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Articolo 189 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Obbligazioni contratte separatamente dai coniugi

Dispositivo dell'art. 189 Codice Civile

(1)I beni della comunione [177], fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato, rispondono, quando i creditori non possono soddisfarsi sui beni personali [179], delle obbligazioni contratte(2), dopo il matrimonio, da uno dei coniugi per il compimento di atti eccedenti l'ordinaria amministrazione senza il necessario consenso dell'altro [180, 184].

I creditori particolari di uno dei coniugi, anche se il credito è sorto anteriormente al matrimonio, possono soddisfarsi in via sussidiaria [190] sui beni della comunione(3), fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato(4). Ad essi, se chirografari, sono preferiti i creditori della comunione [192].

Note

(1) L'articolo è stato così sostituito dall'articolo 68 della L. 19 maggio 1975 n. 151.
(2) L'articolo non concerne le sole obbligazioni (strictu sensu) contratte dai coniugi separatamente, ma anche quelle risarcitorie conseguenti al fatto illecito aquiliano che fosse stato commesso dal coniuge in comunione.
(3) In deroga al precedente art. 186 del c.c., per le obbligazioni personali del coniuge risponde lo stesso, in primo luogo, e con i propri beni; qualora gli stessi siano insufficienti, si ha l'azione sussidiaria sui beni della comunione, nei limiti della quota spettante al coniuge obbligato. La sussidiarietà non impone di escutere previamente il coniuge debitore che abbia compiuto l'atto eccedente l'ordinaria amministrazione: al coniuge non stipulante rimarrà solo la facoltà di indicare al creditore procedente, una volta aggredita in misura non satisfattiva la comunione, i beni personali del coniuge su cui soddisfare primariamente il debito.
(4) Nel corso dell'esecuzione forzata promossa dal creditore personale di uno dei coniugi, sui beni oggetto della comunione, al coniuge non stipulante spettano l'opposizione di terzo e l'opposizione agli atti esecutivi.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 189 Codice Civile

Cass. civ. n. 1647/2023

La natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l'espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà o per una quota; ne consegue l'inapplicabilità della disciplina sull'espropriazione dei beni indivisi e, quindi, dell'art. 599 c.p.c. (norma che impone al creditore di dare avviso dell'esecuzione forzata ai comproprietari).

Cass. civ. n. 15889/2022

Il diritto di credito vantato da uno dei coniugi a titolo di comunione "de residuo" sui beni destinati all'esercizio dell'impresa dell'altro coniuge, non ha carattere privilegiato, non essendo tale credito annoverato tra le ipotesi tassative indicate dall'art. 2741 c.c., senza che possa ritenersi applicabile la causa di prelazione di cui all'art. 189, comma 2 c.c., riferendosi tale norma alla garanzia offerta dai beni per i quali sia sorta una comunione reale, quindi non suscettibile di applicazione alla diversa ipotesi della comunione "de residuo" che attribuisce invece al coniuge solo un diritto di credito.

Cass. civ. n. 37612/2021

Nella disciplina del diritto di famiglia, introdotta dalla l. n. 151 del 1975, l'obbligazione assunta da un coniuge, per soddisfare bisogni familiari, non pone l'altro coniuge nella veste di debitore solidale, difettando una deroga rispetto alla regola generale secondo cui il contratto non produce effetti rispetto ai terzi. Tale principio opera indipendentemente dal fatto che i coniugi si trovino in regime di comunione dei beni, essendo la circostanza rilevante solo sotto il diverso profilo della possibilità, da parte del creditore, di invocare la garanzia dei beni della comunione o del coniuge non stipulante, nei casi e nei limiti di cui agli artt. 189 e 190 c.c.

Cass. civ. n. 22210/2021

Nell'espropriazione del bene in comunione legale per crediti personali di uno solo dei coniugi, il beneficio di escussione dei beni personali del coniuge debitore e la sussidiarietà del cespite in comunione legale ex art. 189 c.c. devono essere fatti valere esclusivamente con lo strumento dell'opposizione all'esecuzione e non con una semplice eccezione formulata in sede di divisione endoesecutiva.

