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Articolo 1353 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Contratto condizionale

Dispositivo dell'art. 1353 Codice Civile

(1)Le parti possono subordinare l'efficacia(2) o la risoluzione(3) del contratto o di un singolo patto a un avvenimento futuro e incerto [108, 475, 520, 633, 702, 1521, 1757, 1938, 2010, 2659](4).

Note

(1) La norma si riferisce alla condizione prevista dalle parti che si differenzia dalla condicio iuris, la quale influenza l'efficacia del contratto ma per volontà di legge, senza che i contraenti possano incidervi: essa si ha, ad esempio, in caso di donazione con condizione di reversibilità (v. 791 c.c.). La condizione si distingue anche dalla presupposizione che si ha quando, interpretando il contratto secondo buona fede, risulta che le parti hanno ritenuto determinante del consenso una certa situazione che però non hanno dedotto espressamente nell'accordo. Secondo un primo indirizzo essa costituisce una condizione implicita, secondo altri, se l'evento è comune, determinante ed oggettivo, il suo mancato avverarsi può essere fatto valere ai sensi dell'art. 1467 del c.c..
(2) In tal caso si parla di condizione sospensiva: ad esempio, Tizio si impegna ad acquistare un fondo se il Comune gli concederà di costruirvi un immobile.
(3) In tal caso la condizione è risolutiva: ad esempio, Tizio acquista il fondo subito ma con la condizione che l'acquisto venga caducato se entro un anno non ottiene la possibilità di edificarvi.
(4) L'avvenimento dedotto in condizione deve essere: futuro, altrimenti le parti non avrebbero bisogno di posticipare gli effetti o la risoluzione del contratto; incerto, ciò che distingue la condizione dal termine; lecito (v. 1354 c.c.), poichè l'illiceità non riceve protezione dall'ordinamento; possibile (v. 1354 c.c.) poichè altrimenti la condizione sarebbe priva di utilità per le parti.

Ratio Legis

Il legislatore prevede la condizione allo scopo di consentire alle parti di dare ingresso, nel contratto, ai propri motivi personali, di regola irrilevanti (v. 1325 c.c.).

Brocardi

Ante condicionem existentem, solutum repeti potest
Condicio
Condicio deest
Condicio existit
Condicio facti
Condicio non est in obligatione
Condicio suspendit sed non cogit
Condiciones in praeteritum vel in praesens collatae
Ex tunc
Nulla est condicio quae in praeteritum confertur, vel quae in praesens

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

203 La definizione della condizione si è data attraverso la fusione in un unico articolo (il 222) degli articoli 108 e 109 del progetto 1936, in modo da offrire una più chiara e piu completa nozione della condizione e dei suoi due tipi, sospensivo e risolutivo: dall'art. 109 suddetto si è eliminato ogni richiamo all'effetto della condizione risolutiva perché esso andava regolato in altro luogo.

Massime relative all'art. 1353 Codice Civile

Cass. civ. n. 25085/2022

Le parti sono tenute a comportarsi secondo buona fede anche quando al contratto sia stata apposta una condizione sospensiva qualificabile come "potestativa mista", con la conseguenza che, se un Comune abbia affidato ad un professionista la progettazione di un'opera pubblica, subordinando l'erogazione del compenso al finanziamento di quel progetto da parte della Regione, l'affidamento di un successivo incarico di progettazione della stessa opera pubblica ad un altro professionista, di cui il Comune chieda ed ottenga il finanziamento, costituisce comportamento contrario a buona fede, in violazione dell'art. 1358 c.c., che determina l'avveramento fittizio della condizione, ai sensi dell'art. 1359 c.c.

Cass. civ. n. 24838/2022

In tema di mediazione, la pendenza di una condizione sospensiva apposta ad un preliminare di vendita concluso con l'intervento del mediatore, impedendo il sorgere del diritto alla provvigione, non costituisce un'eccezione in senso stretto, bensì un'eccezione in senso lato, con la conseguenza che essa non è soggetta alle preclusioni processuali.

Cass. civ. n. 19031/2022

Nei contratti per i quali è richiesta la forma scritta "ad substantiam", la volontà comune delle parti deve rivestire tale forma soltanto nella parte riguardante gli elementi essenziali (consenso, "res", "pretium"), con la conseguenza che, in caso di preliminare di vendita che preveda un termine per la stipula del definitivo, la modifica di tale elemento accidentale e la rinuncia della parte ad avvalersene non richiede la forma scritta. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva omesso di valutare la rinuncia alla condizione unilaterale risultante dalla dichiarazione rilasciata a verbale dal ricorrente personalmente, da apprezzarsi in uno alla citazione).

Cass. civ. n. 35524/2021

Per quanto la condizione costituisca di regola un elemento accidentale del negozio giuridico, come tale distinto dagli elementi essenziali astrattamente previsti per ciascun contratto tipico dalle rispettive norme, tuttavia, in forza del principio generale della autonomia contrattuale previsto all'art. 1322 c.c., i contraenti possono prevedere validamente come evento condizionante, in senso sospensivo o risolutivo dell'efficacia, il concreto adempimento o inadempimento di una delle obbligazioni principali del contratto, con la conseguenza, ove in tal caso insorga controversia sull'esistenza ed effettiva portata di quella convenzione difforme dal modello legale, spetta alla parte che la deduca a sostegno della propria pretesa fornire la relativa prova ed al giudice del merito compiere un'approfondita indagine per accertare la volontà dei contraenti.

Cass. civ. n. 17463/2021

L'eccezione di risoluzione del contratto per avveramento della condizione risolutiva, corrispondendo all'esercizio di un diritto potestativo, è un'eccezione in senso stretto, che il giudice non può rilevare d'ufficio, né la parte sollevare per la prima volta in appello. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 21/05/2019).

Cass. civ. n. 30143/2019

La condizione è "meramente potestativa" quando consiste in un fatto volontario il cui compimento o la cui omissione non dipende da seri o apprezzabili motivi, ma dal mero arbitrio della parte, svincolato da qualsiasi razionale valutazione di opportunità e convenienza, sì da manifestare l'assenza di una seria volontà della parte di ritenersi vincolata dal contratto, mentre si qualifica "potestativa" quando l'evento dedotto in condizione è collegato a valutazioni di interesse e di convenienza e si presenta come alternativa capace di soddisfare anche l'interesse proprio del contraente, soprattutto se la decisione è affidata al concorso di fattori estrinseci, idonei ad influire sulla determinazione della volontà, pur se la relativa valutazione è rimessa all'esclusivo apprezzamento dell'interessato. (Nella specie, la S.C. ha reputato potestativa la condizione sospensiva apposta ad un contratto di compravendita di un terreno, avente ad oggetto la conclusione di un contratto di locazione sui fabbricati da costruire, entro un certo termine, con un terzo conduttore non identificato, sussistendo un apprezzabile interesse ed essendo il suo avveramento alla volontà di un terzo).

Cass. civ. n. 23417/2019

In materia di elementi accidentali del contratto, l'onere di provare l'avveramento della condizione grava su colui che afferma il suo verificarsi, anche nell'ipotesi della "fictio" di cui all'art. 1359 c.c., ove si considera avverata qualora essa sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo verificarsi.

Cass. civ. n. 22046/2019

Ove le parti subordinino gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un istituto bancario un mutuo per potere pagare in tutto o in parte il prezzo stabilito, tale condizione è qualificabile come "mista", dipendendo la concessione del mutuo anche dal comportamento del promissario acquirente nell'approntare la pratica. La mancata erogazione del prestito, però, comporta le conseguenze previste in contratto, senza che rilevi, ai sensi dell'art. 1359 c.c., un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente, sia perché questa disposizione è inapplicabile qualora la parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia interesse all'avveramento della condizione (cd. condizione bilaterale), sia perché l'omissione di un'attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto essa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, e la sussistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l'attività di attuazione dell'elemento potestativo in una condizione mista.

Cass. civ. n. 22343/2019

In tema di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto traslativo, ove l'efficacia del contratto preliminare sia stata sottoposta a condizione sospensiva (ovvero a termine), il giudice, adito ai sensi dell'art. 2932 c.c., non può - diversamente dal caso in cui manchi il consenso al trasferimento di un bene, in presenza di un contratto pienamente efficace nel momento in cui la vicenda viene portata innanzi al giudice - disporre, mediante sentenza avente natura costitutiva, il trasferimento del diritto sul bene promesso, non potendo l'aspettativa della parte nel diritto anelato essere mutata prima del tempo, così frustrando la volontà negoziale, a meno che l'avvenimento dedotto in condizione, insussistente al momento della proposizione della domanda, risulti essersi verificato al momento della decisione.

Cass. civ. n. 1547/2019

L'indagine del giudice del merito diretta ad accertare se un contratto sia stato sottoposto a condizione sospensiva non può essere sindacata in sede di legittimità, se condotta nel rispetto delle regole che disciplinano l'interpretazione dei contratti.

