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Articolo 2931 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Esecuzione forzata degli obblighi di fare

Dispositivo dell'art. 2931 Codice Civile

Se non è adempiuto un obbligo di fare(1), l'avente diritto può ottenere che esso sia eseguito a spese dell'obbligato nelle forme stabilite dal codice di procedura civile [612 c.p.c. ss.](2).

Note

(1) La disposizione può ritenersi inerente solamente alle obbligazioni aventi ad oggetto un facere fungibile, come può ad esempio essere l'obbligo di eseguire determinati lavori di ristrutturazione di una casa, in quanto esercitabile anche da persona differente rispetto al debitore.
Viceversa, l'applicabilità della presente norma non viene estesa agli obblighi infungibili, dei quali è classica esemplificazione il compito di dipingere un quadro, che deve essere effettuato personalmente dal debitore e che, qualora sia mancato, porterà al creditore solo il diritto al risarcimento del danno (v. art. 1223).
(2) La disposizione si ispira chiaramente al generale principio nemo ad factum cogi potest, in forza del quale non si può obbligare nessuno a tenere un determinato comportamento contro la propria volontà. Pertanto, l'eventuale soggetto obbligato potrà essere colpito unicamente dai riflessi di livello economico derivanti dal risultato dell'obbligo di facere che sarà posto in essere da altri secondo le direttive dettate dal giudice ex artt. 612 ss. c.p.c.

Ratio Legis

La norma in commento è finalizzata a far ottenere al creditore la realizzazione del diritto nella sua identità specifica, in questo caso mediante il compimento dell'attività che ne costituisce l'oggetto.

Brocardi

Facere
Faciendi necessitas
Nemo ad factum cogi potest

Spiegazione dell'art. 2931 Codice Civile

Oggetto dell'esecuzione degli obblighi di fare

L'esecuzione forzata in forma specifica costi­tuisce il mezzo predisposto dal legislatore per far conseguire al creditore quell'utilità cui egli mirava già con l'obbligazione principale. Così se non è adempiuto un obbligo di fare fungibile, l'avente diritto può ottenere che esso sia eseguito a spese dell'obbligato. Siccome il nostro ordina­mento rifugge dal sistema dell'esecuzione per coazione, come s'è detto, l'obbligo infungibile di fare non è passibile di esecuzione forzata ; il cre­ditore ha anzi interesse che altri non presti invece del debitore (art. 1180 cod. civ.); dall'inadempimento dell'obbligo sorge una obbligazione gene­rica al risarcimento dei danni, passibile, come tale, di esecuzione forzata.

In quanto, dunque, un'obbligazione di fare (o di non fare) sia fungibile si potrà ottenere la «trasformazione forzata» dell'obbligazione stessa, nel senso che sarà fatto, per ordine del giudice, ciò che doveva farsi (o sarà disfatto ciò che non doveva farsi.


Attuazione del­l'esecuzione forzata

Da rilevare, piuttosto, che mentre per l'art. 1220 cod. civ. 1865 il creditore è autorizzato a provvedere, a spese del debitore, a far eseguire quella prestazione che quest'ultimo non aveva adempiuta, il nuovo codice di rito (art. 612) prevede l'intervento dell'organo esecutivo, quando il creditore in base a una sentenza di condanna vuole ottenere tale esecuzione. Notificato il precetto, il creditore deve chiedere (entro il termine di 90 giorni) con ricorso che siano determinate le modalità dell’esecuzione, a cui si provvede con ordinanza in cui è designato l’ufficiale giudiziario che deve procedere, le persone che debbono provvedere al compimento dell'opera.. Le spese sono a carico del debitore, contro il quale è emesso il decreto ingiuntivo.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

1195 Gli art. 2931 del c.c. e art. 2933 del c.c. regolano rispettivamente l'esecuzione degli obblighi di fare o di non fare, dei quali si occupavano gli articoli 1220 e 1222 del codice civile del 1865. In relazione però al nuovo modus procedendi introdotto dal codice di procedura, non si tratta più per l'avente diritto di ottenere un'autorizzazione a provvedere egli stesso, a spese dell'obbligato, al compimento di quanto non sia stato eseguito o alla distruzione di ciò che sia stato fatto illegittimamente, bensì si tratta di ottenere un provvedimento al quale fa seguito un'esecuzione da realizzarsi nei modi indicati dagli articoli 612 e seguenti del codice medesimo. Per quel che riguarda in ispecie gli obblighi di non fare, è poi da osservare che, talvolta, quanto è stato compiuto in violazione di un obbligo, se nuoce alle ragioni del privato, può tuttavia recare utilità all'economia nazionale. In tali casi il diritto del singolo — del resto tutelato attraverso il risarcimento del danno — deve cedere all'interesse della collettività: ho pertanto disposto (art. 2933, secondo comma) che, se la distruzione della cosa è di pregiudizio all'economia nazionale, la distruzione non può essere ordinata. La disposizione s'informa al principio fondamentale della codificazione fascista che la tutela dei diritti subiettivi privati deve trovare il suo limite nella necessità di tutela delle esigenze della collettività e degli interessi generali.

