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Articolo 1647 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Nozione

Dispositivo dell'art. 1647 Codice Civile

Quando l'affitto ha per oggetto un fondo che l'affittuario coltiva col lavoro prevalentemente proprio o di persone della sua famiglia(1), si applicano le norme che seguono sempre che il fondo non superi i limiti di estensione che, per singole zone e colture, possono essere determinati dalle norme corporative [1654, 2079](2).

Note

(1) Il lavoro dell'affittuario e della sua famiglia deve prevalere su quello di terzi che prestano a qualsiasi titolo la propria attività; cioè deve trattarsi, al più, di piccola azienda agricola famigliare. Ciò distingue la fattispecie in esame dall'affitto di fondo rustico (v. 1628 ss. c.c.).
(2) L'inciso "sempre che il fondo non superi i limiti di estensione che, per singole zone e colture, possono essere determinati dalle norme corporative" è da ritenersi implicitamente abrogato ai sensi del D. lgs. lgt. 23 novembre 1944, n. 369 e del R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721.

Ratio Legis

Nell'affitto a coltivatore diretto il legislatore detta una particolare disciplina proprio in considerazione del fatto che si tratta di attività posta in essere prevalentemente da un soggetto o da questi e la propria famiglia.

Spiegazione dell'art. 1647 Codice Civile

Giustificazione teorica di una disciplina autonoma del piccolo affitto. Nozione

L'ultimo paragrafo della sezione intitolata « Dell'affitto » contiene il regolamento dell'affitto a coltivatore diretto, già e più comunemente conosciuto come piccolo affitto o piccola affittanza. La denominazione accolta dal legislatore di « affitto a coltivatore diretto » è apparsa preferibile perché in essa è posto in chiaro rilievo la caratteristica essenziale del contratto e cioè la coltivazione diretta da parte dell'affittuario attuata con lavoro prevalentemente proprio o di persone della propria famiglia.

Gli interessi relativi alle esigenze economiche del piccolo affitto sono considerati socialmente utili: per la sua specifica funzione sociale, l'affitto a coltivatore diretto riceve anche una diversa regolamentazione giuridica tale da assicurare la funzionalità piena dell'istituto in rapporto ai compiti di alto interesse sociale che esso è chiamato ad assolvere. È appunto in considerazione di tali specifici riflessi che il coltivatore diretto immette nel rapporto, che l'art. 2079 del codice estese la regolamentazione per contratto collettivo anche all'affitto a coltivatore diretto. Ciò peraltro non significa che il piccolo affitto costituisca un rapporto di lavoro e come tale vada disciplinato. Se era possibile avere dei dubbi al riguardo il codice li ha eliminati riconducendo il contratto sotto il titolo della locazione e riconoscendo al piccolo affittuario la titolarità di una propria impresa.

Era stato affermato in dottrina che il piccolo affitto si presenta nello stesso tempo come rapporto economico e come rapporto di lavoro, a seconda che venga in considerazione la posizione d'imprenditore o quella di lavoratore del piccolo coltivatore e se proprio non può dirsi che si tratti di un contratto di lavoro, è per lo meno un contratto per lavoro, poiché il fine essenziale di esso è quello di procacciarsi del lavoro, fecondando direttamente con questo l'altrui capitale terriero e di procurarsi attraverso lo stesso i mezzi di sussistenza che nel comune contratto di lavoro gli vengono corrisposti direttamente sotto forma di mercede. Tali considerazioni devono considerarsi superate dalla disciplina accolta dal codice, secondo la quale l'elemento lavoro fu preso in considerazione unicamente ai fini della regolamentazione per contratto collettivo. L'avvicinamento ai rapporti di lavoro e formale, non sostanziale, perché l'elemento lavoro, nella piccola affittanza ha un valore meramente economico: non costituisce oggetto di scambio, non esce dalla sfera economica dell'affittuario, il quale se è obbligato a coltivare, tale obbligo costituisce manifestazione del suo diritto — dovere quale imprenditore e dell'impegno di conservare il fondo per restituirlo nello stato medesimo di produttività in cui l'ha ricevuto.

La coltivazione diretta da parte dell'affittuario è attuata con lavoro prevalentemente proprio o di persone della propria famiglia. Nel concetto della legge il criterio di differenziazione è costituito dalla prevalenza del lavoro personale del coltivatore diretto o dei suoi familiari su quello di persone estranee alla famiglia, non già dalla occasionalità o saltuarietà del concorso di mano d'opera estranea nella coltivazione del fondo. Il ricorso alla manodopera salariata può essere anche normale e continuativo, purché non sia prevalente al lavoro familiare. La coltivazione diretta di un fondo rustico non consiste soltanto nello zappare la terra, fare la semina, rimondare gli alberi, raccogliere i frutti, ma anche nell'accudire direttamente all'allevamento del bestiame necessario per la migliore utilizzazione del fondo stesso con tutte le operazioni che a quell'allevamento sono annesse e connesse. Se invece l'affittuario a tale bisogno non provvede, almeno prevalentemente, con l'opera propria e con quella dei propri familiari, ma ricorre all'opera di un terzo qualsiasi proprietario di bestiame, la coltivazione non è piu diretta, onde l'affittuario non può più considerarsi piccolo.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

