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Articolo 606 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Nullità del testamento per difetto di forma

Dispositivo dell'art. 606 Codice Civile

Il testamento è nullo(1) quando manca l'autografia o la sottoscrizione nel caso di testamento olografo [602 c.c.], ovvero manca la redazione per iscritto, da parte del notaio, delle dichiarazioni del testatore(2) o la sottoscrizione dell'uno o dell'altro, nel caso di testamento per atto di notaio [603 c.c.].

Per ogni altro difetto(3) di forma il testamento può essere annullato su istanza di chiunque vi ha interesse(4). L'azione di annullamento si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie [590 c.c.].

Note

(1) Le ipotesi di nullità sono tassative.
A differenza di quanto accade per i contratti (in cui la nullità è disposta da una norma di portata generale, mentre l'annullabilità è prevista solo nei casi individuati dalla norma), in tema di testamenti il principio viene invertito (v. ratio legis).
(2) E' annullabile il testamento:
- olografo in cui manchi o sia incompleta la data.
- pubblico (e segreto, ove compatibile) di cui non sia stata data lettura, in cui manchi la dichiarazione del testatore circa il fatto che quella è la sua volontà testamentaria e della menzione, della riduzione in iscritto e della lettura di tale dichiarazione; in caso di mancanza o inidoneità dei testimoni o dei fidefacienti; la mancata menzione della data, dell'ora, del Comune o del luogo dove l'atto è stato ricevuto; la mancanza della sottoscrizione degli altri partecipanti; l'omissione della lettura alla presenza dei testi; la mancanza della menzione delle formalità; la violazione degli artt. 54 , 55, 56 e 57 legge notarile.
- segreto, la mancanza della dichiarazione del testatore, dei sigilli sulla carta in cui sono stese le disposizioni o su quella che serve da involucro, e la mancanza dell'atto di ricevimento sulla carta in cui dal testatore è scritto o involto il testamento o su un ulteriore involucro predisposto dal notaio e da lui debitamente sigillato e la mancanza dell'espletamento delle ulteriori formalità previste dall'art. 605 del c.c.
(3) Per la mancanza di capacità a disporre per testamento, si veda l'art. 591 del c.c..
(4) Legittimato è, dunque, chi dall'annullamento possa acquistare diritti.

Ratio Legis

La tassatività delle ipotesi di nullità del testamento si spiega con la necessità di preservare, per quanto possibile, la volontà del testatore, in considerazione dell'impossibilità di una sua ripetizione.

Brocardi

Iurisdictionis mutare formam, vel iuri publico derogare, testatori permissum non est

Spiegazione dell'art. 606 Codice Civile

In questo articolo si sanziona l'inosservanza delle forme prescritte per i testamenti.
Il progetto preliminare del codice distingueva due ordini di nullità per inosservanza di forme, distinguendo le formalità essenziali (mancanza di autografia o di sottoscrizione del testamento olografo, mancanza della redazione per iscritto delle dichiarazioni del testatore da parte del notaio, nonché la mancanza della sottoscrizione di entrambi, nel caso di testamento per atto di notaio) e stabilendo per esse l’inesistenza del testamento, da tutte le altre formalità, dalla cui mancanza ne scaturiva soltanto l’annullabilità, da farsi valere entro un breve termine (tre anni dal giorno in cui il testamento è esecutivo), con l'ulteriore conseguenza che, solo rispetto a queste ultime, era consentita la conferma o la risanatrice esecuzione volontaria fatta avendo conoscenza del vizio di forma.

Nel testo del codice, però, tale distinzione non è stata ammessa, riconoscendo possibile la sanatoria anche in ordine alla mancanza di qualsiasi forma, persino quando manchi addirittura la dichiarazione. Infatti, la Commissione parlamentare aveva proposto di sostituire alle parole "mancanza di redazione per iscritto delle dichiarazioni del testatore", le altre "mancanza di redazione per iscritto di dichiarazione del testatore", per esprimere il concetto che la norma riguardasse solo la non corrispondenza del contenuto della scheda alla volontà dichiarata del testatore, ma il Ministro non accolse la proposta, non lasciando, quindi, luogo a dubbi che la norma si riferisca anche alla mancanza totale della scheda testamentaria.

La distinzione è stata conservata solo al fine del termine in cui può farsi valere l'impugnativa, e cioè, per quanto riguarda i difetti di forma previsti nel primo comma, in ogni tempo, salvi, s’intende, gli effetti della prescrizione acquisitiva eventualmente verificatasi in ordine ai singoli beni ereditari, per esempio, quando l’erede o legatario istituito si pongano in possesso dei beni e contro di loro non si faccia valere l’impugnativa. Per quanto riguarda, invece, tutti gli altri difetti di forma di cui al secondo comma, l’azione di annullamento può esperirsi solo nel termine di cinque anni (che è il termine ordinario nel quale si può far valere l’annullabilità degli atti giuridici) dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie.

Parlando delle varie formalità stabilite dalla legge per i testamenti, è stato in precedenza rilevato che, per talune di esse, non basta l’osservanza; occorre pure la menzione di tale osservanza, e la mancanza di tale menzione porta essa stessa la nullità del testamento. Ogni prova diretta a dimostrare che quella determinata formalità, di cui la legge richiede la menzione che fu omessa, fu osservata, sarebbe inammissibile. Se, invece, la menzione esisteva, e si volesse provare che la formalità sostanziale non fu osservata, questa inosservanza non si potrebbe provare altrimenti che con la querela di falso.
Ciò non occorre, invece, per le formalità (e sono la maggior parte) di cui la legge richiede l’osservanza a pena di nullità, ma non richiede pure la menzione di tale osservanza. Se il notaio, ad abundantiam, benché non vi fosse obbligato, avesse fatto menzione dell’osservanza di tali formalità, non si potrebbe provare l’inosservanza se non con la querela di falso, perché, anche in questo caso, si tratta di contestare un’affermazione del pubblico ufficiale che attesta l’esistenza di un fatto avvenuto alla sua presenza. Ma se questa menzione non è stata fatta, può provarsi con tutti i mezzi l’inosservanza delle formalità stabilite dalla legge a pena di nullità, e l’onere della prova è a carico di chi impugna il testamento, conformemente al principio fondamentale "onus probandi incumbit ei qui dicit".
Non pare accettabile l’opinione del Coviello, secondo cui la prova dell'osservanza delle formalità dovrebbe essere a carico degli eredi testamentari o legatari, che vogliano far valere i diritti derivanti dal testamento, perché a costoro basta invocare e presentare il titolo da cui quei diritti derivano, ma non devono pure provare che si tratta di un titolo valido; chi impugna la validità di quel titolo deve dare la prova della sua nullità per la mancanza dell’osservanza di una formalità essenziale.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