Cass. civ. n. 506/2021

La natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l'espropriazione, per debiti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione, abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, con scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggito all'atto della sua vendita od assegnazione e diritto del coniuge non debitore alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione.

Cass. civ. n. 2047/2019

La natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l'espropriazione, per crediti personali di uno solo di essi, di uno o più beni in comunione abbia ad oggetto la "res" nella sua interezza e non per la metà o per una quota; ne consegue che, in ipotesi di divisione, è esclusa l'applicabilità sia della disciplina sull'espropriazione dei beni indivisi (artt. 599 ss. c.p.c.) sia di quella contro il terzo non debitore. (Nella specie, la S.C. ha chiarito che non era consentito al giudice disporre la separazione, ai sensi dell'art. 600 c.p.c., della quota spettante al coniuge comproprietario non debitore, né circoscrivere la vendita ad una porzione del tutto, poiché si doveva, invece, procedere ex art. 720 c.c. alla vendita o all'attribuzione dell'intero complesso, costituendo esso una singola unità immobiliare in comunione, nel caso in esame non comodamente divisibile).

Cass. civ. n. 6230/2016

Per il debito di uno dei coniugi, correttamente è sottoposto a pignoramento per l'intero il bene, pure se in parte compreso nella comunione legale con l'altro coniuge, con conseguente esclusione di ogni irritualità o illegittimità degli atti tutti della procedura, fino alla aggiudicazione ed al trasferimento di quello in favore di terzi compresi, nonché con esclusione della fondatezza della pretesa del debitore esecutato e dell'opponente originaria non solo di caducare tali atti, ma pure di separare di quel bene parti o quote o di conseguire dalla procedura esiti diversi dalla vendita per l'intero, salva la corresponsione al coniuge non debitore, in sede di distribuzione, della metà del ricavato lordo di essa, dovuta in dipendenza dello scioglimento, avutosi sia pure in via eccezionale limitatamente a quel bene, ma per esigenze di giustizia ed all'atto del decreto di trasferimento, della comunione legale in parola.

Cass. civ. n. 10116/2015

In tema di rapporti patrimoniali tra coniugi, non sussiste vincolo di solidarietà per le obbligazioni assunte da uno di essi per soddisfare i bisogni familiari pur in presenza di un regime di comunione legale, fatto salvo il principio di affidamento del creditore che abbia ragionevolmente confidato nell'apparente realtà giuridica, desumibile dallo stato di fatto, che il coniuge contraente agisse anche in nome e per conto dell'altro. Ne consegue che il credito vantato dalla collaboratrice domestica per le obbligazioni assunte dalla moglie, da cui promanavano le quotidiane direttive del servizio, rende coobbligato anche il marito, datore della provvista in danaro ordinariamente utilizzata per la corresponsione della retribuzione sì da ingenerare l'affidamento di esser l'effettivo datore di lavoro.

Cass. civ. n. 6575/2013

La natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l'espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, con scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggito all'atto della sua vendita od assegnazione e diritto del coniuge non debitore alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione (principio affermato ai sensi dell'art. 363 c.p.c.).

Cass. civ. n. 25026/2008

I debiti contratti da uno dei coniugi a favore del figlio minore gravano in via solidale anche sull'altro coniuge solo se finalizzati a soddisfare bisogni primari del figlio stesso. Quando invece la spesa non è stata sostenuta per soddisfare tali bisogni, della relativa obbligazione risponde solo quello tra i coniugi che l'ha contratta. (In applicazione di tale principio la S.C. ha confermato la sentenza impugnata con cui era sta esclusa la solidarietà passiva tra i coniugi riguardo al pagamento della retta scolastica dovuta per l'iscrizione del figlio minore ad una scuola privata, compiuta da uno solo dei genitori, in base al rilievo che la frequentazione di una scuola privata non costituisce un bisogno primario della persona, posto che la necessità dell'istruzione può essere soddisfatta dalle scuole pubbliche ).

