, (nella specie, il testamento) astrattamente idoneo al trasferimento dei beni ereditari, con la conseguenza che il giudizio possessorio così instaurato non può essere sospeso in attesa dell'esito del giudizio petitorio nel quale si discuta della validità del testamento.

Cass. civ. n. 9884/1996

Oggetto di un contratto di compravendita può essere solo il trasferimento della proprietà di una cosa o di un altro diritto; con la conseguenza che detto contratto non può avere ad oggetto il trasferimento del possesso di un immobile in sé e per sé (non collegato, cioè, alla cessazione della proprietà dello stesso) e da esso, ove comunque posto in essere dalle parti, non possono derivare gli effetti dell'accessione del possesso di cui all'art. 1146, secondo comma, c.c., in quanto il possesso «unibile» ai sensi di detta norma è esclusivamente quello del precedente titolare del diritto trasferito. L'acquisto della proprietà di un immobile per effetto dell'usucapione, affinché possa esser fatto valere e formare oggetto di un contratto di vendita, deve essere dapprima accertato e dichiarato nei modi di legge.

Cass. civ. n. 4193/1995

Ai fini dell'usucapione ordinaria è inammissibile il cumulo del proprio possesso con la detenzione di colui che, in quanto affittuario dell'immobile, non è autore del trasferimento a titolo particolare della cosa che sarebbe stata usucapita.

Cass. civ. n. 5731/1994

Il coniuge che continua ad abitare la casa di abitazione coniugale in comune proprietà, dopo la morte dell'altro (coniuge), anche per la quota di questo, in forza del diritto di abitazione che è a lui riservato dall'art. 540 c.c., acquista il possesso solo rappresentativo della quota trasferita in proprietà agli eredi del coniuge deceduto i quali, conseguentemente, subentrano egualmente, ai sensi dell'art. 1146 c.c., nel possesso del bene senza necessità di materiale apprensione.

Cass. civ. n. 5623/1989

Il principio della accessione del possesso, ai sensi dell'art. 1146, secondo comma, c.c. secondo cui il successore a titolo particolare può unire il suo possesso a quello del proprio dante causa allo scopo di goderne gli effetti (e perciò, ai fini dell'usucapione), non può operare quando sia stata dichiarata la risoluzione del suo titolo d'acquisto.

Cass. civ. n. 6552/1981

Ai fini del cumulo di due distinti possessi ex art. 1146 c.c., è necessaria la prova, da parte di chi intende valersene, nel caso di successio possessionis, della qualità di erede e, nell'ipotesi di accessio possessionis, di un titolo idoneo in astratto a trasmettere la proprietà od altro diritto reale, anche se invalido.

Cass. civ. n. 3840/1978

In regime tavolare, l'acquirente da chi non è proprietario dell'immobile venduto non può unire il possesso dell'autore del trasferimento al proprio perché, mancando l'intavolazione a favore del dante causa ed avendo l'iscrizione nel libro fondiario valore costitutivo dell'acquisto della proprietà, viene a mancare anche in astratto il titolo idoneo a trasmettere la proprietà o altro diritto reale che importi come conseguenza la sostituzione nel possesso di un soggetto ad un altro.

Cass. civ. n. 1407/1976

Gli istituti della successione e dell'accessione, disciplinati in relazione al possesso dall'art. 1146 c.c., non sono applicabili alla detenzione; invero, costituendo la detenzione di un determinato bene manifestazione di facoltà proprie di un rapporto obbligatorio, una successione sia a titolo universale che particolare può ipotizzarsi solo nel rapporto medesimo, ove la natura di esso lo consenta. (Nella specie, deceduto il comodatario di un immobile adibito ad uso di abitazione, ed immessosi in esso il di lui erede, il giudice del merito qualificava questi successori nella detenzione del de cuius e, in mancanza di un atto di interversio possessionis, ne rigettava la domanda di intervenuta usucapione del bene; la Corte Suprema ha cassato la sentenza, enunciando il principio di cui in massima).

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G. M. chiede
giovedì 26/09/2024
“Ho acquistato un appartamento in un condominio e nella fase di accordi conclusivi il venditore mi ha assicurato di poter continuare ad utilizzare anche un box-ripostiglio non di sua proprietà ed indicato in catasto con n° mappale e rimasto di proprietà della ditta costruttrice di 50 anni addietro la quale non è più reperibile. Il venditore ha utilizzato tale bene da quasi 50 anni, ha installato un punto di illuminazione (prima inesistente), collegato con un contatore dedicato e quindi vengono pagate anche le relative spese luce. Inoltre, probabilmente per accordo con i vecchi condomini nessuno ha mai reclamato alcun diritto o tentato di utilizzare tale box. Il box è chiuso con una catenella amovibile ed il venditore inoltre ha sempre pagato le spese condominiali risultanti dalle tabelle millesimali di proprietà, ancorchè non di sua proprietà. Ora continuo a pagare io le spese millesimali di proprietà relative al box. Il venditore mi ha detto che ad un certo punto era sua volontà usucapire tale bene ma non ha mai dato seguito a questa idea. Mi ha consigliato di continuare ad usare tranquillamente tale box perchè nessuno si è mai opposto al suo uso esclusivo, anche perchè il proprietario originario risulta irreperibile. Nulla è stato scritto in merito al box nel nostro contratto di compravendita, rimane solo quanto dettomi dal venditore circa il suo uso e possesso ed ho verificato gli estremi catastali che corrispondono al vero!
1^ domanda: sono proprietario dell'appartamento da soli 3 anni e continuo ad usare il box; potrei io procedere con l'usucapione come nuovo proprietario che subentra al vecchio proprietario che certamente aveva diritto di usucapione perchè utilizzava il bene da più di 20 anni, ma non lo ha fatto?
2^ domanda: il box si trova al livello -3 dei piani garage sottoterra, vi si accede con una rampa, ha un'altezza di soli mt. 1,75 ed è molto molto umido. Parlando di valore presumo che il suo valore sia veramente infimo. Quindi se sussiste (ma non è detto, dipende dalla vs. risposta!) la possibilità di fare l'usucapione, quanto potrebbe costarmi questa pratica?
Grazie”
Consulenza legale i 02/10/2024
L’usucapione è un mezzo di acquisto originario della proprietà (o di altro diritto reale su cosa altrui), che si concretizza nel momento in cui un soggetto possiede il bene in maniera pacifica ed ininterrotta per un determinato periodo di tempo (solitamente venti anni ex art. 1158 del c.c.). Quando si acquista la proprietà di un bene per mezzo di tale istituto solitamente non si ha un titolo, banalizzando "un pezzo di carta" che attesta che colui che usucapisce è divenuto proprietario di quel determinato cespite. Il motivo di tutto questo è facilmente spiegabile: l’usucapione è la conseguenza di una determinata situazione di fatto che si protrae per un tempo prestabilito dalla legge (il possesso del bene), e questa è una circostanza che semplicemente avviene con il passare del tempo e non può essere cristallizzata in un determinato atto giuridico, come un rogito notarile. Per tale motivo, spesso sorge l’esigenza per il proprietario di avere un documento che certifichi il suo acquisto per usucapione: l’unico modo però per realizzare tale obbiettivo è quello di promuovere una causa nei confronti di coloro che risulterebbero in teoria formalmente proprietari del bene per far accertare l’intervenuta usucapione contro di loro e ovviamente a favore di parte attrice. Se il contenzioso avrà l’esito sperato da chi lo promuove, si avrà finalmente un titolo, e nello specifico una sentenza, che accerterà l’acquisto per usucapione: il titolo potrà poi essere utilizzato per procedere alle necessarie trascrizionie volturazioni nei registri immobiliari e al catasto.

Sulla base di quanto viene riferito nel quesito sussistono tutti gli estremi per instaurare un contenzioso teso ad ottenere un provvedimento giudiziario che accerti l’intervenuta usucapione a favore dell’autore del quesito: per far maturare il termine ventennale previsto dall’art. 1158 del c.c. egli, ai sensi del 2° comma dell’art. 1146 del c.c., potrà sicuramente sommare il possesso da lui esercitato sul bene per tre anni con quello precedente del suo venditore.
Se si vuole intraprendere tale percorso si deve però tenere ben presente che sussistono due difficoltà che si dovranno affrontare: la prima, è quella di fornire le prove al giudice che si è effettivamente usucapito il bene per il tramite di un possesso ultraventennale, la seconda è quella di individuare il soggetto contro cui proporre l’azione giudiziaria.

Il primo aspetto, in realtà, è facilmente superabile in quanto vi sono tutti gli elementi per assolvere all’onere probatorio richiesto per avere un esito vittorioso della causa: in giudizio si potranno per esempio produrre i rendiconti del condominio, ove si evince che sono stati sempre sopportati gli oneri condominiali del cespite di cui si chiede l’usucapione e ovviamente le bollette inerenti al punto luce separato. A tutto questo dovrà aggiungersi la essenziale testimonianza del precedente possessore, oltre che quella dell’amministratore di condominio e magari di qualche altro condomino che vive nel palazzo da lungo tempo.

