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Articolo 1811 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Morte del comodatario

Dispositivo dell'art. 1811 Codice Civile

In caso di morte del comodatario, il comodante, benché sia stato convenuto un termine(1), può esigere dagli eredi l'immediata restituzione della cosa.

Note

(1) La norma si applica sia per l'ipotesi in cui il comodato sia previsto a termine sia per il caso di comodato c.d. precario (1810 c.c.).

Ratio Legis

La previsione si giustifica in considerazione del fatto che si tratta di ipotesi tipica di contratto intuitus personae per il quale, cioè, è determinante la persona del contraente.

Spiegazione dell'art. 1811 Codice Civile

Restituzione per morte

Giustamente, il nuovo codice pone in rilievo (in armonia con quanto disposto circa l'incedibilità dell'uso: art. 1804 del c.c.), come il beneficium attribuito col comodato sia strettamente personale: la morte del comodatario, pertanto, se non ha virtù di risolvere automaticamente il rapporto, da facoltà al comodante di risolverlo senz'altro. Ciò, innovando nei confronti del vecchio codice che, all' art. 1807, riteneva che la morte delle parti fosse indifferente — di regola — per le sorti del contratto, a meno che, cioè, non risultasse stipulato a in riguardo del solo comodatario, ed a lui personalmente.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1811 Codice Civile

Cass. civ. n. 9796/2019

In tema di comodato, la circostanza che le parti, pur non prevedendo un termine per la restituzione del bene, abbiano vincolato l'efficacia del contratto al venir meno dell'utilizzazione dello stesso in concomitanza con la cessazione dello svolgimento dell'attività del comodatario, non comporta automaticamente la qualificazione del rapporto alla stregua di comodato senza determinazione di durata (con conseguente potere di recesso "ad nutum" del comodante, ai sensi dell'art. 1810 c.c.), spettando al giudice di merito il compito di verificare se l'assetto di interessi individuato dalle parti non sia riconducibile ad un contratto atipico, meritevole di tutela ai sensi dell'art. 1322 c.c., avente a oggetto la regolamentazione del potere di pretendere la restituzione del bene concesso in godimento, in modo che il comodante sia autorizzato ad esercitarlo non già "ad nutum", bensì unicamente al ricorrere delle condizioni convenute dalle parti. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva qualificato come senza determinazione di durata, con conseguente applicabilità dell'art. 1810 c.c. in relazione al recesso "ad nutum" del comodante, un contratto di comodato contenente una clausola che ne ricollegava l'efficacia al persistente espletamento delle attività culturali svolte nell'immobile dall'ente comodatario).

Cass. civ. n. 25887/2018

In caso di cessazione del contratto di comodato per morte del comodante o del comodatario e di mantenimento del potere di fatto sulla cosa da parte di quest'ultimo o dei suoi eredi, il rapporto, in assenza di richiesta di rilascio da parte del comodante o dei suoi eredi, si intende proseguito con le caratteristiche e gli obblighi iniziali anche rispetto ai medesimi successori. (Nella specie, la S.C. ha rigettato la domanda di usucapione proposta dagli eredi del comodatario, sostenendo che il mantenimento, da parte loro, del potere di fatto sul bene successivamente al decesso del proprio dante causa e del comodante, non avesse mutato la detenzione "nomine alieno" in possesso utile ai fini dell'usucapione).

Cass. civ. n. 8548/2008

La concessione in comodato di un immobile per tutta la vita del comodatario é un contratto a termine di natura obbligatoria, di cui é certo l' "an" ed incerto il "quando", con la conseguenza che, con riferimento ad esso, gli eredi del comodante sono tenuti a rispettare il termine di durata del contratto in pendenza del quale si sia verificata la morte del comodante. (Cassa con rinvio, Trib. Latina, 29 Luglio 2003).

Cass. civ. n. 8409/1990

In tema di comodato, in caso di morte del comodatario il comodante ha facoltà di recedere dal contratto anche quando sia stato pattuito un termine a norma dell'art. 1811 c.c., determinandone la anticipata risoluzione del rapporto mediante idonea manifestazione di volontà come nel caso di comodato a tempo indeterminato, con conseguente obbligo per gli eredi di immediata restituzione della cosa. Peraltro, qualora detta facoltà non venga esercitata, il rapporto prosegue con le caratteristiche e gli obblighi iniziali anche rispetto agli eredi.