Cass. civ. n. 2506/2008

I debiti contratti da uno dei coniugi a favore del figlio minore gravano in via solidale anche sull'altro coniuge solo se finalizzati a soddisfare bisogni primari del figlio stesso. Quando invece la spesa non è stata sostenuta per soddisfare tali bisogni, della relativa obbligazione risponde solo quello tra coniugi che l'ha contratta. (In applicazione di tale principio la S.C. ha confermato la sentenza impugnata con cui era sta esclusa la solidarietà passiva tra i coniugi riguardo al pagamento della retta scolastica dovuta per l'iscrizione del figlio minore ad una scuola privata, compiuta da uno solo dei genitori, in base al rilievo che la frequentazione di una scuola privata non costituisce un bisogno primario della persona, posto che la necessità dell'istruzione può essere soddisfatta dalle scuole pubbliche).

Cass. civ. n. 3471/2007

In materia di rapporti patrimoniali. tra coniugi, il contraente che ha contrattato con uno solo dei coniugi può invocare il principio dell'apparenza del diritto, al fine di sostenere il suo ragionevole affidamento sul fatto che questi agisse anche in nome e per conto dell'altro coniuge solo qualora si verifichino le seguenti condizioni: a) uno stato di fatto non corrispondente allo stato di diritto; b) il ragionevole convincimento del contraente, derivante da errore scusabile, che lo stato di fatto rispecchiasse la realtà giuridica. Ne consegue che, per poter invocare il principio dell'apparenza del diritto, il terzo deve comunque provare la propria buona fede e la ragionevolezza dell'affidamento, non essendo invocabile il principio in questione da chi versi in colpa per aver omesso di accertare, in contrasto con la stessa legge oltre che con le norme di comune prudenza, la realtà delle cose. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, in riferimento ad un contratto di mutuo concesso da una sorella al fratello, aveva rigettato la domanda della mutuante volta a ritenere obbligata anche la moglie del mutuatario, non avendo addotto elementi fattuali sufficienti a ritenere che potesse incolpevolmente ritenersi che questi agisse anche in nome e per conto della moglie).

Nella disciplina del diritto di famiglia, in relazione alle obbligazioni contratte da uno solo dei coniugi nell'interesse della famiglia, il creditore che, ai sensi dell'art. 189 c.c., voglia agire anche nei confronti del coniuge dello stipulante, deve dimostrare non solo che il convenuto è coniuge dello stipulante, ma anche che i beni della comunione non sono sufficienti ad estinguere l'obbligazione e che l'unico debitore principale, il coniuge stipulante, non abbia adempiuto l'obbligazione, assunta esclusivamente a suo carico.

Cass. civ. n. 5487/1999

Il principio secondo il quale l'obbligazione assunta separatamente da uno dei coniugi in regime di comunione legale non pone l'altro coniuge nella situazione di coobbligato solidale non spiega alcuna influenza nei rapporti interni tra i coniugi stessi, rilevando soltanto sotto il (diverso) profilo dell'invocabilità, da parte del terzo creditore, della garanzia dei beni della comunione ovvero del coniuge non stipulante. Ne consegue che, adempiuta in toto l'obbligazione nei confronti del terzo creditore, il coniuge personalmente obbligatosi ha diritto alla restituzione, da parte dell'altro coniuge, della metà della somma versata (nell'affermare il principio di diritto che precede, la S.C. ha, poi, escluso che, nella specie, si vertesse in tema di obbligazioni separatamente contratte da uno dei coniugi, risultando ex actis la evidente compartecipazione dell'altro coniuge all'assunzione di un'obbligazione cambiaria funzionale all'ottenimento di un mutuo di scopo).

Cass. civ. n. 7501/1995

La moglie, di regola, è responsabile in proprio per le obbligazioni da lei contratte nell'interesse della famiglia; il marito, tuttavia, è responsabile delle obbligazioni contratte in suo nome dalla moglie, oltre che nei casi in cui egli le abbia conferito, in forma espressa o tacita, una procura a rappresentarlo, tutte le volte in cui sia stata posta in essere una situazione tale da far ritenere, alla stregua del principio dell'apparenza giuridica, che la moglie abbia contratto una determinata obbligazione non già in proprio, ma in nome del marito.