Il secondo problema è di più difficile soluzione in quanto è necessario individuare un soggetto da convenire in giudizio e contro cui proporre l’azione di accertamento della intervenuta usucapione: probabilmente questo problema potrà essere risolto ricorrendo alla notifica per pubblici proclami ex art. 150 del c.p.c., tuttavia non si hanno elementi sufficienti per riflessioni più approfondite in merito.
Certamente però questo è uno degli aspetti che potranno portare ad un aumento dei costi necessari per sostenere la causa, di cui non possiamo fornire un preventivo in questa sede. Quello che qui si può dire in merito è che i costi di un contenzioso di questo tipo non dipendono in alcun modo dalle condizioni del cespite che si intende usucapire, ma piuttosto dalle attività che il legale deve portare avanti per radicare in maniera proficua il processo. È molto probabile che il precedente possessore del bene abbia desistito nel portare avanti la causa proprio perché i suoi costi sono effettivamente più elevati rispetto all’effettivo valore della cantina.


I.C. chiede
venerdì 03/09/2021 - Piemonte
“Buongiorno, questo il fatto: acquisterei una quota indivisa di 2/3 di un'area edificab. dalla propr. A che l'ha acquistato nel 1964, la rimanente quota di 1/3 è tutt'ora di propr. di B persona defunta 06/12/2010; la propr.A non sa nulla di B, se ci sono eredi, da uff. Volontaria giurisdizione Tribun. Alessandria giunta comunic. che non c'è nulla di depositato, (successione o altro) da visura in conservatoria non risulta alcuna successione o altro, la propr. A è sempre stata come si dice al possesso e custode dell'immobile anche facendolo pulire; si prospetterebbe una pratica di usucapione fatta da propr. A della quota di 1/3 di B per poi venderla, vorrei sapere se potrei fare anch'io l'usucapione dopo avere fatto l'acquisto dei 2/3 della propr.A”
Consulenza legale i 09/09/2021
E’ certamente possibile realizzare giuridicamente quanto prospettato nel quesito, ossia acquistare la quota dell’area edificabile pari a 2/3 indivisi di cui A è comproprietario, per poi avvalersi dell’istituto dell’usucapione per conseguire a titolo originario la piena proprietà del restante terzo indiviso.

Innanzitutto si ritiene possa risultare utile affrontare il tema della ammissibilità di un possesso ad usucapionem di quota indivisa, in relazione al quale si sono sviluppate due diverse linee interpretative.
La prima, per la verità minoritaria, è negativa, argomentando dalla difficoltà di cogliere l’entità della quota di fatto posseduta dall’interessato dinanzi a un contestuale compossesso inter partes.
La seconda corrente di pensiero, prevalente anche in giurisprudenza, è orientata positivamente e trova riscontro nell’art. 1140 del c.c..

In linea generale può dirsi che il potere di fatto sulla cosa corrisponde all’esercizio di diritti in comunione allorquando il possesso sia esercitato, al medesimo titolo, da ciascun compartecipe, servendosi della cosa comune senza impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
Per potersi realizzare l’usucapione della proprietà esclusiva, invece, sarà necessario che il compossessore estenda il possesso in via esclusiva sul bene comune, unitariamente inteso, in modo da dimostrare l’impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene.

Al fine di integrare questo c.d. possesso esclusivo non sono sufficienti occasionali atti di utilizzazione della cosa comune (che si può presumere essere stati compiuti per mera tolleranza ex art. 1144 del c.c., ad esempio per spirito di amicizia, di gentilezza, di cordialità, di buon vicinato etc.), ma occorrono atti integranti un comportamento durevole nel tempo, tale da ingenerare un possesso esclusivo animo domini sulla cosa nella sua interezza, incompatibile con l’originario permanere del godimento uti condominus.

In particolare, la Cassazione ha affermato che “in tema di comunione, non essendo ipotizzabile un mutamento della detenzione in possesso, né una interversione nel possesso nei rapporti tra comproprietari, ai fini della decorrenza della usucapione è idoneo soltanto un atto (o un comportamento) il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi, per un verso, l’impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire il rapporto materiale con il bene e, per altro verso, denoti inequivocabilmente l’intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva” (cfr. Cass. del 09.04.1990 n. 2944).
E ancora, è stato affermato che “il godimento del bene comune può essere invocato dal comproprietario, al fine dell’usucapione della proprietà dello stesso, solo quando si traduca in possesso esclusivo con riguardo sia al corpus che all’animus incompatibile con il permanere del compossesso altrui” (cfr. Cass. del 26.06.1999 n. 6382) o che “per il combinato disposto dell’art. 1102, c. 2 cc. e 1141, comma 2 c.c. con riferimento ai beni in comunione non è sufficiente il solo possesso perché possa maturare l’usucapione a favore di uno dei compartecipanti, occorrendo un comportamento materiale che esteriorizzi sin dall’inizio in maniera non equivoca l’intento di possedere il bene in maniera esclusiva” (cfr. Cass. del 29.09.2000 n. 12961).

Precisato quanto sopra, la norma che consente di realizzare il fine qui desiderato è l’art. 1146 c.c., il quale riconosce al successore a titolo particolare (si definisce tale l’acquirente) il diritto di unire al suo possesso quello del suo autore (ossia il venditore) al fine di farne propri gli effetti.
Si tratta dell’istituto giuridico della c.d. accessione del possesso, per mezzo del quale è possibile calcolare il periodo di venti anni, richiesto dall’art. 1158 del c.c., su più situazioni soggettive, nel senso che può iniziare in capo ad alcuni soggetti per poi proseguire in capo ad altri, in modo tale che l’ultimo dei possessori possa giovarsi del periodo di possesso esercitato dai suoi danti causa, sommandolo al proprio.

La Cassazione ha avuto in diversi casi occasione di chiarire quali sono i limiti e le modalità con cui puòa darsi luogo ad accessione del possesso, precisando che non è sufficiente la trasmissione del mero potere di fatto sulla cosa fra due soggetti, ma occorre che ciò avvenga in forza di un titolo astrattamente idoneo a trasferire anche il diritto ad immagine del quale quel possesso si esercita.
In particolare, è stato affermato che “In tema di accessione nel possesso, di cui all’art. 1146 c.c., comma 2, affinché operi il trapasso del possesso dall’uno all’altro dei successivi possessori e il successore a titolo particolare possa unire al proprio il possesso del dante causa, è necessario che il trasferimento trovi la propria giustificazione in un titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà o altro diritto reale sul bene; dal che consegue, stante la tipicità dei negozi traslativi reali, che l’oggetto del trasferimento non può essere costituito dal trasferimento del mero potere di fatto sulla cosa” (cfr. Cass. Sez. II Civile, 30 gennaio 2017, n. 2295; Cass. 16-3-2010 n. 6353; Cass. 22-4-2005 n. 8502).

Pertanto, il trasferimento a titolo oneroso della comproprietà pari a 2/3 indivisi dell’area edificabile potrà farsi valere quale valido titolo per consentire all’acquirente (o avente causa) di continuare ad esercitare quel possesso esclusivo animo domini esercitato dal suo dante sulla cosa nella sua interezza, incompatibile con l’originario permanere del godimento uti condominus ed in grado, come tale, di farne valere l’usucapione per decorso del termine ventennale.

Altra soluzione che può suggerirsi, per evitare di dover attendere che l’alienante consegua l’accertamento giudiziale dell’usucapione in suo favore, è quello di ricorrere, per la quota indivisa di proprietà altrui, alla c.d. “vendita per possesso”, per mezzo della quale è consentito realizzare il trasferimento della proprietà di un bene immobile ad un terzo da parte di colui che non risulta effettivo intestatario del bene immobile nei Pubblici Registri, ma che dichiara apertis verbis sotto la propria responsabilità di esserne il vero ed effettivo proprietario per aver esercitato sul bene il possesso ad usucapionem richiesto dalla legge.
Per la verità in passato si è molto discusso della validità di tale operazione e per questo molti notai si rifiutano di ricevere un atto di tale tipo, argomentando dalla considerazione che il possesso costituisce una situazione di fatto e come tale non può essere certo trasferito mediante un atto notarile.
Tuttavia, i dubbi sorti al riguardo sono stati successivamente superati facendosi osservare che non deve confondersi la “vendita del possesso” (sicuramente non ammessa) con la “vendita per possesso”, che è quella che qui si suggerisce.
Anche la Cassazione, con sentenza n. 2485 del 5.02.2007, ammette esplicitamente il trasferimento di proprietà per possesso, negando ogni forma di responsabilità del notaio che si sia prestato a stipulare una vendita di immobile (in quel caso terreni) per i quali l’alienante assumeva solo di aver acquistato la proprietà per usucapione senza relativo accertamento giudiziale.

Chiaramente una vendita di tale tipo reca con sé sempre il pericolo che un giorno si possa presentare l’intestatario originario dell’immobile, contestando l’affermazione dell’alienante di aver usucapito il bene, tentando così di riottenerne a suo favore l’intestazione.
Per tale ragione, è indispensabile che il notaio avverta esplicitamente l’acquirente non solo delle conseguenze positive a suo favore, ma anche delle conseguenze e dei rischi negativi per l’ipotesi di azione rivendicatoria da parte dell’intestatario.
A tal fine sarà opportuno che il notaio inserisca nello stesso atto notarile di vendita per possesso sia la dichiarazione del venditore di voler effettuare la vendita sotto la sua responsabilità, prestando le ampie garanzie di cui agli artt. 1483 e 1484 c.c., sia la dichiarazione di aver avvertito l’acquirente sui rischi connessi a tale vendita, dando atto che essi sono stati ben compresi dal medesimo acquirente, il quale, nonostante i rischi, ha chiesto al notaio di ricevere ugualmente l’atto di trasferimento, esonerandolo da ogni responsabilità per il caso di possibile azione rivendicatoria.



