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Articolo 791 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Condizione di riversibilità

Dispositivo dell'art. 791 Codice Civile

Il donante può stipulare la riversibilità(1) delle cose donate, sia per il caso di premorienza del solo donatario, sia per il caso di preminenza del donatario e dei suoi discendenti(2) [792 c.c.].

Nel caso in cui la donazione è fatta con generica indicazione della riversibilità, questa riguarda la premorienza, non solo del donatario, ma anche dei suoi discendenti.

Non si fa luogo a riversibilità che a beneficio del solo donante. Il patto a favore di altri si considera non apposto(3) [1354 c.c.].

Note

(1) Per patto di riversibilità si intende la clausola mediante cui si stabilisce che i beni donati tornino di proprietà del donante in caso di premorienza del donatario o dei suoi discendenti.
(2) Ossia i figli del donatario, tra cui anche quelli concepiti.
(3) Il patto di riversibilità a favore di un terzo è nullo in quanto si ritiene sia in contrasto con il divieto di patti successori (v. art. 458 del c.c.).

Ratio Legis

La norma riconosce tutela alla volontà del donante di evitare che, alla morte del donatario, i beni donati vadano a terzi.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

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Consulenze legali
relative all'articolo 791 Codice Civile

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F. S. chiede
giovedì 03/10/2024
“È possibile donare un immobile con condizione di reversibilità? Ad esempio, il figlio che dona l’immobile ad un genitore può stabilire con la donazione che l’immobile ritorni nel patrimonio originario del figlio nel caso di premorienza del genitore rispetto al figlio? In tal caso il bene donato torna nel patrimonio del donante libero da pesi o gravami? Più precisamente:
a) il trasferimento del bene nuovamente al figlio, a seguito della morte del genitore, è “stabile” o può essere esposto all’azione degli eredi del genitore morto?
b) l’immobile rientrato nel patrimonio originario del figlio perde i rischi della donazione (contestazione degli eredi) e mantiene il valore di mercato in caso di vendita o di garanzia ipotecaria in caso di richiesta di finanziamento?
Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 10/10/2024
La donazione con patto di riversibilità risulta espressamente disciplinata dal nostro ordinamento all’art. 791 c.c. e ricorre allorquando nello stesso contratto di donazione venga inserita una clausola in forza della quale le parti (donante e donatario) convengono che i beni donati tornino al donante nel caso di premorienza del donatario o anche dei suoi discendenti.
Tale patto ha natura di vera e propria condizione risolutiva e comporta, al suo avveramento, la cessazione degli effetti della donazione.

Il fondamento di tale particolare istituto giuridico si riviene nella considerazione che il donante può voler beneficiare il donatario ed eventualmente i suoi discendenti, ma non i soggetti che gli stessi potrebbero indicare nel loro testamento o che fossero chiamati a succedere in forza di successione ex lege (così Capozzi, in “Successioni e donazioni”).

Si ritiene opportuno precisare che beneficiario della riversibilità può essere solo il donante, mentre l’eventuale previsione che la clausola di riversibilità debba operare a favore di un terzo si porrebbe in contrasto con il divieto dei patti successori (art. 458 del c.c.), con la conseguenza che la stessa si considererebbe non apposta, in applicazione dell’istituto della nullità parziale di cui all’art. 1419 del c.c. (non ne verrebbe inficiato, dunque, l’intero contratto di donazione).

La disciplina del codice contempla espressamente la c.d. riversibilità reale, in quanto per effetto di essa i beni donati rientrano direttamente e con efficacia retroattiva nel patrimonio del donante; l’apposizione del patto di riversibilità non fa venir meno il carattere di atto tra vivi della donazione, e ciò perché la premorienza del donatario non costituisce la causa del ritorno dei beni al donante, ma l’evento che determina la condizione risolutiva del negozio (ciò comporta, infatti, l’applicabilità a tale istituto, in via diretta e non analogica, della disciplina generale dettata sempre dal codice civile in materia di condizione (si vedano artt. 1358, 1356 co. 2 e 1359 c.c.).

Per quanto riguarda gli effetti (che è ciò che più interessa a chi pone il quesito), risulta abbastanza chiara la disciplina dettata dall’art. 792 del c.c., il quale dispone espressamente che il verificarsi della condizione di riversibilità consente la restituzione al donante del bene donato libero da pesi o ipoteche.
L’operare della riversibilità, dunque, produce l’effetto di travolgere tutti gli atti dispositivi che il donatario abbia potuto medio tempore porre in essere; tuttavia, poiché l’effetto retroattivo della condizione è pur sempre una finzione giuridica, occorre tenere conto della possibilità dell’operare di talune limitazioni, che non consentono di negare efficacia a tutti gli atti compiuti dal donatario.
Il caso più ricorrente è, ad esempio, quello del donatario che, in pendenza della condizione, abbia convenuto una locazione eccedente i nove anni dell’immobile donato, la quale conserva la sua efficacia per l’intero periodo convenuto.
Altra limitazione concerne i frutti prodotti dal bene donato durante il periodo anteriore al verificarsi della condizione, che gli eredi del donatario ovviamente non saranno tenuti a restituire.

Un’altra limitazione è espressamente prevista dallo stesso legislatore al secondo comma dell’art. 792 c.c. e concerne l’ipoteca iscritta a garanzia di convenzioni matrimoniali, la quale resta salva quando gli altri beni del coniuge donatario non siano sufficienti ed a condizione che la donazione sia stata fatta con lo stesso contratto di matrimonio dal quale l’ipoteca risulta.

Per quanto concerne il dubbio se il ritrasferimento del bene al donante mantenga la sua stabilità o possa essere esposto ad eventuali pretese ereditarie da parte degli eredi del donatario, la risposta si rinviene nell’ultimo capoverso dell’art. 792 c.c., dalla cui lettura si ricava che la riversione non può pregiudicare la quota di riserva spettante al coniuge superstite del donatario a condizione che ciò abbia formato oggetto di specifica pattuizione.
L’apposizione al contratto di donazione di una clausola di questo tipo, dunque, attribuisce al coniuge superstite il diritto di computare nell’asse ereditario anche i beni donati al fine di calcolare la sua quota di riserva, con la conseguenza che se la quota che egli viene di fatto a conseguire sulla successione del donatario, in forza di legge o di testamento, dovesse risultare inferiore a quella di riserva, avrà diritto di prelevare la differenza sui beni donati.

E’ bene precisare, tuttavia, che non si tratta di un effetto per così dire “naturale” del contratto, ma di un limite convenzionale alla riversibilità, il quale può discendere soltanto da una specifica pattuizione contenuta nell’originario contratto di donazione.

Infine, rispondendo alla domanda indicata nel quesito con la lettera b), va detto che, dovendosi configurare la riversibilità quale condizione risolutiva della donazione, il verificarsi della stessa determina la restituzione al donante di ciò che ha costituito oggetto di donazione con effetto ex tunc, ovvero come se quella donazione non fosse mai stata posta in essere, il che induce a dover del tutto escludere che l’immobile rientrato nel patrimonio del donante possa soffrire gli effetti propri di un immobile donato.