294 L'art. 606, che riproduce l'art. 148 del progetto definitivo, prevede tra i vari casi di nullità formale del test-mento la mancanza di redazione in iscritto da parte del notaio delle dichiarazioni del testatore, e ciò nel manifesto intento di colpire di nullità il testamento nuncupativo. E' stato peraltro proposto di modificare questa parte della disposizione in guisa da prevedere, anziché la mancanza nella scheda testamentaria, la non corrispondenza del contenute della scheda alla volontà dichiarata dal testatore. Ho creduto opportuno attenermi alla formulazione del progetto definitivo. Infatti l'emendamento suggerito avrebbe modificato la portata della norma, riferendone il precetto non a un difetto di forma della volontà testamentaria, ma bensì all'ipotesi del documento non veridico, materia del tutto estranea alla finalità dell'articolo in esame, il quale intende solo stabilire 1 requisiti formali, dei quali deve essere rivestita la volontà del testatore, perché essa possa produrre effetti giuridici. Ho, invece, modificato l'impostazione formale data all'art. 152 primo comma, del testo precedente: questo pareva orientato a disciplinare la legittimazione attiva nelle impugnazioni del testamento per nullità formale, mentre in realtà intendeva indicare le cause stesse di tale nullità. Eguale modificazione ho apportata all'art. 619 del c.c. che prevede le nullità dei testamenti speciali.

Massime relative all'art. 606 Codice Civile

Cass. civ. n. 9364/2020

La pronuncia di annullamento del testamento ha efficacia retroattiva e comporta il ripristino della situazione giuridica al momento della apertura della successione, con delazione, quindi, in favore del successibile "ex lege", come se il testamento non fosse esistito. Prima che sia pronunziato l'annullamento è comunque valido l'atto di disposizione compiuto dall'erede legittimo.

In tema di validità del testamento olografo, la completa indicazione della data, composta di giorno, mese ed anno, costituisce un requisito essenziale di forma dell'atto anche nel caso in cui, in concreto, l'omissione sia irrilevante rispetto al regolamento d'interessi risultante dalle disposizioni testamentarie.

Cass. civ. n. 27414/2018

Nel testamento olografo l'omessa o incompleta indicazione della data ne comporta l'annullabilità; l'apposizione di questa ad opera di terzi, invece, se effettuata durante il confezionamento del documento, lo rende nullo perché, in tal caso, viene meno l'autografia stessa dell'atto, senza che rilevi l'importanza dell'alterazione. Peraltro, l'intervento del terzo, se avvenuto in epoca successiva alla redazione, non impedisce al negozio "mortis causa" di conservare il suo valore tutte le volte in cui sia comunque possibile accertare la originaria e genuina volontà del "de cuius". (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto nullo il testamento al quale il terzo, durante la stesura del medesimo, aveva aggiunto la data ed il luogo di formazione).

La domanda giudiziale con cui la parte intenda fare accertare la nullità di un testamento, al fine di poterne disconoscere gli effetti, si pone, rispetto ad un'ipotetica domanda di annullamento di quel medesimo atto dipendente da un'invalidità meno grave, nei termini di maggiore a minore, sicché il giudice, in luogo della richiesta declaratoria di radicale nullità del testamento, può pronunciarne l'annullamento, ai sensi dell'art. 606, comma 2, c.c., ove quest'ultimo risulti fondato sugli stessi fatti, senza che la sentenza sia censurabile per il vizio di ultrapetizione; né rileva, al riguardo, il principio di conservazione delle ultime volontà del defunto, non ricorrendo, nel caso in esame, una questione di interpretazione del testamento, bensì di qualificazione della suddetta domanda di nullità.

Cass. civ. n. 9466/2012

Il termine di prescrizione di cinque anni, che l'art 606, secondo comma, c.c. stabilisce per impugnare il testamento olografo per difetti di forma diversi dalla mancanza di autografia o di sottoscrizione, decorre dal giorno in cui è stata data, anche da uno soltanto dei chiamati all'eredità, esecuzione alle disposizioni testamentarie, senza che sia necessario che siano eseguite tutte le disposizioni del testatore, poiché altrimenti la situazione giuridica inerente allo "status" dei chiamati all'eredità e alla qualità stessa di eredi rimarrebbe indefinitamente incerta, il che la legge ha inteso evitare assoggettando l'azione di annullamento, su istanza di chiunque vi abbia interesse, al breve termine quinquennale dall'esecuzione anche parziale dell'atto di ultima volontà.

Cass. civ. n. 8366/2012

La domanda giudiziale con cui la parte intenda far accertare la nullità di un testamento pubblico (nella specie, per la mancata indicazione dell'ora della sottoscrizione), al fine di poterne disconoscere gli effetti, si pone, rispetto ad un'ipotetica domanda di annullamento di quel medesimo atto dipendente da un'invalidità meno grave, nei termini di maggiore a minore, sicché il giudice, in luogo della richiesta declaratoria di radicale nullità del testamento, può pronunciarne l'annullamento, ai sensi dell'art, 606, secondo comma, c.c., ove quest'ultimo risulti fondato sui medesimi fatti, senza che la sentenza sia censurabile per il vizio di ultrapetizione; né rileva, al riguardo, il principio di conservazione delle ultime volontà del defunto, non ricorrendo, nel caso in esame, una questione di interpretazione del testamento, bensì una questione di qualificazione della domanda di nullità dello stesso.

Cass. civ. n. 25845/2008

In materia di testamento olografo, mentre la falsità della data non può ritenersi, di per sé, causa di nullità del testamento come semplice vizio di forma, l'azione di nullità per falsità della data è esperibile quando vi sia un interesse giuridico alla sua deduzione, come avviene quando il testamento è stato, in realtà, completato in tutti i suoi elementi in epoca successiva alla data in esso indicata e il testatore sia, nel frattempo, divenuto incapace.

Cass. civ. n. 8285/1999

Nullità e annullabilità sono forme di invalidità nettamente distinte quanto a presupposti, disciplina e conseguenze e deve escludersi che l'una azione sia compresa nell'altra o siano tra loro in rapporto di fungibilità anche quando siano fondate sui medesimi fatti (nella specie era stata originariamente proposta domanda di nullità di testamento per difetto dell'olografia e nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado, quindi tardivamente, domanda di annullamento per mancanza di data in conseguenza dell'accentata apocrifia di quella apparentemente apposta).

Cass. civ. n. 16/1985

L'azione diretta a conseguire la nullità del testamento può essere proposta da chiunque abbia un interesse meritevole di tutela, e poiché essa prescinde dalla qualità di erede dell'attore, si distingue nettamente dall'azione di petizione dell'eredità, di cui all'art. 533 c.c., la quale ha come oggetto il riconoscimento, a favore dell'istante, della sua qualità di erede al fine di ottenere la restituzione dei beni ereditari da parte di chi possieda questi a titolo di erede o senza titolo alcuno.