Adriano chiede
giovedì 07/11/2019 - Sicilia
“Buonasera più di vent'anni fa il mio vicino, proprietario di una porzione di lastrico solare si è appropriato di una piccola parte (20 mq) del mio lastrico di proprietà esclusiva confinante ove è edificato un manufatto. Di questa parte per i più svariati motivi non ho mai provveduto a richiedere indietro tale parte a me sottratta. DA QUALCHE MESE il lastrico del mio vicino è stato venduto a nuovi proprietari il quale mi dicono che quel pezzo appartiene a loro. Ho mostrato la mia planimetria, l'atto d'acquisto e quelli vecchi il quale dice che il mio lastrico è sovrastante al mio appartamento ma loro mi riferiscono che passati 20 anni la proprietà è loro anche senza sentenza. Ho chiesto come facessero a dimostrare che il manufatto fosse li da più di 20 anni e mi hanno fatto presente che (credo alla regione) ci sono le riprese aerofotogrammetriche. Al che ho replicato che il possesso inizia da quando loro hanno acquistato casa e comunque anche se in possesso di foto dall'alto non potrebbero mai dimostrare che la porta di entrata nel manufatto sia sempre stata dal loro lato. Cosa ne pensate della vicenda? Grazie”
Consulenza legale i 13/11/2019
L’art. 922 del c.c. annovera espressamente l’usucapione tra i modi di acquisto a titolo originario della proprietà.
Della sua disciplina il codice civile si occupa in particolare agli artt. 1158 e ss. c.c., disponendo proprio all’art. 1158 del c.c. che l’acquisto della proprietà e degli altri diritti reali su beni immobili si perfeziona a seguito del protrarsi del possesso sul bene per un periodo ultraventennale.
Il fondamento di tale acquisto, dunque, si individua in una particolare situazione di fatto, che viene esercitata senza alcuna interruzione da parte di colui che, attraverso questo suo prolungato possesso, si sostituisce al titolare effettivo del diritto.

Ai fini dell’usucapione, poi, è anche necessario che colui il quale risulti titolare del diritto sul bene si astenga dall’esercitarlo per un egual periodo, essendo sufficiente per escludere il maturarsi di essa il compimento da parte dell’effettivo titolare di qualunque atto che, pur se privo di efficacia interruttiva, manifesti la persistenza della titolarità del diritto.

Come si ritiene possa facilmente intuirsi, quanto fin qui esposto corrisponde integralmente alla situazione descritta nel quesito, ove viene detto che il vicino, proprietario già di una porzione di lastrico solare, si è appropriato da più di venti anni di una piccola parte del lastrico solare di chi pone il quesito, occupata da un manufatto; a tale situazione, peraltro, non si è mai opposto il proprietario della porzione di suolo occupato, non avendo mai posto in essere alcun atto manifestante la propria volontà di persistere nella titolarità del diritto di proprietà.

L’elemento recente, che ha indotto a riflettere sulla situazione a cui è stata prestata acquiescenza, è costituito dalla intervenuta alienazione da parte del vicino della porzione di lastrico solare di sua proprietà, nonché dalla circostanza che gli acquirenti, attuali proprietari, hanno anche preso possesso di quella porzione di lastrico solare e relativo manufatto di proprietà altrui.
Ora, vi è una norma che, in effetti, può essere invocata a favore di quanto asserito dai nuovi proprietari, ed è l’art. 1146 c.c., il quale riconosce al successore a titolo particolare (si definisce tale l’acquirente) il diritto di unire al suo possesso quello del suo autore (ossia il venditore) al fine di farne propri gli effetti.

Ciò comporta che, seppure dalle risultante planimetriche così come dal titolo di acquisto risulta che quella porzione di lastrico solare e relativo manufatto sono di proprietà di chi pone il quesito, si è venuta a creare una situazione di fatto che non corrisponde a quella di diritto.
In ipotesi del genere, due sarebbero le strade percorribili giudizialmente per difendere il proprio diritto di proprietà, ovvero:
  1. quella più celere consiste nell’avvalersi dell’ azione possessoria di reintegrazione nel possesso, disciplinata dall'art. 1168 del c.c.: dispone detta norma, però, che tale azione può essere esercitata entro l’anno dal sofferto spoglio, ciò che nel caso di specie non sembra sia stato fatto (sono trascorsi più di venti anni da quando il vicino si è appropriato di quella porzione di lastrico solare).
Né può pensarsi che, per effetto della recente alienazione, l’azione di reintegrazione possa esercitarsi nei confronti dei nuovi proprietari.
L’istituto della accessione del possesso, infatti, spiega i suoi effetti, oltre che nel computo del termine utile per l’usucapione, anche in relazione ai requisiti temporali delle azioni possessorie; ciò comporta che l’estremo della proposizione di una tale azione entro l’anno dallo spoglio va accertato, non compiendo il relativo calcolo dalla data del trasferimento, ma prendendo anche in considerazione il possesso del dante causa (così Cass. n. 5623/1989).
  1. l’altra soluzione, un po’ più lunga e complessa, potrebbe essere quella di esercitare l’azione di rivendicazione della proprietà prevista dall’art. 948 del c.c..
Trattasi di azione non soggetta a termini di prescrizione (a differenza di quella di reintegrazione) e che consente di rivendicare il bene sul quale si vanta un valido titolo di proprietà da chiunque lo possiede.
Anche l’esercizio di questa azione, tuttavia, presenta degli inconvenienti, in quanto porrà l’altra parte (convenuto in rivendica) nella condizione di eccepire l’intervenuta usucapione in suo favore di quella porzione di lastrico solare, potendosi avvalere, come prima accennato, della facoltà di unire al suo attuale possesso quello precedente, ultraventennale, del suo autore.

Probabilmente è vero che dalle foto aeree di cui l’altra parte è in possesso non può individuarsi il lato in cui si trova la porta di accesso al manufatto da usucapire, ma è anche vero che non sarà sicuramente difficile per la controparte avvalersi di vicini disposti a testimoniare chi di fatto ha avuto il possesso dello stesso manufatto per oltre venti anni.
Inoltre, si ritiene che anche una perizia tecnica sarebbe agevolmente in grado di stabilire da quale lato veniva esercitato l’accesso.
Il risultato ultimo che, con molta probabilità, ne conseguirebbe dall’esercizio dell’azione di rivendica, sarebbe quello di trovarsi soccombenti in conseguenza di un accertamento della perdita della proprietà di quella porzione di lastrico per intervenuta usucapione in favore dei nuovi proprietari.

Per quanto concerne l’osservazione fatta dai vicini che “la proprietà è loro anche senza sentenza”, va detto che, in effetti, dottrina e giurisprudenza hanno da sempre pacificamente riconosciuto l’usucapione come una fattispecie acquisitiva del diritto per effetto del solo possesso e della ricorrenza dei requisiti di cui all’art. 1158 c.c.
Tuttavia, parte della giurisprudenza ha successivamente aggiunto un ulteriore requisito, ossia quello dell’avvenuto accertamento e della dichiarazione dell’usucapione nei modi di legge, cioè mediante una sentenza di accertamento dell’avvenuta acquisizione; prima di tale sentenza il diritto di proprietà in capo al soggetto usucapente, sebbene già acquistato, sarebbe giuridicamente indisponibile.
Anche a voler aderire a quest’ultima interpretazione, comunque, non se ne ricaverebbe di fatto alcun vantaggio, in quanto, sebbene i nuovi proprietari, allo stato attuale, non sono titolari di un diritto giuridicamente riconosciuto e disponibile, nel momento in cui si agirà contro di loro per rivendicare il diritto di proprietà, disporranno di tutti gli elementi richiesti dalla legge per ottenere una sentenza che accerti l’usucapione in loro favore.

In conclusione, ciò che ci si sente di consigliare è di continuare a prestare acquiescenza, come finora è stato fatto, alla situazione che si è venuta a creare, in quanto ogni azione che si andrebbe ad intraprendere per recuperare il possesso di quella porzione di lastrico condurrebbe, con molta probabilità, a risultati negativi e penalizzanti per chi agisce (né, purtroppo, vi è altra soluzione per rientrare lecitamente nel possesso di quel bene, al momento esercitato dagli aventi causa dell’originario proprietario).