Cass. civ. n. 24532/2018

Presupposto per l'applicazione della clausola risolutiva espressa è l'inadempimento della controparte di chi se ne avvale; ove tale inadempimento non sussista, la clausola può rilevare alla stregua di condizione risolutiva ex art. 1353 c.c., purché l'evento cui si riferisce sia sufficientemente determinato, e non rimesso alla mera volontà di una parte.

Cass. civ. n. 20226/2018

Nel rapporto giuridico che si costituisce per effetto della sentenza di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto preliminare di compravendita, il pagamento del prezzo ancora dovuto (dal promissario acquirente), pur conservando la sua originaria natura di prestazione essenziale del compratore, assume anche il valore e la funzione di una condizione sospensiva dell'effetto traslativo, destinata ad avverarsi, nel caso di adempimento, o a divenire irrealizzabile, precludendo l'effetto condizionato, nell'ipotesi di omesso pagamento nel termine fissato dalla sentenza o, in mancanza, nel congruo lasso di tempo necessario perché la mora del promissario compratore assuma i caratteri dell'inadempimento di non scarsa importanza per il creditore, rendendo non più possibile l'adempimento tardivo contro la volontà di quest'ultimo.

Cass. civ. n. 9879/2018

La costituzione di una servitù volontaria ben può essere subordinata a condizione risolutiva, che non è incompatibile con la costituzione di una servitù poiché non incide sul requisito della permanenza, connaturale al contenuto reale dell'asservimento tra due fondi, ma si risolve in un modo convenzionale di estinzione della servitù stessa. Tale condizione è valida anche se meramente potestativa, in quanto l'art. 1355 c.c. limita la nullità, nell'ambito delle condizioni meramente potestative, a quelle sospensive. (Rigetta, CORTE D'APPELLO GENOVA, 13/08/2013).

Cass. civ. n. 9550/2018

La clausola che preveda la risoluzione di un contratto preliminare di compravendita immobiliare in caso di mancata approvazione del progetto di lottizzazione deve essere qualificata come condizione risolutiva e non come condizione potestativa (c.d. unilaterale), in quanto la prima si limita a subordinare l'efficacia del contratto ad un evento, futuro e incerto, il cui verificarsi priva automaticamente il negozio di effetti "ab origine", la seconda, invece, esige una specifica ed inequivoca pattuizione senza che rilevi il mero interesse della parte alla sua realizzazione, implicando il riconoscimento, in capo al contraente, di un diritto potestativo il cui mancato esercizio, successivamente al verificarsi dell'evento, dà vita a un nuovo negozio.

Cass. civ. n. 25597/2016

In materia di elementi accidentali del contratto, qualora l'acquisto di un diritto dipenda dal verificarsi di un evento futuro ed incerto rimesso al comportamento volontario di una delle parti (condizione sospensiva potestativa semplice), l'adempimento della condotta determinativa del fatto in questione è elemento costitutivo della fattispecie negoziale attributiva del diritto, sicchè l'onere di provare l'avveramento dell'evento condizionante grava su colui che intende far valere quel diritto, in applicazione del principio generale di cui all'art. 2697 c.c.

Cass. civ. n. 23667/2016

La rinuncia a far valere l'eccezione di inefficacia del contratto per l'avverarsi di una condizione risolutiva è rilevabile d'ufficio, purché risulti "ex actis", in quanto opera in funzione meramente difensiva a fronte della contrapposta eccezione di risoluzione per avveramento della condizione stessa, la quale, invece, corrispondendo all'esercizio di un diritto potestativo, integra un' eccezione in senso stretto.

Cass. civ. n. 10605/2016

Il promissario acquirente che, a norma dell'art. 2932 c.c., chieda l'esecuzione specifica di un contratto preliminare di vendita è tenuto ad eseguire la prestazione a suo carico o a farne offerta nei modi di legge se tale prestazione sia già esigibile al momento della domanda giudiziale, mentre non è tenuto a pagare il prezzo quando, in virtù delle obbligazioni nascenti dal preliminare, il pagamento dello stesso (o della parte residua) risulti dovuto all'atto della stipulazione del contratto definitivo, sicché, in tale evenienza, solo con il passaggio in giudicato della sentenza costitutiva di accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica sorge l'obbligazione, e l'eventuale successivo mancato saldo del prezzo, al quale è subordinato l'effetto traslativo della proprietà, rende applicabile l'istituto della risoluzione per inadempimento ma non la condizione risolutiva ex art. 1353 c.c..

Cass. civ. n. 20854/2014

In tema di contratti, la condizione risolutiva postula che le parti subordinino la risoluzione del contratto, o di un singolo patto, ad un evento, futuro ed incerto, il cui verificarsi priva di effetti il negozio "ab origine", laddove, invece, con la clausola risolutiva espressa, le stesse prevedono lo scioglimento del contratto qualora una determinata obbligazione non venga adempiuta affatto o lo sia secondo modalità diverse da quelle prestabilite, sicché la risoluzione opera di diritto ove il contraente non inadempiente dichiari di volersene avvalere, senza necessità di provare la gravità dell'inadempimento della controparte.

Cass. civ. n. 22904/2013

Allorché i contraenti si riferiscano ad un dato cronologico allo scopo di indicare il periodo di tempo entro cui eseguita una determinata prestazione, dichiarando poi incidentalmente la finalità pratica sottesa alla concessione di quel termine nell'aspettativa del verificarsi di un certo evento, assume preminente rilievo il dato temporale e la relativa clausola va intesa nel senso che le parti vollero determinare il tempo dell'adempimento e non, invece, condizionare l'efficacia del contratto all'avveramento di un evento futuro. (Nella specie, la S.C. ha confermato l'interpretazione del giudice del merito, secondo cui la clausola contrattuale - contenuta in una scrittura privata separata e coeva ad altra principale, costitutiva del diritto di godimento di un posto barca ed auto entro un erigendo porto turistico, contro versamento del prezzo - con cui l'originario concedente si obbligava al "riacquisto" del bene ove l'area portuale non fosse stata sistemata nel termine prefissato, configurava la determinazione del tempo dell'adempimento e non una clausola risolutiva espressa).

Cass. civ. n. 22310/2013

La pattuizione, inserita in un preliminare di vendita immobiliare, che preveda la risoluzione "ipso iure" qualora il bene, che ne costituisce l'oggetto, non venga condonato sotto il profilo urbanistico entro una determinata data, per fatto non dipendente dalla volontà delle parti, deve qualificarsi come condizione risolutiva propria, piuttosto che come clausola risolutiva espressa, determinando l'effetto risolutivo di quel contratto, evidentemente consistente nella sua sopravvenuta inefficacia, in conseguenza dell'avverarsi di un evento estraneo alla volontà dei contraenti (sebbene specificamente dedotto pattiziamente) nonché dello spirare del termine, pure ritenuto nel loro interesse comune, e non quale sanzione del suo inadempimento.

Cass. civ. n. 5692/2012

Le parti, nella loro autonomia contrattuale, possono pattuire una condizione sospensiva o risolutiva nell'interesse esclusivo di uno soltanto dei contraenti, occorrendo al riguardo un'espressa clausola o, quanto meno, una serie di elementi, idonei ad indurre il convincimento che si tratti di una condizione alla quale l'altra parte non abbia alcun interesse. Ne consegue che la parte contraente, nel cui interesse è posta la condizione, ha la facoltà di rinunziarvi sia prima, sia dopo l'avveramento o il non avveramento di essa, senza che la controparte possa comunque ostacolarne la volontà. (Nella specie, la S.C., in applicazione dell'enunciato principio, ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva escluso il carattere unilaterale della condizione risolutiva prevista in un contratto preliminare di compravendita di un immobile, relativa alla mancata rinuncia da parte di terzi alla prelazione convenzionale loro attribuita in precedenza sul medesimo bene, non ravvisando l'esclusivo interesse del promittente acquirente rispetto alla pattuita condizione).

Cass. civ. n. 25138/2010

L'atto di dimissioni, nel realizzare il diritto potestativo di recesso del lavoratore, idoneo a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro indipendentemente dalla volontà del datore di lavoro, non sopporta una condizione risolutiva, che inammissibilmente porrebbe nel nulla un effetto risolutivo già avvenuto, ma ben può contenere una condizione sospensiva, permessa dal principio generale di libertà negoziale. (Nella specie, relativa alla cessazione, per dimissioni volontarie, del rapporto lavorativo di un dirigente di una società, titolare di azioni della stessa, la S.C. ha ritenuto ammissibile l'apposizione, all'atto di dimissioni del detto dirigente, della condizione sospensiva del trasferimento ad altra società delle azioni di cui il medesimo era titolare).

Cass. civ. n. 22811/2010

Nel caso in cui le parti abbiano condizionato l'efficacia (o la risoluzione) di un contratto al verificarsi di un evento senza indicare il termine entro il quale questo può utilmente avverarsi, può essere ottenuta la dichiarazione giudiziale di inefficacia del contratto stesso per il mancato avveramento della condizione sospensiva (o per l'avveramento della condizione risolutiva) senza che ricorra l'esigenza della previa fissazione di un termine da parte del giudice, ai sensi dell'art. 1183 c.c. quando lo stesso giudice ritenga essere trascorso un lasso di tempo congruo entro il quale l'evento previsto dalle parti si sarebbe dovuto verificare.

