(massima n. 3)
Il sistema di determinazione e aggiornamento dei canoni, quale risulta fondamentalmente dalle disposizioni dell'art. 3 della legge n. 814 del 1973, secondo comma, e dell'art. 1, quarto e quinto comma, della legge n. 814 del 1973, è illegittimo, con riferimento all'art. 3 Cost., e agli artt. 42, secondo comma, e 44, primo comma, della Costituzione. Occorre infatti ricordare, al riguardo, che i redditi imponibili dominicali risultanti dal catasto terreni in seguito alla revisione generale degli estimi disposta dal R.D.L. 4 aprile 1939 n. 589, convertito nella legge 29 giugno 1939 n. 976, furono stabiliti sulla base della media dei prezzi correnti dei prodotti e dei mezzi di produzione nel triennio 1937-1939; e che, d'altra parte, il nuovo catasto, formato a norma del T.U. 8 ottobre 1931 n. 1572, è oggi in larga misura inidoneo a rispecchiare l'effettiva realtà dei fondi rustici sia per quanto concerne le qualità di coltura e le classi di produttività, sia per la consistenza dei fabbricati, impianti ed investimenti fissi, non valutati in catasto. Perciò anche prescindendo dai casi marginali di grave sperequazione dei canoni, si deve riconoscere che la misura dei coefficienti di moltiplicazione dei redditi dominicali, stabilita tra un minimo di 24 volte ed un massimo di 55 volte, è assolutamente inidonea a consentire alle Commissioni tecniche provinciali la formazione di tabelle che conducano alla determinazione di canoni equi, tali da assicurare, accanto alla giusta remunerazione del lavoro, una remunerazione non irrisoria del capitale fondiario e degli investimenti effettuati dai proprietari. Infatti la legge riconosce e garantisce la proprietà privata, e in particolare aiuta la piccola e media proprietà terriera, alla quale può bensì imporre obblighi e vincoli, ma per il duplice fine del razionale sfruttamento del suolo e del conseguimento di equi rapporti sociali, senza incidere eccessivamente sulla sostanza del diritto di proprietà, a beneficio di altri soggetti privati, pur meritevoli di speciale tutela. Alla declaratoria di illegittimità dell'art. 3, secondo comma, consegue per gli stessi motivi quella del sesto ed undicesimo comma della stessa norma.