S. D. U. A. chiede
lunedì 20/05/2019 - Campania
“vi ho già richiesto una consulenza cod Q201821673 nel giugno 2018 riguardo all'inoperatività dell'art.889 cc in CONDOMINIO.Ora vi chiedo: ho acquistato un immobile condominiale a gennaio 2007,sempre tenuto in fitto fino ad oggi ad una famiglia di 4 persone.il venditore non mi fece presente all'epoca del transito di tubature di acqua e gas in una controparete dell'attuale cucina addossata al muro divisorio di 10 cm che divide la mia cucina dalla stanza da letto di un altro condomino(lavori effettuati nel 1999) .la consulenza Q201821673 da voi fornitami nel giugno 18 verteva sull'articolo 889 c.c. nel contesto di un condominio ed è stata molto chiara. Ora, siccome a luglio 2018 il condomino della stanza confinante con la mia cucina mi ha citato per il non rispetto dell'art. 889 c.c., volendo introdurre una difesa sulla normativa dell'usucapione, ed ai sensi dell'art. 812 cc(distinzione dei beni) e dell'art 814 (energie naturali di valore economico di cui so fanno parte sia l'acqua che il gas considerati quindi beni mobili), è possibile far valere l'avvenuto usucapione decennale ai sensi dell'art 1161 (usucapione dei beni mobili)? Oppure è da applicare l'art. 1158 (usucapione dei beni immobili) che è ultraventennale e che quindi, purtroppo, per un anno appena non rientrerebbe nel mio caso. In definitiva i tubi di acqua e gas sono considerati beni mobili come da art. 814 e quindi usucapibili in 10 anni (art. 1161),se l'acquisto di questo passaggio non a distanza legale è stato fatto in buona fede e posseduto pacificamente dal 2007, e quindi da oltre 10 anni? Grazie”
Consulenza legale i 26/05/2019
L’usucapione prevista dagli artt. 1158 e ss. del c.c. è un modo di acquisto della proprietà o di altro diritto reale su cosa altrui a titolo originario, dal quale discende la titolarità del diritto reale a fronte del suo possesso continuato per un determinato arco di tempo predeterminato dalla legge. L’usucapione viene definita un modo di acquisto della proprietà a titolo originario, in quanto il diritto acquisito discende, appunto, dal decorso del tempo e non dal precedente diritto di un nostro dante causa.
Affinché possa concretizzarsi l’acquisto per usucapione di un determinato diritto è necessario che si verifichino due elementi:
  1. Il possesso pacifico ed ininterrotto del bene o di altro diritto reale, acquisito in maniera non violenta o clandestina;
  2. Il decorso di un determinato periodo di tempo.
Si ha il possesso descritto sub.a) ai sensi dell’art. 1140 del c.c., nel momento in cui un soggetto compie una determinata attività sul bene corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà o di altro diritto reale. In altri termini, si è possessori di un bene nel momento in cui ci comportiamo come se fossimo proprietari dello stesso senza di fatto esserlo, o meglio senza avere un titolo (es. rogito notarile) che ci attribuisce la proprietà del medesimo. Un altro esempio che, come vedremo, sarà molto calzante per il caso prospettato: siamo possessori di una determinata servitù su cosa altrui se iniziamo ad esercitarla senza avere un titolo (es. sempre il nostro rogito notarile) che ci attribuisce espressamente tale diritto.

È importante sottolineare come, anche ai fini del computo del termine, per far sì che maturi l’acquisto per usucapione, il 2°co. dell’art. 1146 del c.c. permette all’attuale possessore di unire quello del suo precedente autore. Esempio pratico: Tizio, proprietario del fondo Tuscolano, esercita in maniera pacifica e non clandestina il possesso di un diritto di servitù di passaggio sul fondo Corneliano, di proprietà di Mevio. Tizio vende a Caio il suo fondo Tuscolano, e quest’ ultimo, continuando il comportamento di Tizio, continua a passare sul fondo Corneliano, senza che il proprietario Mevio contesti alcunché. Per far valere l’usucapione del diritto di passaggio sul fondo Corneliano nei confronti del proprietario Mevio, Caio potrà sommare il suo periodo di possesso a quello del precedente possessore Tizio (sempre, però, se riuscirà a dimostrarlo in giudizio).

Ai fini della usucapione, poi, il possesso non deve essere viziato, ovvero ai sensi dell’art.1163, non deve essere acquistato in maniera violenta o clandestina. Il possesso è acquistato in maniera violenta se si sono tenuti dei comportamenti contrari alla volontà dell’attuale e legittimo possessore; è clandestino quando lo si acquisisce tenendo nascosto i propri comportamenti sempre all’attuale legittimo possessore.

Venendo ora a trattare del tempo necessario affinché possa maturare l’istituto della usucapione e entrando più nello specifico, vi è da dire che il codice civile individua diverse casistiche di usucapione con tempistiche differenti.
Nel caso specifico si ritiene si possa sostenere validamente in giudizio l’usucapione ventennale ex art. 1158 del c.c. del diritto di passaggio delle tubature, unendo, ex art, 1146 c.c., il possesso iniziato nel 2007 dall’attuale proprietario dell’appartamento con quello del suo precedente venditore iniziato nel 1999, epoca in cui quest’ ultimo ha iniziato i lavori di installazione delle tubature.
Fermo restando che le tempistiche vanno verificate in concreto con datazioni più precise e documenti di causa alla mano, il quesito non ci dà notizia né che in passato vi sia stata alcuna lamentela scritta da parte del vicino confinante che possa aver validamente interrotto la maturazione dei termini di usucapione, né che il possesso sia stato viziato ex art. 1163 del c.c. con comportamenti violenti e clandestini.

La Cass.Civ.,Sez.II, n.18888 dell’08.09.2014 ha precisato che in caso violazione delle distanze tra due costruzioni, può validamente farsi valere la avvenuta usucapione dello spazio ravvicinato, in altre parole della servitù di costruire ad una distanza inferiore a quella legale, restando comunque ferme le eventuali violazioni di diritto edilizio che attengono al rapporto tra il proprietario della costruzione in aderenza e lo Stato.

È importante sottolineare come l’art. 1061 del c.c. ammette l’acquisto per usucapione ventennale di una servitù su fondo altrui solo se quest’ ultima possa considerarsi apparente, ovvero, secondo il 2°co. dell’art. 1061 del c.c., quando questa sia caratterizzata da opere visibili e permanenti destinate al suo esercizio.
Ora, in questo senso vi sono sentenze (su tutte Cass. Civ., Sez.II, n. 19089 del 06.11.2012), che hanno riconosciuto la usucapibilità, e quindi l’apparenza ex. art 1061 del c.c., della installazione oltre i limiti legali di tubazioni in contesti condominiali, purché tale installazione non si sia svolta tenendo, da parte del soggetto che se ne è avvantaggiato, comportamenti violenti o clandestini, in quanto l’installazione delle tubature doveva essere nota al vicino che ne subiva le conseguenze.

Arrivando alla conclusione, è appena il caso di ricordare che non può trovare applicazione nel caso prospettato l’usucapione di beni mobili ex art.1163 del c.c., in quanto con l’installazione dell’opera, le tubature, di per se bene mobile, si sono incorporate nella unità abitativa, bene immobile, divenendo parte integrante della stessa.


Ing. M. V. chiede
mercoledì 27/03/2019 - Lazio
“Le porzioni immobiliari mia (da 4 anni) e del mio nuovo (da pochi mesi) vicino derivano dalla suddivisione di un'unica proprietà tra più fratelli, che hanno venduto le loro porzioni o l'hanno appena fatto.
Un'area scoperta mattonata (a livello giardino) fu divisa dai precedenti proprietari con un muretto confinario nel quale fu praticato un foro a livello terreno destinato a consentire il deflusso delle acque piovane dalla ora mia parte ("fondo superiore") verso l'altra ("fondo inferiore"). Preciso quindi che l'intera area scoperta mattonata trovasi in leggera pendenza.
Mentre il precedente proprietario aveva continuato a tollerare, dopo il mio subentro, la preesistente situazione, il mio nuovo vicino non è dello stesso parere e pretende che io faccia eseguire, interamente a mio carico ma totalmente entro la sua proprietà, una complessa e costosa opera di convogliamento delle acque piovane a partire dal detto foro nel muretto fino e ben oltre il termine dell'area mattonata, comprendente una vasta fossa di drenaggio in terreno libero (per dire: una piscina per lavarsi le mani).
Gradirei conoscere se la richiesta del vicino debba da me essere accolta, o interamente o forse in parte (50%) e quali possano essere i criteri di delimitazione dal punto di vista tecnico (ma quindi economico) dell'opera di cui potrei essere chiamato a farmi carico, eventualmente in misura parziale.
Se richiesto, produrrò uno schizzo dei luoghi e documentazione fotografica.
Saluti.”
Consulenza legale i 29/03/2019
L’art. 908 del codice civile prevede un generale divieto di servitù di stillicidio.
Tuttavia, come osservato dalla Suprema Corte già dal lontano 1951 (sentenza n. 333): “L'art. 908 c.c., opera solo in mancanza di una volontà negoziale che abbia diversamente regolato tra i proprietari vicini lo scarico delle acque private (nella specie: mediante costituzione di apposita servitù di stillicidio)”. Tale principio è stato sostanzialmente confermato anche nella sentenza della Cassazione n. 7576/2007 secondo cui: “lo stillicidio sia delle acque piovane sia, a maggior ragione, di quelle provenienti dall'esercizio di attività umane (come, ad es., dallo sciorinio di panni stesi mediante sporti sul fondo alieno) può essere legittimamente esercitato soltanto se trovi rispondenza specifica in un titolo costitutivo di servitù "ad hoc" o comunque - ove connesso alla realizzazione di un balcone aggettante sull'area di proprietà del vicino - sia stato esplicitamente previsto tra le facoltà del costituito diritto reale”.