Massime relative all'art. 2931 Codice Civile

Cass. civ. n. 4449/2023

Il giudice dell'esecuzione chiamato, in sede di opposizione all'esecuzione di obblighi di fare, ad accertare la portata e l'idoneità esecutiva del titolo, può tenere conto, al fine di superare eventuali lacune del titolo medesimo, della situazione di fatto esistente al momento in cui ne viene richiesta la coattiva osservanza, restando fermo che, nel giudizio instaurato per la violazione delle distanze legali tra edifici, la determinazione della misura concreta della distanza da rispettare fra le costruzioni deve essere compiuta dal giudice investito della cognizione della relativa domanda e non può essere rimessa al predetto giudice dell'esecuzione, il quale deve risolvere solo i problemi e le difficoltà che possono insorgere in sede di attuazione dell'obbligo di fare, così come imposto dal titolo, e non può in alcun modo provvedere ad integrare il titolo stesso.

Cass. civ. n. 23291/2021

Nel contratto di appalto il committente, che lamenti difformità o difetti dell'opera, può a sua scelta richiedere l'eliminazione delle difformità o dei difetti dell'opera a spese dell'appaltatore ex art. 2931 c.c., con ulteriore ed alternativa istanza di risarcimento per equivalente subordinatamente alla mancata esecuzione specifica, ovvero domandare direttamente la riduzione del prezzo. Ne consegue che, mentre il risarcimento per equivalente può essere chiesto solo quando sia stata proposta la domanda per l'eliminazione dei difetti, essendo ancorato al costo necessario per la loro eliminazione, viceversa, ove la domanda abbia ad oggetto solo la riduzione del prezzo, l'entità del risarcimento è costituita esclusivamente dalle spese già sostenute per rifare l'opera.

Cass. civ. n. 24305/2017

Nel contratto di appalto il committente, che lamenti difformità o difetti dell'opera, può richiedere, a norma dell'art. 1668, comma 1, c.c., che le difformità o i difetti siano eliminati a spese dell'appaltare mediante condanna da eseguirsi nelle forme previste dall'art. 2931 c.c., oppure che il prezzo sia ridotto e, in aggiunta o in alternativa, che gli venga risarcito il danno derivante dalle difformità o dai vizi. La prima domanda, infatti, che postula la colpa dell'appaltatore, è utilizzabile per il ristoro del pregiudizio che non sia eliminabile mediante un nuovo intervento dell'appaltatore (come nel caso di danni a persone o a cose, o di spese di rifacimento che il committente abbia provveduto a fare eseguire direttamente); la seconda, che prescinde dalla colpa dell'appaltatore tenuto comunque alla garanzia, tende a conseguire un "minus" rispetto alla reintegrazione in forma specifica, della quale rappresenta il sostitutivo legale, mediante la prestazione della "eadem res debita", sicché deve ritenersi ricompresa, anche se non esplicitata, nella domanda di eliminazione delle difformità o dei vizi.

Cass. civ. n. 22116/2014

L'inosservanza da parte della P.A. delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni può essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario non solo per conseguire la condanna della P.A. al risarcimento dei danni, ma anche per ottenerne la condanna ad un "facere", tale domanda non investendo scelte ed atti autoritativi della P.A., ma un'attività soggetta al principio del "neminem laedere". (Nella specie, applicando l'enunciato principio, la S.C. ha dichiarato appartenere al giudice ordinario la cognizione sulla domanda per la condanna di Rete Ferroviaria Italiana alla riduzione nei limiti di tollerabilità delle immissioni rumorose prodotte dai convogli ferroviari, oltre che al risarcimento dei danni da inquinamento acustico).

Cass. civ. n. 18779/2014

In tema di obblighi di "facere", è ammissibile l'azione volta ad ottenere la pronuncia di condanna, dovendosi ritenere irrilevante il loro carattere infungibile, in quanto la relativa decisione non solo è potenzialmente idonea a produrre i suoi effetti tipici in conseguenza dell'eventuale esecuzione volontaria da parte del debitore, ma è altresì funzionale alla produzione di ulteriori conseguenze giuridiche, che il titolare del rapporto è autorizzato ad invocare in suo favore, prima fra tutte la possibile successiva domanda di risarcimento del danno, rispetto alla quale la condanna ad un "facere" infungibile assume valenza sostanziale di sentenza di accertamento.