Cass. civ. n. 9504/2010

Qualora le parti, nell'ambito dell'autonomia privata, abbiano previsto l'inadempimento di una di esse alle obbligazioni contrattuali quale condizione risolutiva, una volta verificatosi tale inadempimento, lo stesso non può essere invocato dalla controparte quale illecito contrattuale e fonte di obbligazione risarcitoria ai sensi dell'art. 1223 cod. civ., trattandosi del legittimo esercizio di una potestà convenzionalmente attribuita, in quanto costituente l'evento espressamente dedotto in condizione risolutiva potestativa per concorde volontà dei contraenti.

Cass. civ. n. 2863/2006

In tema di contratto, le parti possono assumere l'evento consistente nella condicio iuris che è un requisito necessario di efficacia del negozio, alla stessa stregua di una condicio facti assoggettando la prima a regolamentazione pattizia pur non potendola superare o eliminare in forza di successivi accordi o per loro inerzia; infatti, la stessa trovando fonte nell'ordinamento giuridico esula dall'autonomia negoziale nel senso che il suo mancato definitivo avveramento rende irrimediabilmente inefficace il contratto indipendentemente dalla volontà delle parti. Ne consegue che, essendo legittima la previsione di un limite temporale all'avverarsi della condicio iuris il venir meno, nel termine stabilito, dell'elemento (esterno) legalmente necessario per l'efficacia del contratto, ne comporta l'invalidità. (Nella specie, le parti avevano subordinato l'efficacia del contratto preliminare di vendita di un bene immobile al rilascio - mai avvenuto — della concessione edilizia entro un dato termine).

Cass. civ. n. 419/2006

Nel caso in cui una condizione sia costituita da un evento incerto sia nell'an che nel «quando», le parti possono concordare un limite temporale riguardo al suo verificarsi, per non lasciare indefinitamente nell'incertezza l'efficacia del contratto, e sono abilitate a porre tale limite nell'interesse esclusivo di una di esse, nonché a rinunciare a farlo valere, anche con comportamenti concludenti.

Cass. civ. n. 3579/2005

La clausola contrattuale che sottoponga il sorgere del diritto alla seconda parte del compenso, in favore del professionista incaricato da un Comune del progetto di un comparto P.E.E.P. — compenso la cui prima parte debba per contratto essere corrisposta alla consegna dell'elaborato — , alla ricezione da parte del Comune dei corrispettivi delle convenzioni da stipulare con gli enti attuatori del progetto, non dà luogo all'istituto della presupposizione, che ricorre quando le parti, nel concludere il contratto, abbiano inteso come certa la esistenza di una situazione di fatto (passata, presente o futura), o di diritto, indipendente dalla loro volontà, stipulando l'atto su tale presupposto; né configura un termine o una condizione meramente potestativa, ma, piuttosto, una condizione mista, in quanto l'evento, alla data del contratto futuro ed incerto nell'an e nel quando per essere le parti consapevoli, all'atto del perfezionamento del contratto d'opera professionale, del potere del Comune di non stipulare le convenzioni con gli enti attuatori, attesa la facoltà, attribuita allo stesso dall'art. 35 della legge n. 865 del 1971, richiamato nella clausola contrattuale di cui si tratta, di procedere in proprio alla esecuzione del comparto P.E.E.P. —, della stipula delle convenzioni con i predetti enti, è rimesso anche alla volontà di questo ultimi. Ne consegue che, ove il Comune, ritenendo, nell'esercizio della propria discrezionalità, venuto meno, per effetto di varianti imposte da nuove norme regionali, il pubblico interesse alla esecuzione del P.E.E.P., non proceda alla stipulazione delle convenzioni dedotte in condizione, non essendo configurabile la nullità della condizione apposta al contratto d'opera professionale, né ravvisabile a carico dell'ente alcuna violazione delle regole di correttezza e buona fede nella esecuzione del contratto, non sorge il diritto del professionista al conseguimento della seconda parte del compenso pattuito.

Cass. civ. n. 14198/2004

La clausola contrattuale che sottoponga il sorgere del diritto al compenso, da parte del professionista incaricato del progetto di un'opera pubblica, all'intervenuto finanziamento dell'opera progettata, contiene una condizione mista che, con riferimento al periodo successivo all'entrata in vigore della legge n. 241 del 1990, obbliga la parte pubblica a osservare il principio di regolarità dell'azione amministrativa il quale viene ad integrare, se del caso, i canoni contrattuali di correttezza e buona fede. (In applicazione di tale principio, la Corte ha cassato la sentenza del giudice di merito il quale aveva escluso la possibilità di qualsiasi controllo sul comportamento del Comune, che — nella pendenza della condizione — non aveva neppure richiesto il finanziamento dell'opera oggetto del contratto di lavoro autonomo con il professionista, e ha affermato che la P.A. può ben mutare le sue valutazioni ma essa assume ogni conseguente responsabilità per tale cambiamento di posizione nei confronti di coloro che, avendo fatto affidamento su quello, sono perciò portatori di posizioni soggettive tutelabili).

Cass. civ. n. 4364/2003

La previsione di una prestazione contrattuale come condizione sospensiva è inammissibile nei contratti ad effetti reali, come la compravendita, potendo questa, come qualunque contratto ad effetti reali, non spiegare gli effetti suoi propri sino a quando non sia realizzata la condizione sospensiva prevista. (Nella fattispecie, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso avverso la sentenza della corte di appello, che, in un contratto di vendita di azioni di società, aveva interpretato le clausole negoziali nel senso di escludere l'effetto traslativo immediato dei titoli e di attribuire alla prestazione di controgaranzia del cessionario — che si era impegnato a far conseguire ai cedenti la liberazione delle fideiussioni prestate verso la società — la capacità di condizionare il detto effetto traslativo).

Cass. civ. n. 4124/2001

In tema di obbligazioni da contratto, il criterio distintivo tra termine e condizione va ravvisato nella certezza e nell'incertezza del verificarsi di un evento futuro che le parti hanno previsto per l'assunzione di un obbligo o per l'adempimento di una prestazione. Ricorre l'ipotesi del termine quando detto evento futuro sia certo, anche se privo di una precisa collocazione cronologica, purché risulti connesso ad un fatto che si verificherà certamente e, come tale, può riguardare sia l'efficacia iniziale che quella finale di un negozio giuridico o di un'obbligazione o di un credito di una parte. Nell'ipotesi di condizione, invece, si versa nell'incertezza dell'evento futuro dal cui verificarsi dipende il sorgere (condizione sospensiva) o il permanere (condizione risolutiva) dell'efficacia di un contratto o di un'obbligazione ad esso inerente (nella specie, l'insorgenza del credito di un professionista nei confronti di una pubblica amministrazione per l'eseguita progettazione era, nella previsione delle parti, connessa all'evento futuro ed incerto del finanziamento statale dell'opera cui si riferiva la progettazione medesima).

Cass. civ. n. 10921/2000

Ai fini della distinzione tra condizione sospensiva e risolutiva, occorre aver riguardo più che alla qualifica che le attribuiscono le parti, alle modalità da esse stabilite per il regolamento del rapporto nello stadio di pendenza della condizione. Tale accertamento costituisce un'indagine di fatto, riservata al giudice di merito, che può essere censurata in sede di legittimità soltanto per vizi di motivazione.

Cass. civ. n. 8685/1999

La cosiddetta condizione unilaterale, cioè la condizione convenuta nell'interesse esclusivo di uno solo dei contraenti, anche se non stipulata espressamente, può emergere per implicito, come corollario indefettibile dello scopo che le parti si propongono, allorquando la sua determinazione nell'interesse di un unico contraente, chiamato a sopportare un preciso onere economico, promani da una corretta valutazione dell'intero rapporto negoziale.

Cass. civ. n. 8493/1998

La mancata previsione di un termine finale di avveramento in relazione ad una condizione sospensiva apposta ad un contratto non postula che l'efficacia sospensiva della condizione debba estendersi fino al momento in cui sia accertata l'assoluta impossibilità, oggettiva o soggettiva, dell'avveramento, dovendo, per converso, la valutazione di tale impossibilità avvenire in termini concreti, con riferimento alla relativa prevedibilità nel contesto storico, sociale ed ambientale del momento.

Cass. civ. n. 4514/1997

Nel caso in cui una condicio iuris sia costituita da un evento incerto sia nell'an che nel quando, le parti possono concordare un limite temporale riguardo al suo verificarsi, per non lasciare indefinitamente nell'incertezza l'efficacia del contratto, e sono abilitate a porre tale limite nell'interesse esclusivo di una di esse, nonché a rinunciare a farlo valere, anche con comportamenti concludenti. (Fattispecie relativa all'acquisto di un immobile da parte di uno Stato estero e alla relativa autorizzazione governativa. La S.C., sulla base del riportato principio e della ritenuta insussistenza dei dedotti vizi di motivazione, ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto il termine contrattualmente previsto circa il rilascio dell'autorizzazione posto nell'esclusivo interesse dell'acquirente; identificando la comune intenzione delle parti sulla base non solo del senso letterale delle parole ma anche della complessiva regolamentazione negoziale e del comportamento delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto).