Ciò posto, nella presente vicenda, non sappiamo se il diritto di servitù sia menzionato o meno nel contratto di compravendita e se sia stato trascritto.
Per costante giurisprudenza, infatti, " la servitù volontariamente costituita, per essere opponibile all'avente causa dell'originario proprietario del fondo servente, deve essere stata trascritta o espressamente menzionata nell'atto di trasferimento al terzo del fondo medesimo, rimanendo, altrimenti, vincolante solo tra le parti" (Cass. 18 luglio 2013 n. 17634).
Tale principio, è stato ribadito anche recentemente nell’ordinanza della Cassazione n.8000/2018 secondo cui: “in tema di servitù convenzionali, va affermato il principio di diritto (al quale dovrà, perciò, conformarsi il giudice di rinvio) secondo cui l'indagine sull'opponibilità della servitù ai terzi successivi acquirenti va condotta con esclusivo riguardo al contenuto della nota di trascrizione del contratto che della servitù integra il titolo, sicché detta opponibilità può essere ritenuta solo quando dalla nota cennata è possibile desumere l'indicazione del fondo dominante e di quello servente, la volontà delle parti di costituire una servitù, nonché l'oggetto e la portata del diritto, anche, quindi, con riguardo all'eventuale sottoposizione della modifica o dell'estinzione del relativo diritto a termine o condizione, come imposto dall'ultimo comma dell'art. 2659 c.c”.

Pertanto, nella presente vicenda, occorre preliminarmente verificare quanto precede nell’atto notarile.

In mancanza, l’unica residua possibilità potrebbe essere quella di vantare un acquisto per usucapione del diritto di servitù ai sensi del secondo comma dell’art. 1146 c.c.
In base a questo istituto (la cd. “accessione nel possesso”), chi ha acquistato può unire il suo possesso a quello del suo dante causa.
Su tale aspetto, la Suprema Corte ha evidenziato che “chi intende avvalersi dell'accessione del possesso di cui all'art. 1146, secondo comma, cod. civ., per unire il proprio possesso a quello del dante causa ai fini dell'usucapione, deve fornire la prova di aver acquisito un titolo astrattamente idoneo (ancorché invalido o proveniente "a non domino") a giustificare la "traditio" del bene oggetto della signoria di fatto, operando detta accessione con riferimento e nei limiti del titolo traslativo e non oltre lo stesso” (Cass. Ord. 22348/2011).

Alla luce di tutto quanto precede, esaminata la documentazione fotografica trasmessa ed in risposta a quanto richiesto nel quesito possiamo affermare quanto segue.
Per valutare se la richiesta del vicino sia legittima, occorre verificare preliminarmente il contenuto dell’atto di acquisto del bene e se il relativo contratto, contenente l’indicazione del diritto di servitù, sia stato trascritto. In tal caso, sarebbe agevolmente opponibile al vicino.
Se così non fosse, si potrebbe comunque verificare se vi siano i presupposti dell’usucapione ventennale nei termini di cui all’art. 1146 c.c. secondo comma, come sopra specificati.

Se, per ipotesi, entrambe le verifiche dovessero essere negative in Suo sfavore, la richiesta del Suo vicino dovrebbe allora trovare accoglimento altrimenti quest’ultimo potrebbe fare una questione risarcitoria per i danni subiti. In tal caso, il costo per la sistemazione dei luoghi onde evitare lo stillicidio riteniamo non possa essere a carico del vicino.
Tra l’altro, purtroppo, Lei non potrebbe nemmeno invocare l’art. 913 c.c. in quanto questo fa riferimento agli scoli naturali e non a quelli artificiali (ovvero realizzati mediante l’intervento dell’uomo).

Francesco P. chiede
lunedì 14/05/2018 - Calabria
“Salve, in merito alla risposta che avete dato al mio precedente quesito, vorrei nuove delucidazioni:
precedentemente avevo scritto che la prassi di passare nella mia proprietà va avanti da "decenni", è vero, ma tuttavia gli attuali proprietari passano nella mia proprietà soltanto dal 2005 perché prima quel terreno era di altre persone e quindi erano altri a passare (comunque questo penso che non cambi nulla).
Poi va precisato che dovendo loro passare in un giardino per raggiungere la loro proprietà potrebbero passare solamente a piedi e non con autoveicoli o mezzi meccanici ma passano ugualmente col trattore per arare il campo sporcando inevitabilmente di terra il mio viale e lesionando il cemento del viale stesso che non è fatto per resistere al peso di un trattore.
Un altro danno che subisco è che essendo il loro terreno in posizione più alta rispetto al piano del mio giardino (praticamente è ad un terrazzamento immediatamente sopra la mia proprietà), non essendoci muri a separare le due proprietà ma una semplice rete metallica e non effettuando loro alcuna manutenzione alla zona subito dietro la rete ogni volta che piove forte del fango arriva nel mio giardino e c'è anche il rischio concreto che prima o poi si verifichi una frana ma loro non vogliono saperne di risolvere definitivamente questo problema realizzando un muro che divida le due proprietà, ovviamente io sarei disposto a dividere le spese di costruzione.
In fine vorrei aggiungere che questo terreno confinante con la mia proprietà su un altro lato confina con un giardino comunale aperto al pubblico, lì attualmente non c'è un accesso che potrebbero utilizzare ma potrebbe essere facilmente realizzato anche senza ausilio di mezzi meccanici e con pochissima spesa, se si realizzasse un accesso da quel lato non potrebbero passare con i mezzi ma del resto non potrebbero nemmeno nella mia proprietà stando alla legge, non sarebbe più logico realizzare un accesso pedonale in un giardino pubblico piuttosto che passare in una proprietà privata con inevitabili disagi?”
Consulenza legale i 21/05/2018
Riguardo alla prima delle questioni poste, inerente la durata dell’esercizio di fatto della servitù di passaggio, l’art. 1146 del c.c. prevede due istituti che consentono di unire il proprio possesso a quello del proprio dante causa e precedente possessore. Si tratta dei seguenti:
  • successione nel possesso (art. 1146 c.c., comma 1): in caso di successione a titolo universale mortis causa, il possesso continua nell'erede con effetto dall'apertura della successione;
  • accessione del possesso (art. 1146 c.c., comma 2): in caso di successione a titolo particolare per atto tra vivi (es. contratto) o per causa di morte (es. legato), il successore a titolo particolare può unire al proprio possesso quello del suo autore per goderne gli effetti. Dunque l’accessione del possesso non opera automaticamente, ma costituisce una facoltà del successore a titolo particolare. Secondo la giurisprudenza (tra le altre Cass. Civ. VI, 22348/2011), essa presuppone sia la prova dell’esistenza di un titolo astrattamente idoneo (ancorché invalido o proveniente "a non domino", cioè da chi non è proprietario) a giustificare la "traditio", cioè la consegna, del bene, sia la prova dell'avvenuta "traditio" in virtù di un contratto comunque volto a trasferire la proprietà del bene in questione.
Chiaramente, per verificare la sussistenza, in concreto, dell’una o dell’altra ipotesi di “continuazione” del possesso nell’acquirente a titolo universale o particolare, occorrerebbe conoscere le circostanze del caso in esame (durata del possesso dei precedenti possessori, titolo in base al quale è avvenuto il trasferimento, ecc.).

Rispetto, invece, alle modalità di esercizio del passaggio, l’art. 1065 del c.c. stabilisce che chi ha un diritto di servitù non può usarne se non a norma del suo titolo o del suo possesso.
Principio di carattere residuale (applicabile cioè solo quando non sia possibile stabilire il contenuto della servitù in base al titolo o al possesso), è, invece, quello secondo cui, in caso di dubbio circa l'estensione e le modalità di esercizio, la servitù deve ritenersi costituita in modo da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente (c.d. criterio del "minimo mezzo").
Nel nostro caso, però, si pone più che altro una questione di possesso della servitù, poiché non è stata (ancora) accertata l’esistenza di un “diritto” al passaggio su fondo altrui.
Pertanto non dovrà farsi riferimento all’art. 1065 c.c. ma, semmai, al successivo art. 1066 del c.c., in base al quale, nelle questioni di possesso delle servitù, si ha riguardo alla pratica dell'anno antecedente (se si tratta di servitù esercitate a intervalli maggiori di un anno, si ha riguardo alla pratica dell'ultimo godimento).
Anche in questo caso, tuttavia, per fornire una risposta realmente adeguata al caso concreto occorrerebbe conoscere le caratteristiche e le modalità del passaggio così come esercitato nel corso degli anni.

La terza problematica sollevata, riguardante la caduta di fango dal fondo vicino, è evidentemente questione ulteriore e diversa rispetto a quella dell’esercizio di fatto della servitù. In ogni caso si tratta di una situazione che potrebbe legittimare (soprattutto laddove vi fosse effettivamente un rischio di frana come riferito nel quesito odierno) il ricorso alla denuncia di danno temuto prevista dall’art. 1172 del c.c.
In base a tale ultima norma il proprietario, il titolare di altro diritto reale di godimento o il possessore, il quale ha ragione di temere che da qualsiasi edificio, albero o altra cosa sovrasti pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa che forma l'oggetto del suo diritto o del suo possesso, può denunziare il fatto all'autorità giudiziaria e ottenere, secondo le circostanze, che si provveda per ovviare al pericolo.
Si tratta di un’azione di natura cautelare in cui l’attore dovrà dimostrare non solo l’esistenza di un fumus boni iuris, ossia la probabile esistenza del diritto che si vuole tutelare, ma anche del periculum in mora, cioè del possibile danno in cui si potrebbe incorrere in caso di ritardo. La valutazione circa la sussistenza dei relativi presupposti, come al solito, non può prescindere da una conoscenza dettagliata delle circostanze del caso concreto.