Cass. civ. n. 1772/1976

Nel comodato a tempo indeterminato, non stipulato espressamente intuitu personae, la morte del comodatario non estingue automaticamente il rapporto, ma l'estinzione si ha solo allorquando il comodante chieda agli eredi la restituzione della cosa.

Cass. civ. n. 1407/1976

Il comodato si estingue con la morte del comodatario, anche se non è spirato ancora il termine previsto dal contratto; ed a maggior ragione con quell'evento si estingue il comodato senza determinazione di durata, altrimenti noto come precario; di conseguenza, qualora nell'immobile si immetta un successore del comodatario, il medesimo non può essere considerato, per tale sua qualità, detentore del bene, dovendosi invece esaminare se il potere di fatto dallo stesso personalmente iniziato, possa essere valutato autonomamente rispetto alla situazione precedente, come vero e proprio possesso, in quanto tale, utile anche agli effetti dell'usucapione.

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L. G. chiede
mercoledì 15/05/2024
“Un padre vedovo ha due figlie.
Il padre è proprietario di una villetta bifamiliare (divisa quindi in due appartamenti, uno grande ed uno piccolo).
Circa un anno fa il padre concede, tramite sottoscrizione di apposito contratto di comodato d'uso gratuito, l'appartamento più grande ad una figlia 1.
Il padre muore per l'aggravarsi della patologia tumorale da cui era affetto già al momento della sottoscrizione del contratto di comodato. Alla luce del testo del contratto di comodato, che si chiede di poter inviare in allegato, si intende sapere se la figlia 1 ha diritto di rimanere a vivere nell'appartamento gratuitamente e a tempo indeterminate ovvero la figlia 2 può richiedere la liberazione dello stesso al fine di potere mettere in vendita l'eredità e dividerne l'importo tra le due figlie.”
Consulenza legale i 21/05/2024
Le pattuizioni del contratto di comodato sottoscritto tra le parti e che assumono rilievo al fine di rispondere a quanto qui viene chiesto sono gli artt. 2 e 6.
Con l’art. 2 le parti hanno convenuto che il contratto debba intendersi stipulato a tempo indeterminato, il che induce a dover ritenere che lo stesso sia destinato a continuare ad esplicare la sua efficacia anche dopo la morte del comodante.
Nel corpo della stessa clausola, però, viene riconosciuto alla parte comodante il diritto di richiedere l’immediato rilascio dell’immobile “…nell’ipotesi di sopravvenuta ed urgente necessità…”, il che consente di poter qualificare tale contratto come di tipo “precario”.

Al successivo art. 6, invece, le parti richiamano, per tutto quanto nel medesimo contratto non previsto, le norme di cui agli artt. 1803-1812 c.c.
Tra tali norme va segnalato l’art. 1811 c.c., rubricato “Morte del comodatario”, norma che riconosce al comodante, in caso di morte del comodatario, il diritto di esigere dagli eredi l’immediata restituzione della cosa, anche nel caso in cui le parti abbiano espressamente pattuito un termine per detta restituzione.
Nulla, invece, il legislatore ha previsto per il caso di morte del comodante, ipotesi che, tuttavia, ha costituito in diverse occasioni oggetto di esame da parte della giurisprudenza, anche di legittimità.

In particolare, secondo Cass. n. 4258/1991 la morte del comodante determina, al pari di quanto previsto per la morte del comodatario, la risoluzione del contratto, dovendosi attribuire agli eredi la relativa azione di restituzione.
Sempre la S.C., e precisamente Cass. civ. Sez. III sent. n. 4912 del 28.05.1996, ha precisato che, in caso di richiesta di restituzione del bene da parte degli eredi del comodante, si considerano irrilevanti le necessità del comodatario in ordine all’uso del bene.

Nel caso, poi, di comodato precario, qual è quello che viene in considerazione nel caso di specie, la ragione dello scioglimento sarebbe da ravvisarsi nel fatto che, fondandosi sulla fiducia delle parti interessate, il contratto non possa che estinguersi alla morte del comodante, non spiegando validità anche nei confronti di terzi, aventi causa per successione ereditaria, nella proprietà del bene dato in comodato.
Si precisa anche che l’eventuale occupazione del bene da parte del comodatario protrattasi dopo il decesso del comodante legittima il proprietario (ovvero i suoi eredi) alla richiesta di indennizzo ex artt. 2041 e 2042 c.c., da determinarsi in caso di immobili, in base ai parametri normativi fissati per il godimento di immobili urbani dalla Legge equo canone.

