Scritta o compilata la scheda, la legge impone un’altra formalità, che ne compie la materiale formazione: cioè la sua chiusura e sigillamento. L’art. 605 dispone: “la carta su cui sono stese le disposizioni o quella che serve da involto deve essere sigillata con un’impronta, in guisa che il testamento non si possa aprire né estrarre senza rottura o alterazione”.
Dunque, il sigillamento della scheda qui non è contemplato come un contrassegno esteriore della sua identità o autenticità, qual è, per esempio, l’impronta del proprio sigillo con la quale il notaio deve munire la sua firma apposta alla fine dell’atto (art. 52 legge notarile), ma come mezzo speciale e più sicuro di chiusura della scheda, dato che, appunto, la legge vuole che essa sia sigillata con un’impronta da descriversi nell’atto di ricevimento del notaio, in guisa da non potersi aprire o estrarre senza rottura o alterazione.
Proprio perché il sigillamento ha soltanto lo scopo di garantire la chiusura inalterabile della scheda, la legge si limita a dire che esso debba avvenire con un’impronta qualunque, senza descriverlo minutamente, né riguardo alla materia dei sigilli, né riguardo all’impronta.
In ogni caso, una suggellazione inadeguata porterebbe sempre alla conseguenza della nullità del testamento segreto, anche quando non si assumesse che esso fosse stato alterato o aperto illegalmente. Dovrà ritenersi inadeguato il sigillamento quando si provi che la scheda testamentaria si sarebbe potuta aprire senza rottura o alterazione, ma un sigillo che abbia l’impronta occorre sempre.
Dopo che la scheda è stata sigillata, si provvede all’altra formalità essenziale, costituita dall’
atto di consegna e di ricevimento. L’art. 605 descrive minutamente il modo in cui tale atto si compie:
la consegna e la dichiarazione devono essere fatte personalmente dal testatore; non sarebbe sufficiente nemmeno un mandato speciale, e ragionevolmente, perché, come sappiamo, il testamento è un atto personalissimo, e l’atto di consegna del testamento segreto è una formalità essenziale di esso, che lo perfeziona. La dichiarazione che nella carta che consegna si contiene il suo testamento, il testatore deve farla
a viva voce al notaio, in presenza di due testimoni; la parola dichiarazione ha qui il medesimo significato che nell’art.
604, e ciò è confermato dalla circostanza che la dichiarazione scritta è contemplata dalla legge solo per il muto e il sordomuto, il quale, appunto perché tale, non può farla a viva voce.
Colui che non ha scritto di sua mano la scheda perché non sa o non può scrivere - così che la scheda è stata scritta da un terzo - oltre che consegnarla al notaio, deve dichiarare che in essa è contenuto il suo testamento, oltre che dichiarare di averla letta ed indicare il motivo che gli ha impedito di sottoscriverla.
E così pure il muto e il sordomuto che non abbiano scritto di propria mano la scheda, benché da essi sottoscritta, come sempre dev’essere, devono dichiarare per iscritto, nell’atto di consegna, di averla letta. La dichiarazione scritta del muto o sordomuto con cui attestano che nella carta che presentano al notaio è contenuto il loro testamento deve essere stesa da questi, in presenza del notaio e dei due testimoni, in fronte all'atto di ricevimento che, a sua volta, è steso sulla carta in cui è scritto o involto il testamento.
Un’altra dichiarazione cui, eventualmente, può essere tenuto il testatore, è quella riguardante la
disposizione contenuta nella scheda a favore del terzo che l’ha scritta; in quanto, per l’efficacia di tale disposizione, è necessario che il testatore la approvi di sua mano nella stessa scheda, o che la approvi con dichiarazione verbale nell'atto di consegna (art.
598) della quale, naturalmente, il notaio farebbe menzione nell’atto di ricevimento.
Nell’atto di consegna del testamento segreto il testatore non è autorizzato a fare altre dichiarazioni oltre a quelle sopra menzionate. Non potrebbe farne altre aventi carattere di disposizioni testamentarie, come, ad esempio, la dichiarazione di revocare qualunque suo altro precedente testamento o quella di istituire un altro erede o un altro legatario in aggiunta a quelli nominati nella scheda: si avrebbe, così, una nuova forma di testamento che sarebbe in parte segreto, ed in parte pubblico, un testamento misto di cui la legge non parla.