Infine, riguardo all’ultima delle questioni esposte nel quesito, in merito alla possibilità o meno di “spostare” la servitù, l’art. 1068 del c.c. prevede che il proprietario del fondo servente non può trasferire l'esercizio della servitù in luogo diverso da quello nel quale è stata stabilita originariamente.
Tuttavia, se l'originario esercizio è divenuto più gravoso per il fondo servente, o se impedisce di fare lavori, riparazioni o miglioramenti, il proprietario del fondo servente può offrire al proprietario dell'altro fondo un luogo egualmente comodo per l'esercizio dei suoi diritti, e questi non può rifiutarlo.
Anche in questo caso occorre ripetere che ogni decisione riguardante la praticabilità della soluzione prospettata (passaggio attraverso giardino di proprietà comunale) non può prescindere da una completa conoscenza dello stato dei luoghi e, nell’ipotesi specifica, dall’esame delle problematiche connesse al fatto che si dovrebbe coinvolgere una proprietà pubblica).

Veneranda N. chiede
venerdì 01/12/2017 - Campania
“Nel 1983, Tizio Caio e Sempronio, soci di una s.r.l., occupavano con fabbriche alcuni terreni in disuso ed in proprietà di Ferrovie insediandovi le sedi operative ed amministrative della srl. Nel 1999, i 3 soci cedono la totalità delle loro quote societarie ai sig.ri Alfa e Beta che divengono amministratore e socio e continuano il possesso dei terreni e delle fabbriche. Nel 2002, la s.r.l. viene liquidata ed estinta. Il verbale di liquidazione nulla riferisce in ordine ai terreni e le fabbriche suddette, ma i soci Alfa e Beta continuano a disporne come proprietari indisturbati ( dal 1983) a tutt'oggi.
In tale ipotesi può configurarsi una successione nel possesso ai sensi dell'art. 1146 c.c. primo comma?

Consulenza legale i 06/12/2017
Prima di rispondere alla domanda contenuta nel quesito in ordine alla applicabilità o meno dell’art. 1146 primo comma c.c., facciamo un breve accenno alla questione pregiudiziale relativa alla natura giuridica dei terreni di proprietà di Ferrovie dello Stato SpA.
Come ha osservato il Consiglio di Stato (Cfr. sentenza Cons. St., sez. IV, 14.12.2002, n. 6923) la trasformazione delle Ferrovie dello Stato in ente pubblico economico e la successiva modifica in s.p.a., ad opera della Legge 8.8.1992, n. 359, aveva inciso soltanto sugli aspetti organizzativi senza far venire meno tutta la restante disciplina prevista dalla legge n. 210 del 1985, ivi compreso il regime giuridico dei beni di sua proprietà. Riguardo questi ultimi, essi rientrano nel demanio accidentale se si tratta di beni destinati all'esercizio dell'attività ferroviaria; mentre, si tratta di beni patrimoniali disponibili se non hanno mai avuto destinazione diretta o complementare all'esercizio del servizio ferroviario.
Dalla formulazione del quesito, parrebbe trattarsi di beni patrimoniali disponibili e, pertanto -laddove ne ricorrano i presupposti di legge- suscettibili di usucapione.

Ciò precisato, con riguardo alla applicabilità dell’art. 1146 primo comma c.c. si osserva quanto segue.

Il primo comma del predetto articolo disciplina l’istituto della successione nel possesso secondo cui il possesso dell'immobile si trasferisce agli eredi alla morte del de cuius. Quindi, se questi possedeva un immobile altrui, un eventuale termine per l'usucapione si trasmette ai successori che potranno rivendicare la proprietà sommandovi il proprio tempo di possesso.
La questione principale da affrontare è dunque quella relativa alla possibilità o meno di equiparare la successione dei soci di una società estinta al fenomeno successorio tra persone fisiche.
La risposta parrebbe positiva, ma presenta delle limitazioni. Sul punto, in mancanza di giurisprudenza di legittimità specifica relativa al caso in esame, possiamo fare riferimento alla sentenza n. 18250 del 26 agosto 2014 con cui la Cassazione ha statuito che i diritti ed i beni compresi nel bilancio di liquidazione si trasferiscono ai soci in regime di contitolarità o comunione indivisa; mentre non si trasferiscono ai soci tutti quei diritti che non siano stati compresi nel bilancio di liquidazione.
In particolare, la Suprema Corte ha precisato che i diritti di credito ancora "incerti o illiquidi", la cui inclusione nel bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o stragiudiziale), si intendono rinunciati dalla società.
La Corte non parla espressamente di situazioni di fatto come il possesso ma fa comunque riferimento alle “mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio”, sottolineando che esse non si trasferiscono ai soci qualora intervenga l’estinzione della società.
Sulla base di tale interpretazione giurisprudenziale (che non ci risulta smentita da altre pronunce) possiamo affermare che:
- la successione nel possesso di cui al primo comma dell’art. 1146 c.c. sarebbe in astratto applicabile al caso esposto nel quesito in esame;
- il possesso di un bene potrebbe rientrare in quelle situazioni di fatto qualificabili come “mere pretese azionabili in giudizio” che potrebbero essere suscettibili di trasferimento ai soci al momento della estinzione della società se indicate nel bilancio di liquidazione;
- tuttavia, come specificato nel quesito, tale situazione di fatto non è stata menzionata nel verbale di approvazione del bilancio finale di liquidazione e, pertanto, non può ritenersi sussistente la successione nel possesso dalla società ai singoli soci.


Gerardo C. chiede
sabato 31/10/2015 - Campania
“Buongiorno,
Anno 1980 terremoto in Irpinia a mio padre (deceduto marzo 1992)gli fu assegnato un prefabbricato in legno,posizionato su platea c.a. spessore 80 cm. finiture, civile abitazione,dove tutt'oggi ci vivo,il terreno dove fu posizionato meta è nella proprietà di mio zio, nel 2011 mio zio ha venduto in blocco la sua proprietà senza specificare il suolo occupato,il nuovo proprietario pretende che lasci libero parte del prefabbricato, a questo punto posso far valere la legge Usucapione? Se ho ragione con la legge usucapione, per la manutenzione quanti mt. devo avere d'intorno? per il davanti il passaggio di quanti mt. di larghezza per accedere alla strada? posso asfaltare?
Il nuovo proprietario in quattro anni non ha mai fatto manutenzione agli alberi di caggia (il caggia è un albero che non porta frutti si possono fare solo pali di scarsa qualità) alti oltre 20 mt. dopo le ore 16,00 dalle mie finestre non vedo più la luce del sole e nemmeno il panorama, se guardo alle mia sx. vedo solo alberi, l'ho invitato a tenere un'altezza di circa 10 mt., mi ha risposto che è un diritto acquisito e non li vuole abbassare,cosa devo fare?.
In confine ha costruito un muro alto 180 cm. e 120 cm. Lui mi ha dimostrato il permesso del comune (DIA) ma è di 60 cm. In più, adiacente al muro nel suo lato ha interrato 60 cm di materiale edile ricavato della demolizione di un locale, dalla ristrutturazione dell'altra casa, materiale di tramezze (ha rifatto la copertura e altro).
In confine gli stessi alberi, dall'altro lato c'è un ruscello che fa da confine con un altro proprietario a quanti mt. deve rispettare la distanza, lui dice che è un diritto acquisito e non ci sono distante da rispettare. E' vero del diritto acquisito?
Ringraziando, porgo distinti saluti.”
Consulenza legale i 05/11/2015
Nel caso in esame un terreno è stato occupato con una costruzione (prefabbricato in legno) dal 1980, cioè per oltre 20 anni, senza che si siano verificati episodi di interruzione del possesso, fino ad una richiesta di rilascio effettuata oggi, nel 2015: in altre parole, sembra essersi perfezionata l'usucapione, cioè l'acquisto della proprietà a titolo originario, basato su un possesso continuo, pacifico, non violento e ininterrotto su una cosa per un determinato periodo di tempo.
La disciplina dell'istituto è contenuta negli articoli 1158 e seguenti del codice civile.

In particolare, ci interessa sottolineare che è prevista la possibilità di unire i possessi di diversi possessori che si sono succeduti nel tempo. L'art. 1146 del c.c. stabilisce che "Il possesso continua nell'erede con effetto dall'apertura della successione": pertanto, il possesso del padre, morto nel 1992, continua nel figlio, suo erede. Ciò ci porta a dire che l'occupazione del terreno ai fini dell'usucapione si è protratta per 35 anni (1980-2015), ben oltre il termine ventennale previsto dall'art. 1158.

E' importante ricordare che il possesso ai fini dell'usucapione si interrompe solo con una vera e propria azione giudiziale, quindi risultano irrilevanti eventuali richieste di rilascio del terreno fatte verbalmente o con semplici lettere.

Assunto, quindi, che il terreno è stato usucapito (attenzione! chi ha usucapito deve ottenere una sentenza che accerti il suo acquisto prima di poterlo opporre validamente a terzi), passiamo a rispondere alle altre questioni connesse.