A diverse conclusioni, invece, è giunta la giurisprudenza nel caso di comodato di un immobile con termine finale di durata coincidente con la morte del comodatario, in quanto si sostiene che, dovendosi in esso individuare un contratto a termine di natura obbligatoria (di cui è certo l’an ed incerto il quando), gli eredi del comodante saranno tenuti a rispettare il termine di durata del contratto in pendenza del quale si sia verificata la morte del comodante (così Cass. civ. Sez. III sent. n. 8548 del 03.04.2008).

In conclusione, dunque, può dirsi che la figlia 2 ha il pieno diritto di sciogliersi dal contratto di comodato e chiedere la restituzione dell’immobile alla parte comodataria, ovvero la figlia 1.
Considerato, però, che nel caso in esame anche la figlia 1 è proprietaria dell’immobile, valgono le regole dettate dal codice civile in tema di comproprietà degli immobili ed in particolare il disposto di cui all’art. 1102 del c.c. (nella parte in cui è detto che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purchè “…non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto…”), il quale deve a sua volta essere coordinato con l’art. 714 del c.c. ove è detto che non si perde il diritto di chiedere la divisione anche se di uno o più beni ereditari ne abbia goduto soltanto uno degli eredi, norma che implicitamente ammette la possibilità che uno solo dei coeredi possa trovarsi a godere in via esclusiva dell’immobile caduto in successione.

Dal combinato disposto di tali norme la giurisprudenza prevalente ne ha dedotto che finchè gli altri coeredi, o anche uno solo di essi, non faranno formalmente constare il loro dissenso all’uso esclusivo di quell’immobile, il coerede che lo occupa non sarà tenuto in alcun modo ad indennizzare gli altri per il mancato godimento dello stesso.
Solo dal momento della manifestazione di dissenso all’uso esclusivo, il godimento del bene da parte di uno solo degli eredi diventa privo di alcun titolo giustificativo e, come tale fonte di danno per gli altri eredi, sotto l’aspetto del lucro cessante, per mancata percezione dei frutti civili ritraibili dall’immobile, i quali, per giurisprudenza costante, vanno commisurati al valore figurativo di un ipotetico canone locativo di mercato (così Cass. n. 5504/2012 e Cass. n. 17876/2019).

Con ciò vuol dirsi che, una volta esercitato il diritto di scioglimento del contratto di comodato per morte del comodante, considerato che trattasi di bene facente parte della comunione ereditaria, la figlia 2 non potrà far valere il diritto alla restituzione dell’immobile (considerato che la comodataria figlia 1 ne è divenuta comproprietaria), ma dovrà far constare il proprio formale dissenso all’uso esclusivo dell’immobile, in conformità al disposto di cui all’art. 1102 c.c.
In mancanza di esternazione di tale volontà, non sarà possibile avanzare alcuna pretesa risarcitoria, mentre si potrà far valere in qualunque momento, ex art. 714 c.c., il diritto di chiedere lo scioglimento della comunione, anche mediante alienazione dell’immobile e successiva divisione del prezzo ricavato dalla vendita.


Federico C. chiede
domenica 21/06/2020 - Emilia-Romagna
“Spett.le Brocardi.it
vorrei un vostro parere sulla mia situazione.

Faccio una piccola premessa, per meglio inquadrare la questione.

Circa 20 anni fa è venuta a mancare mia nonna materna e, dopo qualche anno, mio nonno si è risposato con una giovane dell’est, il cui matrimonio, come prevedibile, è durato pochi anni (4 o 5 mi sembra).
In sede di separazione (e successivo divorzio) la casa coniugale, interamente pagata da mio nonno e a lui intestata, è fortunatamente rimasta a lui. La giovane ex-moglie è uscita di casa ed è stata liquidata con una ingente somma di denaro una-tantum.

Per evitare di perdere la casa nell’eventualità di nuovi colpi di testa del nonno, nel 2010 mio padre decide di comprare e intestare a me l’immobile del nonno, rendendolo di fatto nullatenente. Davanti al notaio, contestualmente alla compravendita, abbiamo firmato una scrittura privata (non registrata) in cui io concedo al nonno l’immobile in comodato gratuito per 30 anni.
Risulto quindi dal 2010 unico proprietario e abitante in quella casa (vi ho spostato la residenza per la questione prima casa) insieme al nonno, anche se dopo poco tempo mi sono trasferito in un altro immobile in un altro comune, più vicino al luogo di lavoro.