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Consulenze legali
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V. B. chiede
martedì 26/04/2022 - Lazio
“Già vostro utente rivolgo la seguente domanda.
E' mia intenzione redigere il mio testamento olografo.
Mi sembra di aver compreso che il testo debba essere redatto in modalità amanuense "...di pugno del testatore..."
Domanda.
E' ammesso anche l'uso di un mezzo meccanico per la redazione del testo? Se si, quali le modalità corrette? Se si, quale la norma di riferimento che ne garantisce la piena validità a tutti i conseguenti effetti giuridici?
Grazie”
Consulenza legale i 02/05/2022
La risposta è negativa: non esiste alcuna norma del nostro ordinamento giuridico in forza della quale possa dirsi consentito redigere il testamento olografo in forma dattiloscritta, facendo uso di un qualsiasi mezzo meccanico.
L’art. 602 del c.c. è abbastanza chiaro al riguardo, disponendo al primo comma che il testamento olografo deve essere scritto per intero “di mano del testatore”; tale disposizione va, a sua volta, coordinata con il successivo art. 606 c.c., il quale sanziona con la nullità il testamento olografo privo del requisito della autografia.

Si è molto discusso, sia in dottrina che in giurisprudenza, in ordine al requisito dell’autografia, giungendosi alla conclusione che il rispetto dell'integrale autografia (che deve corrispondere ai caratteri dell'individualità, della normalità e dell'abitualità) ha la precipua finalità di garantire la provenienza e la conoscenza del contenuto del testamento olografo.
Per tale ragione, sebbene non espressamente richiesto dalla legge, si è perfino ritenuto non consentito al testatore l'uso di una scrittura diversa da quella usuale, la quale non consentirebbe di accertare l'autografia del documento.

Inoltre, sempre in quest’ottica, non può ritenersi in alcun modo ammesso l’uso di strumenti meccanici, quali stampa, macchina da scrivere o computer, mentre, per quanto concerne l’uso dello stampatello, si è giunti alla conclusione che, seppure questo non escluda di per sé l'autenticità della scrittura, occorre in ogni caso tenerne conto ai fini della valutazione di tale autenticità, ove lo stesso non sia giustificato dalle condizioni psico-fisiche o da abitudine del dichiarante o da altre contingenze (in tal senso cfr. Cass. ord. N. 42124/2021 e Cass. civ. Sez. II sent. n. 31457/2018).
E’ stata, invece, ritenuta ammissibile la stenografia recante l'impronta della personalità del de cuius.

Inoltre, sempre a condizione che sia decifrabile, il testatore può far uso di qualunque lingua o dialetto (cfr. Cass. n. 974/1960) ed inoltre il testamento può essere scritto su materiali diversi dalla carta (ad esempio marmo, muro, tela, pergamena), con qualunque mezzo (penna, matita, ma anche diamante o carbone) e con qualunque materiale (inchiostro, vernice, ma anche sangue), purchè consentano al de cuius di scrivere in modo comprensibile, con effetto duraturo e con propria calligrafia (in tal senso è orientata anche la giurisprudenza, la quale ammette, appunto che l'olografo si possa scrivere “con qualunque mezzo e su qualsiasi strumento”, purché idoneo a fissare la grafia).

Chiarito, dunque, per quale ragione il testamento olografo scritto con mezzi meccanici non può in alcun modo sfuggire alla sanzione della nullità, va a questo punto richiamato quanto disposto dall’art. 590 del c.c., rubricato “Conferma ed esecuzione volontaria di disposizioni testamentarie nulle”.
Il principio dettato da tale norma è quello secondo cui una disposizione testamentaria nulla può essere convalidata, espressamente o mediante esecuzione volontaria della medesima, dai soggetti interessati, purché consapevoli della causa di nullità.
Ciò significa che chiunque sia in possesso di un testamento olografo, seppure nullo, può comunque decidere di presentarlo ad un notaio per la sua pubblicazione ex art. 620 del c.c. non appena avuta notizia della morte del testatore, costituendo la verbalizzazione uno strumento attraverso cui è possibile non soltanto far valere la nullità di quel testamento, ma anche consentirne la conferma ex art. 590 del c.c. (in realtà, a voler essere più precisi, la conferma non rende valido il testamento, ma preclude soltanto l’esercizio dell’azione di nullità da parte da parte di chi lo abbia confermato).
Il notaio, da parte sua, è tenuto alla pubblicazione anche di un testamento invalido, in quanto non rientra nella sua competenza decidere sulla validità dell’atto, neppure nell’ipotesi in cui fosse chiaramente nullo.

Pertanto, a conclusione di quanto fin qui detto può suggersi quanto segue:
- se la domanda che qui viene posta nasce da una difficoltà oggettiva di scrivere di pugno il proprio testamento, ci si potrà azzardare a fare ricorso all’uso di un mezzo meccanico (computer o macchina dattilografica) qualora si abbia l’assoluta certezza che i soggetti che potranno vantare diritti sulla propria eredità vi daranno comunque esecuzione, chiedendone la pubblicazione, con conseguente conferma tacita ex art. 590 c.c.;
- se, al contrario, si teme che qualcuno dei futuri eredi possa approfittare della mancanza di autografia per farne valere la nullità, allora l’unico modo per dettare le proprie volontà ed evitare che si apra la successione legittima è quello di ricorrere alle altre forme che il codice civile prevede per la redazione del proprio testamento, che sono il testamento segreto (art. 604 del c.c.) ovvero quello pubblico (art. 603 del c.c.).