699 La sezione dell'affitto si chiude con il regolamento dell'affitto a coltivatore diretto, o piccola affittanza, che dir si voglia; è preferibile però la denominazione di "affitto a coltivatore diretto", perche essa mette subito in evidenza la caratteristica essenziale del contratto, che è quella indicata nell'art. 1647 del c.c.: coltivazione diretta da parte dell'affittuario, attuata con lavoro prevalentemente proprio o di persone della propria famiglia. Può ,anche essere impiegato lavoro altrui, eccezionalmente o stabilmente; ma prevalente deve essere quello dell'affittuario e della sua famiglia. Le dimensioni dell'affitto risultano commisurate alle possibilità di mantenere tale prevalenza. Se la famiglia colonica è numerosa, le dimensioni sono maggiori; minori nel caso inverso. Ma poichè talvolta questo criterio può condurre a conseguenze esorbitanti si è prevista la possibilità di determinare mediante norme corporative un limite massimo di estensione del fondo, per singole zone e colture. Nell'affitto a coltivatore diretto, se pure si svolge in forma d'impresa, domina il lavoro proprio del suo titolare, e di ciò tengono conto le fondamentali norme racchiuse negli art. 1652 del c.c. e art. 1653 del c.c.i. Il piccolo affittuario, l'uomo della fatica gioiosa, secondo l'espressione mussoliniana, ha tesori di energie lavorative, ma scarseggia di capitale: il locatore lo sorregge con anticipazioni al saggio legale (art. 1652), lo sorregge con la sua diretta sostituzione integratrice (art. 1653), con la quale il locatore persegue, oltre che gli interessi propri e del coltivatore, anche quelli superiori e immanenti della produzione.

Massime relative all'art. 1647 Codice Civile

Cass. civ. n. 2664/2006

L'impresa familiare coltivatrice non è presunta in presenza di conduttore di fondo agricolo che sia coniugato con figli, ma va provata da chi ne deduce la sussistenza. (Rigetta, App. Caltanissetta, 19 Giugno 2002).

Cass. civ. n. 26079/2005

In materia di contratti agrari, per la comunicazione ("notifica") al coltivatore o al confinante della proposta di alienazione del fondo, ai fini della prelazione di cui all'art. 8 della legge n. 590 del 1965 e all'art. 7 della legge n. 817 del 1971, da parte del proprietario venditore è richiesta la forma scritta "ad substantiam", non essendo, perciò, idonea allo scopo l'effettuazione della stessa in qualsiasi modo, anche verbale. Infatti, la "denuntiatio" non va considerata solo come atto negoziale ma anche come atto preparatorio di una fattispecie traslativa avente ad oggetto un bene immobile, cioè il fondo agrario, onde deve rivestire necessariamente la forma scritta, in applicazione dell'art. 1350 cod. civ. Tale forma, peraltro, assolve ad esigenze di tutela e di certezza, rendendo, appunto, certa l'effettiva esistenza di un terzo acquirente, evitando che la prelazione possa essere utilizzata per fini speculativi in danno del titolare del diritto, e assicurando, a sua volta, al terzo acquirente, in caso di mancato esercizio della prelazione nello "spatium deliberandi" a disposizione del coltivatore (o del confinante), la certezza della compravendita stipulata con il proprietario, sottraendo l'acquirente al pericolo di essere assoggettato al retratto esercitato dal coltivatore (o confinante) pretermesso; garantisce, infine, il coltivatore ( o confinante) in ordine alla sussistenza di condizioni della vendita più favorevoli stabilite dal proprietario promittente venditore e dal terzo promissario acquirente.

Cass. civ. n. 1663/2005

In tema di contratti agrari, il diritto di ripresa attribuito all'equiparato al coltivatore diretto - e cioè al tecnico agrario, a norma dell'art. 7 legge n. 203 del 1982L. 03/05/1982, n. 203 - è subordinato alla condizione, prevista dall'art. 42, lett. d), della legge n. 203 del 1982, che colui che esercita la ripresa non si trovi nel godimento di fondi idonei ad assorbire più di metà della forza lavorativa familiare. Per accertare tale condizione, peraltro, è necessario considerare la peculiarità del lavoro, eminentemente intellettuale, svolto dal tecnico agrario, idoneo ad esplicarsi convenientemente in un'area più vasta di quella capace di esaurire la forza lavorativa, principalmente manuale, del coltivatore diretto.

Cass. civ. n. 17855/2003

In tema di contratti agrari, la comunicazione ex art. 5 della legge n. 203 del 1982 e l'inutile decorso del termine per sanare le inadempienze che ad essa consegue rilevano ai fini di delimitare l'inadempimento comportante la risoluzione del contratto, mentre la comunicazione ex art. 46 della legge n. 203 del 1982 si caratterizza esclusivamente come filtro riduttivo dell'instaurarsi di procedimenti giudiziari; ne consegue che, non essendo fungibili, e presupponendo la risoluzione del contratto un inadempimento non sanato, la comunicazione ex art. 5 si configura a tale fine come imprescindibile.

Corte cost. n. 153/1977

E' illegittimo per violazione degli artt. 3 e 42, comma 2, Cost., l'art. 12, comma 1, L. 11 febbraio 1971, n. 11, per il quale qualora l'affittuario abbia eseguito a sue spese miglioramenti seguendo la procedura di cui agli artt. 11 e 14 il canone di affitto è prorogato, alla scadenza, per un periodo non inferiore a dodici anni e può essere ceduto dall'affittuario ad uno o più componenti della sua famiglia, anche senza il consenso del locatore, nella parte in cui non limita tali vantaggi dell'affittuario all'ipotesi in cui le opere di miglioramento abbiano determinato un sostanziale e permanente aumento di valore del fondo ed un apprezzabile incremento della sua produttività.

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