A distanza di 10 anni la storia rischia di ripetersi, questa volta con una donna sempre dell’est ma non più giovanissima (70 anni, con un figlio di circa 40 anni, attualmente abitante nel suo paese).

Cosa succederebbe se mio nonno l’assumesse come badante o, nel caso peggiore, decidesse di risposarsi?
Il contratto di comodato è ereditabile? Il fatto che il comodato gratuito non sia registrato influisce?
Quanto è concreto il rischio che, alla morte del nonno, la casa non possa entrare nelle mie disponibilità ma possa rimanere alla nuova moglie, magari 80enne, o peggio ancora al figlio?

Qual è secondo voi la soluzione migliore per tutelare la mia proprietà alla morte del nonno?

Grazie”
Consulenza legale i 25/06/2020
Ai sensi dell’art. 1803 del c.c., il comodato è il contratto con cui una parte consegna una cosa mobile o immobile all'altra, affinché quest'ultima se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l'obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Il comodato è per sua natura gratuito.
Al comodato può essere o meno apposto un termine di durata, con conseguenze diverse in tema di restituzione del bene (artt. 1809 e 1810 c.c.).
Passando alla specifica questione oggetto del quesito, a sgombrare il campo dalle preoccupazioni interviene l’art. 1811 del c.c., il quale stabilisce espressamente che, in caso di morte del comodatario, il comodante, anche quando - come nel nostro caso - sia stato convenuto un termine, può esigere dagli eredi l'immediata restituzione della cosa.
La giurisprudenza (si veda Cass. Civ., Sez. III, n. 20001/2014) ha precisato che “nel comodato, pur in costanza di pattuizione di un termine negoziale finale, la morte del comodatario non estingue automaticamente il rapporto, ma l'estinzione ha luogo solo allorquando il comodante chieda agli eredi la restituzione della cosa”.
Chiaramente, se l’attuale compagna del nonno venisse assunta come badante, ciò non le attribuirebbe di per sé la qualità di erede, che assumerebbe invece in caso di matrimonio, o qualora venisse istituita come tale in un eventuale testamento.
Anche in tali ipotesi (che non è detto si verifichino), tuttavia, sarà sufficiente per il comodante richiedere la restituzione dell’immobile alla morte del nonno; richiesta da farsi, naturalmente, per iscritto, a mezzo raccomandata A.R.
Deve ugualmente escludersi che la casa possa andare al figlio della compagna, il quale non può vantare alcun diritto sull’immobile. Infatti, anche nell'eventualità in cui venisse nominato erede dal comodatario, varrebbe comunque il disposto dell’art. 1811 c.c., sopra esaminato, e il comodante potrebbe riacquistare la disponibilità dell'immobile, previa espressa richiesta di rilascio, da farsi sempre con raccomandata A.R.