Cass. civ. n. 19454/2011

Nell'ambito dei rapporti obbligatori, il carattere infungibile dell'obbligazione di cui si è accertato l'inadempimento non impedisce la pronuncia di una sentenza di condanna, in quanto la relativa decisione non solo è potenzialmente idonea a produrre i suoi effetti tipici in conseguenza della eventuale esecuzione volontaria da parte del debitore, ma è altresì produttiva di ulteriori conseguenze risarcitorie, suscettibili di levitazione progressiva in caso di persistente inadempimento del debitore; inoltre, ogni dubbio sull'ammissibilità di una pronuncia di condanna è stato eliminato dal legislatore con l'introduzione dell'art. 614 bis c.p.c. (attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare), avente valore ricognitivo di un principio di diritto già affermato in giurisprudenza.

Cass. civ. n. 13071/2007

In tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare o non fare, il titolo esecutivo indica il risultato che deve essere raggiunto e l'ordinanza di cui all'art. 612 c.p.c. stabilisce le modalità di ottenimento del medesimo. Ne consegue che, qualora la realizzazione del risultato richieda il rilascio di autorizzazioni, concessioni o altri provvedimenti da parte della P.A., che si pongano come elementi strumentali al conseguimento del risultato indicato nel titolo, il giudice dell'esecuzione ha il potere di richiederli, collocandosi tale richiesta nella fase esecutiva dell'attuazione del diritto sostanziale riconosciuto con il titolo esecutivo, e solo nel caso, in cui, se richiesto, la P.A. non rilasci il provvedimento necessario, il diritto dell'esecutante si converte in quello ad essere risarcito del correlativo danno. (Nella specie, la S.C., alla stregua dell'enunciato principio, ha confermato l'impugnata sentenza di rigetto di un'opposizione qualificata come agli atti esecutivi avverso l'ordinanza resa dal giudice dell'esecuzione che aveva ritenuto l'insussistenza della necessità di chiedere il rilascio di una concessione edilizia trattandosi della realizzazione di un titolo esecutivo riconducibile ad una sentenza di condanna della ricorrente alla demolizione di opere edificate in violazione delle distanze tra costruzioni, senza che, peraltro, l'impossibilità di procedere alle opere indicate nella suddetta ordinanza per mancanza di concessione da parte della P.A. fosse stata prospettata allo stesso giudice dell'esecuzione e avesse costituto oggetto di specifica contestazione, idoneamente dimostrata, in sede oppositiva).

Cass. civ. n. 3992/2003

Poiché ai sensi degli artt. 2931 c.c. e 612, 613 c.p.c. la titolarità dei diritti e degli obblighi delle parti deve rimanere identica prima e dopo l'esecuzione forzata, la tutela esecutiva non può andare al di là dell'attuazione della situazione sostanziale, la quale, pertanto, non può essere modificata dal giudice dell'esecuzione. Ne consegue che chi intende ottenere l'esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di obblighi di fare (o di non fare) deve chiedere al giudice dell'esecuzione che siano determinate (con provvedimento revocabile o modificabile, ove non abbia avuto ancora esecuzione, dallo stesso giudice che l'ha emesso ai sensi dell'art. 487 c.p.c., nonché impugnabile con l'opposizione agli atti esecutivi) le modalità dell'esecuzione (art. 612, primo comma, c.c.), specificando la prestazione indicata nel titolo, da eseguirsi da parte del debitore.

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Armando P. chiede
venerdì 19/05/2017 - Lombardia
“Buonasera, in una causa di primo grado, i convenuti vengono condannati dal Giudice ad abbattere un garage che per il regolamento attuativo della zona PEEP risulta irregolare. A distanza di circa 6 mesi i convenuti non hanno ancora provveduto alla demolizione. Come attore cosa posso e devo fare affinché venga rispettata la sentenza. Grazie.”
Consulenza legale i 26/05/2017
Siamo di fronte alla mancata ottemperanza ad un ordine di “fare” proveniente dall’autorità giudiziaria: trattandosi di un fare “positivo” (ovvero consistente in un’azione) può essere messo in esecuzione, in forza di quanto stabilisce l’art. 2931 cod. civ.: “Se non è adempiuto un obbligo di fare, l’avente diritto può ottenere che esso sia eseguito a spese dell’obbligato nelle forme stabilite dal codice di procedura civile”.