Cass. civ. n. 10220/1996

La condizione può ritenersi operante nell'interesse di una sola delle parti quando vi sia una espressa clausola contrattuale che disponga in tal senso o almeno una serie di elementi idonei ad indurre il convincimento che si tratti di una condizione al cui avveramento l'altra parte non abbia alcun interesse sicché in mancanza la condizione deve essere considerata apposta nell'interesse di entrambe le parti.

Cass. civ. n. 1333/1993

La condizione (sospensiva o risolutiva) non deve essere necessariamente collegata ad un interesse delle parti complementare o integrativo degli interessi direttamente riconducibili alla causa del contratto ma può anche servire interessi ulteriori e diversi, in modo da adattare gli effetti pratici del contratto alle concrete esigenze delle parti, con la conseguenza che anche questo interesse, assumendo giuridica rilevanza, legittima la parte ad avvalersi della condizione.

Cass. civ. n. 9388/1991

L'avveramento dell'evento futuro ed incerto, previsto dalle parti come condizione risolutiva del contratto, produce effetti a prescindere da ogni indagine sul comportamento colposo o meno dei contraenti, in ordine al verificarsi dell'evento stesso, tenuto conto che nella disciplina delle condizioni nel contratto, ove non possono trovare applicazione i principi che regolano l'imputabilità in materia di obbligazioni, detta indagine è rilevante solo nella diversa ipotesi del mancato avveramento della condizione medesima, ai sensi dell'art. 1359 c.c.

Cass. civ. n. 8051/1990

Per quanto la condizione costituisca di regola un elemento accidentale del negozio giuridico, come tale distinto dagli elementi essenziali astrattamente previsti per ciascun contratto tipico dalle rispettive norme, tuttavia, in forza del principio generale della autonomia contrattuale previsto all'art. 1322 c.c. - dal quale deriva il potere delle parti di determinare liberamente, entro i limiti imposti dalla legge, il contenuto del contratto anche in ordine alla rilevanza attribuita all'uno piuttosto che all'altro degli elementi costitutivi della fattispecie astrattamente disciplinata - i contraenti possono prevedere validamente come evento condizionante (in senso sospensivo o risolutivo dell'efficacia) il concreto adempimento (o inadempimento) di una delle obbligazioni principali del contratto; con la conseguenza in tal caso che, ove insorga controversia sulla esistenza ed effettiva portata di quella convenzione difforme dal modello legale, spetta alla parte che la deduca a sostegno della propria pretesa fornire la prova ed al giudice del merito compiere una approfondita indagine per accertare la volontà dei contraenti.

Cass. civ. n. 8009/1990

Il principio per cui la condizione volontaria unilaterale, quale elemento accidentale del negozio giuridico finalizzato a tutela dell'interesse di una sola parte, può essere oggetto di rinuncia, espressa o tacita, ad opera di quest'ultima, non solo prima, ma anche dopo il verificarsi dell'evento, senza che la controparte possa ostacolare tale volontà abdicativa, opera anche con riguardo alla proposta di concordato fallimentare, con la conseguenza che, ove il proponente ne abbia risolutivamente condizionato l'efficacia — a tutela di un proprio interesse — all'avverarsi di un evento futuro ed incerto (nella specie, presentazione di domande di insinuazione tardiva), l'accettazione di tale proposta non attribuisce ai creditori il potere di far valere gli effetti risolutivi di siffatto avveramento, in contrasto con la volontà dell'interessato, che vi abbia, per facta concludentia, rinunciato.

Cass. civ. n. 3626/1989

Si ha condizione risolutiva — il cui verificarsi comporta lo scioglimento di diritto del rapporto ed i cui effetti retroagiscono al tempo di conclusione del contratto, salvo che sia stata stabilita una diversa decorrenza — allorquando le parti abbiano ancorato la risoluzione ad un evento futuro, incerto ed indipendente dalla loro volontà, mentre è da ravvisare il diritto di recesso quando ad una delle parti è attribuita la facoltà di sciogliere unilateralmente il contratto in base ad una libera dichiarazione di volontà.

Cass. civ. n. 2379/1985

Allorché i contraenti si riferiscono essenzialmente ad un dato cronologico allo scopo di indicare il periodo di tempo entro il quale deve essere eseguita una determinata prestazione, dichiarando poi incidentalmente la finalità pratica sottesa alla concessione di quel termine, nell'aspettativa del verificarsi di un certo evento, assume preminente rilievo il dato temporale e la relativa clausola va intesa nel senso che le parti vollero determinare il tempo dell'adempimento e non, invece, condizionare l'efficacia del contratto all'avveramento di un evento futuro.

Cass. civ. n. 5575/1983

La condizione propriamente detta (condicio facti) è caratterizzata dall'incertezza dell'evento futuro dal quale si fa dipendere l'efficacia o la risoluzione del negozio e per tale ragione si distingue dal termine ancorché le parti abbiano fatto riferimento non all'evento in sé, ma alla data del suo avverarsi essendo anche in tal caso sufficiente il requisito dell'incertezza di questo - da accertare con indagine che, involgendo apprezzamento di fatti è riservata al giudice di merito e sottratta al controllo di legittimità, in presenza di una motivazione logicamente e giuridicamente corretta — perché la clausola abbia solo l'apparenza del termine e sia invece da ricondurre sotto l'ipotesi della condizione.

Cass. civ. n. 1432/1983

Nessuna incompatibilità di principio può ritenersi sussistente fra condizione ed esecuzione di una prestazione essenziale, quale è il pagamento del prezzo rispetto al contratto di compravendita, talché è bene ammissibile la deducibilità di quest'ultima come evento condizionante, per accordo fra le parti o per volontà di legge, fermo restando peraltro, che anche qualora una incompatibilità fosse concretamente ravvisabile, rientrerebbe, comunque, nella discrezionalità del legislatore di superarla o comporla erigendo a condizione sospensiva il concreto adempimento di una delle obbligazioni essenziali.

Cass. civ. n. 1181/1983

Nei contratti bilateriali le reciproche prestazioni integrano gli elementi essenziali del contratto medesimo, per cui l'accordo in ordine ad essi non può essere assunto come condizione in senso tecnico, dato che questa costituisce uri elemento accidentale estraneo alla struttura tipica del negozio, mentre le prestazioni reciproche attengono all'esistenza stessa del negozio, in quanto ne costituiscono la causa in senso tecnico-giuridico. Ciò, tuttavia, non esclude che, in particolari ipotesi (da accertare sulla base dell'allegazione di una precisa volontà contrattuale in tal senso), il concreto adempimento di una delle prestazioni concordate possa essere dedotta ex professo come una condizione sospensiva, cui sia consensualmente subordinata la produzione degli effetti giuridici del negozio.

Cass. civ. n. 2412/1982

Il contraente a cui favore sia stata pattuita una condizione ha facoltà di rinunziarvi sia prima sia dopo l'avveramento o il non avveramento della condizione e siffatta rinunzia, anche quando trattasi di condizione apposta a un contratto traslativo o costitutivo di diritti reali immobiliari, non deve necessariamente risultare da atto scritto e può, quindi, essere desunta anche da facta concludentia.

Cass. civ. n. 934/1982

In virtù dell'autonomia contrattuale, le parti possono apporre una determinata condizione al contratto nell'esclusivo interesse di uno solo dei contraenti, nella quale ipotesi — il cui accertamento è rimesso al giudice del merito, con apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se congruamente e correttamente motivato — tale contraente può ben rinunziare ad avvalersi della condizione, sia prima che dopo il non avveramento della stessa, senza che la controparte possa, comunque ostacolarne la volontà.

Cass. civ. n. 3559/1977

Mentre la condizione propriamente detta (condicio facti) è un avvenimento futuro e incerto dal quale le parti fanno dipendere l'efficacia di un contratto (condizione sospensiva) o la risoluzione di esso (condizione risolutiva), la condizione impropria (condicio juris) consiste in un requisito essenziale o in un presupposto logico di un negozio giuridico, senza il quale questo non esiste, ovvero in un requisito per la sua efficacia. Le condiciones juris della prima specie non hanno alcuna affinità con la condizione vera e propria. Quelle della seconda, invece, consistenti nell'avveramento del requisito richiesto per l'efficacia del negozio, sono perfettamente parificabili alle condiciones facti e suscettibili, quindi, non ostandovi limiti legali, di essere pattiziamente regolamentate.

Cass. civ. n. 566/1975

Non può essere inteso come condizione, alla quale è subordinata l'efficacia del contratto di compravendita immobiliare, il pagamento del prezzo da parte del compratore, costituendo tale pagamento l'obbligazione principale (elemento essenziale del contratto).