Cass. civ. n. 5244/1991

La fideiussione, prestata da uno solo dei coniugi in regime di comunione legale, è valida ed efficace, indipendentemente dall'inerenza del rapporto ai beni comuni, ed altresì a prescindere dalla sua qualificabilità come atto di ordinaria o straordinaria amministrazione, ferma restando, in entrambi i casi, l'assoggettamento dei beni della comunione alle ragioni del creditore nei limiti della quota di detto coniuge.

Cass. civ. n. 6118/1990

Nella disciplina del diritto di famiglia, introdotta dalla L. 19 maggio 1975, n. 151, l'obbligazione assunta da un coniuge, per soddisfare bisogni familiari, non pone l'altro coniuge nella veste di debitore solidale, difettando una deroga rispetto alla regola generale secondo cui il contratto non produce effetti rispetto ai terzi. Il suddetto principio opera indipendentemente dal fatto che i coniugi si trovino in regime di comunione dei beni, essendo la circostanza rilevante solo sotto il diverso profilo dell'invocabilità da parte del creditore della garanzia dei beni della comunione o del coniuge non stipulante, nei casi e nei limiti di cui agli artt. 189 e 190 (nuovo testo) c.c.

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Consulenze legali
relative all'articolo 189 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

A. D. A. chiede
domenica 27/02/2022 - Lazio
“Matrimonio nel 2015 in comunione dei beni.
Nel 2016 acquisto le quote di una Società.
Ad oggi sono presenti dei debiti bancari con questa società.
Se effettuo adesso la separazione dei beni... I debiti contratti con questa Società... rimangono a capo solamente a me o comunque rimangono in capo anche a mia moglie dal momento che i debiti sono stati contratti nel momento della comunione dei beni?
E per quanto riguarda i soldi sui conti correnti??può essere attaccato dalla banca il conto corrente di mia moglie anche dopo aver cambiato regime da comunione a separazione dei beni?
Preciso che io sono garante (come persona fisica) di una società Srl che ha contratto il debito con la banca.
Grazie”
Consulenza legale i 04/03/2022
In dottrina e in giurisprudenza si è dibattuto se l’acquisto di quote di una società di capitali, effettuato in costanza di matrimonio, sia compreso nella comunione legale.
In proposito, secondo Cass. Civ., Sez. I, 27/05/1999, n. 5172, “i titoli di partecipazione azionaria acquistati, in costanza di matrimonio, da uno solo dei coniugi ed allo stesso intestati, sono suscettibili di essere compresi nel regime della comunione legale contemplata dall'art. 177, comma 1, lett. a), c.c.”.
Ed ancora, la più recente Cass. Civ., Sez. I, 09/10/2007, n. 21098, “la comunione legale fra i coniugi, come regolata dagli artt. 177 e segg. cod. civ., costituisce un istituto che prevede uno schema normativo non finalizzato, come quello della comunione ordinaria regolata dagli artt. 1100 e segg. cod. civ., alla tutela della proprietà individuale, ma alla tutela della famiglia attraverso particolari forme di protezione della posizione dei coniugi nel suo ambito, con speciale riferimento al regime degli acquisti, in relazione al quale la ratio della disciplina, che è quella di attribuirli in comunione ad entrambi i coniugi, trascende il carattere del bene della vita che venga acquisito e la natura reale o personale del diritto che ne forma oggetto; ne consegue che anche i crediti - così come i diritti a struttura complessa, come i diritti azionari in quanto "beni" ai sensi degli art. 810, 812 e 813 cod. civ., sono suscettibili di entrare nella comunione, ove non ricorra una delle eccezioni alla regola generale dell'art. 177 cod. civ. poste dall'art. 179 cod. civ.”.
Tuttavia, nel nostro caso la preoccupazione di chi pone il quesito sembra riguardare la posizione di garante di un debito della società, assunta nei confronti della banca.
Al riguardo, occorre fare riferimento all’art. 189, comma 2 c.c., ai sensi del quale “i creditori particolari di uno dei coniugi, anche se il credito è sorto anteriormente al matrimonio, possono soddisfarsi in via sussidiaria sui beni della comunione, fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato”.
Dunque anche in regime di comunione dei beni il creditore particolare di un coniuge potrà, al limite, rivalersi sui beni della comunione, e comunque entro i limiti della quota del coniuge obbligato, ma non sui beni dell'altro coniuge.
Quanto al conto corrente intestato alla moglie, se si tratta su cui confluiscono “i proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi” ex art. 177 c.c., comma 1, lett c), occorre tenere presente che l’eventuale saldo attivo del conto rientrerebbe nella c.d. comunione “de residuo”, cioè diventerebbe comune solo al momento dello scioglimento della comunione legale (il che avverrebbe, tra l’altro, con il passaggio al regime della separazione dei beni).