G.B. chiede
sabato 11/09/2021 - Lazio
“Mio fratello, deceduto recentemente, la lasciato un testamento olografo che la moglie ha presentato al notaio per la pubblicazione. Mio fratello era gravemente ammalato (tumore al cervello) ed ha fatto il testamento nella fase finale della sua malattia. Premetto che mio fratello, sposatosi in tarda età, non aveva figli ed io ero l'unico fratello, i nostri genitori sono deceduti. Eravamo molto legati fin dall'infanzia. Il testo del testamento era (dico era perchè nel testo, come dirò poi, ci sono state delle aggiunte/modifiche significative effettuate successivamente alla firma) il seguente: "Io sottoscritto...nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, dispongo con questo testamento che le mie proprietà dopo la mia morte, siano destinate come segue:
A) lascio a mia moglie..... : 1- ...casa 2- titoli di stato 3- giacenza del conto 4-...
B) lascio a mio fratello..... : 1- la mia quota di proprietà (50%) di immobili e terreni ... a me cointestati 2- la proprietà di un terreno....
Il testo era su due fogli protocollo datato e firmato per esteso con nome e cognome leggibili sia in calce che ai due lati del primo foglio e su un lato del secondo foglio.
Secondo il testo originario mio fratello riconosceva come eredi sia la moglie che il sottoscritto. In quella veste, pur nel rispetto delle volontà del de cuius, avrei avuto diritto al riconoscimento dell'eredità nella misura di un terzo come per legge?
Ora veniamo alle aggiunte/modifiche. Il notaio nella sua relazione ha scritto: "i segni di interpunzione (:) (posti alla fine della lettera A) e B) prima dell'elencazione dei beni destinati alla moglie ed al sottoscritto) risultano sovrascritti rispettivamente dalle parole "mia erede" e "a titolo di legato". Dopo la lettura del testamento da parte del notaio ho chiesto di prendere visione del testamento ed ho chiesto al notaio se le aggiunte/modifiche avrebbero dovuto essere firmate e sottoscritte ma il notaio mi ha risposto che non era necessario. Tra l'altro ritengo che la mancata apposizione della data non consente di agire per l'eventuale invalidazione per incapacità di mio fratello che essendo in cattive condizioni di salute (era all'ultimo stadio della sua malattia) poco dopo veniva sottoposto ad un nuovo intervento chirurgico al cervello e poi decedeva.
Ciò premesso, sottolineo l'importanza che tali aggiunte/modifiche hanno avuto per la moglie che da coerede è diventata unica erede e per me che da coerede sono stato declassato a legatario. E' ovvio che una tale/aggiunta modifica in due piccoli spazi a fine riga di solo due parole è promanata da un esperto (sicuramente un notaio). Ora quello che sto per scrivere è importante: le aggiunte/modifiche, anche ammettendo che possano essere state scritte di pugno di mio fratello (conoscendolo bene avrebbe rifatto un nuovo testamento o le avrebbe quanto meno controfirmate e datate) sono avvenute successivamente alla stesura ed alla firma del testamento. Infatti mio fratello prediligeva scrivere con penna con inchiostro azzurro ed il testamento originario è stato scritto con una penna biro con inchiostro azzurro firmato in calce e sui lati per esteso e datato con la stessa penna mentre le aggiunte/modifiche sono state apportate con una penna biro di colore nero in modo calcato e incerto (tipica penna notoriamente usata dai notai) e non convalidate con data e firma come ritengo sarebbe dovuto avvenire per qualsiasi aggiunta/modifica di un documento importante come un testamento avvenuta successivamente alla firma ed alla data del testamento. Ovviamente dalla fotocopia del testamento non appare molto evidente che le aggiunte/modifiche siano state effettuate con altra penna di inchiostro diverso che appare invece evidente nell'originale. L'originale è rimasto in possesso del notaio ovvero è stato trasmesso all'archivio notarile? Quindi avrei bisogno per qualsiasi azione di averne una foto dalla quale appaia che le aggiunte modifiche sono state apposte successivamente alla sottoscrizione ed alla data. Cosa mi consigliate? Ringrazio per l'attenzione e porgo distinti saluti.”
Consulenza legale i 28/09/2021
Pensare che un professionista quale il notaio, il cui ruolo fondamentale è quello di essere garante del diritto, possa rendersi complice di vicende di questo tipo, certamente non è un’asserzione di poco conto e soprattutto non sarebbe per nulla semplice da provare.
Detto questo, il tema che il quesito richiede di affrontare è sostanzialmente quello della validità del testamento olografo allorché lo stesso presenti cancellature e/o aggiunte della cui autografia e paternità possano sussistere dubbi.
E’ ben noto che il testamento olografo è quella particolare forma di testamento la cui caratteristica principale si fa consistere nella circostanza che deve essere scritto interamente dalla mano del testatore.
I suoi requisiti sono:
1. la scrittura autografa del testatore;
2. la data;
3. la sottoscrizione.
Si tratta indubbiamente della forma più semplice di testamento prevista dal nostro ordinamento, in quanto può essere redatto in casa senza la presenza di testimoni o pubblici ufficiali, ma a questa sua semplicità fa da contrappeso il rischio che possa essere facilmente smarrito, alterato o celato.
Sebbene non sia espressamente richiesto dalla legge, si ritiene che non sia consentito al testatore l'uso di una scrittura diversa da quella abitualmente utilizzata, che non permetta di accertare l'autografia del documento, così come non è ammesso l’uso di strumenti meccanici, quali la stampa, la macchina da scrivere o un computer.

Molto rigoroso è il requisito della forma scritta autografa, in quanto dalla sua assenza ne discende la nullità del testamento secondo quanto espressamente disposto dal primo comma dell'art. 606 c.c.
In giurisprudenza è stato precisato che si ha eterografia e, dunque, nullità del testamento non solo se l'atto sia stato scritto da persona diversa dal testatore, ma anche qualora vi sia stato un terzo a condurre la sua mano ( cfr. Cass. n. 5907/2004; Cass. n. 3163/1993) o sorreggere la penna contribuendo alla formazione delle lettere.
Inoltre, poiché in materia testamentaria non può trovare applicazione il principio proprio dei contratti del c.d. utile per inutile non vitiatur, si è affermato che anche l'eterografia parziale della scheda rende nullo l'intero testamento, dovendo questo essere redatto "per intero" di pugno dal testatore, senza che possa darsi rilievo alla minore importanza sostanziale rivestita dalla parte non autografa.

Strettamente connesso al requisito della autografia è il problema delle aggiunte o correzioni, per le quali occorre distinguere se effettuate di mano dello stesso testatore o se frutto dell’opera di un terzo.
In genere se poste in essere dallo stesso testatore e inserite in mezzo al testamento o ai margini non inficiano la sua validità, in quanto nessuna norma stabilisce che l'olografo debba essere redatto e firmato in un unico contesto, essendo configurabile la formazione progressiva di esso; se apportate dopo la firma, invece, costituiscono un secondo posteriore testamento ex art. 682 del c.c., e come tale devono essere datate e sottoscritte.

Ben diversa è poi l’ipotesi di inserzione di una aggiunta o correzione da parte di mano apocrifa, ossia da parte di soggetto diverso dal testatore, la quale, nel rispetto del principio inderogabile della forma scritta autografa, rende il testamento olografo invalido.
In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione, Sezione II civile, con sentenza n. 20703 del 10.09.2013 affermando che “la validità del testamento olografo esige, ai sensi dell'art. 602 c.c., l'autografia non solo della sottoscrizione ma anche della data e del testo documento; ad escludere l'olografia è sufficiente ogni intervento di terzi, indipendentemente dal tipo e dall'entità (e quindi anche in presenza di una sola parola scritta da un terzo durante la confezione del testamento), non assumendo al riguardo rilevanza l'importanza che dal punto di vista sostanziale la parte eterografa riveste ai fini della nullità dell'intero testamento secondo il principio "utile per inutile non vitiatur".