Domenico M. chiede
venerdì 01/12/2017 - Puglia
“Alcuni anni fa Tizio concesse a Caio, in comodato gratuito, un immobile di sua proprietà. Per la precisione, detto immobile, ubicato in una zona agricola, era poco più di uno “jazzo”, cioè un recinto scoperto, in pietra, di circa 300 mq., adibito al ricovero notturno degli animali da pascolo. Nel contratto le parti convenivano che, alla cessazione del rapporto contrattuale, Caio avrebbe restituito l'immobile a Tizio previo pagamento da parte di quest’ultimo delle migliorie apportate (quest’ultima pattuizione era stata inserita nel contratto sottoscritto fra le parti). In particolare, nella scrittura privata, il comodante concedeva al comodatario la facoltà di apportare modifiche all’immobile per adeguarlo all’uso che Caio intendeva farne (ricovero di mezzi agricoli), assicurarne una migliore staticità e installare impianto di videosorveglianza.
Allo scopo di renderlo funzionale alle sue esigenze, Caio provvide, a propria cura e spese, a migliorare lo stato dei muri perimetrali dell’immobile, a installare una copertura metallica a mo’ di tettoia nonché a dotare l’ingresso del locale così creatosi di porte adeguate e sicure per meglio custodire i mezzi agricoli. Dette migliorie avvennero senza alcun tipo di autorizzazioni edilizie e senza variare la destinazione d’uso del fabbricato così realizzato che, evidentemente, acquisiva nuova tipologia e caratterizzazione edilizia (da precisare che il vecchio "jazzo"/recinto non era accatastato e non lo è neppure l’immobile venutosi a creare con le migliorie suddette). Si specifica altresì, che la realizzazione di dette addende non vennero sottoposte per iscritto, in ordine all’entità e costi, al comodante, ma da questi furono autorizzate verbalmente.
Circa un anno fa Caio è deceduto e, di conseguenza, Tizio, con ben due raccomandate, ha provveduto a chiedere formalmente ai figli/eredi di Caio la liberazione dell’immobile dai mezzi agricoli e la sua restituzione. Gli eredi di Caio non hanno ritenuto di ottemperare alle richieste di Tizio sia perché non hanno altro luogo per ricoverare i mezzi agricoli sia perché, alla loro richiesta di vedersi rimborsare le spese (documentate) relative alle migliorie apportate da Caio, Tizio non ha inteso provvedere.
Vista la ostinazione degli eredi di Caio nel continuare a detenere il fabbricato, Tizio notificava ricorso ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c. con cui citava in giudizio gli eredi di Caio e chiedeva un provvedimento del giudice al fine di riottenere il possesso dell’immobile.
I quesiti sono i seguenti:
Posto che gli eredi di Caio non hanno ancora provveduto, a distanza di quasi due anni dal decesso del loro genitore, a rivolgersi ad un notaio ed aprire formalmente la successione, qual è la loro posizione processuale? Possono considerarsi legittimati passivi? Devono costituirsi in giudizio? E se sì, cosa possono eccepire per tentare una difesa?
In ordine alle migliorie apportate all’immobile da Caio, i detti eredi sono legittimati a proporre un’azione per vedersi riconosciuto il rimborso delle spese sostenuta dal loro genitore defunto? Devono proporre un giudizio autonomo o possono proporre riconvenzionale all’interno dell’azione già proposta ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c. da Tizio nei loro confronti?
In ordine ai succitati quesiti sarei lieto di ricevere adeguata soluzione completa di riferimenti normativi e giurisprudenziali.
Grazie.
D. M.”
Consulenza legale i 14/12/2017
Il caso trattato nel quesito pertiene in primo luogo alla fattispecie prevista dall’art. 1811 del codice civile relativo alla morte del comodatario: “In caso di morte del comodatario, il comodante, benché sia stato convenuto un termine, può esigere dagli eredi l'immediata restituzione della cosa.“
Quindi, legittimamente, Tizio aveva richiesto la restituzione agli eredi di Caio.
Quanto alle migliorie apportate da quest’ultimo, occorre far riferimento all’art. 1808 del codice civile.
Sul punto, la Cassazione con sentenza n. 13339 del 30 giugno 2015 ha ribadito un costante orientamento giurisprudenziale in materia statuendo che: “La disposizione dell'art. 1808 c.c., esclude il diritto del comodatario al rimborso delle spese sostenute per servirsi della cosa (comma 1), prevedendo un'unica eccezione per le spese straordinarie occorse per la conservazione della cosa, sempreché le stesse siano state necessarie ed urgenti (comma 2). A fronte del chiaro tenore della norma, risulta implicitamente ma chiaramente esclusa la possibilità che possa spettare un qualche rimborso (neppure nella forma dell'indennità o dell'indennizzo) per esborsi che, ancorché abbiano determinato un miglioramento, non siano risultati necessari per far fronte ad improcrastinabili esigenze di conservazione della cosa. In tal senso si è già espressa la giurisprudenza di questa Corte, allorché ha affermato che"il comodatario che, al fine di utilizzare la cosa, debba affrontare spese di manutenzione può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di affrontarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante.[...] La medesima giurisprudenza ha, peraltro, precisato che"il comodatario che, avendo sostenuto delle spese ordinarie, si sia vista rigettata l'azione di rimborso avanzata ai sensi dell'art. 1808 cod. civ., non può esperire quella di illecito arricchimento, atteso che il requisito di sussidiarietà evocato dall'art. 2041 c.c., non consente che la relativa azione possa essere utilizzata in alternativa subordinata a quella contrattuale per eluderne gli esiti sfavorevoli, ove quest'ultima, sebbene astrattamente configurabile, non consenta in concreto il recupero dell'utilità trasferita all'altra parte" (ancora Cass. n. 1216/2012)”.
Alla luce di quanto precede, visto che si tratta di questioni essenzialmente di diritto che non richiedono una particolare istruttoria, correttamente è stata proposta l’azione ex art. 702 bis del codice di procedura civile.

Fatte queste brevi premesse, rispondiamo alle domande oggetto del quesito.