Avendo già in mano, dunque, il titolo esecutivo (ovvero, in questo caso, la sentenza), i passaggi da seguire saranno i seguenti (è necessario munirsi dell’assistenza di un avvocato):

- richiesta di apposizione della formula esecutiva alla sentenza (la richiesta fa fatta in Tribunale, solitamente presso l’apposito Ufficio Sentenze, con pagamento dei diritti di copia);
- notifica della sentenza alla controparte obbligata ed inadempiente (notifica da eseguirsi a mezzo ufficiale giudiziario o tramite l’avvocato, in quest’ultimo caso solo a mezzo posta, se il professionista è autorizzato alle notifiche postali in proprio); attenzione, la notifica (ma questo l’avvocato lo sa) va effettuata alla parte personalmente e non al difensore costituito in primo grado.
- notifica dell’atto di precetto alla controparte: per abbreviare i tempi (nella fattispecie in esame è senz’altro consigliabile, visto il tempo trascorso) la legge consente di notificare sentenza ed atto di precetto insieme; l’atto di precetto è un’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo entro e non oltre 10 giorni dalla notifica, pena l’esecuzione forzata;
- trascorsi dieci giorni dalla notifica dell’atto di precetto senza che l’obbligato abbia spontaneamente adempiuto, occorre presentare un ricorso al Giudice dell’Esecuzione affinché provveda a stabilire le modalità concrete con le quali procedere (in questo caso, demolizione dell’opera abusiva), in base a quanto stabilisce l’art. 612 cod. proc. civ.: “Chi intende ottenere l’esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare, dopo la notificazione del precetto, deve chiedere con ricorso al giudice dell’esecuzione che siano determinate le modalità dell’esecuzione. Il giudice dell’esecuzione provvede sentita la parte obbligata. Nella sua ordinanza designa l’ufficiale giudiziario che deve procedere all’esecuzione e le persone che debbono provvedere al compimento dell’opera non eseguita o alla distruzione di quella compiuta.”
- Prosegue poi la procedura in base alle indicazioni del codice di procedura civile: “L’ufficiale giudiziario può farsi assistere dalla forza pubblica e deve chiedere al giudice dell’esecuzione le opportune disposizioni per eliminare le difficoltà che sorgono nel corso dell’esecuzione. Il giudice dell’esecuzione provvede con decreto” (art. 613 cod. proc. civ.) e “Al termine dell’esecuzione o nel corso di essa, la parte istante presenta al giudice dell’esecuzione la nota delle spese anticipate vistata dall’ufficiale giudiziario, con domanda di decreto d’ingiunzione. Il giudice dell’esecuzione, quando riconosce giustificate le spese denunciate, provvede con decreto a norma dell’articolo 642”(art. 614 cod. civ.).

Quest’ultimo decreto di cui parla la norma è un provvedimento con il quale si ingiunge il pagamento delle spese di procedura e che, essendo già provvisoriamente esecutivo, permette di agire subito, eventualmente, per il recupero forzoso del credito.

La prescrizione viene interrotta dalla domanda giudiziale e riprende a decorrere nel momento in cui il giudizio si conclude, il che significa quando si forma il “giudicato”, ovvero quando la sentenza diventa definitiva e non è più suscettibile di impugnazione.

Nel caso di specie, se ancora nessuna parte l’ha notificata all’altra, il giudicato si formerà decorsi sei mesi dalla data di pubblicazione della sentenza stessa, ciò perché quest’ultimo è il termine di legge per impugnarla e proporre appello.
Nel caso, invece, come si diceva, in cui quest’ultima fosse stata notificata, il termine per impugnare decorrerà trascorsi trenta giorni dalla notifica. Quest’ultima notifica, a differenza di quella sopra richiamata che si effettua al fine di iniziare esecuzione forzata, va fatta presso il difensore della controparte costituito in primo grado.
Nel momento in cui si forma il giudicato, la prescrizione del diritto inizierà nuovamente a decorrere e ci saranno, nel caso di specie in cui trattasi di prescrizione ordinaria, dieci anni di tempo per far valere il diritto riconosciuto in sentenza. Eventuali diritti al risarcimento del danno, invece, si prescrivono con il decorso di cinque anni.

Per quanto riguarda il disegno di legge Falanga, non vi sono, nel testo della norma, disposizioni di natura transitoria, ovvero che regolino l’applicazione della nuova disciplina nel tempo. Se nulla è scritto, dunque, con l’entrata in vigore della nuova legge, quest’ultima si applicherà alle procedure di demolizione in corso a quella data.