Alla consegna della scheda già sigillata ed alle dichiarazioni del testatore che accompagnano la consegna, segue l’atto di ricevimento propriamente detto, che è opera del notaio. Esso consiste nella enunciazione per iscritto di tutte le operazioni riguardanti il sigillamento e la consegna della scheda, e nella redazione per iscritto delle relative dichiarazioni del testatore.
L’atto di ricevimento dev’essere steso sulla stessa carta su cui è scritta o involta la scheda, per evitare anche il più lontano pericolo di una sostituzione o abusiva apertura e lettura della scheda, per opera del notaio o di terzi, dopo l’atto di ricevimento.
Sotto la vigenza del codice del 1865, si è presentata più volte all’esame della giurisprudenza la questione se l’atto di ricevimento possa essere scritto, anziché sull’involucro in cui già si trova racchiusa la scheda testamentaria, sopra un altro involucro già preparato dal notaio nel quale chiude il plico consegnatogli dal testatore: tale questione è stata risolta in diversi modi.
A sostegno dell’opinione affermativa si diceva che l’art. #783# di quel codice si limitava a prescrivere che “nella carta in cui è scritto o involto il testamento, per cura del notaio, si scriverà l’atto di ricevimento…” e che, quindi, se un nuovo involto può esser fatto, si deve ritenere che su detto involto, sigillato con le formalità prescritte, si può stendere l’atto di ricevimento.
Questa opinione è stata accolta dall’attuale codice il quale, all’art. 605, comma 3, espressamente dice che l’atto di ricevimento può essere scritto sia sulla carta in cui dal testatore è scritto o involto il testamento, sia su un ulteriore involto predisposto dal notaio e da lui debitamente sigillato.
L’atto di ricevimento deve contenere l’enunciazione dell’adempimento delle formalità riguardanti la consegna, la dichiarazione del testatore, il numero e l’impronta dei sigilli, nonché la menzione dell’assistenza dei testimoni alle anzidette formalità. E siccome, fra le formalità, l’art. 605 pone la stesura dell’atto di ricevimento, deve ritenersi che la presenza dei testimoni sia necessaria anche a questa stesura, il che, del resto, è anche logico, perché tale presenza evita anche meglio la possibilità di fraudolenti sostituzioni della scheda testamentaria per opera del notaio rimastone in possesso senza vigilanza altrui.
Si deve, infine, dar lettura al testatore, in presenza dei testimoni, dell’atto di ricevimento del testamento segreto e farne analoga menzione. In verità, l’art. 605 non pone tale lettura tra le formalità necessarie del testamento segreto, ma la legge notarile esige, per gli atti notarili in genere, la lettura alle parti in presenza dei testimoni, sotto pena di nullità, pur non esigendo, sotto pena di nullità, la menzione di tale lettura (art. 51, n. 8 e 58, n. 6). Dal momento che, per l’art. 60 della legge notarile, le disposizioni di questa relative alla forma degli atti notarili in genere si applicano anche ai testamenti in quanto non siano contrarie, ma semplicemente complementari, a quelle del codice civile, bisogna ritenere necessaria, a pena di nullità, la lettura dell’atto di ricevimento del testamento segreto, che è, in sostanza, un atto notarile.
Senonché, alcuni scrittori osservano che qui si tratterebbe non di una disposizione complementare, ma contraria a quella del codice civile, il quale, col suo silenzio in ordine a tale formalità, ha voluto implicitamente negarla, tanto è vero che, per quanto riflette il testamento pubblico, l’ha richiesta. Ma, osserva opportunamente il Melucci, è arbitrario supporre che il legislatore deliberatamente abbia omesso di parlare di quella formalità per non volerla; ma anzi, congettura per congettura, è preferibile, come più semplice, naturale ed ordinaria, quella di una volontaria omissione, tanto più che è più logico supporre che di un atto scritto per mano altrui si dia lettura alle persone che devono sottoscriverlo perché sino all’ultimo sappiano che cosa approvino o di che cosa facciano testimonianza.
Contro la necessità di tale lettura, si è detto che l’art. #786# del codice del 1865 stabiliva formalità identiche tanto per il caso in cui il testatore fosse soltanto muto, quanto per l’altro in cui egli fosse sordo; il che vorrebbe dire che la sordità del testatore, la quale, per il testamento pubblico, sarebbe causa di speciale disposizione, è circostanza irrilevante per il testamento segreto, mentre tornerebbe ad essere rilevante se si ritenesse necessaria la lettura dell’atto di ricevimento, in quanto questa lettura, per essere seria, presupporrebbe di poter essere ascoltata dal testatore; ma si può rispondere che, poiché il codice civile non si è soffermato a considerare la formalità della lettura nell’atto di ricevimento del testamento segreto, non poteva porla in relazione con la condizione di sordità o non sordità del testatore. Sarebbe stato opportuno che il codice avesse espressamente posto fra gli adempimenti necessari anche la lettura dell’atto di ricevimento.