Salvatore O. chiede
mercoledì 06/04/2016 - Lombardia
“io e i mei soci (fratello e cognata) abbiamo firmato con la banca un mutuo ipotecario per la nostra snc, la banca mi ha inserito una clausola in obbligazione in solido. vi chiedo se mia moglie che con me ha la separazione dei beni può stare tranquilla per i suoi beni???
la clausola è la seguente:

- Solidarietà -Coobligazione solidale a coniugi

La parte mutuataria assume le obbligazioni derivanti dal presente contratto con il vincolo della solidarietà ed indivisibilità per i propri eredi o aventi causa.
Qualora la parte mutuataria sia costituita da persone unite tra loro da vincolo di matrimonio, la banca è sin d'ora irrevocabilmente autorizzata ad agire, in via principale e per l'intero suo credito, sia sui beni personali di ciascun coniuge sia sui beni della comunione, in deroga al disposto degli art. 189 e 190 Cod.Civ..
attendo risposta grazie.
Mia moglie oltre alla separazione dei beni, non ha firmato il mutuo”
Consulenza legale i 13/04/2016
La clausola bancaria in oggetto è molto chiara nel suo significato: è la “parte mutuataria” – quella cioè che chiede ed ottiene il mutuo - che deve essere costituita da persone legate da vincolo di coniugio. Pertanto, la clausola è applicabile in tutti i casi in cui a sottoscrivere il mutuo siano (entrambe) persone che tra loro siano legate da vincolo di matrimonio: quando, al contrario, il contratto di mutuo sia sottoscritto esclusivamente da uno dei due coniugi e l’altro no, la clausola rimane priva di effetti.

Gli istituti bancari, infatti, normalmente, inseriscono questo tipo di clausole nei contratti di mutuo al fine di tutelarsi contro i limiti imposti loro dalle norme relative alla comunione legale. Queste, in particolare con l’art. 190 del codice civile, stabiliscono che i creditori di uno dei coniugi, nel caso di obbligazioni assunte esclusivamente da quest’ultimo, non possono soddisfarsi sui beni che rientrano nella comunione se non quando hanno prima aggredito i beni personali del coniuge obbligato e questi non siano sufficienti a soddisfarli; in ogni caso, possono soddisfarsi sui beni personali del coniuge solo per un importo massimo pari alla metà del proprio credito e non oltre.

Nel caso concreto, di conseguenza, pare evidente che avendo il soggetto richiedente il mutuo sottoscritto il contratto con la banca solamente assieme ai due fratelli ed alla cognata, la moglie sarà esclusa da ogni responsabilità derivante dalla clausola contrattuale in questione.

In ogni caso, sarebbe da escludersi ugualmente la responsabilità solidale della moglie in virtù del regime patrimoniale scelto dai coniugi, ovvero la separazione dei beni, per cui la Banca, quand’anche la predetta clausola di solidarietà si riferisse invece anche o solo all’ipotesi (come quella in esame) in cui il coniuge del mutuatario non abbia sottoscritto il contratto, dovrebbe comunque esistere lo stato di comunione dei coniugi (cui infatti la clausola pone una deroga pattizia).