Circa il problema dei metri che il proprietario dell'abitazione deve avere a disposizione intorno e per il passaggio, va sottolineato che l'usucapione riguarda la porzione di terreno effettivamente usata dallo stesso (e dal padre) durante gli anni dal 1980 ad oggi. Quindi, non può stabilirsi a priori, ma si deve vedere, nei fatti, mediante sopralluoghi, dove si è esercitato il possesso: se il proprietario del prefabbricato, ad esempio, ha sempre fatto uso di tre metri intorno alla casa che ha usato come giardino, avrà diritto a rivendicarne la proprietà per usucapione.
Il passaggio può essersi acquisito per usucapione, così come la proprietà del terreno, se per oltre vent'anni il proprietario della casa in legno è passato sul terreno dello zio: questa è certamente una ipotesi molto probabile nel caso di specie. Anche qui andranno verificati i fatti, per poter contestare l'esistenza dell'usucapione al nuovo proprietario.
Non si dimentichi, in ogni caso, che il diritto di passaggio per raggiungere la propria abitazione è sempre garantito dalla legge quando essa può essere raggiunta solo attraverso quel percorso: si parla in tal caso di servitù coattiva di passaggio su "fondo intercluso", che può essere chiesta anche ad un Giudice (art. 1051 del c.c.).
La possibilità di asfaltare esiste sul terreno usucapito, perché divenuto di proprietà esclusiva: se c'è solo una servitù di passaggio, la giurisprudenza ritiene che non esiste un diritto della persona che ha il passaggio di asfaltare, se ciò non è disposto dal suo titolo di acquisto o concesso dal proprietario del terreno ove lui passa (v. Cass. civ., 21.1.2015, n. 216).

E', poi, vero che è possibile acquistare il diritto di servitù a mantenere gli alberi vicino al confine piantati ad una distanza inferiore a quella legale (che è di 3 metri per gli alberi ad alto fusto, art. 892 del c.c.): è necessario che l'albero sia stato piantato prima della costruzione del vicino e sia rimasto a distanza inferiore per almeno 20 anni.

Per quanto riguarda la cimatura dei rami, invece, non c'è una regola che imponga un'altezza della chioma: quando essa toglie il panorama al vicino di casa, questo può ottenere che l'altezza dell'albero sia abbassata solo se sia sorta a suo favore una specifica servitù di "panorama", una cosiddetta servitus altius non tollendi. La Cassazione ha affermato che "la c.d. servitù di panorama, consistente nella particolare amenità del fondo dominante per la visuale di cui gode, è una servitus altius non tollendi (sia costruzioni, sia alberi) che, per potersi acquistare per destinazione del padre di famiglia o per usucapione, necessita di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la servitù di veduta, altrimenti questa comporterebbe sempre quella, e specificatamente destinate all'esercizio della servitù invocata (Cass. civ., 27.2.2012 n. 2973). In altre parole, perché il proprietario del prefabbricato possa dire di aver usucapito nel corso degli anni la servitù di panorama, non è sufficiente la presenza delle finestre della casa, ma vi devono essere opere visibili create apposta per godere del paesaggio (ad esempio, una terrazza panoramica sopra la casa, che esista da almeno vent'anni).
Ovviamente, se l'altezza degli alberi crea pericolo all'abitazione del vicino, questi può chiederne la rimozione o cimatura come rimedio contro il pericolo, esperendo l'azione di danno temuto (art. 1172 del c.c.): ma non può agire per motivi di pura amenità, salvo che abbia acquisito la servitù di panorama sopra menzionata.

Infine, in riferimento al problema del muro, la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato) ha stabilito che il “muro di cinta” di altezza pari a 1,70 metri è soggetto a permesso di costruire, non a DIA (SCIA): tale titolo abilitativo è necessario ogni qual volta l’intervento edilizio determini un’incidenza sull’assetto complessivo del territorio di entità ed impatto tali da produrre un’apprezzabile trasformazione urbanistica o edilizia (sentenza n. 3408, del 4.7.2014). Quindi, la realizzazione di recinzioni, muri di cinta e cancellate rimane assoggettata al regime della DIA laddove non superi, in concreto, la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia; occorre, invece, il permesso di costruire, ove detti interventi superino tale soglia.
Va verificato se, nel caso di specie, si è oltrepassata la predetta soglia: in quel caso, la DIA non è sufficiente.

Circa il materiale interrato, il vicino può chiederne la rimozione solo se esso presenta un qualche pericolo, ad esempio per il rilascio nel terreno di sostanze tossiche (come l'eternit), poiché un accumulo di materiale non può dirsi "costruzione" ai sensi delle norme del codice civile sulle distanze legali dal confine: per "costruzione"; infatti, si intende un manufatto che, per struttura e destinazione, ha carattere di stabilità e permanenza. E' opportuno, però, far valutare la quantità e il tipo di materiale a un esperto, potrebbero esservi i margini per chiederne l'allontanamento dal confine, per motivi di sicurezza o salubrità.

Cliente chiede
sabato 13/04/2024
“Nel 2008 ho acquistato un immobile (villetta con sedime recintato).
L'immobile, edificato nel 1982, con regolare concessione edilizia , fu acquistato in diritto di superficie , regolato da convenzione P.E.E.P. , con rogito tra costruttore e Comune.
Nel 1982 il costruttore vende il bene ad un privato sempre in diritto di superficie.
Nel 2007 il bene (nel frattempo oggetto di successione e di passaggio di proprieta'), acquista il diritto di piena proprietà con rogito tra Comune e proprietario. Da quest'ultimo proprietario ho rogitato nel 2008. La recinzione da me ristrutturata era ubicata è lo è tuttora, sullo stesso perimetro sin dal 1982. In tutti gli atti notarili intercorsi dal 1982 al 2008 il sedime era descritto come un unico mappale. Ora emerge che in realtà il sedime è formato da due mappali. Cioè nel 1982 il costruttore aveva sconfinato recitando un mappale confinante di proprietà del Comune.
Il Comune, dopo 42 anni di latitanza ( salvo la trasformazione da diritto di proprietà in diritto di superficie avvenuta nel 2007, senza peraltro nulla eccepire) ha messo in vendita il terreno costituito dal secondo mappale, come terreno edificabile di mq 129 , in quanto bene immobile non strumentale facente parte del patrimonio disponibile.
Ma il Comune puo' alienare un terreno posseduto, di fatto, da privati per 42 anni consecutivi e dal sottoscritto negli ultimi 16 anni in buona fede (al momento del rogito).
Il terreno nel 1982 era probabilmente catalogato come bene indisponibile (trasformato nel 2024 in bene disponibile ).
Il terreno, però, non poteva far parte del patrimonio indisponibile sin dal 1982 quando fu recintato dal costruttore e , di fatto, sottratto all'uso pubblico.
È fattibile un' usucapione ventennale del terreno (anche se i proprietari/ possessori sono cambiati) oppure una usucapione abbreviata (decennale) da parte del sottoscritto essendo tale bene usucapibile sin dal 1982?
Se è fattibile solo l'usucapione abbreviata come posso dimostrare la buona fede?
Ed il rogito, omettendo un mappale, è valido titolo per l'usucapione abbreviata?
La descrizione del bene è esatta nell' individuare le quattro coerenze.
Tutti i rogiti hanno sempre ignorato il secondo mappale pur costituendo, di fatto un unico sedime col primo (ufficiale) mappale . Sedime recintato di pertinenza e ad uso esclusivo dell'abitazione.”
Consulenza legale i 18/04/2024
La soluzione più conveniente per il caso in esame è quella di far valere l’usucapione ventennale avvalendosi, nel relativo giudizio, dell’istituto giuridico dell’accessione nel possesso, disciplinato dall’art. 1146 del c.c.
La principale eccezione che ci si potrebbe trovare a dover contrastare è quella derivante dalla natura giuridica di tale particella di terreno, considerato che, come si dice nel quesito, dal 1982 al 2024 lo stesso risultava far parte del patrimonio indisponibile dell’ente pubblico.
Si ritiene utile, a tal proposito, fare un breve premessa sulla natura dei beni pubblici.
E’ noto che questi si suddividono in due grandi macrocategorie, e precisamente quella dei beni demaniali e quella dei beni facenti parte del patrimonio indisponibile.
I primi sono tassativamente indicati dalla legge e si caratterizzano per la loro assoluta incommerciabilità, non potendo costituire oggetto di atti dispositivi di diritto privato e risultando, come tali, inalienabili oltre che insuscettibili di usucapione.

I beni patrimoniali indisponibili, invece, sono tutti quei beni che appartengono allo Stato o ad altri enti pubblici territoriali e che soddisfano un interesse generale, pur non rientrando nella categoria dei beni demaniali.
Di questi ultimi si occupano in particolare i commi 2 e 3 dell’art. 826 c.c. e si caratterizzano, secondo quanto disposto dal comma 2 del successivo art. 828 del c.c., per la circostanza di non poter essere sottratti alla loro destinazione se non “nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano”.
Come tali essi, al pari dei beni demaniali, sono insuscettibili di usucapione e di espropriazione forzata.

Ebbene, se ci fermasse a tale definizione si giungerebbe alla conclusione che, avendo quel terreno fatto parte fino al corrente anno del patrimonio indisponibile del Comune, non sarebbe in alcun modo possibile vantare in relazione allo stesso un acquisto a titolo originario.
Di parere contrario, invece, risulta essere la giurisprudenza di legittimità, la quale proprio di recente, e precisamente cfr. Cass. civ. Sez. II ord. N. 28481 del 12.10.2023, ha ammesso che, seppure a date condizioni, sia possibile usucapire un bene ancorchè rientrante nel patrimonio indisponibile di un ente pubblico.