L’atto di ricevimento del testamento segreto deve essere sottoscritto dal testatore, dai testimoni e dal notaio. Ove il testatore non potesse, per qualunque impedimento, sottoscrivere l’atto, deve dichiarare la causa che gli impedisce di sottoscrivere, della quale il notaio deve fare menzione nell’atto di ricevimento. Fra questi motivi di impedimento a sottoscrivere vi può essere quello di non saper egli sottoscrivere, ma non pure quello di essere analfabeta, perché, come è già stato detto, colui che non sa nemmeno leggere non può fare testamento segreto. Quando il testatore, all'atto della consegna della scheda al notaio, gli ha dichiarato di essere stata scritta da un terzo e di non essere stata da lui sottoscritta per non saper sottoscrivere - dichiarazione di cui il notaio deve fare menzione nell’atto di ricevimento - sarà inutile che il notaio inviti il testatore a sottoscrivere l’atto medesimo, che questi ripeta di non saper sottoscrivere e che il notaio torni a far menzione di tale circostanza, perché il testatore che dichiara di non aver sottoscritto la scheda per non saper sottoscrivere viene anche a dire che non può sottoscrivere l’atto di ricevimento per non saper sottoscrivere.
Diversa è, invece, l’ipotesi del testatore che, all’atto della consegna della scheda scritta da un terzo, avrà dichiarato di non averla sottoscritta per non aver potuto a causa di un impedimento, perché, se questo è cessato, la sottoscrizione dell’atto di ricevimento non può mancare, ed è necessario che egli sottoscriva pure la scheda testamentaria perché la legge vuole, in linea di principio, che questa sia sottoscritta dal testatore, dispensandolo solo quando egli non possa, e non possa sino all’ultimo momento in cui la scheda è nelle sue mani.
Infine, ultimo requisito necessario del testamento segreto è l’unità di contesto dell’atto di ricevimento: le varie formalità di cui esso consta, dalla consegna e, talvolta, dal sigillamento della scheda fino alle sottoscrizioni, devono essere compiute senza intervalli, senza passare da un atto all’altro.
Lo scopo di tale unità di contesto è quello di evitare il pericolo di sostituzione di una scheda all’altra. La parola del testo legislativo parrebbe far consistere l'unità di contesto nel divieto di passare ad altri atti giuridici, dopo aver cominciato e prima che si sia perfezionato quello di ricevimento del testamento segreto, come se, ad esempio, il notaio passasse a stipulare, nell’interesse dello stesso testatore o di un terzo, una compravendita, una donazione ecc., e poi riprendesse a stendere l’atto di ricevimento di quella scheda.
Ma, evidentemente, l’unità di contesto mancherebbe anche quando, senza passare ad altri atti giuridici, si interrompesse soltanto ad un dato punto la serie delle operazioni e delle formalità dell’atto di ricevimento del testamento segreto, per riprenderle più tardi, quale che fosse la causa di tale interruzione.
Naturalmente, non bisogna spingersi ad esagerazioni, come sarebbe voler ritenere mancata l’unità di contesto perché nel frattempo si è letto un telegramma, una lettera pervenuta al testatore, al notaio, o a qualcuno dei testimoni mentre si stendeva l’atto di ricevimento, o perché qualcuno di essi si è allontanato per brevissimo tempo per una particolare occorrenza. L’unità di contesto, insomma, si avrà sempre quando non vi sia stato un atto estraneo fra l’una e l’altra delle formalità da osservarsi nell’atto di ricevimento, o un’interruzione del loro adempimento tale da poter distrarre l’attenzione del testatore, del notaio e dei testimoni in ordine alla continuità delle singole operazioni costituenti l’atto di ricevimento del testamento segreto.
Non occorre, però, che il notaio faccia menzione del fatto che si sia osservata l’unità di contesto, perché la legge non richiede questa ulteriore formalità. Ma se fa tale menzione, essa è utile perché, allora, per contraddire l’osservanza dell’unità di contesto, gli interessati dovrebbero proporre querela di falso: se non è fatta tale menzione, invece, la si può contestare con qualunque mezzo di prova.