Cass. civ. n. 3783/1974

Sono condizioni improprie, non soggette alla disciplina prevista dagli artt. 1353-1361 c,c., quegli eventi che sono basati su presupposti i quali non hanno carattere di evento futuro e non sono oggettivamente incerti, ovvero che siano connessi con l'adempimento di obblighi legali o convenzionali incidenti sulle parti.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1353 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

R. B. chiede
mercoledì 16/10/2024
“Il 7 luglio ho accettato una proposta di acquisto vincolata all’ottenimento di un mutuo e, considerato che di approssimava il periodo estivo, ho accettato, come data ultima del rogito, il 30 ottobre.
Nelle ultime settimane ho più volte chiesto all’agenzia se vi fossero sviluppi e mi ha assicurato che il compratore ha già valutato più istituti di credito ma senza successo e che continuava la ricerca.
A questo punto, considerato il lungo periodo trascorso, comincio a pensare che qualcosa non torni e immagino due possibilità:
1- il compratore non ha abbastanza garanzie, o fondi propri, e la banca non concede il mutuo.

Mi chiedo: il compratore prima di lanciarsi nella compravendita di un immobile ha valutato bene quanto sono le sue entrate mensili? Sono tali da poter chiedere un mutuo? Ha abbastanza fondi propri che sommati al mutuo consentano l’acquisto di un immobile che costa 155.000 euro? Se non ha ottenuto il mutuo la colpa non è ascrivibile allo stesso?

2- Il compratore ha tutte le garanzie, o fondi propri, per ottenere un mutuo, l’istituto lo concede ma a un tasso che il compratore ritiene alto, pertanto lo rifiuta e cerca un istituto che applichi un tasso a lui più favorevole, scartando di fatto, i tassi più alti.
Capisco che ognuno cerchi di ottenere un mutuo al più basso tasso possibile ma è corretto che se il compratore non trova un tasso a lui conveniente non rispetti la data del 30 ottobre o, addirittura, comunichi che non essendo riuscito a trovare nessun mutuo, chiede la restituzione della caparra? In questo caso credo che la colpa sia da ascrivere all’acquirente, il mutuo gli sarebbe stato concesso, è stato lui a non accettarlo, perché restituire la caparra?
Non avendo, a oggi, nessun parere favorevole dalla banca, difficilmente si potrà rogitare entro il 30 di ottobre e allora mi chiedo; se come penso il mutuo non è stato concesso PER COLPA imputabile al compratore (insufficienza i garanzie o ricerca tasso più favorevole), quest’ultimo ha diritto ad avere indietro la caparra?, l’agenzia ha diritto alla provvigione se non si rogita per colpa dell’acquirente?”
Consulenza legale i 24/10/2024
Occorre premettere che non è possibile, in una consulenza legale (oltretutto a distanza), esprimere valutazioni sul comportamento di una parte, quando proprio chi pone il quesito non sa cosa sia effettivamente accaduto. In altre parole, non possiamo formulare un parere sulla base di congetture, ma dobbiamo limitarci ai dati di fatto di cui siamo, al momento, in possesso.
L'unica certezza è che, a pochi giorni dalla scadenza del termine fissato per il rogito, non risulta che l’acquirente abbia ottenuto il mutuo.

Ora, cosa prevede il contratto in merito alla mancata concessione del mutuo?
La formulazione dell’art. 4, lett. b) della “proposta di acquisto” sottoscritta da entrambe le parti non è chiarissima, in quanto si limita a stabilire quanto segue: “b) La rimanente somma di euro 150.000,00 (centocinquantamila virgola zerozero) saranno versati alla stipula dell'atto pubblico mediante: in parte con fondi propri ed in parte con l'accensione di un mutuo bancario con istituto da definire, salvo buon fine dello stesso, entro la data del 30 ottobre 2024, presso lo studio notarile ancora da nominare”.
Più chiaro è, semmai, l'ultimo paragrafo, intitolato “Eventuali integrazioni e/o clausole di recesso”, laddove, nella parte finale, le parti convengono che, “nell'ipotesi in cui il mutuo non venga accettato alla Parte Proponente Acquirente, a seguito di dovuta documentazione bancaria, tutte le somme versate fino ad allora, dovranno essere restituite senza nulla più a pretendere fra le parti”.
Da ciò si desume come la mancata concessione del mutuo comporterà lo scioglimento del vincolo contrattuale, con conseguente obbligo di restituzione di quanto già versato. Inoltre, le espressioni usate (“il mutuo non venga accettato alla Parte Proponente Acquirente”) possono far pensare che il compratore non possa “sganciarsi” dagli obblighi contrattuali nel caso in cui non reputi convenienti le condizioni di mutuo offerte dalla banca. In altre parole, la restituzione della caparra sarebbe ammessa solo in caso di mancata concessione del mutuo da parte della banca e non anche di rifiuto del mutuo giudicato troppo oneroso dal compratore.

Ad ogni modo, la valutazione dell’eventuale inadempimento dell’acquirente non è semplicissima.
In proposito la Cassazione (Sez. II Civ., ordinanza 31/05/2022, n. 17571) ha ricordato che “qualora le parti subordinino gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un istituto bancario un mutuo per potere pagare in tutto o in parte il prezzo stabilito, tale condizione è qualificabile come "mista", dipendendo la concessione del mutuo dal comportamento del promissario acquirente ma anche del promittente venditore nell'approntare le attività necessarie al verificarsi della condizione”. Dunque la concessione o la mancata concessione del mutuo non dipende necessariamente e interamente dal comportamento dell'aspirante compratore (il quale peraltro, oltre quanto già detto, non può influire sulle valutazioni discrezionali della stessa banca).
Non di meno, la pronuncia appena citata ha precisato come spetti al creditore (quindi, nel nostro caso, al venditore) dimostrare che il mancato avveramento di quanto previsto nella condizione (nella fattispecie, la concessione o meno del mutuo) sia da attribuire a dolo o colpa del debitore (il compratore/promissario acquirente).
Laddove sia effettivamente ravvisabile un inadempimento del compratore (la cui prova, come abbiamo appena visto, è a carico del venditore), l’acquirente non potrà pretendere la restituzione della caparra versata.

Attenzione, però, perché la somma di 5.000 euro versata a seguito della proposta di acquisto viene espressamente qualificata come “caparra confirmatoria” non nel testo vero e proprio del contratto, ma nel successivo allegato B), sottoscritto solo dall’agente immobiliare e dalla parte venditrice (non dal compratore): possiamo dire, dunque, che si tratta di una situazione abbastanza intricata, e che la formulazione contorta degli atti non aiuta nella soluzione di eventuali controversie.
Con riferimento, infine, al destino della provvigione nel caso in cui il rogito salti per colpa dell’acquirente, la recentissima Cass. Civ., Sez. II, sentenza 24/01/2024, n. 2359 ha chiarito che “al fine di riconoscere il diritto alla provvigione al mediatore ex art. 1755 c.c., l'affare deve ritenersi concluso quando tra le parti poste in relazione dal mediatore si sia validamente costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per l'esecuzione del contratto. Pertanto, anche un contratto preliminare di compravendita deve considerarsi atto conclusivo dell'affare, salvo che le parti abbiano inteso derogare alla disciplina legale attribuendo il diritto alla provvigione al momento della sottoscrizione del contratto definitivo di compravendita”.
Nel nostro caso, sembra che tale deroga non sia stata pattuita, anche se il contratto sul punto non è del tutto comprensibile (sembra mancare una parte del testo); pertanto, la forma dubitativa è d’obbligo.

L. chiede
mercoledì 20/07/2022 - Lombardia
“Buongiorno,

Ho sottoscritto a dicembre 2020 un contratto di mutuo di 20 anni per l'acquisto della prima casa presso la stessa Banca per cui lavoro secondo le convenzioni dei dipendenti previste anche dall'accordo integrativo aziendale. L'atto di mutuo prevede il contratto si intende sottoposto, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1353 e seguenti codice civile, alla condizione risolutiva rappresentata dal licenziamento o dalle dimissioni del dipendente della Banca o di alienazione a qualunque titolo degli immobili qui offerti in garanzia.

Fermo restando che ad ora non sono presenti le condizioni risolutive, vorrei sapere in linea puramente teorica quali effetti giuridici si determinerebbero dopo la risoluzione dell'atto di mutuo correlata a un eventuale interruzione del rapporto di lavoro e se risulterebbe legittima la richiesta di interrompere il piano di ammortamento del mutuo senza rinegoziarlo.

Grazie

Cordiali saluti”
Consulenza legale i 27/07/2022
L’art. 1353 del c.c. prevede che le parti possano subordinare l’efficacia di un contratto o la sua risoluzione ad un avvenimento futuro ed incerto.
L'avveramento di una condizione risolutiva produce la cessazione degli effetti del contratto.

Ai sensi dell’art. 13 del contratto di mutuo da Lei sottoscritto, questo si intende sottoposto, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1353 e ss. del c.c., ad una triplice condizione risolutiva:
  • il licenziamento del dipendente;
  • le sue dimissioni;
  • l’alienazione a qualunque titolo degli immobili offerti in garanzia.
L’art. 10 dell’allegato B del contratto di mutuo, “Capitolato di patti e condizioni generali”, che disciplina la risoluzione del contratto, prevede che la Banca, in caso di risoluzione del contratto, avrà diritto ad esigere l’immediato rimborso del credito per capitale ed interessi, eventualmente anche di mora.