Secondo alcuni commentatori, le norme sui limiti alla responsabilità del coniuge anche in comunione per le obbligazioni assunte personalmente dall’altro, può essere derogata solamente nel caso in cui uno dei due coniugi assuma sì un’obbligazione personalmente, ma nell’interesse della famiglia: ciò in nome dei reciproci doveri morali e sociali che nascono dal matrimonio nonché del dovere di assistenza nei confronti dei figli sanciti dagli articoli 143 e 147 del codice civile e che, secondo appunto la dottrina, prevarrebbero sulle regole del regime patrimoniale sopra richiamate.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione, tuttavia, non ha mai avallato questo orientamento ed ha sempre negato che il coniuge in comunione dei beni che non ha sottoscritto il contratto possa essere ritenuto comunque responsabile solidalmente per le obbligazioni assunte dall’altro in toto, senza cioè i limiti dettati dall’art. 190 cod. civ..

Per tutte, si veda Cassazione Civile, Sezione III, del 15 febbraio 2007 n. 3471: “Nella disciplina del diritto di famiglia, introdotta dalla l. 19 maggio 1975 n. 151, l'obbligazione assunta da un coniuge, per soddisfare bisogni familiari, non pone l'altro coniuge nella veste di debitore solidale, difettando una deroga rispetto alla regola generale secondo cui il contratto non produce effetti rispetto ai terzi. (…).
In materia di rapporti patrimoniali tra coniugi, il contraente che ha contrattato con uno solo dei coniugi può invocare il principio dell'apparenza del diritto, al fine di sostenere il suo ragionevole affidamento sul fatto che questi agisse anche in nome e per conto dell'altro coniuge solo qualora si verifichino le seguenti condizioni :a) uno stato di fatto non corrispondente allo stato di diritto; b) il ragionevole convincimento del contraente, derivante da errore scusabile, che lo stato di fatto rispecchiasse la realtà giuridica. Ne consegue che, per poter invocare il principio dell'apparenza del diritto, il terzo deve comunque provare la propria buona fede e la ragionevolezza dell'affidamento, non essendo invocabile il principio in questione da chi versi in colpa per aver omesso di accertare, in contrasto con la stessa legge oltre che con le norme di comune prudenza, la realtà delle cose. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, in riferimento ad un contratto di mutuo concesso da una sorella al fratello, aveva rigettato la domanda della mutuante volta a ritenere obbligata anche la moglie del mutuatario, non avendo addotto elementi fattuali sufficienti a ritenere che potesse incolpevolmente ritenersi che questi agisse anche in nome e per conto della moglie)
”.

Per tornare al caso in esame, quindi, è pacifico che la moglie del contraente, del tutto estranea all’operazione (sottoscrizione di un contratto di mutuo nell’interesse di s.n.c. del marito e di altri soci) non debba e non possa rispondere in via solidale con quest’ultimo per le obbligazioni derivanti dal contratto, e ciò perché non solo la signora non è, appunto, parte del contratto (non è parte mutuataria e non le si applica la descritta clausola bancaria) ma altresì perché – in ogni caso - si trova in regime di separazione dei beni con il marito e non di comunione (che è l’unico caso cui si riferisce in modo evidente la predetta clausola).

Claudio chiede
venerdì 13/09/2013 - Toscana
“Salve,
siamo sposati ed abbiamo una abitazione in comunione dei beni ma, successivamente al matrimonio abbiamo deciso di fare, per ragioni di lavoro, atto di separazione dei beni. Abbiamo un conto corrente comune per le spese generali della famiglia. Entrambi abbiamo un proprio conto corrente personale. La domanda è: nel caso vi fosse un procedimento di pignoramento per debiti contratti da uno dei coniugi, su cosa graverebbe il pignoramento e fin dove potrebbero accertare, (SE POSSONO!!!) sussistenza di fondi quali; titoli, azioni, mobili ed immobili, all'altro coniuge.
In attesa di una vostra gradita risposta cordialmente saluto.”
Consulenza legale i 30/09/2013
Prima di dare risposta al quesito, si premette quanto segue. Si presume che al momento dell'atto di separazione dei beni (compiuto dopo il matrimonio), l'immobile che era in comunione sia stato diviso tra i coniugi o ceduto dall'uno all'altro. In ogni caso, nella risposta si presumerà che ora l'immobile sia intestato a ciascun coniuge per quota o ad uno solo di essi con diritto esclusivo.