E’ proprio in questa seconda ipotesi che deve farsi rientrare, secondo quanto assunto da chi pone il quesito, la fattispecie qui descritta, ritendendosi che le correzioni e aggiunte siano frutto della mano apocrifa di un terzo.
Chiaramente, non può essere sufficiente limitarsi ad affermare ciò, in quanto occorre che di ciò che si intende sostenere ne sia data prova certa ed inconfutabile.
A tal fine sarà indispensabile citare in giudizio l’altro erede, ossia il coniuge superstite del de cuius per ivi sentire dichiarare l'invalidità del testamento del de cuius, per mancanza di olografia, in quanto corretto da mano estranea e per ivi sentire dichiarare l'indegnità a succedere dello stesso coniuge superstite ex art. 463 n. 5 c.c. con conseguente devoluzione dell'eredità al fratello secondo la legge.
Quale mezzo di prova non ci si potrà che avvalere di una consulenza tecnica grafologica, producendo in giudizio copia di quel testamento, il cui originale si trova custodito presso il notaio che ne ha curato la pubblicazione (potrebbe trovarsi presso il competente archivio notarile, invece, se il notaio dovesse aver cessato dall’esercizio delle sue funzioni).

Tuttavia, prima di intraprendere tale giudizio, sicuramente non semplice da portare avanti, occorre valutare bene se il riconoscimento della apocrifia delle correzioni che si presumono essere state apportate al testamento possa essere in grado di farne conseguire un concreto vantaggio a chi lo impugna.
Infatti, la specifica attribuzione della qualità di erede alla moglie e di semplice legatario al fratello può assumere rilevanza soltanto nell’ipotesi in cui nel patrimonio del de cuius si rinvenissero altri beni, diversi da quelli menzionati nel testamento.
Per tali beni varrebbe il principio, ormai prevalente sia in dottrina che in giurisprudenza (cfr. da ultimo, Cass. 12158/2015, Cass. Sez. un. 17122/2018, Cass. n. 17868/2019) della c.d. vis espansiva dell’institutio ex re certa (può qualificarsi tale l’attribuzione in favore della moglie), con la conseguenza che, se l’erede istituito (la moglie) riuscisse a dimostrare che la volontà del testatore sia stata totale (ossia riferita consapevolmente alla totalità del patrimonio), dovrebbe considerarsi attratta in capo all’istituito erede la proprietà dei beni sopravvenuti dopo l’apertura della successione o non contemplati nel testamento (con esclusione del legatario).

Al contrario, se con quelle disposizioni testamentarie il de cuius ha di fatto esaurito il suo patrimonio, non si vede una concreta e proficua ragione per impugnare il testamento e vedersi attribuita la qualità di coerede (con diritto a conseguire, ex art. 582 del c.c., un terzo indiviso di quanto non assegnato dal testatore), salvo che se ne intenda dimostrare l’alterazione da parte della moglie per farla escludere dalla successione in quanto indegna ex art. 463 n. 5 c.c.

Del pari complesso sarebbe un giudizio attraverso cui far valere l’annullamento del testamento per incapacità del testatore al momento della sua redazione.
Si tratta di ipotesi espressamente prevista al n. 3 dell’art. 591 del c.c., per la quale si richiede che colui che impugna il testamento dimostri che lo stesso è stato scritto dal testatore in uno stato di alterazione delle capacità cognitive e volitive di questi, anche dipendenti da cause transitorie.
Non si tratta di una prova agevole, posto che, come è facile desumere dai repertori, la giurisprudenza pressoché unanime tende ad accogliere la domanda di annullamento del testamento per lo più e solo in casi di incapacità che risulti totale, conclamata ed estrema.
Costituisce principio consolidato quello secondo cui per annullare il testamento non è sufficiente la circostanza che, al momento della sua redazione, risultasse in qualche misura alterato il processo di formazione della volontà del testatore, essendo piuttosto richiesto che lo stato psico – fisico del testatore sia stato tale da sopprimere del tutto l’attitudine a determinarsi coscientemente e liberamente (il che deve costituire oggetto di rigorosa prova da parte di chi impugna l’atto).

In conclusione, dunque, si sconsiglia di agire in giudizio se i beni di cui il testatore ha disposto hanno esaurito l’intero suo patrimonio, in quanto anche se i beni assegnati al coniuge superstite dovessero avere un valore superiore ai due terzi dell’intero e così incidere sul terzo che spetterebbe per legge al fratello, quest’ultimo non ha comunque diritto ad una quota di riserva, non rientrando i fratelli tra i c.d. legittimari (sono tali ex art. 536 del c.c. il coniuge, i figli e gli ascendenti).



Stefano L. S. chiede
lunedì 02/11/2020 - Piemonte
“Mevia è stata istituita erede universale dei beni di Tizio con testamento olografo datato 28.12.2006 e pubblicato in data 22/03/2007. All'atto della morte di Tizio non vi erano legittimari. Tizio aveva unicamente una sorella, ancora in vita al momento della propria morte.
Mevia, in data 21/08/2013, ha donato a Sempronia immobile facente parte del compendio ereditato da Tizio.
In data 22/10/2010, Caio, figlio della sorella di Tizio, nel frattempo deceduta, ha introdotto vertenza nei confronti di Sempronia (beneficiaria della donazione da parte di Mevia, a sua volta poi deceduta) volta all'accertamento negativo del testamento olografo di Tizio, affermando la falsità del testamento medesimo ed il suo diritto di subentrare come erede legittimo di Tizio.
Mi chiedo e Vi chiedo se, benché l'azione di nullità del testamento olografo sia imprescrittibile, non si possa sostenere da parte di Sempronia che il diritto di accettare l'eredità da parte di Caio (nipote per rappresentazione di Tizio) sia ormai prescritto e quindi il medesimo Caio non possa far valere l'azione per perdita di interesse all'azione stessa (ex art. 100 c.p.c.).
La sorella, ancora in vita alla morte di Tizio, vivendo a stretto contatto con il fratello, aveva avuto conoscenza della sua morte e contezza del fatto che i beni di costui fossero andati tutti a Mevia sin dal 2007.”
Consulenza legale i 08/11/2020
Occorre innanzitutto precisare che, in tema di nullità del testamento, la relativa disciplina si rinviene all’art. 606 c.c., norma che prevede le ipotesi in cui può essere impugnato un testamento (insieme ad una serie di altre norme sparse nel codice civile).
Contrariamente a quelli che sono i principi generali dettati dall’art. 1418 del c.c., in tema di forma del testamento vige il c.d. principio del favor testamenti, per effetto del quale l’annullabilità è virtuale, mentre la nullità è testuale, ossia limitata ai soli casi tassativamente previsti dal primo comma del suddetto art. 606 c.c., il quale a sua volta prevale sugli artt. 58 e 60 della Legge n. 89/1913 (legge notarile).

Mentre per i casi di nullità tassativamente previsti dal primo comma la relativa azione è imprescrittibile, per ogni difetto di forma di cui al secondo comma e che dà luogo ad annullabilità, la relativa azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie.