Tanto premesso, il verificarsi di una delle condizioni risolutive di cui all’art. 13 del contratto di mutuo (il licenziamento, le dimissioni o l’alienazione a qualunque titolo degli immobili offerti in garanzia) determinerebbe la cessazione degli effetti del contratto e, al contempo, legittimerebbe la Banca a richiedere il rimborso dell’importo ancora residuo da corrispondere, tanto in capitale quanto in interessi, eventualmente anche di mora, senza obbligo di rinegoziazione del mutuo.

M. B. chiede
mercoledì 22/12/2021 - Lazio
“Buongiorno, sto facendo un colloquio di reclutamento e la collega ha il dubbio che possa "liberarsi" dalla propria azienda. Per non avere dubbi al riguardo allegherò la lettera di intenti firmata dalla collega con un riquadro (in rosso) sulla parte oggetto della presente richiesta.. Preciso inoltre che siamo dei Consulenti Finanziari con contratto di mandato. Con cordialità
Consulenza legale i 02/01/2022
La clausola oggetto di analisi riguarda una parte della retribuzione variabile dell’agente.

Le aziende, nell’ambito delle politiche di employee retention, prevedono spesso un retention bonus o stay bonus. In pratica, è un bonus che viene dato come incentivo al dipendente per farlo rimanere in azienda per uno specifico arco di tempo.

Spesso i retention bonus rientrano nella categoria delle clausole di claw-back, ovvero quei meccanismi che permettono all’azienda di ripetere la retribuzione variabile corrisposta al dipendente/agente.

Le clausole di claw-back vanno lette in termini di condizione risolutiva, cui è subordinata la risoluzione del diritto del dipente/agente al bonus: il diritto al bonus è infatti soggetto a caducazione nel caso in cui, una volta maturato, si avveri la condizione risolutiva (ossia, nel caso del retention bonus, le dimissioni del dipendente): in tale momento, il pagamento effettuato perde la propria natura di dazione in adempimento all’obbligazione contrattualmente pattuita e diviene un indebito oggettivo, con conseguente possibilità per l’azienda di chiedere la ripetizione.

Il diritto al retention bonus pertanto è da considerarsi alla stregua di un diritto sottoposto a condizione sospensiva.

Secondo la dottrina, così inquadrati, i retention bonus sopravvivono al principio di irriducibilità della retribuzione e della tutela dei diritti quesiti.

Nel caso di specie, con la lettera di intenti si prevede che gli incentivi vengano definitivamente acquisiti se in costanza del rapporto di agenzia al 48° mese decorrente dal mese successivo alla loro erogazione. In caso contrario, gli incentivi dovranno essere prontamente restituiti.

Stando a tale clausola, pertanto, l’agente sarebbe libera di recedere dall’accordo, ma dovrebbe restituire gli incentivi relativi ai quattro anni precedenti al recesso, in quanto non ancora definitivamente acquisiti.

Il retention bonus, così strutturato, realizza di fatto una sorta di patto di stabilità, ovvero il patto con cui una parte o entrambe si impegnano a non recedere dal rapporto per un certo periodo di tempo, garantendo così una durata minima al contratto di lavoro.

Nell’ambito di un rapporto di lavoro il patto di stabilità è valido ed è considerato nullo solo nel caso in cui sia prevista una durata a tempo indeterminato (il nostro ordinamento, infatti, vieta i vincoli perpetui) o sia prevista una penale eccessivamente onerosa, pregiudicando in misura significativa la facoltà di recedere delle parti.

Nel caso di specie, la durata del periodo in cui trova applicazione la clausola di claw back è stabilita in un quadriennio che decorre dall’erogazione di ciascun bonus.

Se si volesse, pertanto, invocare la nullità della clausola in questione, si potrebbe sostenere che la stessa realizza di fatto un vincolo perpetuo per l’agente, che si ritrova di fatto sottoposto ad un patto di stabilità a tempo indeterminato. In qualsiasi momento decida di dimettersi, l’agente dovrà sempre restituire gli incentivi maturati nei quattro anni precedenti.

Inoltre, dal momento che la clausola oggetto del presente parere riguarda non un incentivo in particolare, ma tutti gli incentivi previsti dall’accordo, si potrebbe sostenere che preveda una penale eccessivamente onerosa, pregiudicando in misura significativa la facoltà di recedere dal contratto.


Luigi M. chiede
lunedì 17/05/2021 - Campania
“Nell'anno 2016 la Alfa vende alla Beta le macchine e gli impianti di uno stabilimento industriale per il trattamento di batterie esauste e recupero piombo.
Dalla vendita viene escluso l'immobile perchè in quel momento (2016) esso è gravato da un sequestro penale Tribunale di XXX risolto però subito nel febbraio 2017.
Sempre nel 2016 il contratto di vendita di macchine viene integrato da un contratto di comodato relativo all'immobile. Il comodato però prevede (art. 6) che appena possibile Alfa deve vendere e Beta acquistare l'immobile industriale appena risolto il sequestro penale (avvenuto febbraio 2017). Intanto però dopo la sottoscrizione del comodato, Beta prende in possesso lo stabilimento ed inizia l'attività. Dopo il 2017 ottenuto il dissequestro, nonostante invitata, la Beta non procede all'acquisto e svolge fino ad oggi attività industriale in un immobile non di sua proprietà.
La scrivente società Alfa chiede di conoscere quali azioni siano da esperire per ottenere il rilascio dell'immobile industriale già come detto oggetto di contratto di comodato propedeutico alla compravendita dell'immobile mai avvenuta per inadempimento e mancato riscontro da parte della comodataria anche di recente diffidata ad adempiere all'acquisto ai sensi dell'art. 1454 CC.
Chiede anche di conoscere quali azioni giudiziarie si devono intraprendere: rivendica o altra azione da voi indicata per risolvere oggi occupazione abusiva.
Si allega contratto di comodato e diffida ad adempiere.

distinti saluti”
Consulenza legale i 26/05/2021
Riportiamo integralmente, per chiarezza espositiva, il testo dell’art. 6 del contratto di comodato stipulato tra le parti:
Il contratto avrà durata indeterminata in quanto connessa con l’adempimento del Comodante che dovrà, ai sensi degli accordi sottoscritti in data odierna, cedere l’“Immobile” al Comodatario.
Il contratto si intenderà, dunque, risolto con l’adempimento del Comodante, alla data del trasferimento dell’“Immobile”.
Esclusivamente il Comodatario potrà recedere dal presente contratto prima della sua naturale scadenza”.
Non ci soffermeremo sull’ipotesi di recesso unilaterale, contemplata dall’ultimo comma dell’articolo in esame, ovvero sulla possibilità di liberarsi dal vincolo contrattuale senza dover fornire motivazione di sorta, in quanto, in base agli accordi intercorsi tra le parti, la facoltà di recesso è attribuita esclusivamente al comodatario.
Ciò che interessa sapere, invece, è se il comodante possa avvalersi della risoluzione del contratto.
Va detto che il contratto di comodato stipulato tra le parti è un contratto del tutto peculiare.
Tale peculiarità risiede non tanto nella specifica funzione che, in concreto, il contratto è chiamato a svolgere (ovvero concedere al comodatario il godimento di un immobile di cui, a causa di vicissitudini di carattere sia penale che amministrativo, il comodante non poteva disporre liberamente), quanto nel fatto che tra le obbligazioni del comodante vi è proprio quella di trasferire la proprietà dell’immobile al comodatario.
Curiosamente, però, non viene previsto nel contratto, in capo al comodatario, un correlativo obbligo di acquistare l’immobile, una volta concluso tutto l’iter necessario per risolvere i problemi relativi al sequestro, oltre alle altre difficoltà menzionate nel contratto di risoluzione parziale della precedente cessione di azienda: potrebbe sembrare una differenza di poco conto, ma l’obbligo di acquistare non può considerarsi scontato, neppure quando a carico della controparte sia espressamente stabilito un obbligo di vendere.
Ad ogni modo, il citato art. 6 del contratto stabilisce che il contratto si intenderà “risolto” con l’adempimento del comodante, alla data del trasferimento dell’immobile; si tratta di una vera e propria condizione risolutiva (v. art. 1353 c.c.). Tale previsione è, del resto, perfettamente coerente con quella che, nel nostro caso, è la causa del contratto di comodato, ovvero consentire al comodatario il godimento dell’immobile in attesa del perfezionamento della vendita dello stesso.
Può dunque considerarsi verificata la condizione risolutiva apposta al contratto di comodato?
Il problema risiede, qui, nel fatto che il trasferimento della proprietà dell’immobile richiede la collaborazione del comodatario il quale, invece, ha fatto orecchie da mercante (è chiaramente molto più comodo occupare gratuitamente un immobile).
Dobbiamo chiederci, allora, se il comodante possa considerarsi adempiente alle obbligazioni assunte: la risposta, ad avviso di chi scrive, non può che essere positiva. Risulta infatti che egli abbia rimosso gli ostacoli che si frapponevano alla vendita del fabbricato, e che l’abbia comunicato al comodatario, invitandolo a fissare una convocazione presso notaio di fiducia (notoriamente, il notaio viene di solito scelto e pagato dall’acquirente).
Il termine di 15 giorni fissato nella diffida già inviata non risulta essere ancora scaduto; ad ogni modo, in caso di perdurante inadempimento da parte del comodatario, non resterà che agire in giudizio onde far accertare e dichiarare l’avveramento della condizione risolutiva e, per l’effetto, ottenere la condanna dell’occupante al rilascio dell’immobile.
Da notare che la diffida in questione è stata impostata come una diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c.: nel nostro caso, però, più che a un inadempimento dell’altro contraente, siamo di fronte al verificarsi della condizione risolutiva espressamente prevista nel contratto.
Si consiglia, pertanto, di rivolgersi ad un legale onde concordare i prossimi passi da compiere. Si ricorda infine che il comodato è compreso tra le materie oggetto di mediazione obbligatoria (che deve, quindi, necessariamente precedere un eventuale giudizio) dal D. Lgs. n. 28/2010. Può auspicarsi che, proprio in sede di mediazione, si giunga ad una soluzione spontanea della controversia, così da evitare il ricorso ad un processo che, purtroppo, potrebbe rivelarsi lungo e dispendioso.