La posizione degli eredi di Caio che non hanno ancora accettato l’eredità è comunque quella di legittimati passivi.
Oltretutto, pur mancando una accettazione espressa dell’eredità, visti i fatti concludenti (in relazione proprio al terreno oggetto di comodato) si potrebbe ritenere essere intervenuta una accettazione tacita della medesima (art. 476 del codice civile). Ad esempio, si parla di accettazione tacita quando l’erede, nel possesso dei beni ereditari, non predispone l’inventario dei suddetti beni entro tre mesi dall’apertura della successione (art. 485 del codice civile).
Quanto all’onere probatorio, come ha ribadito la Suprema Corte con la sentenza 13 giugno 2014, n. 13491, grava su chi agisce in giudizio nei confronti del preteso erede l’onere di fornire la prova dell’assunzione da parte del convenuto della citata qualità.
In ogni caso, è comunque interesse del chiamato all’eredità costituirsi in giudizio. “Infatti, in tema di debiti ereditari, il soggetto chiamato all'eredità e che non l'abbia accettata, se si trova nel possesso di beni ereditari (art. 486 c.c.), può stare in giudizio per rappresentare l'eredità, ma, siccome non è ancora succeduto all'ereditando, non è soggetto passivo delle obbligazioni già pertinenti al suo dante causa e dunque contro di lui non può essere rivolta una domanda di condanna al pagamento di un debito ereditario. Quando, però, detta domanda sia stata proposta nei suoi confronti, egli ha l'onere di resistere sostenendo l'insussistenza della sua qualità di erede, al fine di conseguire il risultato di non essere condannato al pagamento del debito, in quanto, una volta che attraverso il giudicato sia stato accertato un diritto di una parte nei confronti di un'altra, tutte le questioni che avrebbero potuto essere fatte valere nel giudizio e che, se lo fossero state, avrebbero potuto condurre a negare quel diritto, non possono esserlo più e non possono, perciò, costituire oggetto di opposizione all'esecuzione, anche ai fini dell'allegazione della sopravvenuta rinuncia all'eredità.” (Cassazione Civile, sez.III, 03.09.2007, n. 18534.)

Quanto alle eventuali difese degli eredi chiamati in giudizio, essi avrebbero ben poche argomentazioni.
L’obbligo di restituzione appare pacifico per espressa previsione normativa (art. 1811 del codice civile). Quanto al rimborso delle spese sostenute dal comodatario, potrebbero forse tentare di provare che esse siano state necessarie per la conservazione della cosa. Ma, stando a quanto riportato nel quesito, gli interventi effettuati dal comodatario appaiono rientrare nella fattispecie prevista dal primo comma dell’art. 1808 del codice civile piuttosto che in quella relativa alle spese di conservazione.

Quanto alla legittimazione attiva dei chiamati all’eredità prima dell’accettazione (art. 460 c.c.) essi in teoria potrebbero esperire una autonoma azione ed in tal caso si avrebbe una conferma della accettazione tacita dell’eredità. Sul punto, citiamo una sentenza della giurisprudenza di merito: “l'esperimento delle azioni volte al reclamo e alla tutela della proprietà sui beni ereditari e al risarcimento per la loro mancata disponibilità, presuppone necessariamente l'accettazione dell'eredità stessa. Ciò perché si tratta di azioni che travalicano il semplice mantenimento dello stato di fatto quale esistente all'atto di apertura della successione e la mera gestione conservativa dei beni compresi nell'asse ereditario e che il chiamato all'eredità non avrebbe il diritto di proporle se non nel caso di accettazione della qualità di erede.” (Tribunale Milano sez. IV 12 febbraio 2013 n. 1994).

Ad ogni modo, rispondendo all’ultima domanda del quesito, gli eredi di Caio anziché esperire un autonomo giudizio nel senso sopra indicato, potrebbero tranquillamente proporre domanda riconvenzionale per chiedere il rimborso delle spese -a prescindere dalla sua infondatezza - nel medesimo giudizio instaurato ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., come espressamente ivi previsto al terzo comma; anche perché, “se ritiene che le difese svolte dalle parti richiedono un’istruzione non sommaria, il giudice, con ordinanza non impugnabile, fissa l’udienza di cui all’articolo 183. In tal caso si applicano le disposizioni del libro II. Quando la causa relativa alla domanda riconvenzionale richiede un’istruzione non sommaria, il giudice ne dispone la separazione (art. 702 ter c.p.c.).