In entrambi i casi, di nullità e di annullabilità del testamento, la legittimazione attiva all’esercizio della relativa azione spetta a chiunque vi abbia interesse, rimanendone pertanto esclusi coloro che dall’impugnazione del testamento non ne trarrebbero alcuna utilità personale.
Al fine di individuare la sussistenza di interesse, e dunque la legittimazione in capo a chi agisce, è indispensabile stabilire in favore di chi si devolverà il patrimonio ereditario del de cuius se la sua volontà testamentaria dovesse essere dichiarata nulla.
Nel caso di specie, in effetti, in conseguenza dell’apertura della successione legittima, chiamato all’eredità sarebbe proprio il nipote Caio, il quale verrebbe a rivestire tale posizione in applicazione delle regole dettate dall’art. 468 del c.c. in tema di rappresentazione (secondo quanto disposto al primo comma di questa norma, nella linea collaterale, la rappresentazione ha luogo a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle del defunto).

A questo punto, particolare importanza assume la natura della sentenza con cui si pronuncia la nullità del testamento, alla quale va attribuita efficacia dichiarativa, con la conseguenza che la dichiarazione di nullità da parte del giudice opera retroattivamente (ossia ex tunc), cancellando l’atto nullo ed i suoi effetti.

Ora, come correttamente viene rilevato nel quesito, è vero che l’azione di nullità è imprescrittibile, in tal senso potendosi espressamente argomentare dall’art. 1422 del c.c., norma che stabilisce appunto l’imprescrittibilità dell’azione di nullità, pur facendo salvi gli effetti dell’usucapione, della prescrizione dell’azione di ripetizione e dell’effetto sanante della trascrizione per il terzo acquirente in buona fede (ex art. 2652 del c.c. n.6).
E’ anche vero, però, che l’imprescrittibilità dell’azione di nullità deve fare i conti e trova un limite nell’art. 480 del c.c., nel senso che l’azione di nullità non può essere esperita dal chiamato il quale, non avendo accettato l’eredità nel termine di dieci anni, deve ormai ritenersi privo di interesse.

Ciò, però, non può intendersi nel senso che il potenziale erede sia tenuto comunque ad accettare l’eredità entro il termine di 10 anni dall’apertura della successione, in quanto finché la delazione non diviene attuale nei suoi confronti (ciò che si verificherà nel momento in cui il testamento dovesse essere dichiarato nullo), non potrà ritenersi titolare di alcun diritto di accettare o di rinunziare all’eredità del de cuius.
In tal senso si ritiene che possa richiamarsi il disposto dell’art. 2935 del c.c., norma dettata in tema di prescrizione e decadenza, secondo cui la prescrizione di un diritto comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

Pertanto, ritornando al caso di specie, poiché l’azione volta a far valere la nullità del testamento è stata posta in essere in data 22/10/2010, cioè ad appena tre anni dall’apertura della successione (che si presume avvenuta nell’anno 2007, considerato che il testamento è stato pubblicato in data 22.03.2007), si ritiene che Caio abbia tutto l’interesse di portare avanti tale causa.
In tal senso, peraltro, può anche argomentarsi dal secondo comma dell’art. 480 c.c., nella parte in cui dispone che, in caso di istituzione di erede condizionale (tale può considerarsi la posizione di Caio), il termine di decorrenza della prescrizione deve farsi coincidere con il giorno in cui si verifica la condizione.

A ciò si aggiungano le seguenti ulteriori considerazioni: una volta che Caio abbia visto riconosciuta la sua qualità di erede (per l'operare della successione legittima in luogo di quella testamentaria), è naturale che egli agisca per ottenere i beni cui ha diritto, ed a tal fine si potrà avvalere di quanto disposto dall'art. 533 del c.c., norma che disciplina l'azione di petizione dell'eredità.
Più precisamente, graverà sull'erede che agisca in base a tale azione l'onere di dimostrare sia che egli è tale (e lo farà avvalendosi della sentenza) sia che i beni reclamati appartengono all'asse ereditario.
Anche tale azione è imprescrittibile, salvo che nel frattempo si sia compiuta l'usucapione sul bene.


Anonimo chiede
giovedì 31/12/2015 - Lombardia
“Buonasera, la problematica risulta essere abbastanza complessa e riguarda la compravendita di un bene di provenienza ereditaria.

Nello specifico, oggetto della compravendita è un bene che il de cuius OMISSIS ha apparentemente devoluto alla vedova. L’oggetto è stato messo da lei stessa in vendita nel OMISSIS ed è subito iniziata la contrattazione, complicata all'atto finale proprio dinanzi al notaio, il quale faceva notare che la vedova, apparentemente in buona fede, era divenuta presunta erede solo in base ad un semplice atto di successione da lei presentato e non in base ad una regolare successione testamentaria. Pertanto a detta del notaio, l'atto di successione era pressoché inefficace ed in mancanza di figli e di testamento, legittimi eredi erano anche i fratelli con i quali non erano mantenuti buoni rapporti. A questo punto, alla luce di violazioni della legittima, con conseguente nullità\annullabilità di un eventuale atto di acquisto, la compravendita fallì.

A distanza di un anno, fui nuovamente contattato dall’erede (da chi ne fa le veci) che mi riferì di aver ritrovato in un luogo nascosto un testamento olografo (il quale ovviamente devolveva tutto alla vedova) e che pertanto la vendita si poteva perfezionare in quanto, in base a questo testamento, era stata nominata erede universale.

Infatti, successivamente fu presentato dinanzi ad un notaio un nuovo atto di successione (stavolta con la pubblicazione del testamento) con il pagamento delle relative imposte (al momento, però, non è stata trascritta nessuna accettazione espressa di eredità).

Al giorno d’oggi, avendo già concordato le modalità di pagamento ed i dettagli, la trattativa per l’acquisto del bene è ufficiosamente in fase avanzata ma le varie informazioni confuse reperite su internet mi hanno un po intimorito, mettendomi in guardia, in maniera molto sommaria e frammentaria, sui rischi a cui vado incontro e suggerendo poche tutele legali a mio favore (in particolare, tra le altre cose, non riesco bene a cogliere le fattispecie dell'art. 534 e 2652 comma 7 del codice civile e su come esse possano inficiare il mio acquisto).

Ad oggi sono state diverse e discordanti le opinioni di vari notai ed avvocati interpellati, cosi come le dottrine facilmente reperibili su internet.
Tanti sono i dubbi che mi assalgono e poche le risposte certe in un campo assai districato... Ad esempio, sono tutelato ed in che modo nel caso in cui si riscontrasse quel testamento fosse un falso? C’è un termine per la presentazione della domanda giudiziale per la fondatezza del testamento da parte di eventuali eredi che possano impugnare quel testamento? Le tutele art. 534 e 2652 valgono anche in caso di testamento falso o rischio di perdere il bene in qualsiasi momento? La garanzia per evizione mi tutela in toto e per quanto tempo? Nel mio caso, l'evizione è parziale o totale? Sono necessari ulteriori accorgimenti, come dire, notarili o mi conviene desistere dall'acquisto?