Adriano V. chiede
mercoledì 29/04/2020 - Veneto
“Salve,
devo vendere casa di proprietà e in data 15 gennaio 2020 stipulavo contratto preliminare di compravendita regolarmente registrato aventi le seguenti clausole: (riporto testualmente)
1)il preliminare è vincolato all'ottenimento del mutuo a fare di parte acquirente. La delibera di mutuo dovrà essere consegnata all'agenzia immobiliare TOT ...entro 40 giorni dalla data della sottoscrizione del presente preliminare salvo cause di forza maggiore (termine ultimo quindi 25 febbraio 2020);
2) il rogito notarile dovrà essere effettuato entro il 10 luglio 2020.
Allo stato attuale (29 aprile 2020) non è arrivata alcuna delibera di mutuo nè è uscito ancora il perito della banca per fare la perizia dell'appartamento e nessuna comunicazione ufficiale mi è giunta ne dall'agenzia ne dall'acquirente. Inoltre, a garanzia del preliminare sottoscritto la parte acquirente emetteva assegni bancari pari a euro 10.000,00 depositati presso l'agenzia immobiliare con la promessa che mi sarebbero stati consegnati all'atto della delibera di mutuo (sempre entro i precedenti 40 gg) quindi non in mio possesso al momento.
Siccome ho ricevuto una nuova proposta di acquisto (che non ho ancora sottoscritto) da un nuovo possibile acquirente la mia domanda è: posso ritenermi libero dal contratto preliminare di cui sopra visto che sono trascorsi i 40 giorni sottoscritti (scaduti al 25 febbraio 2020) entro i quali doveva giungere delibera di mutuo e ad oggi non ancora giunta?
Le cause di forza maggiore richiamate nel preliminare possono essere imputate all'attuale situazione emergenziale sanitaria anche se sopravvenuta a condizioni già scadute ovvero dopo i 40 giorni di cui sopra?

Nel ringraziare in anticipo segnalo l'urgenza del mio quesito in modo tale da ricevere un utile consiglio legale quanto prima.

Consulenza legale i 03/05/2020
Alcune brevi premesse.

Nel nostro ordinamento è consentito sottoporre l’efficacia di un contratto ad una condizione (risolutiva o sospensiva).
E’ parimenti ammissibile che la stipula di un rogito sia condizionata, come nella presente vicenda, al verificarsi di determinate condizioni indicate nel preliminare.
L’unico tipo di condizione che è ritenuta nulla (e cioè invalida ed inefficace) è quella meramente potestativa prevista dall’art. 1355 del codice civile secondo cui, appunto, “è nulla l'alienazione di un diritto o l'assunzione di un obbligo subordinata a una condizione sospensiva che la faccia dipendere dalla mera volontà dell'alienante o, rispettivamente, da quella del debitore”.
La condizione della concessione di un mutuo non rientra in questo tipo di condizione.
Come ha osservato la Suprema Corte nell’ordinanza n.22046/2018: va escluso che “si possa configurare una nullità del preliminare, posto che la clausola che subordina il trasferimento della proprietà all'ottenimento, da parte del promissario acquirente, di un mutuo non integra gli estremi della condizione meramente potestativa.”
Infatti, prosegue la Cassazione, “nel caso in cui le parti subordinino gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un istituto bancario un mutuo per poter pagare in tutto o in parte il prezzo stabilito - patto di cui non è contestabile la validità, poiché i negozi ai quali non è consentito apporre condizioni sono indicati tassativamente dalla legge -, la relativa condizione è qualificabile come "mista", dipendendo la concessione del mutuo anche dal comportamento del promissario acquirente nell'approntare la relativa pratica, ma la mancata concessione del mutuo comporta le conseguente previste in contratto, sena che rilevi, ai sensi dell'art. 1359 c.c., un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente, sia perché tale disposizione è inapplicabile nel caso in cui la parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia anch'essa interesse all'avveramento della condizione, sia perché l'omissione di un'attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l'attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, e la sussistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l'attività di attuazione dell'elemento potestativo in una condizione mista”.

L’epidemia di coronavirus può sicuramente costituire una causa di forza maggiore in quanto fatto straordinario ed imprevedibile.
Tuttavia, essa si sarebbe dovuta verificare PRIMA del termine indicato nel contratto preliminare e non, come avvenuto, successivamente.

Quindi, in risposta alla domanda contenuta nel quesito possiamo affermare quanto segue.
Se il Suo interesse è quello di intraprendere nuove trattative con altri potenziali acquirenti, può ritenersi libero dal contratto preliminare non essendosi verificata la condizione ivi specificata.
Tuttavia, prima di intraprendere qualsiasi trattativa con nuovi possibili acquirenti consigliamo di inviare una comunicazione formale (a mezzo pec o raccomandata a/r) sia al promissario acquirente che all’agente immobiliare (oltre al notaio laddove fosse già stato scelto per la stipula del rogito) in cui si fa presente che a fronte della mancata concessione del mutuo e della mancanza di qualsiasi comunicazione in merito, deve ritenersi privo di efficacia il contratto preliminare sottoscritto dalle parti.
Suggeriamo di specificare altresì, a scanso di equivoci, che gli assegni bancari di euro diecimila non Le sono mai stati consegnati e che, ai sensi dell'art. 1757 c.c. non è sorto alcun diritto alla provvigione in favore dell'agenzia immobiliare.

Mariano A. chiede
venerdì 06/04/2018 - Lombardia
- Ho stipulato un contratto di sublocazione ad uso commerciale.
- Dopo alcuni mesi ho inviato regolare disdetta 3 mesi
- ho concordato verbalmente con il locatore una riduzione sostanziale del prezzo di affitto, ed un addendum con i nuovi accordi da allegare al contratto di locazione.
- nel frattempo che l'addendum venisse predisposto, su richiesta del locatore, ho inviato una revoca alla disdetta con la seguente frase :
Dichiaro di voler revocare la disdetta e di proseguire con il contratto di locazione stipulato in data 07/12/2017, con le correzioni stabilite nell’ addendum al contratto di locazione che sarà stipulato tra le parti in causa.
- i mesi sono passati e nessun addendum è pervenuto, ma nonostante gli accordi rimasti solo verbali, il canone di affitto è rimasto sempre quello originario.
- stiamo parlando di cifre importanti e fino ad oggi ho maturato un debito consistente aspettando l'addendum.
Il locatore dichiara di non aver mai accordato un addendum.
VORREI SAPERE SE LA CONDIZIONE ESPRESSA NELLA REVOCA, OSSIA LA PRODUZIONE DI UN ADDENDUM, QUALORA NON FOSSE RISPETTATA RENDA NULLA LA REVOCA, E VALGA LA DISDETTA ORIGINARIA.
Vorrei avere un parere certo supportato da riferimenti normativi.
cordiali saluti
Aresu Mariano”
Consulenza legale i 12/04/2018
Ai sensi dell’art. 1353 c.c. la condizione è un avvenimento futuro ed incerto al quale le parti intendono subordinare l’efficacia o la risoluzione del contratto o di una singola pattuizione negoziale.
Si tratta di un elemento accidentale del contratto, ossia un elemento che può anche non essere inserito nel contratto senza che ciò determini alcuna conseguenza sulla validità del contratto medesimo.
Si distingue tra condizione sospensiva e condizione risolutiva.
La condizione sospensiva è quella dal cui verificarsi viene fatta discendere l’efficacia del contratto o di un patto. Prima del suo avverarsi le parti non sono tenute alla realizzazione del programma negoziale.
La condizione risolutiva è quella al verificarsi della quale viene subordinata la cessazione degli effetti del negozio A differenza della condizione sospensiva, nel caso di condizione risolutiva il contratto è immediatamente produttivo di effetti ma la detta efficacia può venir meno ex tunc qualora si realizzi l’evento dedotto in condizione.
L’evento dedotto in condizione deve essere:
a) possibile. La possibilità, materiale e giuridica, deve intendersi come assenza di un impedimento che renda certa l’impossibilità di avvera mento dell’evento secondo un giudizio di ragionevolezza. L’impossibilità esclude la sussistenza della condizione e, difatti, l’art 1354, 2° comma, c.c. dispone che qualora si tratti di condizione sospensiva, l’intero contratto è nullo. Se si tratta di condizione risolutiva, si ha per non apposta;
b) lecito. La liceità è intesa come assenza di contrarietà a norme imperative, ordine pubblico e al buon costume.