Per quanto riguarda il regime della comunione dei beni, l'art. 189 del c.c. recita chiaramente: "I creditori particolari di uno dei coniugi, anche se il credito è sorto anteriormente al matrimonio, possono soddisfarsi in via sussidiaria sui beni della comunione, fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato. Ad essi, se chirografari, sono preferiti i creditori della comunione".
Non esiste un'analoga disposizione nella disciplina della separazione dei beni. Il codice civile ci dice solamente che i coniugi possono convenire che ciascuno di essi conservi la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio. Pertanto possiamo assumere che i creditori personali di un coniuge, di regola, non possano aggredire i beni del consorte non debitore.

Tuttavia, esistono due strumenti giuridici che consentono ai creditori di porre rimedio ad eventuali comportamenti frodatori dei coniugi nei loro confronti, messi in atto mediante la scelta della separazione dei beni.

Da un lato possono cercare di dimostrare la simulazione della convenzione con la quale i coniugi hanno optato per il regime della separazione (art. 1416 del c.c.). Se la simulazione viene accertata, verso i creditori che hanno agito in giudizio sarebbe inefficace ogni alienazione della quota del coniuge loro debitore e pertanto essi potrebbe soddisfare sulla metà dell'immobile che era in comunione.

Dall'altro lato, è possibile per il creditore agire con l’azione revocatoria ex art. 2901 del c.c., avverso il trasferimento dei beni operato con la separazione dai coniugi in modo fittizio e fraudolento. Ad esempio, il Tribunale di Bari, con sentenza 3701 del 14.12.2009, ha ritenuto sussistenti i presupposti per la declaratoria della revocatoria ex art. 2901 c.c. dell'atto di alienazione per notaio stipulato tra due coniugi ed avente ad oggetto la cessione della proprietà della metà indivisa della casa familiare: era stato provato indubitabilmente come il coniuge debitore fosse consapevole non solo del debito che aveva nei confronti del suo creditore, bensì anche del danno che una tale alienazione arrecava alle ragioni del medesimo, dato che egli non era ormai più proprietario di alcun altro immobile.

Ricapitolando, i creditore del coniuge debitore non possono aggredire con pignoramento i beni dell'altro coniuge, a meno che non riescano ad ottenere vittoria in un giudizio per simulazione dell'atto di separazione dei beni o di revocatoria. Si tratta in entrambi i casi di azioni civili ordinarie, dalla lunghezza ed esito sempre incerti. In particolare, poi, l'azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell'atto in danno al creditore (art. 2903 del c.c.).

Per quanto concerne il conto corrente condiviso, i creditori di un coniuge potranno aggredire solo la metà di quanto ivi contenuto, poiché si presume che i cointestatari di un conto bancario siano titolari ciascuno di 1/2 delle somme depositate (in base all'art. 1298, secondo comma, c.c., nei rapporti interni tra debitori o creditori solidali “Le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente”). E' sempre possibile superare la presunzione attraverso la prova che il denaro coinfluito nel conto provenisse da uno solo dei coniugi.

Se fosse esperito un pignoramento nei confronti di beni del coniuge non debitore, questi dovrà prontamente agire in opposizione di terzo all'esecuzione, ai sensi degli artt. 619 ss. c.p.c., al fine di rivendicare l'esclusiva titolarità dei beni pignorati in capo a sé.