Ringrazio in anticipo per la disponibilità e resto in fervida attesa di un Vostro parere, per me vincolante ai fini del buon fine dell’acquisto.

Consulenza legale i 11/01/2016
Con il quesito si delinea effettivamente una questione complessa, che di seguito si cercherà di chiarire per quanto possibile.
Il testamento può essere inficiato sia da vizi di sostanza (ad es. incapacità del testatore, vizi del volere ecc.) che da vizi di forma. Quanto a questi ultimi, l'art. 606 c.c. disciplina la nullità per difetto di forma e stabilisce due distinte ipotesi. Il testamento olografo, infatti, può essere nullo per mancanza di autografia o sottoscrizione (co. 1), mentre per ogni altro difetto formale la disposizione commina l'annullabilità (co. 2). Nel primo caso, in conformità alla disciplina dell'atto nullo (art. 1418 ss c.c.), si può ritenere che l'azione sia imprescrittibile. Infatti, da un lato solo il secondo comma prevede un termine di prescrizione, dall'altro il testamento nullo si può considerare come se non esistesse. L'azione di cui al secondo comma può essere intentata da chiunque abbia interesse ma entro 5 anni da quando è data esecuzione alle disposizioni testamentarie anche se l'esecuzione viene data da uno soltanto dei chiamati (Cass. 9466/2012).
Se viene meno la successione testamentaria, la conseguenza è che opera quella legittima e, quindi, in luogo del testamento che devolve l'intero alla moglie del de cuius, il patrimonio andrebbe diviso anche con i fratelli di quest'ultimo (in base alla situazione descritta).
Una volta che un soggetto abbia vista riconosciuta la sua qualità di erede (come detto anche per l'operare della successione legittima in luogo di quella testamentaria), è naturale che egli agisca per ottenere i beni cui ha diritto: a tal fine l'art. 533 c.c. disciplina l'azione di petizione dell'eredità. Precisamente, grava sull'erede che agisca in base a tale azione l'onere di dimostrare sia che egli è tale sia che i beni reclamati appartengono all'asse ereditario. Anche tale azione è imprescrittibile ma se nel frattempo si è compiuta sul bene l'usucapione (secondo la relativa disciplina) l'acquisto è salvo.
Peraltro, colui che ritenendosi erede vuole ottenere la restituzione del bene, può anche agire direttamente in base all'azione in esame, con la quale si mira proprio al riconoscimento di detta qualità e dalla quale discende l'eventuale effetto restitutorio.
Tra i soggetti contro i quali l'erede può rivolgersi vi sono anche i terzi cui il possessore ha alienato il bene. Tuttavia, la legge si preoccupa anche di tutelare tali terzi, facendo salvo il loro acquisto (art. 534 c.c.).
In particolare, se si tratta de beni immobili o mobili registrati, è necessario che l'acquisto dall'erede apparente sia effettuato in buona fede (la quale va provata) e a titolo oneroso e, inoltre, che tanto tale acquisto che quello a titolo di erede siano stati trascritti prima della trascrizione dell'acquisto da parte del vero erede oppure prima che questi abbia trascritto la domanda giudiziale di petizione dell'eredità contro l'erede apparente. Valgono, cioè, i principi della pubblicità immobiliare: poiché esiste, appunto, un sistema di pubblicità per tali beni, chi acquista deve essere diligente e verificare se chi vende è legittimato a farlo.
Tuttavia, la disciplina va integrata con quanto dispone l'art. 2652 n. 7. Circa il rapporto tra tale norma e l'art. 534 c.c. è necessario guardare a dottrina e giurisprudenza sul punto (v. GAZZONI, Manuale di diritto privato, 2009, pag. 535 ss.). Esse ritengono che si tratti di norme che regolano fattispecie diverse perché: l'art. 534 c.c. presuppone l'acquisto a titolo oneroso, in buona fede (da provare) da un erede apparente; l'art. 2652 n. 7 c.c. tratta dell'acquisto da un falso erede (e quindi prescinde dall'apparenza), in buona fede (ma qui è presunta) e si applica anche se l'acquisto è a titolo gratuito. Inoltre, l'art. 534 c.c. si applica solo alla petizione di eredità, mentre l'art. 2652 n. 7 si applica a qualsiasi azione con cui si contesti un acquisto ereditario, cioè anche a tutte le ipotesi in cui si contesti la validità di una disposizione testamentaria (Cass. 4114/1966). La diversa disciplina sta in ciò: quando si applica l'art. 534 c.c. l'acquisto del terzo è salvo se tanto egli che il suo dante causa hanno trascritto i rispettivi acquisti; quando opera l'art. 2652 n. 7, invece, se il vero erede trascrive la sua domanda dopo 5 anni dalla trascrizione dell'acquisto, la sentenza che accoglie la sua domanda non pregiudica i terzi che abbiano trascritto o iscritto il loro acquisto prima della trascrizione di detta domanda.
Pertanto, come si ricava dall'esame della disciplina, è fondamentale che l'acquisto a titolo di erede sia trascritto: se ciò avviene, opera la tutela ex 534 c.c. ovvero ex 2652 c.c., a seconda dei presupposti applicabili; se non avviene, l'acquisto del terzo è evidentemente suscettibile di essere caducato agevolmente.
Quando l'acquirente è soccombente di fronte alle pretese del terzo ed è tenuto a restituire il bene si ha evizione totale. Essa è, invece, parziale, se la pretesa del terzo riguarda solo una parte del bene. Alle diverse fattispecie corrisponde una diversa disciplina (art. 1483 ss c.c.), che si sostanzia comunque nella possibilità di far valere la responsabilità del venditore per il fatto di evizione.
Tale garanzia è, in ogni caso, un effetto naturale del negozio, per cui non serve una specifica disciplina affinché operi; può invece essere modificata per accordo delle parti.
Infine, quanto all'opportunità di procedere all'acquisto, con i pochi dati a disposizione, non è possibile esporsi con suggerimento alcuno. Si consiglia di ponderare attentamente tutti gli aspetti giuridici della vicenda (e, naturalmente, tutte le consulenze già ricevute in materia), con particolare attenzione all'elemento della trascrizione ad opera della moglie del de cuius. A tale riguardo, peraltro, dovrà considerarsi un ulteriore elemento, che non emerge dal testo del quesito (dal quale si evince una forte incertezza del richiedente). Tale elemento è dato dal fatto che le parti nel corso delle trattative sono tenute a comportarsi secondo buona fede (art. 1337 c.c.), essendo sanzionato l'abbandono ingiustificato di esse. Pertanto, soprattutto se le trattative sono in fase avanzata, sarà opportuno tenere conto anche di questo aspetto. E' chiaro poi che molto dipende anche dalla convenienza economica dell'affare e dal livello di propensione al rischio dell'acquirente. Da valutare anche la posizione dei fratelli del de cuius. Se sono "sereni" o "sul piede di guerra".