Fatte queste premesse di carattere generale, riteniamo che, nel caso in esame, la dichiarazione “….con le correzioni stabilite nell’addendum al contratto di locazione che sarà stipulato tra le parti” possa configurare una condizione, il cui mancato avveramento rende inefficace l’atto di revoca.
Pertanto, laddove non fosse stipulato l’addendum cosi come pattuito, la revoca della disdetta sarà priva di effetto ed avrà valore la disdetta del contratto di locazione. La disdetta è un negozio giuridico unilaterale recettizio con il quale le parti possono provocare la cessazione della locazione.
In quanto atto recettizio, la disdetta produce effetto nel momento in cui perviene a conoscenza del destinatario e, poiché nel caso in esame, la disdetta è stata correttamente portata a conoscenza del locatore, la stessa è da ritenersi produttiva di effetti nel caso in cui non operi la revoca della disdetta medesima.

Unica cosa da chiarire: il contenuto dell'addendum era stato già definito? Nella comunicazione con cui si andava a revocare la disdetta si faceva riferimento genericamente ad un "addendum" da fare, o se ne determinava già il contenuto? Se il contenuto dell'addendum non fosse stato già indicato nella sopraccitata comunicazione, allora controparte potrebbe sostenere che l'oggetto della condizione era indeterminato e magari anche indeterminabile.

Andrebbe visionata la documentazione.


ROCCO B. chiede
sabato 31/01/2015 - Puglia
“BANDO di gara pag. 2
SOGGETTI CHE POSSONO PARTECIPARE ALA GARA:

POSSONO PARTECIPARE ALLA GARA , PENA ESCLUSIONE, DITTE CHE SONO IN POSSESSO, DISPONGONO A TITOLO DI PROPRIETA O IN BASE AD ALTRO TITOLO, COSI COME SPECIFICATO NELL'ART. 1 LETT. B) DEL D.M.31.01.1991, DI ALMENO 2 SCUOLABUS IDONEI, AI SENSI DEL D.M. 18.04.77 E D.M. 31.01.97, AL TRASPORTO Dl ALUNNI DELLA SCUOLA DELL'INFANZIA, PRIMARIA E SECONDARIA DI 1° GRADO IN NUMERO DI ALMENO 28 POSTI CIASCUNO PIU’ACCOMPAGNATORE, PIÙ AUTISTA. GLI SCUOLABUS DOVRANNO ESSERE DI PRIMA IMMATRICOLAZIONE O AL MASSIMO NON ANTECEDENTE AL 2005.

CONTRATTO DI ACQUISTO 13/05/2008 DEI SCUOLABUS
N.B. CONTRATTO DI ACQUISTO A RISOLUZIONE RISOLUTIVA
CHE L’ACQUISTO SARA’ RITENUTO VALIDO IN CASO DI ASSEGNAZIONE GARA COMUNE DI ... SCADENTE 27/05/2008.

SENTENZA DEL TAR ... N. .../2008
In effetti, la ricorrente in sede di partecipazione aveva dichiarato di "essere in possesso di n. 2 scuolabus di posti 28…. giusto contratto (articolo 832 c.c.) di acquisto del 13/05/2008 che agli atti allega”; l'atto negoziale prodotto tuttavia non attestava tale disponibilità dei mezzi (richiesta a pena di esclusione dal bando di gara, pagina 2). Pur trattandosi letteralmente e formalmente di una compravendita condizionata, infatti, il contratto si presenta comunque ad esecuzione differita, con consegna non immediata dei beni mobili.
Il ricorso incidentale va dunque accolto e, di conseguenza, quello originario, prodotto da La Prospettiva S.c. a r.l. dev’essere dichiarato inammissibile.

Pertanto, in base alle disposizione del bando pubblico, del contratto di acquisto e della sentenza del Tar emessa, vorrei una Vostra autorevole interpretazione in merito al giusto o sbagliato operato del Tar. Tutto al fine di potere valutare se vi siano margini per intraprendere un eventuale diritto al risarcimento dei danni nei confronti della stazione appaltante.”
Consulenza legale i 10/02/2015
La questione in punto di diritto concerne l'interpretazione della disposizione contenuta nel bando di gara, che recita "POSSONO PARTECIPARE ALLA GARA, PENA ESCLUSIONE, DITTE CHE SONO IN POSSESSO, DISPONGONO A TITOLO DI PROPRIETA O IN BASE AD ALTRO TITOLO [...]".

Specifichiamo il significato che il nostro ordinamento attribuisce ad alcuni termini:
- proprietà: diritto reale che ha per contenuto la facoltà di godere e di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi previsti dall'ordinamento giuridico (artt. 832 ss. c.c.);
- possesso: potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale (art. 1140 del c.c.);
- detenzione: potere di mero fatto esercitato su una cosa da un soggetto (detentore) che non ha l'intenzione di compiere un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale.

Innanzitutto, il bando non appare chiaro nel punto in cui stabilisce che il "concorrente" sia "in possesso" "," (il bando usa la virgola) "disponga a titolo di proprietà": si potrebbe interpretare la disposizione sia come alternativa (il concorrente deve essere proprietario o possedere), sia come congiuntiva (il concorrente deve essere sia proprietario che possedere).

Inoltre, non è evidente se il bando abbia voluto distinguere tra una situazione di possesso e di detenzione ("disponga" a titolo di proprietario).

Tuttavia, l'interpretazione che appare più logica è quella che richiede che il concorrente sia proprietario o abbia altro diritto reale minore (es. usufrutto) per poter materialmente disporre degli scuolabus; in altre parole, sembra richiesto che il concorrente abbia un potere di fatto sui beni che si traduce nel loro possesso.

Ciò dato per assunto - e ribadito che si tratta solo di una interpretazione possibile del bando - ci si deve chiedere se la compravendita sottoposta a condizione sospensiva ponga l'acquirente nella posizione di essere nel possesso del bene compravenduto.

Prima di tutto, va chiarito che, anche se nel quesito si parla di "CONTRATTO DI ACQUISTO A RISOLUZIONE RISOLUTIVA", si tratta in realtà di una condizione sospensiva, visto che si dice poi "L’ACQUISTO SARA’ RITENUTO VALIDO IN CASO DI ASSEGNAZIONE GARA COMUNE DI ... SCADENTE 27/05/2008".

In generale, l'art. 1353 del c.c. stabilisce che le parti possono subordinare l'efficacia del contratto ad un avvenimento futuro ed incerto (nel nostro caso, l'assegnazione dell'appalto). Il primo comma dell'art. 1356 del c.c. sancisce che in pendenza della condizione sospensiva l'acquirente di un diritto può solo compiere atti conservativi (anche se non si deve escludere che "le parti, nell'ambito della loro autonomia contrattuale, possano concordare al riguardo iniziative e comportamenti - come l'anticipata consegna del bene acquistato - che vadano oltre la funzione meramente conservativa”, cfr. Cass. civ., sez. III, 4.5.1978, n. 2095).

Il congegno tipico della condizione sospensiva consiste nell’inefficacia iniziale del contratto, che dunque non produce nessuno dei suoi effetti propri: da un lato, l'acquirente non paga il prezzo (potrebbe pagare una caparra o un acconto, ma difficilmente sarà previsto l'obbligo di pagamento integrale); dall'altro, il venditore non consegna il bene.
Non si produce l'effetto traslativo di trasferimento della proprietà in capo all'acquirente fino a quando la condizione non si avvera (nel qual caso si produce la retroattività dell'acquisto al momento della conclusione del contratto).

La circostanza che gli scuolabus non siano stati consegnati al compratore, nel caso di specie, è confermata dal fatto che il TAR accenna ad una "consegna non immediata dei beni mobili".

Pertanto, in base ai dati di fatto forniti nel quesito, si ritiene che il TAR abbia operato una valutazione corretta del contratto sottoposto a condizione sospensiva, stabilendo che la parte acquirente, concorrente nella gara d'appalto, al momento della partecipazione non era né in possesso né disponeva ad alcun titolo degli scuolabus.

Il meccanismo scelto dal concorrente (compravendita condizionata sospensivamente) non è stata forse la scelta più appropriata nel caso di specie, poiché il bando sembrava chiedere - prima di ogni altra cosa - la disponibilità dei beni al momento della gara.
L'esito sarebbe stato diverso laddove le parti avessero optato per un contratto sottoposto a condizione risolutiva: il contratto avrebbe avuto efficacia immediata (in particolare, consegna bene - trasferimento titolarità) e sarebbe venuto meno solo in caso di mancata assegnazione dell'appalto. Certamente tale scelta avrebbe comportato maggiori oneri economici per l'acquirente (forse il venditore avrebbe preteso il pagamento immediato del prezzo o una congrua cauzione).

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