Nel corpo di tale sentenza la S.C. parte dalla considerazione secondo cui per qualificare un bene come appartenente al patrimonio indisponibile di un ente sono necessari due elementi, e precisamente:
  • un elemento soggettivo, consistente nella titolarità pubblica del bene;
  • un elemento oggettivo, ovvero la destinazione che in concreto il bene ha.
In particolare, con specifico riferimento a questo secondo elemento si afferma che occorre non solo una specifica manifestazione di volontà dell’ente pubblico di voler destinare il bene a un pubblico servizio (volontà che in genere deve essere contenuta in un atto amministrativo), ma occorre anche l’effettiva e attuale destinazione a detto pubblico servizio.

A tale riguardo la S.C., richiamando Cass. SS.UU. n. 14865/2006, ricorda come la mera previsione dello strumento urbanistico in merito alla destinazione di un’area alla realizzazione di una finalità di interesse pubblico non sia sufficiente per qualificare quell’area come facente parte del patrimonio indisponibile dell’ente pubblico.
Aggiunge, infatti, che è necessaria una concreta ed effettiva utilizzazione del bene, non bastando un semplice progetto di utilizzazione, ancorchè esteriorizzato in un atto amministrativo, il quale manifesta solo un’intenzione, ma non incide in alcun modo sulle caratteristiche oggettive del bene (cfr. Cass. n. 17427/2023).

Ebbene, dei principi sopra espressi si ritiene che possa farsi piena applicazione nel caso di specie, considerato che, sebbene quella particella di terreno possa aver fatto parte fino al 2024 del patrimonio indisponibile del Comune, ancorchè in forza di un presunto atto amministrativo, di fatto l’Ente pubblico sin dal 1982 non ha mai fatto un concreto ed effettivo uso di quel bene per finalità di interesse collettivo, essendo stato fin da quella data recintato ad uso esclusivo dell’edificio di proprietà dei diversi soggetti che si sono succeduti nel corso del tempo.
Tanto si ritiene possa essere più che sufficiente per consentire al privato, che nel corso di questi anni ne ha fatto uso e ne ha avuto il possesso esclusivo, di invocarne l’avvenuta usucapione, con sentenza che avrà valore meramente accertativo.

Inoltre, come si è accennato all’inizio, non sussistendo i presupposti né la necessità di far valere l’usucapione abbreviata (quella particella di terreno non è mai stata contemplata in alcun atto di trasferimento e, pertanto, non può vantarsi un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà), la soluzione migliore sembra essere quella di avvalersi della c.d. accessione nel possesso, a cui fa riferimento, come già detto, l’art. 1146 c.c.
Si tratta di quel particolare istituto giuridico che consente al successore a titolo particolare (è tale l’acquirente di un immobile) di sommare, se lo ritiene utile, al periodo in cui ha egli stesso posseduto, anche il periodo durante il quale hanno posseduto i suoi danti causa.
Tale sommatoria dei due o più periodi può, infatti, risultare utile ai fini dell’usucapione, ma anche ai fini dell’azione di rivendicazione e dell’azione di manutenzione, insomma ogni volta che assuma rilievo la durata del possesso.


V. F. chiede
martedì 09/04/2024
“Buonasera,
mi chiamo Valerio e sono stato nominato da mio Zio erede a titolo particolare (legatario), per esercitare il diritto di usucapione su un immobile posseduto da lui e i suoi genitori fin dal 1965 e poi in maniera esclusiva solo da lui dagli anni 1970 (quindi già usucapito negli anni '80/'90 ma senza sentenza dichiarativa di un giudice).

Aveva eseguito lavori di manutenzione recinzione con cancello, impianti idraulici e elettrici, aveva svolto la sua attività artigiana fino al 1996, lo ha affittato dal 1997 a 2013 circa ecc., aveva le chiavi solo lui e la moglie .. Al catasto l' immobile risulta essere ancora intestato ad un soggetto deceduto nel 1948 senza avere lasciato testamento. La moglie e l' unica figlia erano morte negli anni 80 ma non abitavano più lì nel 1965.

Penso trattasi di bene vacante art.586 c.c.. e che si debba fare istanza di usucapione contro l' Agenzia del Demanio.
Gradirei delucidazioni su come muovermi anche alla luce del art.1 comma 260 legge 296/96 e se vale sui beni già usucapiti prima di tale norma .
Inoltre se è meglio agire a nome mio (LEGATARIO) o a nome della zia (erede universale).

Tale dubbio mi sorge nel caso il Demanio si imputasse sul discorso della differenza tra successione nel possesso (in caso di erede universale) e accessione al possesso (con inizio di un nuovo possesso post 1/1/2007 nel mio caso di legatario, anche se posso aggiungere il periodo di possesso dello zio) e quindi rischierei di perdere la irretroattività della legge sopra menzionata per i casi di possesso conclusi ante 1/1/2007.
Oppure il discorso del possesso non è più da considerare, in quanto il bene è già entrato nell' attivo ereditario dello Zio anche senza sentenza ? O è meglio rinunciare al legato e fare tutto a nome dell' erede universale. Mi scuso per il disturbo e ringrazio. Buonasera.”
Consulenza legale i 17/04/2024
La fattispecie che viene qui descritta può ricondursi a quella del legato di cosa dell’onerato o di un terzo, disciplinata dall’art. 651 c.c.
Il ricorso alla fattispecie delineata da tale norma si rende necessario in quanto non sarebbe possibile configurare la volontà del testatore come direttamente attributiva, seppure a titolo particolare, di quel bene, considerato che si tratta di immobile non facente parte del patrimonio del de cuius e di cui lo stesso, come tale, non avrebbe potuto disporre.

L’inquadramento della disposizione in questi termini, peraltro, consente di superare il problema a cui nel quesito si fa riferimento, ovvero quello della accessione e della successione nel possesso, istituti giuridici risultanti dalla stessa rubrica dell’art. 1146 del c.c..
Corretta, infatti, è l’affermazione secondo cui, mentre l’erede a titolo universale continua il possesso del defunto ipso iure dal momento dell’apertura della successione (anche in mancanza di una materiale apprensione del bene da parte dell’erede e perfino se questi ignora l’esistenza del bene ovvero che questo fa parte dell’eredità, cfr. Cass. 20.07.2011 n. 15967), il successore a titolo particolare può unire al proprio possesso quello del suo autore, per goderne gli effetti.
Il problema principale che qui per il legatario si pone, tuttavia, è che la trasmissione del possesso della cosa legata non si realizzerebbe immediatamente al momento della morte del de cuius, considerato che si rende per prima cosa necessario, onde evitare la nullità del legato, che l’erede onerato acquisti la proprietà della cosa dal terzo, per poi trasferirla al legatario, il quale solo da quel momento ne potrà chiedere il possesso all’onerato, secondo quanto espressamente disposto dall’art. 649 del c.c..

Le predette considerazioni trovano fondamento nella circostanza che, seppure si sia maturato il periodo utile per l’usucapione, non si è ancora costituito un valido titolo che accerti la proprietà di quel bene in capo al de cuius, il che si potrà ottenere solo a seguito di positivo esperimento dell’azione volta ad ottenere il riconoscimento dell’intervenuto acquisto a titolo originario del diritto di proprietà sull’immobile.

Tale azione, come correttamente osservato nel quesito, andrà condotta nei confronti dell’Agenzia del demanio, trattandosi di bene che sembra essere stato acquisito al patrimonio dello Stato ex art. 586 del c.c..
Dovendosi iniziare un giudizio ex novo, il quale avrà come suo presupposto essenziale la notifica all’Agenzia del demanio della comunicazione di cui all’art. 1 comma 260 della Legge n. 296 del 27.12.2006 (ovvero di essere in possesso del bene vacante o derivante da eredità giacenti, descrivendone la consistenza mediante la indicazione dei dati catastali), è corretto scegliere che tale dichiarazione venga resa dall’erede anziché da colui che si trova nella semplice posizione di legatario e per di più in forza di un legato nullo.

L’Agenzia del demanio, infatti, richiederà che il possessore fornisca in giudizio la prova di aver usato pubblicamente il bene come se fosse proprio, arrogandosi i tipici poteri del proprietario, il che risulta indubbiamente più difficile per colui che, pur avvalendosi della facoltà di cui all’art. 1146 c.c., deve iniziare un nuovo possesso, diverso da quello del suo dante causa (il che comporta che il nuovo possessore potrebbe essere considerato in buona fede, benchè il suo dante causa fosse in mala fede, ma si rischia che possa valere anche il contrario).

In considerazione di quanto fin qui detto, dunque, si consiglia di muoversi nel seguente modo:
  1. far rendere alla zia, nella sua qualità di erede universale, la dichiarazione prescritta dall’art. 1 comma 260 Legge 296/2006, al fine di rendere inapplicabile il disposto di cui all’art. 1163 c.c. (che qualificherebbe il possesso di quel bene come violento o clandestino e, dunque, non utile per l’usucapione);
  2. avviare la causa per usucapione nei confronti dell’Agenzia del demanio;
  3. non rinunciare al legato, ma chiedere all’erede il possesso della cosa legata non appena ne sarà stata accertata con sentenza l’avvenuta usucapione, sentenza che, si ricorda, ha valore meramente dichiarativo e non costitutivo;
  4. fino a tale momento il bene non potrà considerarsi come facente parte del patrimonio del de cuius ed il relativo legato sarà da considerare nullo ex art. 651 c.c.


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