Giuseppe F. chiede
martedì 03/02/2015 - Campania
“Dopo circa 21 (ventuno) anni dal decesso del suocero, uno stretto parente ha letto (due mesi orsono) il testamento come (avrebbe dovuto essere) vergato dallo stesso, ma, sorto un dubbio e dopo essere riuscito a procurarsi copia di atti scritti dal cognato, figlio del de cuius, ha constatato la totale identità tra le due grafie. Se così fosse,il testamento, più che nullo, sarebbe inesistente e, quindi, anche in questo caso aggredibile da "chiunque ne abbia interesse".
Nelle more, al testamento è stata data esecuzione.
Ha due figli, oggi maggiorenni, e moglie -che solo ora sembra comprendere il valore dei beni attribuiti al germano.
Si può impugnare il testamento, e da chi? E' necessaria la querela di falso? In sede civile o anche in sede penale?”
Consulenza legale i 09/02/2015
L’art. 602 del c.c. stabilisce in maniera inequivocabile che il testamento olografo "deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore".
Di conseguenza, l'eterografia della scheda, ossia la sua provenienza da mano diversa da quella del testatore, rende irrimediabilmente nullo l'intero testamento (art. 606 del c.c.).

La nullità costituisce una patologia negoziale che rende il testamento impugnabile senza termini di scadenza, da chiunque vi abbia interesse (in primis, naturalmente, gli eredi legittimi che sono stati lesi dalle false disposizioni testamentarie). Secondo la giurisprudenza, nelle cause aventi ad oggetto l'impugnazione del testamento sono parti necessarie, oltre agli eredi istituiti dal de cuius, anche tutti i successibili per legge, poiché in caso di invalidazione del testamento la successione deve essere regolata per tutti unitariamente (Cass. civ. n. 2671 del 2001; n. 474 del 2010).

Quanto alla necessità di querela di falso, è necessario proporre alcune riflessioni.
La giurisprudenza di legittimità, infatti, oscilla tra diverse posizioni.

1. Si può chiedere il mero disconoscimento del testamento olografo, poiché esso è un documento che non perde la sua natura di scrittura privata per il solo fatto che deve rispondere a determinati requisiti di forma imposti dalla legge: la sua efficacia deriverebbe, secondo questa posizione, dal riconoscimento, espresso o tacito, che ne faccia il soggetto contro il quale la scrittura è prodotta (v. Cass. civ., sentenze 1979, n. 3849, 1992 n. 11504, 1994 n. 3833).
Secondo questa ricostruzione, la querela di falso è certamente ammessa, ma farebbe conseguire un risultato più ampio, cioè quello di rimuovere completamente ed erga omnes il valore del testamento.
Si è sostenuto che, nell'ipotesi di conflitto tra l'erede legittimo che disconosca l'autenticità del testamento e chi vanti diritti in forza di esso, l'onere della proposizione dell'istanza di verificazione del documento contestato incomberebbe su quest'ultimo, dovendo egli dimostrare la sua qualità di erede: sull'erede legittimo graverebbe solo l'onere del disconoscimento (v. sez. II, 12.4.2005, n. 7475; sez. II, 11.11.2008, n. 26943).

2. E' sempre necessaria la querela di falso, di cui agli artt. 221 ss. c.p.c. (v. Cass. civ., sez. II, 3.8.1968, n. 2793; sez. II, 30.10.2003, n. 16362)
Più recentemente, la Cassazione a Sezioni Unite (Cass. S.U., 23 giugno 2010, n. 15169) ha affermato che "nell'ambito delle scritture private deve riservarsi diverso trattamento a quelle la cui natura le connota di una carica di incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso onde contestarne la autenticità". In motivazione della sentenza, la Suprema Corte menziona, come scritture provenienti da terzi dotate di una tale incidenza, il testamento olografo, giungendo così ad affermare che la contestazione della sua autenticità richieda la querela di falso.

Una posizione intermedia è quella che sostiene che solo i successibili ex lege possano proporre il disconoscimento ex artt. 214 ss. c.p.c., mentre i terzi dovrebbero proporre querela di falso (v. Cass. civ. n. 1471 del 1964).

Anche se sembrerebbe più congruo con la natura del testamento chiedere l'esperimento della querela di falso, poiché le sezioni semplici della Corte di cassazione non hanno ancora assunto un orientamento unitario, gli ermellini, con ordinanza interlocutoria n. 28586 del 20 dicembre 2013, hanno rimesso la questione al Primo Presidente affinché eventualmente disponga che le Sezioni Unite chiariscano quale sia lo strumento processuale da utilizzare per contestare l’autenticità del testamento olografo. Non consta ancora l'emissione di una decisione definitiva.

Quindi, nel dubbio, è più sicuro proporre una querela di falso che non ricorrere al semplice disconoscimento del testamento.

Si deve ricordare che, oltre ai risvolti civilistici, la falsificazione del testamento olografo costituisce un reato di falso perseguibile anche d'ufficio ex art. 493 bis del c.p., comma secondo, soggetto ad una specifica pena ex art. 491 del c.p.. Si dovrà valutare nel concreto se denunciare il fatto anche ai sensi della norma penale.

Isabella A. chiede
martedì 26/03/2013 - Toscana
“Buongiorno, vorrei sapere se un testamento olografo può essere annullato dal momento che nel testamento non sono citati tutti i figli (nemmeno per la legittima); c'è un solo figlio maschio ed è unico erede universale.”
Consulenza legale i 27/03/2013
Il testamento olografo può essere annullato quando manchi la data o sia incompleta, quando il testatore sia privo della capacità di agire o quando il testamento sia frutto di un errore, di violenza o di dolo di cui è stato vittima il testatore. Ai sensi dell'art. 606 del c.c. l'azione di annullamento può essere proposta da chiunque vi abbia interesse, entro il termine di cinque anni decorrenti dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie.
Diversamente, nel caso in cui uno dei legittimari (dove per legittimari si intendono le persone come coniuge e discendenti in favore delle quali la legge riserva una quota di eredità o altri diritti nella successione ai sensi dell'art. 536 del c.c.),venga escluso dal testamento olografo non verrà a determinarsi una causa di annullamento dell'atto di ultima volontà, bensì un'ipotesi di legittimario pretermesso, ovvero escluso dalla successione. In questo caso, il legittimario o i legittimari esclusi dovranno agire per ottenere il riconoscimento della loro qualifica per poi poter promuovere l'azione di reintegrazione delle quote a loro riservate per legge (si veda l'art. 553 del c.c. e ss.).

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