Renato chiede
mercoledì 16/05/2012 - Basilicata
“I beni avuti in eredità dopo il matrimonio ricadono nella comunione fra coniugi? o sono solo di proprietà di chi ha ereditato?
Può essere applicato l'art. 189 del codice civile?
Grazie Renato.”
Consulenza legale i 17/05/2012

Nel caso specifico viene in rilievo l'art. 179 del c.c. nel quale vengono indicati i beni personali dei coniugi in regime di comunione.

Alla lettera b) del predetto articolo viene sancito chiaramente che i beni acquistati successivamente al matrimonio per effetto di donazione o di successione non costituiscono oggetto della comunione e sono beni personali del coniuge,quando nell'atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione.

Pertanto, i beni acquistati dal coniuge per effetto di successione non entrano in comunione e restano nella sua esclusiva disponibilità.

Diverso è l'ambito di applicazione dell'art. 189 del c.c., che entra in gioco quando i coniugi contraggono obbligazioni separatamente. Nello specifico, la norma prevede che delle obbligazioni contratte dopo il matrimonio da uno dei coniugi per il compimento degli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione senza il necessario consenso dell'altro coniuge, rispondono i beni della comunione fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato quando i creditori non possano soddisfarsi sui beni personali.

Inoltre, la norma precisa che i creditori particolari di uno dei coniugi, anche se il credito è sorto anteriormente al matrimonio, possono soddisfarsi in via sussidiaria sui beni della comunione fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato.


V. M. chiede
martedì 07/06/2022 - Sicilia
“Separato da oltre un decennio, risulto tuttora residente (come singolo capo famiglia) in un comune, pur non abitandoci più. Per motivi di vicendevole necessità economica ho da poco stabilito di fatto il mio domicilio presso la attuale residenza della mia consorte separata. Mantenendo il regime di separazione consensuale e relativo versamento dello assegno di mantenimento deciso in sede processuale.
Mia moglie risulta anagraficamente capo famiglia ed il nucleo familiare è composto dai nostri due figli e da una nipotina a suo carico.
Qualora pure io trasferissi la mia residenza nella stessa abitazione, sempre mantenendo il regime di separazione, quali conseguenze legali potrebbero subire la capofamiglia e gli altri componenti dalla mia presenza ? Specie mia figlia che è titolare della proprietà della abitazione. Tutto stante la mia posizione debitoria nei confronti di diverse società finanziarie. Potrebbero avanzare pretese o procedere a sequestri di beni mobili ed immobili dei miei familiari ? Spero di essere stato sufficientemente chiaro nella esposizione.
Attendo riscontro, grazie”
Consulenza legale i 14/06/2022
Da un punto di vista sostanziale, stabilire la residenza nello stesso immobile non rende i familiari conviventi responsabili per i debiti del congiunto.
Un discorso a parte va fatto, eventualmente, per la moglie. Non conosciamo quale fosse il regime patrimoniale della famiglia antecedente alla separazione: ora, se si tratta di comunione legale, l’art. 189 c.c., comma 2 stabilisce che i creditori particolari di uno dei coniugi, anche se il credito è sorto anteriormente al matrimonio, possono soddisfarsi in via sussidiaria sui beni della comunione, ma comunque fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato.
Tuttavia, la separazione personale dei coniugi costituisce, ai sensi dell’art. 191 c.c., causa di scioglimento della comunione legale.
Da un punto di vista procedurale, tuttavia, i creditori possono ricercare il debitore solo nel luogo di residenza, il che comporta che tutti i beni mobili che si trovano all'interno dell'abitazione possono essere assoggettati a pignoramento, in quanto si presumono comuni a coloro che vi risiedono. L'unico modo per evitarlo è quello di munirsi di fatture di acquisto relative a quei beni, intestate al coniuge non debitore oppure, come molti fanno, esibire all'ufficiale giudiziario un contratto di comodato regolarmente registrato, da cui far risultare che i beni appartengono ad un terzo, preferibilmente estraneo al gruppo familiare. Occorre anche che nel contratto di comodato i beni vengano analiticamente descritti.

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